Il corpo di Anna

Il corpo di Anna è steso sul pavimento, nudo, la pelle lacerata da eruzioni cutanee sporche di sangue e pus.
Paolo l’osserva da dietro il vetro protettivo che separa il laboratorio dalla cella di contenimento, le braccia incrociate. Con l’indice picchietta sul braccio opposto a tempo del suo cronometro, fino a quando da questo non parte una serie di bip.
Pochi secondi e il petto di Anna inizia a gonfiarsi e rilassarsi, il ritmo via via più sostenuto. Gli occhi della ragazza si spalancano. Una serie di contrazioni le inarcano la schiena, facendole assumere una postura innaturale, simile a quella di un ragno. Un altro spasmo, più intenso dei precedenti, e crolla a terra.
Con movimenti scomposti e violenti, il corpo di Anna si solleva sulle gambe e, con le ginocchia piegate verso l’interno, ciondola verso la parete in vetro, la carne già cicatrizzata.
Senza smettere di fissarla, Paolo raggiunge il computer e fa partire la registrazione. «Giorno 1624, esito del test 587. Il soggetto non sembra rispondere al contro-virus H71, se non nelle modalità ormai note: reazione avversa, morte apparente con interruzione dell’attività cerebrale e infine resurrezione a distanza di 18 ore.» Paolo blocca la registrazione e abbassa lo sguardo. Un lungo respiro e riattiva il microfono. «È come… come una spirale, un circolo senza fine che non può far altro che avvolgersi su sé stesso.» Torna a guardare il corpo di Anna, le unghie di lei che graffiano il vetro. «Ci siamo detti che avremmo trovato una cura, che avremmo salvato i nostri figli… La verità è che mentre il mondo implodeva, chi è sopravvissuto non ha fatto altro che trasformarsi in uno specchio del virus. Così, mentre lui non fa altro che creare nuova vita, noi non smettiamo di sperimentare nuovi sistemi per ucciderlo.» Ancora una pausa. «Sono stanco. Stanco di questo loop senza fine.»
Paolo chiude la registrazione e dopo un attimo d’esitazione l’invia alle altre stazioni di ricerca.
A piccoli passi si avvicina all’ingresso della cella e accosta i palmi in corrispondenza di quelli di Anna.
Le labbra di lei si appoggiano al vetro. La bocca si apre, emettendo un suono uniforme e prolungato. «Aaaa…»
Una delle mani di Paolo scivola verso il pannello elettronico e digita il codice di sblocco della cella. Per una frazione di secondo le luci del laboratorio si spengono, per poi riaccendersi di un rosso intermittente accompagnato da un avviso sonoro di pericolo.
Paolo lo ignora e porta le dita verso la maniglia. Uno sbuffo segnala la fuoriuscita dell’atmosfera interna della cella.
In quello che a Paolo pare un’eco di umanità, il corpo di Anna indietreggia di un passo, come sorpreso. «Paaa…»
L’uomo apre la porta e sorride all’involucro che un tempo era Anna.
La sua Anna.
In lacrime, entra nella cella, le si avvicina, la stringe a sé.
E un istante prima che le unghie e i denti di Anna affondino nella sua carne, dalla bocca di lei affiora un ultimo rantolo. «Paaa… pà.»