L’Osservatore

Finalista nella 149° Edizione di Minuti Contati con il Team di Specularia come guest star, un racconto di Soraia Patrizi.

 
Non ricordo se qualcuno mi abbia mai visto.
Fin da quando ho memoria, sono sempre stata una creatura invisibile agli occhi altrui, eppure so di esistere.
Ogni giorno, per essere certa di non essere scomparsa, mi affaccio sul ponte osservando il mio riflesso sul fiume.
Tanto tempo addietro mi specchiavo sulla riva, ma dopo che un bambino attirò l’attenzione di tutti verso quel riflesso all’apparenza orfano, preferisco farlo lontano dalle persone.
Continuo a guardare il mio riflesso tra i tremolii dell’acqua. Vedo il mio viso, così simile a quello di una persona. Vedo i miei occhi, di cui non sono mai riuscita a cogliere il colore. E vedo il mio corpo, simile a quello di un umano, se non fosse per il fatto che nessuno riesce a vederlo.
Una barca passa sotto il ponte in quel momento, portandosi via il mio riflesso.
 
Trascorro il mio tempo camminando per la città, evito le vetrine per non correre il rischio che qualche persona noti il mio passaggio. Ho avuto un paio di incidenti in passato e non voglio ripetere l’esperienza.
Ma c’è un luogo che cerco di raggiungere almeno una volta al giorno.
Cammino lentamente: sulle strade con poche persone devo soppesare ogni passo per non fare troppo rumore sul marciapiede, ma mi rilasso di fronte al cancello del parco.
Mi fermo e tendo l’orecchio: sento lo schiamazzo dei giovani che giocano a pallone e sorrido. L’Osservatore oggi ci sarà di sicuro.
Entro a passo spedito: il parco è pieno di uccelli che mascherano i miei suoni con il loro cinguettare, così come il fiume in lontananza.
Posso finalmente rilassarmi e correre: finché non mi avvicino all’acqua, non ho nulla da temere.
Ci sono molte più persone di quanto mi aspettassi: ragazzini che giocano, gruppi di adulti che praticano ginnastica sull’erba, gruppetti di studenti universitari che si godono il pranzo, in lontananza sento l’abbaiare dei cani.
Ed è lì che lo trovo. Seduto sempre sulla stessa panchina di fronte al fiume, ma non troppo vicino la riva.
Mi avvicino.
Oggi l’Osservatore si è vestito leggero: comprensibile, considerata la bella stagione ormai alle porte. Come sempre, ha la sua borsa a tracolla e, come sempre, osserva le persone. Ovviamente, non osserva me.
È passato un po’ di tempo dalla prima volta che l’ho incontrato. Non ho mai capito il perché di quello strano passatempo, ma ho pensato fosse una cosa curiosa e perciò iniziai a prestargli attenzione.
E ogni giorno lo trovavo lì, in silenzio. Si sedeva, si metteva comodo e osservava le persone.
Alcune volte mi sono seduta accanto a lui per capire se ci fosse qualcos’altro sotto ma no, era l’unica cosa che faceva.
Rimaneva di norma per una mezz’oretta, per infine alzarsi e andarsene nello stesso silenzio con cui era arrivato.
Avevo iniziato a chiamarlo l’Osservatore per quella ragione ed era diventata mia abitudine venirlo a trovare ogni giorno.
Ben presto avevo scoperto che l’Osservatore non veniva nei giorni di pioggia e quando il parco era vuoto, perciò mi assicuravo sempre che ci fossero un po’ di persone prima di entrare.
Era l’unico modo per trovarlo.
L’Osservatore è per me una persona speciale, ma quello impiegai un po’ di tempo per capirlo.
Mi posiziono davanti a lui, avvicinandomi al suo viso. Ha gli occhi marroni, molto scuri, un po’ come il terriccio del parco, con qualche striatura nera come i raggi di un sole oscuro.
Ma è lì, in quei colori, che vedo il mio riflesso. E il riflesso negli occhi delle persone, per quanto il più piccolo e il più difficile da cogliere, è il migliore.
Il più ricco di anima. Il più ricco di umanità.
Il riflesso sulla superficie del fiume era distante e tremolante, ma questo è vicino e accogliente.
Sorrido. Quando mi osservo negli occhi di una persona, per un istante riesco a cogliere la verità della mia esistenza.