Nobiltà

Tilde scese la passerella della casa torre e mormorò un buongiorno.
Ugone era di guardia appoggiato alla lancia. «Buongiorno, agnellino.» Le diede una pacca sul sedere. Il calore le avvolse le guance.
Messer Filippo doveva cambiare idea, lei non poteva sposarlo. Tenne gli occhi bassi e si avviò nel cortile. Si femò vicino al pozzo.
Arnoldo dormiva abbracciato al secchio. Tilde scoppiò a ridere. Aveva passato un’altra notte a bere e cantare.
«Bardo vizioso, sveglia!» Ugone menò un calcio, ma Arnoldo lo schivò, con un sorriso bianco e fresco.
«Come un otre gonfio di aria è la tua voce, Ugone.» Intonò e gli occhi grigi come la nebbia si fissarono su Tilde. «Aiuto io la madonna con l’acqua.»
Ugone grugnì. «La madonna certo. Non le mettere in testa idee strane che io la moglie la voglio sana.»
Se ne andò e riprese posto accanto alla porta.
Arnoldo attaccò il secchio alla corda. «Tranquilla, non lo sposerai quel rospo lascivo.»
Tilde si morse un labbro, si sporse oltre il muretto del pozzo per nascondere le lacrime. Mancava un anno alla fine del servaggio e non c’era un altro che volesse sposarla, perché aveva solo un po’ di biancheria per dote.
Arnoldo lanciò il secchio nel pozzo e si schiarì la voce. «Vediamo se riconosci questa, ne ho scelta una difficile.» La indicò con il palmo all’insù. «Non mi parete femina incarnata, ma fatta per gli frori di belezze…»
Tilde sorrise. Alzò gli occhi: il giorno era sereno, l’aria fresca e quello era lo stesso sonetto della domenica prima. «Lo so, questo è di Giacomo da Lentini e comincia: Angelica figura e comprobata.»
Arnoldo diede uno strattone alla corda e il secchio raggiunse la cima colmo d’acqua. «Madonna, avete più senno di ogni uomo in questa casa!»
Tilde sbuffò. «Ma non vedo come i sonetti possano salvarmi da Ugone.»
Arnoldo inclinò la testa di lato, sollevò il secchio e i capelli lunghi appena striati di bianco gli calarono sul viso. «La poesia eleva gli animi e mette gli umili al pari con i grandi.» Si avviò con il secchio in mano, aggraziato e sicuro come sempre.
Tilde lo seguì in silenzio.
Superata la porta, Arnoldo le diede un colpetto sulla spalla. «Domani arriva il senescalco in visita da Messer Filippo. Tu fai solo in modo di restare accanto al fuoco.»
 
Arnoldo lasciò che l’ultima nota si spandesse per la stanza, liberò il liuto dalle gambe e si alzò, fece un inchino. Tilde gli sorrise dall’angolino tra il camino e la porta.
Messer Filippo vuotò il suo calice. «Che ne dite, Guglielmo?» Dondolava sui talloni per l’orgoglio quasi che il talento di Arnoldo fosse il suo.
Il senescalco scosse la mano destra dove gli mancava un dito. «Nulla di nuovo, mi pare.»
Messer Filippo tossì e agitò il calice verso Tilde che si affrettò ad afferrare la brocca per riempirlo.
Arnoldo rise.«Avete ragione messere, non sono io a potervi stupire stasera.»
La brocca tremò un po’ fra le mani di Tilde.
«Pensate di potermi stupire?» Il senescalco roteò ancora la mano. «Ho ascoltato i trovatori in Provenza e sono sceso anche in Sicilia e a Firenze. Cosa potrebbe stupirmi?»
Arnoldo sottrasse la brocca a Tilde e la mise sul tavolo, con un dito levato bloccò le proteste di Messer Filippo e gli diede le spalle coprendolo.
Il senescalco recuperò il proprio calice e lo scosse. «Dunque?»
Il sorriso bianco di Arnoldo si allargò. Tilde aveva le mani sudate.
«Io voglio del ver la mia donna laudare…» Arnoldo lasciò il Guinizzelli in sospeso.
Tilde unì le mani e spinse fuori la voce. «Ed asembrarli la rosa e lo giglio:» La poesia le riempì il petto. «Più che stella dïana splende e pare, e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.»
Gli occhi del senescalco si sgranarono, la mano crollò lungo il fianco. «Fanciulla, come avete imparato…»
Messer Filippo spuntò da dietro le spalle di Arnoldo «Io, io, non lo sapevo… mai l’avrei permesso se se…»
«Avevate ragione, messer bardo.» Il suo volto squadrato si ammorbidì in un sorriso sottile. «Ditemi, madonna. Cosa desiderate?»
«La poesia, messere, e non essere la moglie di Ugone ma di chi vorrò.»