Greta e i suoi gretini

Parlarsi, chiarirsi, scoprirsi, darsi una nuova possibilità. Niente di più semplice e difficile allo stesso tempo. Vincitore della Live Edition di Rozzano, un racconto di Fernando Nappo.

 
Sipario. Luci. Musica.
Al centro del palco, mio padre, nome d’arte Greta, comincia ad ancheggiare al tempo di Sometimes You Just Gotta Leap, le mani appoggiate ai fianchi. Poco più indietro, i due elementi del corpo di ballo lo assecondano, come da coreografia.
Dalla mia posizione defilata la visuale non è delle migliori, ma mi accontento .
Greta esibisce un abito lungo rosso, attillato e trasparente, che esalta il suo corpo maschile. La testa è fasciata da un copricapo fucsia simile a un turbante, al centro del quale è incastonata una gemma gialla, sfaccettata come un rubino.
I due del corpo di ballo indossano lo stesso abito ma di colore arancione, meno appariscente, mentre il capo è coperto da un vistoso cappello dalla forma di una piccola palma, le cui foglie ondeggiano a ritmo di musica.
Il tutto è forse un po’ kitsch, anzi lo è di certo, ma adeguato al genere.
I loro passi di danza sono sicuri, precisi, e nessuno di loro dà l’impressione di faticare sui tacchi altissimi. Si capisce che l’esibizione è stata studiata e preparata con cura, come doveroso verso il pubblico. E Greta non canta in falsetto, non mimetizza la sua voce, e questo dà un valore speciale alla sua interpretazione.
Tra una strofa e l’altra, tra un passo e il successivo, l’esibizione prosegue nel gradimento generale. Greta scruta la sala piena: sono sicuro che goda del piacere del suo pubblico.
Ora che la osservo, ora che lo osservo, mi è chiaro che il palco è il suo ambiente naturale, l’unico posto dove non si debba preoccupare di esibire il pomo d’Adamo e al contempo un abito femminile.
Il pezzo è ormai alla fine. Lo conosco bene, lo canto tra me e me:
Sometimes it’s just gonna hurt – yeah
But you gonna live and learn – yeah
You’re stronger than you believe you are
You are unstoppable!
You are, you are unstoppable!

Sul finale parte l’applauso del pubblico. Un pubblico difficile da etichettare, ma adeguato alla situazione, tanto variegato nel genere quanto mai avrei creduto possibile.
Greta e il corpo di ballo fanno un inchino, si godono gli applausi, poi guadagnano le quinte.
Mi alzo e lascio la sala. Come da accordi col buttafuori, profumatamente pagato, accedo al retropalco, ai camerini. Individuo quello del gruppo, busso ed entro.
Greta e i ragazzi si stanno già struccando davanti allo specchio. Deduco che non si esibiranno oltre: fatico a capire come si possa sopportare il fastidio del trucco, dei vestiti, e le ore di prova, per una singola esibizione di pochi minuti.
Greta mi vede. Si blocca. «Andrea?»
Si alza in piedi e si avvicina. Forse è una mia impressione, ma adesso mi sembra più incerto sui tacchi. Percepisco il suo imbarazzo. Alterna lo sguardo tra me e i due ragazzi, come se loro potessero suggerirgli cosa fare, come comportarsi.
Quando è a tiro gli mollo uno schiaffo.
Lui porta una mano alla guancia che si sta imporporando. Abbassa lo sguardo. «Capisco» dice, e non aggiunge altro.
Lo prendo per le spalle, lo tiro a me e lo stringo in un abbraccio che aspettava da vent’anni.
Ci vuole un po’ prima che capisca, prima che si sciolga, poi ricambia l’abbraccio. E stringe forte.
 
Seduti al tavolo di un bar, mio padre si rigira tra le mani il bicchiere di whisky. Ora, vestito in borghese, mi sembra un po’ meno sicuro di se stesso.
Inizio io, altrimenti potremmo rimanere seduti al tavolo, muti, per un’eternità. «Dunque è per questo che te ne sei andato?»
Papà alza gli occhi, mi guarda e sorride. «Io non me ne sono andato. Non me ne sarei mai andato, fosse dipeso da me.»
Riprende a giocare col bicchiere.
«Allora non capisco. Che cosa ti ha spinto a lasciarci, a lasciarmi?»
«È complicato, Andrea. La vita è complicata. E tua madre, lei è una donna a cui le complicazioni non piacciono. Lei non poteva accettare che a suo marito piacesse vestirsi da donna, esibirsi. Vent’anni fa, poi! Se si fosse saputo ne sarebbe morta.»
Non so cosa rispondere. Per quanto peso si possa dare al giudizio altrui, non riesco ad accettare che sia solo per questo, non può bastare così poco per separare un padre dal proprio figlio. Forse c’è dell’altro, qualcosa che papà non vuole dire. Prendo il coraggio a quattro mani: ora che l’ho ritrovato non voglio aspettare ancora per capire, ora o mai più. «Forse tu e i due ragazzi del gruppo… voglio dire…»
Papà scoppia a ridere. E ride di gusto, una risata contagiosa, che non mi sono potuto godere prima.
«No, no, niente affatto. Marco e Roberto sono compagni, loro sì, ma il nostro sodalizio è solo artistico.»
Scuoto il capo, perplesso. «Forse, avresti potuto rinunciare, allora. Restare e vivere una vita normale, vedermi crescere.»
«Per me quella vita era normale. Lavoro, famiglia, e… spettacolo. Era tutto normalissimo, così come lo è ora. E comunque, perché tu lo sappia, io inizialmente ho rinunciato. Ma ormai tua madre aveva già deciso che non avrei potuto essere un buon padre.»
Comincio ad avere le idee più chiare. A capire che certi comportamenti assurdi di mamma non sono la conseguenza della fuga di mio padre, ma la causa. Ma più di tutto m’è chiaro che non voglio perdere di nuovo quest’uomo, che merita più di tanti altri di essere conosciuto.
«Potrei unirmi al gruppo» butto lì, per alleggerire l’atmosfera. «In quattro sarebbe difficile trovare una buona simmetria sul palco, ma con un po’ di impegno…»
Papà mi regala un’altra sua risata. «A dire il vero, avremmo bisogno di un nuovo manager. Forse questo è un impegno col quale potresti trovarti più a tuo agio.»
«In effetti. Però» assumo un’aria seria, da impresario navigato «per prima cosa dobbiamo cambiare nome al gruppo. Questo è così strano, un po’ ridicolo, e sembra quasi offensivo.»
«Non se ne parla nemmeno» risponde papà. «Quello non si tocca. Lascia che almeno noi non ci si prenda troppo sul serio.»
Restiamo un poco in silenzio, come se le poche parole che ci siamo scambiati finora possano riempire vent’anni di attesa.
Poi, papà alza il bicchiere: «A noi.»
«A noi» rispondo, finalmente riuniti, finalmente una famiglia.

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