Mi dispiace babbo

Fabio abbassò la testa. «Mi dispiace babbo.» Non riusciva a smettere di guardare le infermiere che passavano nel tentativo d’indovinare quello che succedeva.
Andrea aspettò qualche secondo che Fabio alzasse lo sguardo. Riconobbe i suoi stessi occhi, ma in un altro volto. In un altra persona. Suo figlio.
«Per cosa ti dispiace?»
«Per tutto, ecco. Non ne ho fatta una giusta.»
«Eh, perché sei un bischero.»
«Sì però…»
«Sì però nulla. Non ti fossimo stati dietro e non avessimo cercato di metterti un po’ di buonsenso in zucca. Ma invece niente. Duro come le pigne verdi.»
Fabio curvò ancora di più le spalle, mentre continuava a torturarsi le cosce con le mani.
Nel silenzio dell’ospedale di notte si sentiva il ronzio dei vecchi neon che, accesi da chissà quanti anni, resistevano rifiutandosi cocciutamente di essere sostituti da una versione a led.
«Anche te…»
«Si anche io ho fatto le mie cazzate, come tutti da giovani. Per quello uno magari vorrebbe convincere i propri figli a non farne. O perlomeno a farle diverse.» Andrea prese la Marlboro che aveva sull’orecchio e ci giocherellò un po’.«Almeno la chitarra la potevi continuare a suonare, hai visto mai diventavi una rock star. Invece ti interessavano più le groupie sembra». Sorrise, ma il figlio non sembrò cogliere l’ironia.
«Ma quanto ci vuole?»
«Ci vuole quello che ci vuole.»
Un vecchietto in pantofole a quadri e bastone apparve dall’angolo del corridoio, concentrato e deciso a trascinarsi pochi centimetri alla volta verso la macchinetta del caffè.
«Magari mi rimetto a studiare, finisco la scuola e poi riesco a trovare un buon lavoro. Forse non è tardi.»
«Fabio,» Andrea si mise dritto sulla sedia di plastica bianca «sei ancora un bambino. Hai tutta la vita davanti. Ci sono famiglie in cui tutto va come deve andare. I figli vanno avanti per le loro strade già segnate, dritte e perfette. Noi non siamo così. Non lo siamo mai stati, ma non ti preoccupare un modo si trova.»
Il vecchietto era arrivato alla sua meta e con mani tremanti cercava d’infilare gli spiccioli nella fessura del distributore automatico:
una moneta da venti, una da cinquanta, un’altra da venti… Quando la porta davanti a loro si aprì.
Un infermiera grassottella con degli occhiali neri si affacciò. «Chi è Cecchini?»
Fabio si alzò di scatto.
«Venga, il cesareo è andato bene.»
Il ragazzo guardò suo padre, che lo strinse a sé per le spalle e gli dette un bacio sulla fronte. «Stai tranquillo, il meglio deve ancora venire.»