Un’altra ultima notte

Toc.
È sveglia. Non mi stupisce.
Toc.
Fuori è notte, una di quelle notti buie come l’oceano quando le nuvole coprono la luna.
Mi accovaccio sul pavimento, la coperta piena di buchi avvolta intorno alle spalle.
Do un colpo al muro e lo lascio vibrare nella pietra ammuffita. Poi ne do un secondo, più rapido; e subito un altro lungo, sordo; e dopo ancora un altro secco. Mi fermo un attimo, poi riprendo a scartavetrare quel che rimane delle mie nocche contro i pori di quel muro odioso.
Le chiedo come sta. Una domanda un po’ del cazzo, visto che tra poche ore sarà morta.
Lei sta ascoltando, forse con la schiena appoggiata al calcare umido. O forse sdraiata sull’asse tarlata che le guardie chiamano letto.
Toc. Toc.
Due colpi lunghi, a loro modo rumorosi. Li sento in alto, sopra la mia testa. La ragazza è in piedi. Magari da ore, per godersi quella meravigliosa sensazione che può dare un corpo dolorante quando è ancora vivo.
Mi alzo anch’io, come se servisse a poterle stare più vicina.
Lei continua a battere. Prima colpi secchi, delle raffiche di fucile; e dopo uno lungo, il suono di un corpo che cade esanime. Poi ancora colpi ora brevi e nervosi, ora lunghi e disperati.
Mai stata meglio, dice. Sorrido, nonostante tutto.
Dall’altra parte di questo muro incrostato come la loro anima di condannati a morte hanno atteso il loro momento non so nemmeno più in quanti: un falegname che per difendere una puttana giù all’osteria aveva piantato la raspa nell’addome di uno stronzo; un tizio coi baffi che si diceva avesse ucciso due donne e invece era saltato fuori che ne aveva amata una, ma sbagliata; un soldatino che pur di non sparare a un uomo indifeso aveva preferito infilare la baionetta su per il naso di un maggiore; un contadino effeminato che – dio mi fulmini se dico balle – non aveva fatto niente di male.
Tutti loro sono arrivati qua dopo di me e tutti se ne sono andati prima, sempre con lo stesso stridio metallico, lo stesso tonfo, gli stessi passi pesanti, le stesse lacrime, lo stesso silenzio interminabile; e poi quegli spari che dietro a queste cazzo di mura spesse come se dovessero reggere da sole tutto l’inferno quasi non si sentono.
A tutti loro ho insegnato a comunicare qua dentro, un colpo alla volta, una lettera alla volta pur di tenerli in vita. Pur di tenermi in vita. Mi hanno donato i loro ultimi ricordi e quei ricordi sono l’unica cosa preziosa che mi sia rimasta.
Lei non so cosa abbia fatto, non gliel’ho mai voluto chiedere. So solo che ora vorrei solo poter essere al di là di quel muro e parlarle, abbracciarla, farla sentire viva un’ultima volta.
Sento un groppo in gola. Do solo un solo colpo al muro, appena udibile. Lei risponde; poi è solo silenzio.
 
Manca poco all’aurora. Lei cammina con lentezza, le gambe escoriate nude, solo una camicia a coprire la sua vergogna. Le mani legate dietro alla schiena fanno risaltare appena il suo seno un tempo bellissimo, quasi la trasposizione carnale del suo orgoglio ormai ferito.
Due soldati le fanno strada, il più giovane regge una lanterna che fa tremolare il suo volto da ragazzino impaurito. Altri quattro la seguono, i fucili in spalla, gli sguardi torvi. Nessuno di loro prova piacere in quello che deve fare, ne sono sicuro.
Si fermano davanti a un altro muro. Un muro sottile, pieno di muschio e di buchi e di macchie di sangue rappreso che dietro non ha disperati battiti di vita, bensì la desolazione della morte e una fossa comune mai ricoperta e un odore dolce e nauseabondo che al confronto quello di piscio e di merda delle celle è una torta alle fragole.
Uno dei soldati benda la ragazza con gentilezza quasi a scusarsi, quasi a dirle che non è colpa sua; poi si volta e raggiunge gli altri allineati di fronte a lei.
Ripenso allo sguardo che aveva il giorno che l’hanno portata qui: è triste rendersi conto che quegli occhi così pieni di furia e rabbia e angoscia e disperata voglia di vivere debbano chiudersi nascosti da un cazzo di sacco.
Un prete assonnato impartisce una pigra benedizione; poi si allontana, l’enorme pancia che rimbalza sotto al saio.
Mi avvicino mentre un primo raggio di luce arancione illumina lo spiazzo erboso.
Guardo la ragazza, poi i soldati.
Una lacrima mi scende lungo la guancia mentre do l’ordine.