Quel maledetto scalino della nostra vita

Quarto classificato nella Sara Bilotti Edition, 145° All Time, un racconto di Andrea Lauro.

 
La cassetta della posta è vuota. L’artrite mi gioca brutti scherzi, mica riesco a tenerlo in mano questo pomello. Al diavolo, do un colpo e lo sportello sbatte. Mi gratto la testa, ho già controllato la posta stamattina? I ricordi fanno cilecca: prima te la dici come fosse una battuta. Passano gli anni e lo scherzo non fa più ridere. E ora, ora mi tasto la pancia prima di uscire, e chissà se ho davvero pisciato.
 
Mi volto, davanti a me il vialetto di casa, torniamo alla mia sedia sotto il portico. Cazzo, ci metto dieci minuti a andare e dieci a tornare, ogni giorno la strada si allunga. Che odio. Oltre la staccionata, i vicini ridono: rideranno di me, quegli stronzi. Senti il casino che fa la bimba, mentre corre avanti e indietro. Che volete che vi dica? Ridete pure, di anni ne avete ancora molti. Sono io il rottame.
 
Le pantofole strusciano sul vialetto, un passo alla volta. Una cartaccia mi sbarra la strada, sarà volata dentro. Non ce la faccio a pisciare, men che meno a chinarmi. Poggio le mani ai fianchi, mi stiro, in cielo non c’è una nuvola. Monica, da quant’è che sono così vecchio? Come mi manchi.
 
Ancora qualche passo, dai, supera quel bastardo di uno scalino e poi sei arrivato. Fatto. La mia sedia, fedele compagna. Appoggio un palmo sul bracciolo, mi giro, avrò messo abbastanza cuscini? «Oh-là.» E da qui, chi si alza più.
 
Senti come si divertono, alla facciaccia mia. Se solo smettessero di fiatare per un attimo, e mi lasciassero in pace. Il papà prende in braccio la bambina, la fa girare in aria. Dio che bello essere giovani. E tu, mondo, vaffanculo. Mi tieni in vita solo per farmi pagare il canone. Per mandarmi a votare.
 
Il padre posa la bimba a terra, la piccola scompare sotto il livello della staccionata. Lui si rialza, guarda nella mia direzione, anche la moglie si unisce. Che avete da guardare? Ecco il volto della vecchiaia, signore e signori. La cosa più fastidiosa è il modo bonario con cui ti osservano. Quel misto tra la pietà e il senso di sollievo per non esserci ancora arrivati. Per non dover coprirsi le gambe con una coperta a quadri, sennò la circolazione va a farsi benedire.
Il padre alza la mano, palmo aperto a questo cielo splendido. «Tutto bene?»
E io mento a me stesso mentre levo la mia; mento e sorrido. «Eh, si sta.» Dove sei Monica, amore della mia vita? Un tempo sorridere era un’altra cosa.
 
Ma che succede? La piccola compare in fondo al vialetto: entra nel mio giardino. Ferma, che fai? Viene verso di me. Come osi, piccola mocciosa? Vorrà vendermi dei biscotti o qualche altra fesseria. Fermatela. Ma i genitori la guardano, si abbracciano mentre la peste va a spasso nella mia proprietà.
Posa un piede davanti all’altro sul selciato, la bocca aperta come se fosse un esercizio di equilibrio. Eppure è bellissima. Ah, Monica, quante sfide mi riserva ancora la vita. Sei tu a mandare questa piccola, vero?
Vorrei alzarmi, vorrei dirle torna indietro, piccolo angelo, lasciami qui con le mie brutture. Punto i palmi sui braccioli, stringo i denti e mi scappa pure un goccio di piscio. Niente da fare, la vecchiaia ha vinto. La piccola salta a piè pari quel maledetto scalino della mia vita: è qui, mi porge un foglio. Lo prendo. «Che è?»
«L’ho fatto per te.»
Il foglio trema tra le dita, lo apro. «Qui c’è scritto “ciao nonno”.»
La bambina posa l’indice sul disegno: «Questo sei tu.» Si scurisce in volto. «Ma non so scrivere “ciao nonno”. L’ha scritto la mamma.»
Dalla staccionata i genitori ci guardano, sono ancora abbracciati.
La bimba piega la testa da un lato. «Ti piace?» Mio Dio, è l’espressione più preoccupata che un essere umano possa avere.
Inspiro a fondo. Socchiudo le palpebre, il disegno scompare per un attimo. Riapro. «È… è la cosa più bella che abbia mai visto, tesoro.»
Sorride, ed è un attimo perfetto. Si avvicina, le sue braccia mi avvolgono il collo, mi stringe a sé.
Monica, amore mio, che mi stai facendo?
Sopra di noi, il cielo è un pozzo blu.