L’Editoriale

Cari lettori,
mia figlia maggiore mi comunica che partecipa ad un compleanno.
“Certo, ti ci porto”, le dico.
Lei inclina la testa da un lato, sorride e risponde: “È qui vicino pa’, ci vado da sola.”
Un bacio, imbocca l’uscio e mi abbandona lì, a fissare la porta come uno scemo. Dalla cucina arriva mia moglie: ha sentito e ora si gode la scena madre di un uomo che ha perso tutto in otto parole, la sadica.
 
Cari lettori, io ho capito che la festa è a un tiro di sputo e ho poco da preoccuparmi. Da Piano Regolatore quest’area residenziale è pensata per “l’agevole trasloco di bimbi da festa a festa”; senza contare che a piedi ci si arriva prima che in auto, ci sono dieci rotonde in cinquanta metri con nonni vigile appostati ovunque. È sicuro.
Ma più sgradevole della peluria sul labbro alle medie, più forte di quando ti bocciano all’esame per la patente, arriva il magico momento in cui il padre pensa ecco, la sto perdendo.
Mia moglie tenta la via del sillogismo: “Guarda che tua figlia va a piedi anche a scuola. Che sarà mai?”
Già, ma chissà perché pensavo che quel tragitto fosse diverso. Forse perché in fondo fa comodo a me, la mattina posso partire più tardi senza strozzarmi con la brioche.
Il problema è che mia figlia è sulla soglia della zona rossa, quella che ogni tre mesi posticipo mentalmente di sei, così da rimandare l’avvento a tempo indefinito. Bravo.
Il prossimo passo sarà il telefonino; nemmeno più si chiama così, lo so, ma abbiate pietà per quest’uomo addolorato. L’effetto social, fammi vedere cosa posti, mangia e non guardare quell’affare e via così.
Viene il turno dei cosmetici, e non quelli idrosolubili che le bimbe si divertono a spalmarmi in faccia mentre dormo, cosicché al lavoro tutti mi guardano, ridono e cadono dalle sedie. Parlo di cosmetici veri.
Parliamo del passo successivo senza sembrar di vedute medievali? Un accenno. Inevitabile come le tasse entrerà in campo lui: sguardo da scemo, motorino e testa che odora di gel. Che bestia.
 
Ho finito di leggere il mio primo Jane Austen. Non chiedetemi quale, il titolo che tutti ricordano. Sul perché l’abbia letto, credo che in fondo cominciassi a sentirmi impotente in una casa gestita da ferree femministe: un po’ tardi, dirà qualcuno, comunque sia avevo bisogno di studiare il nemico, e la Austen mi sembrava un alleato formidabile.
Va da sé che non ho trovato risposte, almeno non quelle che cercavo. In compenso tra i personaggi compare questo padre di famiglia che è un amore, soverchiato dalle figlie eppure meraviglioso: riesce a cogliere la sfumatura ironica in ogni piccola disgrazia che sembra capitargli. Allora mi chiedo: cosa farebbe Mr Bennet nella mia situazione?
 
Riflettendoci, però, le vere paure su mia figlia sono altre.
Forse sono stato io quello troppo incollato al telefono, quando potevo godermi i suoi momenti.
Quando si farà una propria vita, come tutti del resto, temo che mi troverò a guardare le sue foto sui social per sentirla vicina.
La vera paura, forse, è di averle trasmesso un’errata immagine di padre; ora è tardi.
Come posso pretendere che non mutuerà questo atteggiamento con i propri figli? Passeremo il Natale a postarci GIF animate da un lato all’altro della tavola?
Insomma, sono stato il Mr Bennet che speravo di essere? Ironico, amorevole, un papà che non sta a chattare mentre sua figlia cresce?