Lo chiamano mare

– Un giorno –
 
“Ma quello è un corpo?”, il vecchio guarda spaventato il giovane.
“Intendi di un uomo?”, il giovane è perplesso.
“Secondo te cosa diamine è quella cosa incagliata nella rete?”.
I due si avvicinano al cadavere.
“Cristo Santo, è un ragazzino”, il giovane solleva il corpo e lo stende sulla spiaggia.
“Deve essere in mare da giorni”, un conato di vomito lo interrompe.
“Guarda qui… Cosa cazzo è?”, con le mani callose il vecchio abbassa la cerniera del giaccone del morto.
“C’era scritto qualcosa, ma non si legge… Questi numeri?”
“Deve essere un numero di telefono… Magari qualcuno da chiamare in caso di bisogno!”, il giovane tiene giù a stento il pranzo.
“Macchè… Ma non capisco! Intanto chiama la guardia costiera!”, suggerisce il vecchio senza smettere di fissare quei numeri cuciti dentro la giacca.
 
– Due settimane prima –
 
Lo chiamano mare, ma se te lo devi fare a nuoto ti sembra un oceano.
Io sono bravo con le grandezze, in matematica me la cavo bene, ma quando sei dentro le cose scopri cosa vogliono dire davvero le loro dimensioni.
Quanti chilometri sapete fare a nuoto?
Fidatevi di me, anche in geografia sono bravo, la so la differenza, ma quando ci sei dentro ti viene da chiamarlo oceano Mediterraneo, mica mare.
 
Dopo il viaggio dal Mali alla Libia, ve lo giuro, a guardarlo, il mare Mediterraneo, mi sembrava una pozzanghera: è fatta, mi dicevo, un ultimo sforzo. Ma quando ci sei dentro cambia. Io poi non so nuotare. So fare tante cose, e le faccio bene, ve lo posso dimostrare, ma nuotare no.
 
Mare Nostrum. Una volta ho letto che lo chiamavano così i romani. Sono uno che si interessa a questo genere di cose, mi piace studiare.
Quando ho sentito questa storia del Mare Nostrum ho pensato che i romani dovevano essere gente in gamba se erano riusciti a prendersi persino un mare. La mia gente ha giusto i suoi figli.
In Mali, sapete, piove poco, e questo compromette un po’ tutto. Poi però piove per cinque mesi di fila, e in alcune zone non gli rimane che acqua sporca e la stessa fame di prima. Questi romani, invece, più di duemila anni fa avevano già un intero mare.
L’ho guardato, sapete, prima di salire sulla barca: quanta acqua. Non ci ho pensato che io non so nuotare. Ho pensato è fatta, un ultimo sforzo.
 
Eravamo ammassati, qualcuno ormai lo conoscevo perché si era fatto con me il tragitto fino alla Libia.
Stavo scomodo, mi faceva male tutto, ma sarebbe finita presto. Era fatta. Non ci ho pensato a quanti di loro sapevano nuotare.
È strano, perché io di solito alle cose ci penso. Sono uno che sa come usarlo il cervello: posso farvelo vedere. Non dovete credermi sulla parola: ho le prove.
 
Me le sono cucite dentro la giacca, così non dovete fidarvi di un estraneo.
La giacca non la mollo e me le sono cucite qui, le prove.
Se devo convincere gente che ha persino un mare mica posso dirgli di credermi sulla fiducia, così mi sono portato dietro le prove: vedete, qui ci sono tutti i voti.
Vedete: matematica, geografia, scienze… è scritto sia in arabo che in francese. Anche questo mi aiuterà, una volta attraversato il mare Mediterraneo, mi dicevo, quando non sapevo che lo chiamano mare, ma se ci sei dentro è un oceano.
È l’unica medaglia che mi posso portare dietro, così voi, che avete un mare che è vostro, potete credere a quel che vi dico e darmi un lavoro. Magari, se vedete che sono bravo, poi trovo anche il modo di studiare. A me piace studiare.
Caspita, e sì che lo sapevo che poteva capitare.
L’ho cucita dalla parte del cuore, perché so che per voi è lì che vanno le cose a cui si tiene e io ci tengo ai miei voti. Sono la cosa più importante che ho, perché sono le prove: così mi credete e vi fidate.
 
Che stupido a tenerla nascosta, cucita lì, vicino al cuore. Dovevo sventolarla, quella pagella, che magari mi venivate a prendere invece di lasciarmi andare giù, qui, nel fondo dell’oceano. Magari, se vi mostravo le prove che potevate fidarvi, che ero bravo, non mi lasciavate andar giù, nel fondo del vostro, buio, oceano Mediterraneo.