Padre perdonami perché ho peccato

Padre, l’ho fatto di nuovo. E mia figlia si è arrabbiata molto.
Aspetti un momento. Lei lo sa che non sono un vero prete? Che sono solo un frutto della sua immaginazione?
Certo che lo so, mi ha preso per scemo? Si è mai visto un gorilla fare il prete?
Era giusto per mettere le cose in chiaro. Continui pure.
 
Veronica divorò il corridoio dell’ospedale ringhiando e tremando, indecisa su cosa fare appena se lo fosse ritrovato davanti. Abbracciarlo versando lacrime di gioia perché era ancora vivo o dargli il colpo di grazie soffocandolo col cuscino?
Un ometto paffuto che aveva tutta l’aria di essere un medico la fermò sulla porta della stanza. «Lei è la figlia?»
«Purtroppo sì. Mi dica, è tanto grave?»
«No, per fortuna l’abbiamo stabilizzato. È fuori pericolo.»
«Peccato.»
L’ometto aggrottò le sopracciglia. Non doveva avere gran senso dell’umorismo. «Signorina, suo padre ha rischiato grosso. Abbiamo dovuto fargli una lavanda gastrica, aveva una brutta intossicazione.»
«Sì, lo immagino.» Di nuovo. Maledetto lui.
«Ci parli lei. Lo faccia ragionare.»
«Ci proverò.»
 
Mia figlia non approva, padre.
Madre, non padre. Sono una femmina, non vede?
Mi scusi, signora fata, non ci avevo fatto caso. Posso continuare a confessarmi?
Faccia pure, non mi dà fastidio.
 
Dormiva il sonno dei giusti, il lenzuolo tirato su fino al mento e un russare appena percettibile.
Veronica lo afferrò per una spalla e lo scosse. «Brutto stronzo, lo so che sei sveglio.»
Lui spalancò gli occhi e si strinse verso la parete come a cercare di sparire. «Tesoro, scusa…»
«Scusa un corno. Cosa pensavi di fare?»
«Mi sentivo solo. Mi faceva male la testa. Mi annoiavo.»
Veronica concentrò il suo odio nello sguardo. «Papà!»
«E così ho invitato Ramon a cena.»
Ma certo, poteva mancare in questa storia quel mezzo sciamano mitomane del suo spacciatore? «E che vi siete mangiati? No, anzi, non voglio saperlo.»
Papà indossò la sua espressione da cucciolo bastonato. Ma perché era toccato proprio a lei? Non poteva avere un padre normale?
Si sedette ai piedi del letto. «Ascoltami, papà, devi smetterla.»
«Certo! Te lo giuro, non lo farò più.»
«Sei troppo vecchio. E malato. Prima o poi ci resti secco con quella roba.»
«Già.» Papà annuì. Ma l’espressione diceva che, tutto sommato, restarci secco non era un’ipotesi così malvagia.
 
E quindi, madre, a quel punto mia figlia se n’è andata. A cercare Ramon, suppongo.
Non sono tua madre, umano.
Che distratto, lo noto adesso. Il color rame le dona, le dà quel non so che da robot antico.
Lo so.
 
Schiaffeggiare un nano era più piacevole di quanto pensasse, avrebbe potuto prenderci gusto.
«Spero tu abbia recepito il messaggio, Ramon. Stai lontano da mio padre.»
«D’accordo señorita.» Lo stronzetto in miniatura si massaggiò la guancia arrossata. «Niente più medicina per il viejo.»
«Medicina?» Quasi quasi poteva dargliene un altro. «Droga, vorrai dire. Mio padre ha un tumore al cervello, rischi di ammazzarlo con le tue schifezze.»
«Pensi che non lo sappia?» Il nano sputò in terra. «Puta mierda, il viejo chiama me, non te, quando sta male.»
Sì, doveva proprio dargliene un altro. «Certo. E tu ti catapulti a vendergli schifezze.»
«No, no, no! Io non gli vendo proprio niente. Io compartisco la mia medicina. E compartisco il suo dolore.»
«E lo fai per puro spirito caritatevole? Pensi davvero che ci creda?»
Il nano incrociò le braccia sul petto. «Credi a quel che ti pare señorita. Ma la prossima volta che tuo padre si ritroverà a ululare dal dolore, io non ci starò. Tutto tuo. Sarai pronta a compartir?»
 
Mi hanno dimesso e mandato a casa. Ma, tempo due giorni, e le fitte al cervello sono riprese più forti che mai.
Non so di che parli, noi medusoidi non abbiamo cervello.
Beh, questo può essere un indubbio vantaggio. Ma a quanto mi risulta non avete neanche un cuore.
E infatti di te non me ne frega un cazzo. Un altro indubbio vantaggio.
 
Le scocciava ammetterlo ma quel micro bastardo di Ramon non aveva affatto esagerato. Da quando si era trasferita a casa di papà, non era riuscita a trascorrere una notte intera senza essere svegliata dai lamenti. A volte diventavano urla strazianti, così forti da spezzarle il cuore.
Non aveva alternative.
«Papà?» Si affacciò nella stanza dalla porta socchiusa. «Sei sveglio?»
«Sì, tesoro mio.»
«Ti ho portato la cena.» Si avvicinò al letto e gli porse il piatto.
«Ti ringrazio, ma non ho fame.»
«Questo lo devi proprio mangiare, è una ricetta speciale.» Dal piatto emerse un cucchiaio pieno fino all’orlo. «Risotto ai funghi.»
Papà arricciò il naso e scosse la testa. «Non mi piace il riso.»
«Mangia e non rompere.»
 
E così eccoci qua. L’ho fatto di nuovo.
Ma stavolta tua figlia non si è arrabbiata.
Ci mancherebbe, padre. Mi ha imboccato lei.
Ancora con questo padre? Non sono tuo padre.
Non sei padre, non sei madre. E allora chi sei?
Sono due ore che parliamo e non l’hai capito?
Veronica? Questa è bella! E che ci fai qui?
Indovina.
Li hai mangiati pure te?
Eh, sì.
E come mai?
Ah, boh. Per compartire, suppongo.
Non ho parole, davvero.
Io sì. Ti voglio bene, papà.
Anche io, tesoro.