Incontri indesiderati

Un appartamento, ragazzi e ragazze senza memoria, una prova da superare. Quarto classificato nella 118° Edizione di Minuti Contati, un racconto di Mario Pacchiarotti.

 
Un peso allo stomaco mi tormenta, mi sveglia. Allungo la mano, incontro una faccia. Sobbalzo e spalanco gli occhi.
«Che diavolo…»
Sono nuda, un ragazzo biondo, anche lui nudo, mi sta usando come cuscino. Mugugna senza svegliarsi. Chi cazzo è questo?
Mi guardo intorno cercando di capire in che guaio mi sia cacciata. Sono in un grande soggiorno, ben arredato, illuminazione soffusa. Sui divani ci sono altre persone, due coppie e un trio. La nudità sembra lo standard. Un tizio con la pelle più scura si sta svegliando e si guarda intorno con aria stralunata.
Che ci siamo fumati per stare in questo stato? Un pensiero improvviso mi fulmina. Chi sono io? Come mi chiamo? Per quanto mi sforzi non mi viene in mente un nome, un ricordo, niente. Rinuncio a ricordare, non mi sento troppo male in fondo. Scivolo via dalle braccia del Biondo e cerco qualcosa da mettermi, senza successo.
Il Mulatto si libera dell’abbraccio del suo partner, un ragazzo che appare molto giovane, magrissimo, e viene verso di me con passo incerto.
«Ciao… io… Ti ricordi qualcosa tu?» chiede con voce debole. «Io non ricordo nemmeno chi sono.»
«Manco io, per ora.»
Si stropiccia gli occhi e poi fa un giro con lo sguardo.
«Sembra che ci siamo divertiti.»
Faccio spallucce, non ricordo.
«Controlliamo se stanno tutti bene» suggerisco, e comincio a scuotere il Biondo. Lui si lamenta ma poi socchiude gli occhi e si sveglia.
«Ciaoo…» biascica sorridente.
«Te ricordi de me?» gli chiedo.
Sembra riflettere, poi squote la testa.
«E de te, te ricordi? Sai chi sei?»
Di nuovo aggrotta la fronte, poi spalanca un sorriso ebete, come se la cosa lo divertisse.
«No…»
«Svegliamo l’altri, daje.»
Il Mulatto annuisce e cominciamo a passare da un divano all’altro.
 
La situazione è grottesca. Ce ne stiamo seduti composti sui divani, messi a quadrato, tutti nudi. Cinque donne, quattro uomini, intorno ai trenta.
«Riassumiamo» dice il Cinese «nessuno ricorda chi è, come sia finito qui e cosa sia accaduto.»
«E comunque se qualcuno lo sa non lo dice» commenta la Bruna immusonita.
«Non complichiamoci la vita con ipotesi fantasiose» taglia corto il Cinese. «Limitiamoci ai fatti.»
La Tettona alza la mano, tutti i maschi si girano verso di lei.
«Te sei ricordata qualcosa?» chiedo.
«No, ma propongo di fare un giro per casa, da qualche parte ci devono essere i nostri vestiti, le borse, magari avremo portafogli, documenti, cellulari…»
«Ha ragione» commenta il Secco. «Esploriamo la casa.»
La Gazzella, lunghe gambe muscolose, si alza e va verso la porta alle sue spalle.
«Io guardo da questa parte.»
Noi altri ci dividiamo le altre porte.
 
«Niente vestiti. Niente borse. Niente telefoni. Niente finestre. Una sola porta chiusa, di certo l’uscita, senza serratura. Siamo prigionieri.»
Cicciottello sventola un foglietto.
«Credo che la chiave sia questa. Dice: sciogli la catena se vuoi uscire vivo. Ma non toccare il frigo.»
«Moriremo tutti» piagnucola Bruna.
Il Cinese scatta in piedi. «Smettila, magari è un cazzo di scherzo.»
Bruna si ammusonisce ancor di più.
«Dai, smettetela, proviamo a risolvere questo coso. È un quesito a più passaggi, il primo mi pare qualcosa di matematica.»
«Fai vedere» dice il Secco. Riceve il foglietto, lo osserva per un po’, concentrato. «Mi servirebbe da scrivere.»
Tettine si alza, sculetta veloce verso lo studio e torna con carta e penna.
Il Secco si mette al lavoro, nel più completo silenzio.
«Ecco, questa parte l’ho risolta. Il risultato è 5. La parte dopo non è matematica. Non conosco la lingua in cui è scritta.»
Mi scatta qualcosa di indefinito in testa.
«Posso leggerlo?»
«Dai il foglio alla Rossa» ordina il Cinese.
Lo prendo e senza difficoltà traduco la frase, anche se non ho idea di che lingua sia.
«Tutti lo possono apri’, ma nessuno lo sa chiude’.»
«Che vuol dire?» chiede Gazzella.
«Non c’ho idea» rispondo.
«Lo so io che vuol dire.» Esclama Tettona. «È un indovinello e la risposta è ‘uovo’.»
«Giusto, brava.» Cicciottello riprende il foglietto. «Vediamo la parte successiva… C’è una specie di disegno, ma non si capisce. Guardate voi.»
Fa girare l’enigma. Quando arriva nelle mani del Mulatto questo comincia ad avvicinare e allontanare il pezzo di carta dal suo naso, finché non sembra soddisfatto.
«È uno stereogramma. Rappresenta una tazza del cesso.»
La Bruna scatta in piedi. «Ho capito» urla, e parte a razzo diretta in cucina. Le andiamo tutti dietro.
«Che fai» le urla il Cinese. Ma lei neanche lo sente, apre il frigo, prende il quinto uovo, va in bagno, noi sempre dietro, incapaci di fermarla. Lo deposita nell’acqua del cesso, senza romperlo e poi usa lo sciaquone.
Per qualche secondo non succede niente di strano, poi il rumore dell’acqua che scorre invece di diminuire, come dovrebbe, aumenta e presto ci accorgiamo che l’ambiente si sta allagando.
Lo dico senza cattiveria, una semplice constatazione.
«Ah Bru’, hai fatto ‘na cazzata.»
 
Quando l’acqua ci arriva allo stomaco il panico rende vano ogni tentativo di risolvere il resto dell’enigma.
«Moriremo tutti» continua a dire Bruna, li mortacci sua.
«Datemi il foglietto» continua a dire la Gazzella.
Il Cinese pare rassegnato.
Io giro per casa, cercando una via d’uscita, una soluzione, un’idea. In cucina mi viene un’idea assurda. Mi siedo sul mobile accanto al lavello. Arriva Cicciottello, mi rendo conto ora che mi ha seguita come un cagnolino da quando l’acqua ha cominciato a salire.
«Ti ricordi ancora niente?» mi fa.
«No, niente.»
«Io sì, noi siamo sposati. Io mi chiamo Marco e tu Barbara.»
Cerco di ricordare ma la mia mente è vuota.
«Non mi ricordo.»
Si infila tra le mie gambe e mi abbraccia.
«Facciamo l’amore.»
È carino Cicciottello, mi fa tenerezza, un senso di familiarità.
Allora facciamo l’amore.
Proprio mentre lo sento venire, risuona una sirena.
«Siete morti, Nude Mystery Room fallita» la voce lo ripete in loop mentre l’acqua si ritira rapida.
Arriva un tizio e ci da una fiala.
«Il gioco è finito» dice «la beva e tornerà come nuova.»
La bevo. È un attimo e ricordo tutto. Il gioco, la droga anamnemonica, chi sono io, chi sono gli altri.
Guardo Vincenzo, urlo sconvolta…
 
Siamo tutti al bar, Mary e Angela si sbaciucchiano, Lucio e Marcello pure. Mirella e Giulio stanno parlando con il barman di non so cosa. Antonio se ne sta per conto suo incazzato nero.
Vincenzo mi scodinzola intorno.
«Levati dai coglioni» gli dico.
«Arianna, non sapevo… perdonami» piagnucola, con quel suo faccino da cucciolino ciccioloso.
«Sparisci, prima che ti uccida. Se penso a quello che abbiamo fatto…»
Vincenzo ha un singulto, sembra voler dire qualcosa ma la frase gli si strozza in bocca.
Finalmente si allontana a capo chino.
La rabbia sfuma, deve essere stato un trauma anche per lui.
Povero fratellino.