Troppo presto

Ma dimmi te quanti soldi hanno per fare la gara parrocchiale su pista. Matti da legare.
Il prete ci passa davanti.
Ci siamo: io, Scardavelli, Buzzi, Rossetti. Ci hanno messo a disposizione addirittura i blocchi di partenza.
«Tenetevi pronti» ci dice Don Mario, mostrandoci la pistola.
Scimmiottiamo i centometristi che vediamo alla tele, ci accucciamo sui blocchi.
«Tre»
I genitori intorno al via fanno silenzio.
«Due»
Oggi vi mangio, culi appesi che non siete altro.
«Uno»
Scardavelli scatta, falsa partenza del solito idiota.
«Bang!»
Anche gli altri partono, io me ne sto piantato un secondo. Raccomandato del cazzo, nessuno dice niente eh?
Parto, gli altri sono già belli lontani, ma oggi non ce n’è per nessuno belli.
Raggiungo Rossetti con cinque falcate, le maniglie dell’amore gli ballonzolano sotto la maglia. Taglia a sinistra e invade la mia corsia.
Ma ha mai corso in vita sua? Mi sa che oggi è senza regole.
Finto di superarlo a sinistra, vado a desta e lo sorpasso. Facile facile.
Buzzi è un osso più duro, con quelle gambe lunghe fila che è una bellezza. Abbiamo già fatto mezzo giro, mi devo sbrigare. Oggi mi sento bene però, le gambe fanno il loro dovere. Mulino più in fretta, lo affianco. Lui concentratissimo, fiato corto, non si accorge nemmeno di me. Vabbè, ciao ciao bello, salutami tua sorella che è una gran gnocca.
Volo a prendere il coglione, Scardavelli, con le sue scarpette da trenta grammi e duecento euro, con la maglia tecnica col logo della farmacia del papà.
Sono a un passo, siamo in volata.
«Niente da fare scard bello, oggi ne ho troppa.»
Procediamo fianco a fianco, mi vede, dalla bocca gli esce una cosa tipo «ghe?!»
«Vabbè, ciao scardabagno!»
Scatto appena in tempo per tagliare il traguardo da primo, sollevo le braccia in esultanza.
Mi volto, punto gli indici verso il traguardo «Sì, prendete questa culi appesi!»
Intorno alla linea del traguardo sono tutti accalcati, Scardavelli è a terra, immobile. Rossetti e Buzzi se la fanno con calma, camminano e si asciugano il sudore con il braccio.
«Ehi ma’, ho vinto io!» grido a mia madre che è nella calca.
Non mi risponde.
Vado sul via, qualcuno prende a sberle Scardavelli per farlo riprendere.
«Oh, insomma, se vince un morto di fame nemmeno gli applausi fa»
C’è uno uguale a me per terra, stecchito, con tutta la gente intorno.
«L’ho visto io» piagnucola don Mario «quando ho sparato è andato giù come un sacco di patate.»
Il signor Scardavelli, il farmacista, toglie l’orecchio dal petto del mio sosia, «dev’essere stato il cuore, forse la paura dello sparo.»
Le comari già sfoggiano tutto il repertorio:
«Così giovane»
«Andarsene così prima del tempo»
«Ma qualcuno ha chiamato l’ambulanza?»
Scardavelli si è rialzato, mi fissa. Sembra l’unico a vedermi.
«Hai fatto falsa» gli dico.
«È vero.» Tira sul col naso, mi indica il cadavere, «anche tu, però, parti troppo presto.»