Un brusco risveglio

Un racconto di Romano De Marco, guest star della De Marco Edition.
 
Le due di notte. Vito Bruzzone non riesce a dormire.
Continua a rotolarsi, inquieto, nel letto matrimoniale, alla ricerca di una posizione che gli concili il sonno. Ma i suoi sforzi non ottengono alcun risultato, a parte quello di provocare le esasperate lamentele della moglie, che vorrebbe riposare in santa pace.
Sbuffa, sbuffa pure, cicciona! Ben ti sta. Lo sai che l’aglio non lo digerisco, eppure ce lo metti sempre nei peperoni ripieni.
Vito è certo che i dispetti di quella donna, facciano parte di una precisa strategia per farlo uscire di senno e portarlo al suicidio o, nella migliore delle ipotesi, all’internamento in una casa di cura per malattie mentali.
Nei vent’anni di matrimonio l’armonia della coppia ha retto davvero poco. Giusto il tempo, per la timida ragazza di campagna, di prendere le misure a quello che, all’inizio, aveva giudicato un grand’uomo ma che ben presto si è rivelato uno scansafatiche con la tendenza ad alzare troppo il gomito. Da quel momento in poi, Agata Cupido, in Bruzzone, ha iniziato, con sistematica abnegazione, ad attuare una tattica di provocazioni e di ripicche nei confronti di suo marito. Ed è così che oggi, dopo vent’anni di convivenza, Vito si ritrova a fianco la donna più obesa e più incazzata che si possa immaginare, oltre a due ragazzone corpulente che più che le sue figlie sembrano essere i cloni di sua moglie.
Ma che ho fatto di male per arrivare a questo punto? Si chiede sedendosi sul bordo del materasso e appoggiando i piedi a terra alla ricerca delle sue consunte ciabatte in finta pelle.
La notte è asfissiante, sembra quasi impossibile che faccia ancora un caldo simile, a settembre. Vito medita di trovare un po’ di pace sui gradini della veranda, in compagnia di quel mezzo fiasco di Frascati, che lo attende in frigorifero.
 
La campagna buia, che circonda la casa colonica, sembra pietrificata dall’aria calda che soffia senza pietà, scoraggiando qualsiasi illusione di refrigerio. L’uomo siede a terra, rallegrandosi per il contatto con le fredde mattonelle in graniglia di marmo, e si affretta a stappare il fiasco. Beve a canna, osservando pigramente le masse buie che si stagliano contro il flebile chiarore del cielo, ravvivato dalle luci del paese vicino.
Improvvisamente, si irrigidisce. La villa del padrone, sulla collina, a duecento metri di distanza. Sta accadendo qualcosa d’insolito. Come se da dietro il muro di cinta che circonda l’intera proprietà, provenisse una specie di riflesso luminoso. Come se qualcuno avesse lasciato in giardino un televisore acceso.
Non è possibile cazzo! I padroni sono in vacanza all’estero. La villa è chiusa, non è mai successo che siano arrivati all’improvviso, di notte, senza avvertirmi prima. La signora pretende che sia tutto pulito, tutto in ordine, altrimenti in campagna non ci mette piede. No, dev’essere il sonno. O il vino. Me lo sono inventato.
Ma il dubbio di Vito viene subito dissipato da un nuovo bagliore intermittente, stavolta più forte, che proviene dal giardino della villa. L’uomo si alza di scatto, e abbandona il fiasco che rotola a terra spargendo il suo contenuto giallognolo sul pavimento della veranda. «Agata! Presto Agata» urla «chiama i carabinieri! C’è qualcuno alla villa! I ladri, sono entrati i ladri!»
Vito si precipita verso la sala da pranzo dove, all’interno di una vetrinetta in finto noce, tiene esposto il suo fucile da caccia. È un Beretta Ultralight a canne sovrapposte, l’oggetto più prezioso che possiede, acquistato tanto per fare un dispetto a quella megera della moglie che lo accusa di non valere un fico secco nemmeno come cacciatore.
Vito afferra l’arma e, con le mani tremanti, la carica: due cartucce a pallettoni calibro 12, quelle per la caccia al cinghiale. Dal cassetto sotto la vetrina, afferra un mazzo di chiavi, poi corre all’esterno, verso il vecchio furgoncino pick up che utilizza per il trasporto del concime nei campi. La chiave è sempre inserita (non c’è pericolo che qualcuno se lo porti via, quel rottame) e Vito, dopo aver poggiato il fucile e le chiavi sul sedile del passeggero, parte sparato lungo la stradina brecciata, in salita. Quel figlio di puttana di lupo! Bel cane da guardia del cazzo. Dorme di brutto, non s’è accorto di niente… Se i ladri svaligiano la villa è la volta buona che il padrone ci sbatte fuori dalla proprietà con un calcio in culo.
Il pick up arranca sulla salita col motore su di giri mentre Vito, improvvisamente, realizza di essere uscito da casa in mutande, canottiera e ciabatte. Si accorge di non aver portato con se la scatola di cartucce e di disporre, quindi, di soli due colpi. Afflitto da questi pensieri negativi, l’uomo scende dall’auto. Esaurito l’effetto dell’adrenalina, si trova costretto a far leva sulla sola paura di perdere il posto, per poter vincere la naturale riluttanza ad andarsi a cacciare in una situazione di pericolo. Con mano tremante, apre il cancelletto pedonale di ferro zincato che accede direttamente sul giardino, proprio nella parte da cui proviene il bagliore.
Paralizzato dall’orrore della scena che gli si para davanti, Vito scopre improvvisamente una sacrosanta verità a proposito della mente umana. Si rende conto che, anche se la sua attenzione è concentrata sul fatto grave, insolito, di cui proprio adesso è involontario testimone, una parte del suo cervello continua, per conto proprio, ad elaborare lucidamente pensieri e immagini completamente autonomi.
L’intruso deve aver forzato l’autorimessa, e trascinato le fascine di rami secchi proprio qui, intorno a uno dei pali metallici del gazebo che la signora ha fatto costruire lo scorso anno. Certo, deve averci buttato qualcosa sopra a quelle fascine… qualcosa di altamente infiammabile. Benzina… o forse kerosene. Altrimenti non brucerebbero così… E nemmeno il corpo di quella donna legata al palo, sarebbe così completamente avvolto dalle fiamme.
Perso nelle sue elucubrazioni, non si accorge nemmeno della figura incappucciata di nero che si avvicina alle sue spalle. Quando si volta è troppo tardi. La mannaia cala con forza sul suo cranio dividendolo in due metà quasi perfettamente uguali. L’ultimo pensiero di Vito è per sua moglie Agata. Speriamo che non vedendomi tornare venga su anche lei a vedere cosa succede. Così impara a mettere tutto quell’aglio nei peperoni…