Ospite #98

Ogni percorso ha un suo punto d’arrivo, il coraggio sta nell’accettarlo. Sesto classificato nella Novantanovesima Edizione di Minuti Contati con Franco Forte come guest star, un racconto di Aristide Capuzzo.

 
Ospite 98
 
«Sono le ultime frasi,» lo esortò Boris.
Rolando trasse un respiro e disse d’un fiato: «Le persone qui presenti non hanno in alcun modo condizionato la mia scelta anzi, hanno cercato di dissuadermi in tutti i modi possibili.» Abbassò il foglio e si grattò la fronte con il mignolo. Boris controllò l’inquadratura: un filo di fumo saliva dalla sigaretta uscendo dal campo.
«Qualcosa non va Rolando? Sta rivedendo la sua scelta?»
Il foglio tremolò nonostante la grandezza delle mani. «Cristo, dobbiamo per forza farlo così? Non posso dire qualcosa di mio?»
«Più tardi potrà dire quello che desidera. Ora dobbiamo concludere secondo la procedura..»
Rolando grugnì tirando dalla sigaretta e borbottando qualcosa sulle maniere sbagliate. La cenere cadde sul tavolino da camera in rovere. Con due colpi precisi la spinse sul palmo dove scivolò ancora in forma di cilindro, poi la scrollò nel posacenere e strofinò la mano sul maglione.
«D’accordo?» chiese Boris.
«Ho alternative?»
Boris alitò dal naso, e diversi giorni dopo un elemento della commissione – una donna con la palpebra destra abbassata – l’avrebbe notato nel video e l’avrebbe strigliato. «Desidera tornare a casa? Non è obbligato a farlo.»
Rolando scostò la tenda e una lama di luce gli schiarì la fronte facendo brillare i capelli bianchi. «No. Ho già deciso.»
Boris annuì. «D’accordo,» disse, e si ripromise di riguardare il video per contare quante volte si sarebbe sentito dire d’accordo come un idiota. Poi aggiustò la telecamera spostandola sulla destra.
Rolando riprese a leggere. «Sono giunto a questa decisione dopo una lunga e matura riflessione, scaturita dall’incurabilità della mia malattia. Ho scelto il sedici settembre, il giorno dei miei settantatré anni, per il mio suicidio assistito.»
Era una cosa che facevano in molti, per porre fine a un ciclo, per chiudere un cerchio. Boris sfiorò il pulsante di spegnimento. «Bene, abbiamo finito. Adesso vuole aggiungere qualcosa? Qualcosa di suo?»
Rolando ficcò gli occhi nell’obiettivo. Nel centro delle pupille c’era una decisione glaciale, e la barba bianca di due giorni la sottolineava. «Spegnila. Non dirò più niente davanti a quella merda.»
Boris ripose la camera sul tavolo e tappò la lente. «Dovrò registrare quando sarà il momento, è la procedura sanitaria.» Chiuse la custodia e per un attimo la cerniera suonò come lo strappo nel tessuto di una vita.
«Non se la prenda per questo, Rolando.» Gli posò una mano sulla sua. «Funziona così.»
«Lo so» Sospirò aprendo le tende, una luce brillante riempì la stanza.
«Dove vai adesso?»
Boris gli strinse la spalla, e quel gesto gli ricordò un figlio che voleva parlare con un padre ormai troppo avanti negli anni. «A preparare qualcosa da mangiare.» Avrebbe voluto stemperare con una buona battuta ma gli uscì solo: «Non vorrà mica complicarmi il lavoro e morire di fame vero?»
Rolando rise, poi fu investito da un accesso di tosse che sembrò infinito. Boris rimase a fissargli la schiena fino a quando passò.