Languore

Adele aveva il cuore in gola. Non aveva mai lasciato da solo Matteo per così tanto tempo, ma l’appuntamento, stavolta, era inderogabile. Aveva salutato l’agente immobiliare in fretta e furia ed era corsa a casa.
Aprì la porta con la mano che tremava sulla maniglia: la accolse un silenzio denso come lo smog di una metropoli.
Oltrepassò l’ingresso e si recò subito in cucina.
Le ante dei pensili erano spalancate, così come il frigorifero. Sparse sul pavimento c’erano lattine di fagioli e di olive, due confezioni di merendine schiacciate e una busta di patatine squarciata. Una sedia giaceva su un fianco vicino alla lavastoviglie.
Lo aveva fatto di nuovo, o almeno ci aveva provato.
«Matteo, dove sei?»
L’ansia stava salendo alle stelle. Il dottor Rastelli l’aveva avvisata che il percorso terapeutico non sarebbe stato breve, né facile, ma qualcosa si doveva tentare. Matteo aveva bisogno di aiuto. Adele pregava che ogni sforzo fatto sino ad allora non venisse vanificato da un suo ritardo.
Affrettò il passo ed entrò in bagno. Non c’era nessuno.
«Matteo? Rispondi, ti prego.»
Diede un calcio a qualcosa. Guardò in basso: un sacchetto di biscotti, intatto.
Percorse il corridoio fino alla camera da letto e poi alla stanza di Matteo. A guardia della porta c’era un barattolo di Nutella aperto, il coperchio bianco disperso chissà dove. Un cucchiaino di plastica affondava nell’irresistibile crema per l’intera lunghezza del manico. «Dio santo!» mormorò demoralizzata. «L’ha combinata grossa.»
Tirò un profondo sospirò e varcò la soglia.
Era tutto come sempre: il portatile acceso con i video di Youtube sui panorami ripresi dai droni; il letto disfatto e i libri fantasy impilati sul comodino; gli abiti gettati alla rinfusa sulla poltrona; la tenda scostata e la finestra sempre spalancata sulla campagna abbracciata dalla sera.
Ma lui non c’era.
«Tesoro?» chiamo, con un filo di voce. Le vennero gli occhi lucidi. Le mancò quasi il respiro. Dove sei? si chiese.
«Mamma!»
«Matteo!»
La voce del figlio le giungeva attutita, come da una botola.
Ripercorrendo i propri passi, Adele lanciò occhiate al cibo disseminato per la casa e intuì che qualcosa non tornava. Raccolse una confezione di brioches e scoprì che non era stata aperta. Anche alcuni snack, finiti sotto al tavolo del soggiorno, avevano subìto un trattamento violento eppure non presentavano il minimo morso. Le tornarono in mente le condizioni dei biscotti e delle lattine.
Cominciava a capire. Si accese una piccola luce dentro di lei.
«Mamma?» la chiamò ancora.
Adele salì le scale fino al piano superiore e lo trovò seduto, spalle al muro, accanto alla dispensa. Aveva fatto una fatica del diavolo a trascinare la sua spropositata mole su per i gradini, e infatti era rosso in viso, aveva le gote rigate di lacrime e la maglietta zuppa di sudore. Il suo respiro era pesante.
Corse ad abbracciarlo.
Matteo, 14 anni, 140 chili, scoppiò in un pianto liberatorio.
«Ehi» fece Adele, «mamma è qui. Ho fatto tardi, mi perdoni?»
«N-non ho m-mangiato niente, hai visto?» balbettò lui, le parole spezzate dai singhiozzi.
«Lo so, piccolo, lo so» lo rassicurò Adele, baciandogli la fronte.
«Sono stato b-bravo?»
«Certo, ma adesso dammi quei cracker che nascondi nella mano.»
E risero insieme.