Fuori da qui il mondo non è bello

Storia di una vetrina, storia di una vita. Finalista nella Pisa Live Edition con Federico Guerri come guest star, un racconto di Jasmine El Kaabi.

 
La Vetrina del 47/B poteva vantare dal suo viale una vista privilegiata su un bagaglio culturale immenso e fatto di segreti, vizi e tradizioni di Borgo Belpasso.
Per esempio sapeva per certo che ogni giovedì mattina, da tre anni, un giovinastro dal taglio a spazzola avrebbe interrotto la sua corsa tra la dodicesima e la tredicesima piastra del lastricato bruno.
La Vetrina ricordava con precisione le immagini sfocate e tumultuose che una sera si riflessero come spettri maligni sulla sua lastra. Ricordava di non aver sentito dolore, ma di aver percepito un vuoto immenso quando riconobbe i riflessi luminosi del suo stesso vetro infranto da un vandalo senza volto. Un urlo muto si era manifestato nel boato dell’impatto tra una pietra e il suo corpo; urlò spargendo cocci taglienti sul marciapiede e polvere di vetro dentro le cicatrici della strada, brillando per mesi in prismi luminosi, come se si trattasse di un mementum di quell’evento traumatico.
 
La Vetrina era testimone di tutto e tutti, non poteva dimenticare, confidare, né tanto meno giudicare.
Era una piastra fotocromatica che si nutriva di riflessi, immagini sfocate, luci, ombre e corpi interi o mozzati dalla cornice ossidiana. Ciononostante sapeva che l’arco della bottega la costringeva ad uno spazio visivo limitato: c’erano ancora così tanti dettagli da scoprire e storie da raccontare!
 
E fu forse nella speranza di dare dei nuovi filtri alla Vetrina che il fato si presentò al 44/B del Viale.
Non è ben chiaro in che forma, né è importante saperlo, ma semplicemente un giorno il vetro si infranse, frantumandosi sul terreno e disperdendosi sul marciapiede e l’asfalto trafficato.
Uno dei pezzi più grossi portò con sé, nel suo viaggio verso la conoscenza, gli occhi curiosi del narratore sordomuto. Rotolò sui bordi diseguali a caccia di immagini da esplorare, fino a incagliarsi fra le grate di un tombino.
Fu così che incontrò ancora il Ragazzo del Giovedì intento nella sua solita corsa, proprio nel momento in cui aveva ripreso a muoversi, ma questa volta lentamente e in direzione della quattordicesima piastrella della strada che, fino ad allora, La Vetrina non aveva mai pensato esistesse.
Il giovane alzò lo sguardo.
Una finestra, uno specchio di realtà nuove e mai raccontate, si apriva davanti all’esploratore di vetro.
Una nuova faccia del Borgo Belpasso era pronta ad accoglierlo nella sua esperienza sensibile ora che si era sottratto alle catene della sua cornice.
Il corridore guardava speranzoso, con occhi chiari, luminosi e carichi di vita improvvisamente privi della fatica e lo sforzo impiegato per arrivare fin lì.
Una donna dai connotati anonimi si sporse in quel momento oltre il davanzale, dando accesso alla visione del suo sorriso timido.
E quindi il Viaggiatore in frantumi capì che il sudore non imperlava la fronte del giovane solo per la fatica, ma anche per il cuore che si stringeva davanti a quel viso fanciullesco.
Vetrina (che forse ora dovremmo chiamare semplicemente ‘vetro’ per comodità) ebbe così un primo contatto con l’amore e i gesti istintivi da lui istigati.
 
Il viaggio però non era ancora al suo termine.
Il Fato mosse ancora i fili del destino, impersonò Zefiro e soffiò con tanta forza da sospingere il frammento oltre il suo impiglio, conducendolo lontano dalla prima scena del suo nuovo racconto.
Superò un dosso deformato dai copertoni delle macchine di passaggio, si avventurò lungo lo stradone e scoprì traverse, vicoli ciechi, cancelli e archi fioriti in giardini lussuosi.
Borgo Belpasso aveva assunto nuove tonalità e sfumature agli occhi opachi.
Improvvisamente poteva raccontare di amori giovanili, di occhi e sorrisi gentili.
Ma aveva ancora così tanto da imparare.
Se solo avesse desiderato prima di uscire dalla cornice!
 
E poi il vento cessò.
Il disco scheggiato scivolò piatto sull’asfalto e… vide il cielo.
Nubi grigie che schermavano il sole, raggi soffocati dal vapore.
Forse per questo tutto era così grigio a Borgo Belpasso e i toni raramente si ravvivavano come gli occhi d’amore di quel ragazzo?
 
Poi il cielo venne coperto.
Un viso sconosciuto si dipinse sulla sua superficie.
Da quella prospettiva la luce poteva rendere nitidi pochi dettagli, ma Vetro poté notare le ragnatela di rughe che segnavano la bocca, facendo sprofondare le labbra sottili in una smorfia disgustata.
I toni grigi del cielo accentuavano gli occhi velati dalla vecchiaia, chiari proprio come quelli del bel giovane, ma troppo colmi di rabbia per poterli paragonare tra loro.
 
Vetro non capiva la sua storia, riusciva a percepire i dettagli visivi, ma non riusciva ad andarvi oltre e intuire niente che non fosse una rabbia inspiegabile.
 
Poi entrò in scena il mattone.
Scheggiato in più punti e stretto in un pugno tremante, l’arma rudimentale veniva offerta allo sguardo critico del Narratore.
Era un’immagine familiare, uno spettro maligno, l’antagonista perfetto per una delle sue storie, incredibilmente simile a quell’oggetto che poco tempo prima aveva visto violare il corpo di un parente, quando ancora era Vetrina e le sue esperienze erano misere, così come la sua voglia di raccontare era ancora innocentemente limitata a ciò che la cornice di casa le mostrava.
 
Il Borgo Belpasso era bellissimo al 44/B, era stupendo anche al 51/A che aveva esplorato appena lasciata la sua casa.
Però ora che aveva perso l’orientamento e si ritrovava inerme di fronte al viso cupo e il mattone imperioso, Vetro scoprì la sensazione di essere l’Avventuriero di una delle sue storie e non più l’alto e immortale Narratore custodito dalla sua cornice.
 
Il frammento sussultò ancora percependo i passi sempre più vicini dell’uomo.
Vide il braccio scuro alzarsi e il mattone scomparire, non capendo come in quel momento la nuova vetrina del 44/B era appena stata infranta.
Non poteva saperlo.
Aveva iniziato da troppo poco tempo il viaggio per poter sviluppare il coraggio di sentire altre storie, quelle più crude e mature di Borgo Belpasso.
 
Forse doveva aspettare a desiderare, rimanere Vetrina inerme nella città e non richiamare a sé gli intenti del Fato.
Non era il suo tempo di esplorare.
Aveva pensato e agito troppo di impulso.
 
Quando Vetro notò il viso muoversi e scomparire, ebbe un attimo prezioso in cui poter ripensare ad ogni storia vista, ogni episodio che poteva raccontare.
Ricordò il momento in cui si staccò per la prima volta dalla cornice.
 
Vetro si pentiva amaramente di aver desiderato sapere di più del mondo, di città che non esistono.
 
Poi una macchia scura si levò su di lui: la suola dello scarpone consunto e sporco che l’uomo della rabbia indossava.
 
Crack.
 
Impetuoso, l’impatto della gomma sul vetro divise in forme diseguali il viaggiatore e sparse le sue membra cristalline per la via.
 
Prima di perdere coscienza, Vetro giurò di aver intravisto un cartello, le ultime battute della sua ultima storia.
 
“Avete lasciato Borgo Belpasso.
Ci dispiace: fuori da qui il mondo non è bello.”