Gazzella X

Era fondamentale evitare una falsa partenza. Come succedeva di solito. Più che agli altri ghepardi, per lo meno.
Per colpa della mia fretta mi ero fatto la fama di uno che non contribuiva al branco. Un pigro, insomma. La verità è che mi piace riflettere.
Per questo trascorro un bel po’ di tempo appollaiato sul mio ramo. Ero lì anche l’altro giorno, quando un tipo che chiameremo Nero per la gran quantità di chiazze di quel colore, mi disse: «Scommetto che non ci riesci.»
«Eh? Come hai detto?» Mi aveva appena disturbato da una riflessione molto profonda.
«La gazzella X. Non la prenderai mai. Aspetta e spera.»
Parliamone, di questa gazzella X.
È una specie di leggenda. Un portento, nella sua specie: fasci di nervi, muscoli gonfi e tesi, lo sguardo fiero. Insomma, una vera e propria chimera, per noi ghepardi.
«Lascia perdere,» gli dissi, e cercai di riprendere la riflessione da dove l’avevo interrotta.
«Quando l’avrò acciuffata porterò il corpo a Ghira,» disse lui, e si allontanò.
Quell’affermazione mi fece riflettere.
Penso che abbiate capito la dinamica: A è interessato a C. Solo che anche B è interessato a C. Ora, A non ha nessuna intenzione di mettersi sulle tracce di una X, non ne ha la minima voglia, ma se B mette le zampe su X prima di C, che… no, insomma, sto facendo confusione.
L’importante era mettere le zanne su quella maledetta gazzella.
 
Ed evitare false partenze.
Ero acquattato nell’erba secca, la gazzella X nella mia visuale.
Brucava come al solito tranquilla. Muscoli, nervi, occhi: l’esemplare di gazzella per eccellenza, una meraviglia.
Anche per il palato, scommetto.
Mi avvicinavo lentamente. Silenzioso. Attento.
Lei era immobile.
Anche io.
Un piccolo passo.
Le sue orecchie fremettero.
Nessuna fretta.
Alzò la testa.
Stai calmo, mi dissi.
Si voltò. Troppo tardi: era un pensiero lucido, che sfiorò gli angoli della coscienza, fluido e netto come i muscoli di un ghepardo. Polvere, erba e infine una gran confusione.
«A-aspetta!» le dissi.
 
Quella sera tornai al campo base, ai piedi di un grande albero. Quelli del mio branco, nel vedermi alzarono la testa.
Anche Ghira si voltò.
L’agitazione era palpabile.
Perché la gazzella X mi trotterellava dietro.
Appoggiai una zampa su quell’animale.
«Fatto,» dissi. «L’ho presa.»
Lasciate che vi spieghi.
 
Quel pomeriggio io mi ero fermato e lei era andata avanti. Le avevo chiesto di aspettare.
«Facciamo un patto,» le avevo detto ansimando.
Le promisi che se mi avesse aiutato non le avrei torto un capello. Inoltre, se fossi diventato capobranco, avrei detto ai miei di lasciarla in pace. Anche se non potevo garantire per il resto delle gazzelle.
In fondo si trattava di acciuffarla, no? Non si era mai parlato di uccidere e mangiare.
Se vi state chiedendo che impressione ha fatto a Ghira… no vabbè, come nascono i ghepardini ve lo dico un’altra volta. Ora è meglio se andate a dormire. Io andrò al mio solito posto a riflettere.
Dormire, avete detto?
Assolutamente no!
Ve l’ho detto: sono un tipo riflessivo.