Appuntamento fissato per le 21.00 di lunedì 18 ottobre 2021 con un tema di Luca Cristiano! Gli autori che vorranno partecipare dovranno scrivere un racconto di max 4000 caratteri entro l'una.
BENVENUTI ALLA LUCA CRISTIANO EDITION, LA SECONDA DELLA NONA ERA DI MINUTI CONTATI, LA 158° ALL TIME!
Questo è il gruppo L'ISTRICE della LUCA CRISTIANO EDITION con LUCA CRISTIANO come guest star.
Gli autori del gruppo L'ISTRICE dovranno commentare e classificare i racconti del gruppo SCACCHIERA.
I racconti di questo gruppo verranno commentati e classificati dagli autori del gruppo DANZA.
Questo è un gruppo da NOVE racconti e saranno i primi TRE ad avere diritto alla pubblicazione immediata sul sito e a entrare tra i finalisti che verranno valutati da LUCA CRISTIANO. Altri racconti ritenuti meritevoli da me, l'Antico, verranno a loro volta ammessi alla vetrina del sito, ma non alla finale. Ricordo che per decidere quanti finalisti ogni gruppo debba emettere cerco sempre di rimanere in un rapporto di uno ogni tre.
Per la composizione dei gruppi ho tenuto conto del seguente metodo: per primi ho assegnato ai raggruppamenti coloro in possesso di punti RANK NONA ERA, a seguire ho assegnato ai raggruppamenti coloro in possesso di punti RANK ALL TIME (il primo nel gruppo A, il secondo nel gruppo B, il terzo nel gruppo C, il quarto nel gruppo A e così via), coloro che non hanno ottenuto punti nei due Rank sono stati assegnati a seguire (primo a postare gruppo X, secondo a postare gruppo Y, terzo a postare gruppo BETA, quarto a postare gruppo X e così via). Ho forzato solo per non fare capitare i tre racconti con malus in gruppi diversi.
E ora vediamo i racconti ammessi nel gruppo L'ISTRICE:
Aldobbello, di Luca Nesler, ore 00.03, 3907 caratteri L’intruso, di Davide Mannucci, ore 00.34, 3960 caratteri Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto, ore 00.59, 3324 caratteri Non avrai altro dio, di Alessandro Canella, ore 01.21, 3967 caratteri MALUS QUATTRO PUNTI Il gioco del bruco, di Antonio Pilato, ore 22.43, 3755 caratteri Lo smemorato, di Dario Cinti, ore 00.56, 3973 caratteri Melagrane, di Laura Calagna, ore 00.05, 3875 caratteri Sono fregato, di Filippo Rubulotta, ore 00.34, 3985 caratteri Quell’unica volta, di Katjia Mirri, ore 00.47, 3997 caratteri
Avrete tempo fino alle 23.59 di giovedì 28 OTTOBRE per commentare i racconti del gruppo SCACCHIERA Le vostre classifiche corredate dai commenti andranno postate direttamente sul loro gruppo. Per i ritardatari ci sarà un'ora di tempo in più per postare le classifiche e i commenti, quindi fino alle 00.59 del 29 OTTOBRE, ma si prenderanno un malus pari alla metà del numero di autori inseriti nel gruppo approssimato per difetto. Vi avverto che sarò fiscale e non concederò un solo secondo in più. Vi ricordo che le vostre classifiche dovranno essere complete dal primo all'ultimo. Una volta postate tutte le vostre classifiche, posterò la mia e stilerò quella finale dei raggruppamenti. NB: avete DIECI giorni per commentare e classificare i racconti del gruppo SCACCHIERA e so bene che sono tanti. Ricordatevi però che Minuti Contati, oltre che una gara, è primariamente un'occasione di confronto. Utilizzate il tempo anche per leggere e commentare gli altri racconti in gara e se la guardate in quest'ottica, ve lo assicuro, DIECI giorni sono anche troppo pochi. E ancora: per quanto vi sarà possibile in base ai vostri impegni, date diritto di replica, tornate a vedere se hanno risposto ai vostri commenti, argomentate, difendete le vostre tesi e cedete quando vi convinceranno dell'opposto. Questa è la vostra palestra, dateci dentro.
Eventuali vostre pigrizie nei confronti dei commenti ai racconti (che devono avere un limite minimo di 300 caratteri ognuno) verranno penalizzate in questo modo: – 0 punti malus per chi commenta TUTTI i racconti assegnati al suo gruppo con il corretto numero minimo di caratteri. – 13 punti malus per chi commenta tutti i racconti assegnati al suo gruppo, ma senza il numero minimo di caratteri. – ELIMINAZIONE per chi non commenta anche solo un racconto di quelli assegnati al suo gruppo.
Vi ricordo che i racconti non possono essere più modificati. Se avete dubbi su come compilare le classifiche, rivolgetevi a me. Potete commentare i vari racconti nei singoli thread per discutere con gli autori, ma la classifica corredata dai commenti deve obbligatoriamente essere postata nel gruppo SCACCHIERA. Altra nota importante: evitate di rispondere qui ai commenti ai vostri lavori, ma fatelo esclusivamente sui vostri tread.
E infine: una volta postate e da me controllate, le classifiche non possono più essere modificate a meno di mia specifica richiesta in seguito a vostre dimenticanze. L'eventuale modifica non verrà contabilizzata nel conteggio finale e sarà passibile di malus pari a SETTE punti.
Eccoci qua, è stato un piacere leggervi e, anche se alcuni dei racconti non mi hanno convinto, commentarvi è stata un'esperienza istruttiva anche per me. Chi in un modo chi in un altro, avete tutti una buona penna e qualcosa da insegnarmi. Per quanto riguarda la classifica, non ho avuto dubbi sulle prime posizioni. Dal quarto posto in giù, invece, le cose sono un po' più incerte e avrei messo qualche pari merito ci fosse stata la possibilità. Detto questo, ci leggiamo nei prossimi contest e buona fortuna a chi arriverà in finale!
Aldobbello
► Mostra testo
Grande Luca! E' la prima volta che ti leggo ma, da romano, non posso che apprezzare il tuo racconto. Uno spasso davvero! Ottimo il romanaccio e la caratterizzazione del protagonista che, a mio avviso, non è affatto macchiettistica. Di tizi come Ciancica ne girano eccome. Non vado in commento riga per riga perché avrei poco da dirti se non i miei apprezzamenti alle varie battute. Ti segnalo giusto un paio di cosette:
Usciamo. La luce dell’ingresso, je possino…
Qui mi hai confuso. ci voleva un verbo o almeno rendere meglio il senso di luogo per intendere la frase.
Faccio er curvone e salgo su pe’ ‘a salita. Se scollino nun me po’ pijà più nessuno. Sotto a strada s’accenne n’artra vorta la luce dell’ingresso. «Ma che cazzo…?» Aldo è ancora lì. «Boja!» Giro er motorino. «Li mejo mortacci de Pippo!» Mo je do ‘na crocca che ‘o sfonno! Quello me fa pija, porco demonio!
Anche qui non ho capito bene che è successo. Non sta andando nell'altra direzione? Come fa a vederla? E perché pensa aldo sia lì? lo vede? E poi la luce era rimasta accesa, perché dici che si "accende un'altra volta"?
Penso nella tua testa tutto fosse chiaro, ma avresti dovuto gestire un po' meglio il flusso informativo su queste parti per aiutare il lettore. Detto ciò, ottimo lavoro davvero, mi hai proprio divertito!
L'intruso
► Mostra testo
Ciao Davide! Ecco i miei commenti, visto che avevo diverse cose da segnalarti ho preferito andare con l'analisi riga per riga, spero non ti dispiaccia!
Disclaimer: Il format può essere un pochino confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
«Vado io! Deve essere Don Silvano». La voce della mamma copre il campanello. [perché qui sei andato a capo? La prima battuta è della madre, no? Allora devi mantenere il beat sulle stessa riga, altrimenti sembra sia un altro a parlare e, se così fosse, allora cosa dice la madre che con la voce copre il suono del campanello? Mi sorge anche un'altra questione al riguardo: se copre il suono del campanello, come fa il portatore di PdV a sentirlo? Tutto questo per dire: un attacco piuttosto problematico] È proprio Don Silvano. Ogni domenica la stessa storia. Le campane urlano la fine della messa e dopo pochi minuti arriva il pastore. Ma a far che? Non ricordo mai quello che succede quando lui arriva ma credo si chiuda con la mamma e papà per dire messa. Ma non sarebbe più semplice andare in chiesa? Sono mesi che ho scoperto che la bionda della terza B ci va tutte le domeniche. [Qui sono un attimo confuso dal periodo storico, ma forse è colpa mia che ho dato per scontato il racconto non si ambientasse all'epoca nostra. Te lo segnalo comunque.] E invece noi facciamo le cerimonie in casa. «Tesoro vieni a salutare Don Silvano». Non riesco a muovermi, vorrei parlare ma la bocca non si muove. Poi il buio.
Alzo lo sguardo e l’oscura figura del sacerdote mi osserva. Un fetore improvviso mi penetra le narici. «Non vengo lì, mia cara signora, il suo prete puzza di merda».
«Gioele, sei impazzito? Ma che dici? Chiedi subito scusa a Don Silvano!». Il viso della mamma sembra stravolto dalla rabbia e dal dispiacere. Ma perché? «Mamma, io non ho detto niente» Forse mi è di nuovo scappata qualche parolaccia. Ma davvero mi sta succedendo? Devo essere impazzito sul serio. Don Silvano mi sorride e si avvicina a me, tendendomi la mano destra. La apre, come a benedirmi. Mi piace Don Silvano, è simpatico ed è proprio un...
...un servo del peggior fallito della storia. [qui il cambio mi è piaciuto, ma ci sarei andato più pesante con il lessico, "fallito" non è il massimo] Si avvicina con quell’orribile ghigno stampato su quella faccia che fa male solo a guardarla. [bruttina questa frase, l'avrei spezzata senza ripetere "quello" tipo: Si avvicina con quell’orribile ghigno stampato sulla faccia. Cazzo, fa male solo a guardarla.] Il pugno sollevato su di me è una minaccia intollerabile. Devo reagire prima che alzi quell’affare che ha nella mano sinistra. ["Quell'affare" penso sia un crocifisso, ma dovevi assolutamente inserirlo prima, dicendo magari che il prete lo tirava fuori dalla borsa o qualcosa del genere. Qui mi sono orientato tramite gli stereotipi del genere, ma meglio non contare su quelli] «Ficcatela in culo quella manaccia, pezzo di merda!». La signora sgrana gli occhi e il pretaccio ha un attimo di esitazione. Questo è il momento giusto. Gli lascio partire uno dei miei famosi sputi succulenti. Il catarro verde si spiaccica su quella faccia da imbecille. Colpito!
«Don Silvano, faccia qualcosa. Stavolta è peggio di sempre». «Signora, le assicuro che ci sto provando». Mi gira la testa, [qui pensavo fosse il prete a girargli la testa, coincidenza sfortunata ma è bene fare attenzione anche a questi problemini e strutturare di conseguenza le frasi così da non creare equivoci. Queste cose sono comunque difficilissime da individuare da soli] non capisco cosa stia succedendo. Don Silvano e la mamma stanno parlando di me. Lui è...accidenti che schifo. Ha il viso coperto da una robaccia schifosa, sembra vomito. «Mamma, ma che succede? E Don Silvano... Che schifo ha sulla faccia?». [toglierei "schifo", a meno che tu qui non voglia inserire il fatto che il demone lo stia influenzando] Il Don tira fuori dalla tasca un enorme fazzoletto di stoffa e si pulisce il viso. O almeno ci prova. «Niente di che figliolo, solo il tuo inquilino che fa i capricci. Ma io sono qua per dargli lo sfratto». Sembra impazzito e, con una smorfia orribile che gli deforma il viso, alza la mano sinistra. «E ho con me il vero padrone di casa che non ti vuole più qui. Vattene!» Il crocifisso di San Benedetto, quello che di solito è appeso sopra la porta della sacrestia, svetta sopra la sua testa. Mi scappa da ridere ma cerco di trattenermi. Non voglio mancare di rispetto perché non voglio far arrabb...
...maledetto bastardo. Non riesco a muovermi. Qualcosa sta salendo dallo stomaco, su per la gola e stavolta fa pure male. Non riesco a resistere e apro la bocca. Un fiume di magma caldo si libera su questi due servi della falsa Chiesa. «Vattene tu, burattino. Tu e questa troia che viene sempre a trovarti dopo la recita di quella collana con le palline». [Non è che è chiarissima questa frase, immagino l'implicazione ma non la capisco a pieno per come è scritta] Colpito e affondato. Il pretaccio apre la bocca per dire qualcosa ma un po’ del mio vomito finisce dentro e la richiude subito. Che spasso questo imbecill...
«Che succede mamma?». Le tempie mi martellano e un sapore dolciastro mi riempie la bocca, come se avessi vomitato. La mamma sta sorridendo in un modo strano e guarda Don Silvano. Lui fa ancora qualche passo verso di me e...
...mi schiaccia, vuole schiacciarmi. Non respiro...
«Che succede Don?».
Non riesco più a stare qui dentro, devo uscire. Questo corpo mi opprime. Devo andarmene.
«Succede che nel nome di Gesù tu lascerai questo corpo e questa casa. Vatt...». Una lama esce dalla gola di Don Silvano e un fiotto di sangue mi esplode in faccia. La mamma sorride e sfila il coltello dal collo del sacerdote.
«Vattene tu, prete di merda. Questa non è casa tua».
La mamma. Perché?
Finalmente posso respirare. E brava la mammina. Questa è casa nostra.
Commento:
Racconto piuttosto classico sulla falsariga dell'esorcista. Non mi ha fatto impazzire. Carina la declinazione del tema ma nulla di più. Sui dettagli potevi andare ancora di più sullo scabroso, ma avrei cercato qualcosa di più originale da mostrare che il solito sputo o vomito.
Stesso posto, stessa ora
► Mostra testo
Ciao Stefano, il racconto non è male anche se è un po' debole sull'opposizione che si crea trai due personaggi. Alcune parti del dialogo mi sono sembrate leggermente legnose, ma lo stile è buono e anche in queste poche righe sei riuscito a delineare un romance interessante. Null'altro da dire in linea generale se non che forse avrei osato un poco di più invece di delegare il fulcro del racconto in un dialogo senza troppo conflitto.
Ti segnalo giusto una cosetta
Una folata di vento mi fa ondeggiare la coda di cavallo attorno alla vita
Qui la prima volta che l'ho letto ero in dubbio, ha i capelli molto lunghi o ha effettivamente una coda? Penso la parte più problematica sia quel "ondeggiare intorno alla vita" che non vuol dire niente, sembra più un dettaglio visivo che tattile.
Non avrai altro dio
► Mostra testo
Ciao Alessandro, è un piacere rileggerti!
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
Non avrai altro dio Alessandro Canella
Simili a enormi pennelli, i lampeggianti della polizia coloravano a intermittenza le facciate dei palazzi limitrofi di cupe tinte rosse e blu. [Non è male come attacco, con poche parole dai un ottimo senso di luogo. Ma "simile a enormi pennelli" proprio non mi sembra un paragone azzeccato per delle luci che si alternano sui muri] L’ispettore parcheggiò l’auto sul ciglio della strada, il ronzio nella testa che [Togli questo che, è inutile] iniziava già a farsi sentire. Da sotto la giacca prese il flacone delle pillole e lo agitò davanti agli occhi. Le poche pastiglie rimaste tintinnarono contro il vetro. Svitò il flacone e si appuntò mentalmente di compilare il modulo di richiesta non appena rientrato in centrale. Ingoiò una pillola a secco, quindi scese dalla vettura e si avviò verso l’area d’indagine. Nel vederlo avvicinarsi, un agente gli sollevò il nastro di delimitazione. «Chi è a capo qui?» L’agente fece indicò [refuso] col mento un collega intento a parlare con un paramedico. L’ispettore gli diede una pacca sulla spalla e si avviò verso il secondo poliziotto. Questi lo notò e si affrettò a congedare il paramedico, mentre da una tasca estraeva un flacone di pillole.[Chi? Toglierei questa simultaneità e farei un'altra frase esplicitando il soggetto] L’ispettore alzò una mano in segno di rifiuto. «Situazione?» «Tre vittime: padre, madre e figlia di sei anni.» Il poliziotto porse nuovamente il flacone. «A queste si aggiungono i due agenti accorsi per primi, entrambi con i bulbi oculari esplosi.» L’ispettore strinse le labbra e accettò la seconda dose. «Signore…» Il poliziotto esitò a continuare la frase. «Che succede? È già il quinto caso nell’ultimo mese e gira voce che lo stesso stia accadendo in altre città.» L’ispettore si limitò a deglutire. In quel momento le sue orecchie furono raggiunte da una litania in una lingua sconosciuta. «Da dove arriva questa voce?» Il poliziotto inciampò sulle parole. «Da…dalle nostre teste.» «Sta dicendo che non l’avete sedato?» L’altro abbassò gli occhi. «Ci abbiamo provato, ma il Carfentanil non sembra avere effetto. Per il momento ci limitiamo a contenere il soggetto.» L’ispettore sbuffò e a passo svelto raggiunse l’interno 304. «Altro che dovrei sapere prima d’entrare?» Il poliziotto si schiarì la gola e accompagnò l’ispettore nella sala da pranzo. [Non risponde? Lo avrei esplicitato, mi ha un po' confuso l'assenza di reazione] Qui quattro poliziotti, uno per lato, tenevano bloccata una bambina per mezzo di lunghi bastoni a cappio. La piccola era in ginocchio, le mani giunte, intenta a ripetere la litania che perseguitava le teste dei presenti. [Visto che la focalizzazione è interna mi sarei limitato a "nella sua testa", altrimenti suona leggermente onnisciente così. Comunque, buoni dettagli.] Attorno giacevano i corpi dei genitori e degli agenti caduti. L’ispettore scosse la testa. No, non doveva cadere nell’errore di considerare quella cosa come un essere umano, ma per quello che era davvero: un dio in preda alla follia. «Perché lei?» L’ispettore si piegò sulle ginocchia di fronte alla bambina. «Perché un involucro così fragile?» Il dio smise di muovere le labbra della bambina e le fece aprire gli occhi. «Perché, chiede lei. Ma non è questa la domanda, vero?» La voce che gli parlava era di certo quella della bambina, eppure sembrava arrivare da lontano, come deformata da un leggero riverbero. Il dio le fece inclinare il collo di lato, in un’espressione d’ingenua curiosità. «Lei crede in Dio?» L’ispettore si rialzò. «È una cazzo di domanda retorica?» Il dio scosse la testa. «Perché dovrebbe? Dopotutto, non è attorno a questa domanda che ruota la vostra storia? Dio esiste?» L’ispettore si grattò una tempia. Nonostante la doppia dose, il ronzio nella testa non cessava. Anzi, sembrava aumentare ogni secondo che passava. «Credevo che il vostro arrivo avesse già portato una risposta.» Dalla bocca della bambina giunse una risata strozzata. «E questo porta alla vera domanda che si sta ponendo lei ora: cosa stavo facendo prima? E cosa facevano tutti gli altri miei simili impazziti nelle ultime settimane?» L’ispettore indietreggiò. «La risposta è semplice.» Una scossa fece tremare le pareti della stanza. «Preghiamo il nostro dio. E a quanto pare egli ha deciso di rispondere alla chiamata dei suoi figli.» Il ronzio si fece più acuto che mai e i corpi dei poliziotti esplosero in un fiotto rosso che dipinse le pareti della sala. L’ispettore si portò le mani alle tempie e scattò verso l’uscita dell’appartamento. Non fece in tempo.
Commento:
Un bel racconto. Lo stile di scrittura mi piace molto e la narrazione in generale è ben gestita. I particolari e le descrizioni sono azzeccati, anche il dialogo va bene ma mi sarei concesso un poco di spigliatezza in più invece di rimanere nel solito assetto "poliziesco" visto e rivisto nei film e le serie tv (e che ha davvero ben poco di realistico). Avrei anche dato qualche dettaglio in più sulla divinità e sulle sue origini. Il finale, per come lo hai fatto, non si prende grandi rischi e utilizza la morte del protagonista per non farci "vedere di più".
Il gioco del bruco
► Mostra testo
Ciao Antonio, il tuo racconto è in prima al passato e per molti aspetti segue gli schemi del "parlato", quindi sarebbe inutile segnalarti diversi "problemi" che vedo nel testo. Comunque ecco i miei commenti:
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
Il gioco del bruco
Quando Leya invitò me e i restanti compagni di scuola a casa propria, in occasione del suo compleanno, nessuno rifiutò. Ricordo ancora il sole splendente sulla verde erba di un giardino senza alcuna staccionata: [Questo "senza alcuna staccionata" mi ha fatto storcere il naso, che rilevanza ha questo dettaglio? ne avrei scelto un altro da mostrare] fu proprio lì che stemmo tutto il pomeriggio. Leya era bella sin da allora e, per noi maschi che avevamo orami raggiunto la piena adolescenza, non poteva non attirare i nostri sguardi sulle sue precoci forme fisiche:[Bruttino questo "precoci forme fisiche"] a dispetto di tutte le altre compagne presenti, Leya era di un altro livello, un’autentica bellezza della natura. «Che ne dite se facessimo il gioco del bruco?» aveva domandato subito dopo l’apertura dei regali il tracagnotto Oliver, [Qui il soggetto parlante arriva troppo dopo, metti Oliver subito dopo "aveva domandato"] nella speranza di poter dimostrare agli altri la sua prestante forza fisica. Tutti noi sapevamo che in realtà quella proposta non era altro che un triste modo per fare colpo su Leya, ma accettammo comunque di buona lena l’invito, determinati a fare meglio di Oliver e, chissà, magari a fare breccia nel cuore di Leya al posto suo. Oltre a tutti i compagni di scuola, al gioco del bruco parteciparono anche i due fratelli e la sorella di Leya. Formate le due squadre, ci eravamo seduti sull’erba e avevamo abbracciato la vita del compagno o della compagna davanti a noi che, a sua volta, faceva lo stesso con chi si trovava avanti, formando quindi una sorta di bruco umano fatto da alleati che si abbracciavano seduti e in fila indiana: l’obiettivo della sfida era di non mollare per alcun motivo la presa. Le squadre, dunque i bruchi, erano due. Leya e Oliver, i due capitani, avevano il compito di partire in piedi di fronte alla fila avversaria e di staccare le mani del rivale che stringeva a sé il compagno; una volta che Leya od Oliver fossero riusciti nel tentativo, il primo veniva liberato dalla presa del secondo e correva verso l’altro bruco ad aiutare il proprio caposquadra nello staccare la presa del bruco avversario. La vittoria andava alla squadra che riusciva a resistere più a lungo, possedendo un numero maggiore di ‘compagni ancora attaccati’ rispetto all’altro bruco, fino allo scadere del tempo. [Guarda, malgrado lo spazio che ti sei preso, non è che abbia capito granché, ma forse non è così rilevante capire tutto quanto del gioco ai fini della storia] Io fui scelto da Leya e mi collocai in ultima posizione. «Coraggio ragazzi, dai!» incitò Oliver che era quasi arrivato alla fine del bruco della mia squadra. Leya aveva molti più alleati di Oliver nel tentativo di staccare le prese del bruco avversario e, chiaramente, questo non era positivo per la vittoria perché il nostro bruco era più corto. “Devo resistere a qualunque costo!” pensai e, quando Oliver toccò [Avrei usato un verbo più forte come "afferrò"] le mie mani, strinsi la presa più forte che potei. A un certo punto, il vigore impiegato nel non cedere, mi fece avvicinare ancor di più alla schiena della sorella di Leya che era davanti a me e fu in quel momento che ebbi la prima erezione della mia vita. La forza con cui mantenni la presa fu tale da trasformarmi sempre più in animale e sempre meno in ragazzino qual ero. “Devo fare colpo su Leya, a qualunque costo!” continuai a pensare mentre sentivo uno strano calore sotto la pancia [Sconsiglio vivamente di affidarsi a forme così vaghe e imprecise, scrivi le cose come stanno e come le percepisce il punto di vista. Pene, cazzi e quant'altro. E' un adolescente, mica ha 6 anni] crescere di istante in istante. In preda a una follia quasi totalmente animalesca a un certo punto non seppi più che cosa mi prese: [Brutta questa frase] mollai volontariamente la presa dalla sorella di Leya, mi abbassai con foga i pantaloncini [Mi sembra strano che si abbassi i pantaloni, chi lo farebbe davanti a tutti? Anche durante l'orgasmo mi sembra difficile che un adolescente faccia una cosa del genere] e, prima che potesse alzarsi, tentai di penetrarla ma eiaculai subito sul suo vestitino senza riuscire a raggiungere la sua carne. «Il… il gioco del… bruco…» sussurrai diabolico [Frasetta brutta e poco credibile] un momento prima che entrambi i fratelli di Leya mi furono addosso per riempirmi di botte. Lì per lì non capii più nulla: simultaneamente, piacere e dolore riuscirono a convergere nel mio intero corpo e la sensazione fu meravigliosa e al contempo terribile. Ricordo ancora le urla scellerate di uno dei due fratelli di Leya: «Ha soltanto quattro anni… quattro anni… schifoso bastardo!!!»[ne basta uno di punto esclamativo.
Commento:
Allora, il racconto è sicuramente particolare ma il tema del contest è davvero marginale. Lo stile di narrazione non mi ha fatto impazzire. Usi la prima al passato che va anche bene, ma lo hai gestito come se una persona stesse raccontando un fatto ad un'altra, quindi non posso segnalarti granché se non che di immersivo c'è ben poco. Il problema maggiore che ho è la parte finale, non per i contenuti (che quelli sono sacrosanti), ma per alcune scelte che rendono la scena poco credibile ai miei occhi. Al protagonista avrei fatto lasciare i pantaloncini addosso e magari far notare ai fratelli il rigonfiamento o la macchia di sperma per poi saltargli addosso. Così come l'hai resa tu perde di realismo e il comportamento del personaggio sembra quello di uno con problemi mentali e quindi depotenzia una scena che altrimenti potrebbe essere generalmente credibile. Comunque, ti dirò, a me questi azzardi non dispiacciono affatto, ti sei preso dei rischi con il tipo di storia che hai scelto, e ciò lo ho apprezzato. Peccato per il tema che è chiaro non sia lo scheletro della narrazione, cosa che reputo fondamentale per questi contest. Qui, per farti capire, il tema poteva essere "il gioco", o "istinti primordiali" o "l'adolescenza" ecc... Detto questo, spero di essere stato chiaro e che i miei commenti ti possano essere tornati utili. Ciao!
Lo smemorato
► Mostra testo
Ciao Dario, ecco i miei commenti:
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
«Alla tua salute, smemorato!» [Non il massimo iniziare con un dialogo così vago] Il figlio del sindaco e i suoi due amici alzano i calici colmi di rosso toccando il cielo limpido sopra il paese, li portano alle labbra e li svuotano all’unisono, grugnendo per le risate. [Brutta questa frase d'attacco, piena di subordinate e con addirittura due gerundi di simultaneità] Il riflesso del sole pomeridiano scintilla sul vetro dei bicchieri. [Ecco, avrei iniziato con questa frase e poi messo la prima battuta] «Grazie.» bofonchio. «Ho scommesso una cassa di Sangiovese che il cervello ti ripiglia prima del ’52» il giovane si asciuga le lacrime col fazzoletto che porta al collo «Non manca poi molto, dacci dentro, vè!» [Perché in corsivo? Se per il dialetto, è completamente superfluo evidenziarlo. Il parlato è parlato. Se invece vuoi sottolineare un intonazione particolare, è già più sensato, ma sconsiglio anche quello.] Sorrido e sposto il prosciutto dalla spalla destra alla sinistra. Mi fermerei volentieri ma questo bel coscione pesa parecchio. Alzo la mano senza anulare verso di loro. «Solo che dopo…» Il figlio del sindaco fischia e mi fa il gesto delle corna. I tre si accasciano sul tavolo, sbellicandosi. E poi dicono che quello tocco sono io; per essere cornuto ci vuole la moglie, io non ce l’ho mica. Attraverso la piazza e imbocco la via tutta in discesa imbevuta d’ombra. Rita e Ines, sedute sulle scale di casa, mi salutano. Le sento parlare fitto fitto appena do loro le spalle. Devo avere chissà che macchie dietro al fondoschiena per farle confabulare così tanto. Varcato il cancelletto di casa, scorgo due sagome rannicchiate sotto il ciliegio. [Frase che fa uscire dal PdV, "scorgere" è un verbo percettivo.] Alice piange in silenzio [Che vuol dire piange in silenzio? Non riesco proprio a immaginarmelo] seduta tra le foglie, Nero le appoggia la testa tra le pieghe della gonna grigia e agita la coda a spazzola. [Carino questo dettaglio] «Alicina, che hai fatto?» «Marisa mi ha preso in giro un’altra volta, stamattina! Continua a dire che ho due papà e che mamma andrà all’inferno per questo!» «E tu le hai strappato i capelli!» La voce di Renato mi sorprende alle spalle. [Qui un "mi volto" ci stava bene. Spesso lo puoi dare per scontato dal momento che, se il PdV le vede certe cose, è ovvio si sia girato per guardarle, ma in situazioni concitate come questa è bene invece mettercelo] Allunga verso di me le braccia coperte dal camice bianco, lo stetoscopio dondolante al collo. Gli cedo la carne, il suo profumo pungente mi carezza il naso. «Alfredo, questo sì che è un bel prosciuttone! Ti stai dando parecchio da fare se questa è la ricompensa!» Mi siedo vicino ad Alice, una radice scrocchia sotto il sedere. [Le radici sono toste eh, non mi sembra credibile] «Dice che gli servo sempre di più. Vuole ingrandire il negozio visto che mò i soldi ci sono.» Renato mi squadra da capo a piedi e annuisce. «Bene bene. La cena è quasi pronta, ricorda di prendere le medicine prima di pranzo…e tu signorinella» punta il dito verso la figlia «scordati la tua fetta di crostata, così impari a tenere la mani a posto, la prossima volta!» Renato si gira, mi dà un colpetto alla spalla con la mano libera e imbrocca la discesa per la cantina. Alice sporge [mmh, non mi convince questo verbo] il labbro inferiore ancora di più. «Dai, non piangere. Vivo con voi ma tu hai solo un papà ed è Renato. Lo sai perché non mi piace quando piangi?» La bambina mi fissa dal basso in alto e mi punta addosso due iridi verdi. «Perché i miei occhi sono identici a quelli di tua sorella! Me lo avrai detto 100 [Mai scrivere a numero, per risparmiare due caratteri non ne vale proprio la pena] volte.» Ah, gliel’ho già raccontato. Alice si guarda intorno, capisce che ha esagerato nel rispondermi così seccata. [Mi puzza di onnisciente questa frase, fai attenzione] Addolcisce lo sguardo. «Pensi che la rivedrai un giorno?» «Beh, chissà. Non la vedo da prima della guerra. Se guarirò, andrò a cercarla.» «Ma non ricordi proprio nulla?» «Pochino. Ricordo di aver sparato tante volte, di essermi nascosto, ricordo le montagne, i rifugi. Ma prima di quello, solo gli occhi di mia sorella.» «Ma perché ci sei andato in guerra? Se non ci andavi ora staresti bene!» «Questo me lo ricordo, sai?» le carezzo la testa riccioluta e bionda, bionda come me [Attento, questa frase presuppone che il protagonista stia notando questa cosa. E ciò potrebbe far supporre altro. Semina che il protagonista è biondo da un'altra parte. E' chiaro che non sospetta nulla, così invece metti il dubbio]«ci sono andato così non dovevate andarci voi bambini.» «È pronto a tavola.» Alziamo la testa tutti e tre. Flavia si pulisce le mani sul grembiule, i riccioli neri tenuti a stento dal fazzoletto a pallini. [E questa chi è? da dove spunta? l'avrei inserita meglio] Nero parte a razzo verso la porta, Alice si alza e lo segue con molto meno entusiasmo. Flavia la segue [ripetizione] con lo sguardo torvo fino all'uscio. Si gira verso di me. Mi tende la mano sinistra, le due fedi che tiene all’anulare brillano al sole; Renato dev’essere molto innamorato se le ha dato due anelli. [Mi ha fatto sorridere questo pensiero, carino davvero] L’afferro e mi faccio aiutare. Sono in piedi ma Flavia non mi lascia la mano. «Ho dato il prosciutto a tuo marito. Vedrai che ci facciamo più di un mese.» Sorride. Che bella che è Flavia.
Commenti:
Fortissima l'idea e come si lega indirettamente al tema! Anche la realizzazione non è male, anche se ho trovato qualche singhiozzo del punto di vista qua e là. Comunque è chiaro tu conosca bene la narrazione immersiva, devi giusto limare un paio di cosette e ci sei. Sei riuscito a creare fin da subito empatia con il protagonista e hai gestito sapientemente il flusso informativo rivelando alla fine tutti i tasselli necessari per completare il puzzle senza però assemblarcelo tu. Ottimo il finale. Bravo.
Melagrane
► Mostra testo
Ciao Laura! E' la prima volta che ti vedo da queste parti, ecco i miei commenti al tuo racconto:
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
Melagrane di Laura Calagna
Struscio le infradito sul tappeto che mi dice “Welcome”. Sono umide di rugiada, mi chiedo se lasceranno l’alone sul parquet della villa. Lui ha aperto la finestra [Lui chi? perché non dircelo?], la tenda oscilla verso il divano e fa ballare il sole sul legno lucido. È tutto bianco, ogni macchia sarà visibile e la moglie se ne accorgerà. Le cicale ovattano lo sciabordio del lago vicino, il loro canto mi coprirà. [Tutta questa vaghezza ha solo il risultato di non far capire al lettore cosa stia succedendo, io almeno non lo sto capendo] Esco dalle ciabatte e poso un piede in casa sua [Qui forse volevi richiamare il tema ma non mi sembra proprio un pensiero logico dire "casa sua". Pavimento o casa senza "sua" andavano più che bene.]. La pelle si appiccica al pavimento; le mie impronte si noteranno, ma se cammino sulle punte avrò poco da lavare, dopo. [Questo pensiero è carino invece] Avanzo piano nella stanza, muovendomi come se giocassi a campana sui vetri rotti. Ho indossato un abito bianco, per non farmi riconoscere se qualcuno ci avesse visti insieme. [ancora non sto capendo cosa vuole fare la protagonista] Lei mette solo cose bianche, non le piacciono i colori, nemmeno la pelle cioccolato di papà. Potevo fare uno chignon, ma voglio essere confusa con lei, non somigliarle, e ho lasciato i capelli sciolti. Siamo entrambe rosse con la pelle eterea di mamma, l’unica parte cappuccino del mio corpo è una voglia sull’inguine. A lui piace mordicchiarla e a me piace lasciarglielo fare. [Da "Ho indossato" fino a qua, è tutto uno spiegone] I miei boccoli ondeggiano mentre mi addentro nel regno di lei; [un po' sgraziata quest frase] se mi si staccherà un capello, scopriranno lo stesso DNA. Osservo [Verbo percettivo, ci fa uscire dal punto di vista, se le cose le descrivi è ovvio che il portatore di PdV le vede] le cornici avorio appese alle pareti secondo una geometria perfetta. Lo faceva anche da piccola: tutto secondo un suo schema, niente era mai fuori posto. Mamma la elogiava e mi diceva con le mani ai fianchi di prenderla a esempio: «Lasci tutto in giro, camera tua è un circo.» Mia sorella mi rideva in faccia e mamma la spalleggiava. Sapevano dove colpire senza lasciarmi il livido. Finché papà non tornava a casa. Mia madre diventava affettuosa e mia sorella ancor di più. Indietreggiavo. «Lo vedi che è lei?» diceva mamma. «Noi non le abbiamo fatto nulla.» Non ho provato pietà mentre rantolava, ieri. Sapeva ciò che ha fatto mia sorella ma, siccome lei era laureata, con una carriera davanti e un buon fidanzato, ha mandato me in prigione. [Altro spiegone] I quadri ritraggono scorci del paesaggio circostante: il promontorio sui laghi costieri, gli scogli, le torri di guardia… È scivolata la teglia di lasagne a tutte e due, quando sono entrata in casa, a Natale. Buona condotta e qualche amico influente. Lui si affaccia dalla cucina, mi sorride con gli incisivi un po’ aperti. Quando si è messo con lei lo chiamavo “Finestrella”. Si passa un panno tra le dita, macchiando la stoffa di succo violaceo. Ha sgranato le melagrane, dice, per me. Poggio le piante dei piedi sul parquet. Devo essere stabile quando lo farò. Lo seguo in cucina, gli scosto i riccioli neri dalla fronte. Mi dà un bacio dal sapore acidulo, ridacchia dicendo che non ha saputo resistere, ha assaggiato i frutti. Il coltello è posato sul tagliere, ancora striato di succo. È uno di quelli da carne. Ha riunito i chicchi in una ciotola; ci affondo le dita, il loro succo mi solletica la pelle. Reclino la testa e faccio cadere qualche granello giù per la gola. Mi piacciono perché sono aspri, non ti illudono di esser buoni. Alcune gocce di succo cadono sul vestito, altre sul parquet. Lui mi imita, il suo naso immacolato si tinge di scuro. Gli sorrido, glielo devo, e lui ricambia. Potrei dirgli che lo amo, ma non mento mai. Non gli spiego né mi giustifico, è bastato accavallare le gambe senza mutandine alla cena di Natale per convincerlo. Muovo un passo verso di lui, scivolo con la mano verso il coltello senza smettere di guardarlo. L’attimo dopo il parquet rimbomba del suo peso. Prendo il panno con cui si è pulito e mi tampono il sangue sul viso. Avvolgo la lama nella stoffa, cerco con calma straccio e detersivo per cancellare le impronte dei miei piedi. Dopo, rimetto le infradito e rimango un attimo ad ammirare il lago vicino alla villa. Ha ammazzato papà di fronte a me. Voleva un vestito, a me servivano i soldi per il test d’ingresso a Medicina. Papà aveva scelto me. Ho scelto anche io lui.
Commento:
Allora, c'è un'ingombrante predilezione per il raccontato piuttosto che il mostrato. Tutti gli spiegoni diventano indigesti molto in fretta, tanto che, anche alla fine della storia, non è che ci abbia capito molto. Come hai gestito il flusso informativo all'inizio, poi, non ha aiutato granché. Diverse cose non te le ho segnalate perché ci sarebbe da rivedere un po' tutto a livello di stile. L'idea sembra anche piuttosto classica: una vendetta dovuta a un torto passato. Il tema comunque c'è, ed ho apprezzato la selezione di alcuni dettagli sensoriali; il punto forte del racconto a mio avviso. Studia un pochino la scrittura immersiva ed hai tutte le carte in regola per migliorare tantissimo secondo me. Alla prossima!
Sono fregato
► Mostra testo
Ciao Filippo! E' la prima volta che ti leggo, ecco i miei commenti:
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
Il brusio della gente del pub ci circonda. Guardo le facce degli altri tre attorno al tavolo. Il primo e il secondo ricambiano il mio sguardo, impassibili. Il terzo ha un tic all’occhio. Non sei così tranquillo vero? Guardo il mucchietto di soldi sul tavolo e guardo la mia mano. [Avrei iniziato con questo per chiarire la scena. Se metti subito l'immagine di una partita a carte, il contesto si desume più facilmente. Se invece parti da un pub, tizi anonimi e scambi di sguardi, stai solo ritardando il punto in cui il lettore capirà la scena] Doppia coppia. Tiro un lungo respiro dal sigaro ed espiro verso il soffitto. Il fumo raggiunge la coltre grigiastra che aleggia sul soffitto [ripetizione, ma il dettaglio è carino]. Vediamo di prenderci questi soldi. Dal bancone alle mie spalle giunge una voce. «Sfregiato! C’è bisogno di te!» «Finisco questa mano e arrivo.» «Non ti pago per giocare!» «Arrivo!» Mi alzo, mi avvicino a uno dei ragazzi e sussurro. «Controllali.» Mi giro verso i tre. «Torno subito, non fate scherzi. Altrimenti vi faccio vedere come mi sono fatto questa.» Scorro il dito sulla cicatrice sulla guancia. [un po' banalotta questa battuta] I tre annuiscono. Raggiungo il bancone. «Dimmi Jones.» «Porta fuori questo signore. Sta importunando Judith e non vuole neppure prendere una camera al piano di sopra. Fagli vedere cosa succede a chi vuole comandare in casa d’altri.» Indica un signore lì vicino, alto e dai capelli corti rossastri, con una camicia bianca e un gilet scuro. Il signore si avvicina e mi guarda. «Non capisco perché dovrei pagare… Hic… Per la compagnia di questa… Hic… Signorina…» Si avvicina alla lampada sul bancone, la solleva e barcolla Jones gliela strappa di mano. «Oltre che dar fastidio vuoi anche dar fuoco al locale?» Sposta lo sguardo su di me. «Portalo fuori ho detto.» «Andiamo carota.» Mi avvicino all’ubriaco e lo afferro per il colletto, lo trascino verso la porta sul retro. «Non sono una carota, mi lasci… Hic… Lei non sa chi sono io!» Usciamo dal locale, in lontananza lo scalpitio dei cavalli e il cigolio di una carrozza. «Certo che non lo so. E neanche mi interessa. Dovessi conoscere tutti gli ubriaconi di Londra non avrei neanche il tempo per andare a pisciare. Vai a casa e non farti più rivedere.» [Legnosetti questi dialoghi] Mi si lancia contro. «Fammi rientrare.» Gli do uno spintone. Barcolla e cade, agita un pugno. «Questa me la pagherai.» «Quando vuoi mi trovi qua. Ora vattene.» Rientro e chiudo la porta alle mie spalle.
***
Cammino per la strada. Davanti a me un lampionaio fischietta, si avvicina a un lampione [lampionaio - lampione, non il massimo] e lo accende. Lo supero ed entro nel pub. Jones sta pulendo il bancone con uno straccio. Sulla sinistra del locale un gruppetto di persone, una decina, è intento a chiacchierare. L'altro lato del locale è vuoto e la porta verso le scale è chiusa. Dove sono i ragazzi? Mi avvicino al bancone. «Ehi Jones, è festa oggi? Hai dato la giornata libera ai ragazzi?» Jones solleva la testa mi guarda e chiude gli occhi sollevando il capo. «Ehi, tutto bene?» Alle mie spalle la porta d’ingresso si chiude e scatta il chiavistello. La porta per il piano di sopra si apre ed escono due uomini. Jones mi sussurra. «Maledizione, dovevano avvisarti di non venire.» «Cosa?» Dal gruppetto di persone giunge una voce. «Signor Sfregiato, ben arrivato. Ti aspettavamo.» Le persone davanti del gruppetto si spostano di lato e fanno passare un uomo. È alto, in un completo che mai avevo visto in questo pub. Ha un cilindro e un bastone. Lo fa ticchettare sul pavimento e viene verso di me. «E lei chi è?» «Non si ricorda di me? Sono quasi offeso.» Si toglie il cilindro mostrando dei corti capelli rossastri. «Ah, ma è il signore di ieri, carota!» Se è qui però… [Qui il personaggio se non è uno stupido un po' di paura ce la deve avere. Questa risposta è poco credibile] «Finalmente, si ricorda cosa le ho detto ieri? Le presento i miei amici.» Si volta verso il gruppetto, hanno dei manganelli in mano che sbattono sul palmo. Avanzano verso di me.[Cliché dei cliché i tizi che si sbattono sul palmo i manganelli] Qua si mette male, mi volto verso la porta e altri due sono davanti a essa. «Le avevo detto che se ne sarebbe pentito.» «Ma me l'ha ordinato lui.» Indico Jones. Jones solleva le spalle. «Come ho già detto al nostro ospite, ho detto solo di accompagnarlo alla porta, non di maltrattarlo.» Figlio di una lurida sgualdrina. Il rosso va avanti. «Da stasera si ricorderà di me vero?» Gli altri uomini si avvicinano e mi circondano. Da dietro di loro giunge una risata. «Credo proprio di sì.» [chi lo dice questo? un tizio a caso? il protagonista?]
Commento:
Lo stile non è male, alcuni dettagli anche mi sono piaciuti. Ma i meriti del brano finiscono qui. Declinazione del tema, meh. Si tratta di un Pub, non di una casa, ci sta e non ci sta. I dialoghi sono a tratti legnosi e poco credibili. La storia... tutto sa di già visto e non c'è nulla di originale o che desti un minimo l'attenzione. Una prova di scrittura discreta ma che non fa molto se non meritarsi una blanda sufficienza. Peccato perché si vede che sai usare la scrittura immersiva. Spero di rileggerti in futuro con qualcosa di più interessante. Ciao!
Quell'unica volta
► Mostra testo
Ciao Katjia! E' la prima volta che leggo qualcosa di tuo, ecco i miei commenti:
Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)
di Katjia Mirri
Lo schianto col quale la finestra si spalancò risuonò tra le mura di pietra come una fucilata. Il vento autunnale intriso di nebbia e ululati lontani l'aveva forzata; aveva fatto irruzione nel salotto buono come un'orda di barbari all'ultima incursione prima del tramonto. La corrente gelida sollevò per l'ennesima volte le foglie, secche da anni, facendole danzare alla melodia dei sibili del vento e degli scricchiolii dei vecchi mobili. [Attacco in narratore onnisciente, non il massimo, vediamo un po' se ti focalizzi dopo su un personaggio] «Aelhaearn! Quante volte ti ho detto di chiamare qualcuno e fare aggiustare quella finestra?» strillò furiosa [Togli questo furiosa, lo si capisce dal contesto e dalla battuta di dialogo che è arrabbiata] Clìodhna, per poi aggiungere, sottovoce come sempre: «gallese del cazzo». [Ok, è tutto in onnisciente. Non è un male in sé, ma, perché tu lo sappia, è una narrazione considerata ormai fuori moda non capace di immergere il lettore nella storia.] Aelhaearn non rispose. Fece spallucce. Aveva provato a chiamare qualcuno a riparare quella finestra, ma non era arrivato nessuno. Forse non riusciva a farsi capire, con quel suo accento forte e scomodo, che lo rendeva subito inviso, lo faceva riconoscere come straniero. Nei paesi piccoli lo straniero lo si guarda con sospetto. Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese". [Spiegone, probabilmente frutto della narrazione onnisciente, ma te lo segnalo lo stesso] Sospirò. [ah no, continua anche qui] Era abituato al pessimo carattere della donna. Dopo che se ne erano andati tutti era rimasto l'unico uomo in quella casa, era naturale che spettasse a lui chiamare il carpentiere, il fabbro, il falegname. Invano. Non era mai venuto nessuno e i guai di quella vecchia e tronfia casa si erano moltiplicati. Fino a quando il problema era stato di qualche finestra il cui telaio, prosciugato dal sole e inzuppato dalla pioggia non chiudeva bene, era stato un problema limitato. I veri guai iniziarono quando il tetto in paglia aveva cominciato a perdere. Le infiltrazioni d'acqua avevano fatto marcire il pavimento, dal quale erano poi nate generazioni di funghi dagli steli pallidi e sottili che reggevano ombrelli efebici, che non duravano più di quattro o cinque giorni. Era stato l'inizio della trasformazione della vecchia dimora. Si era lentamente riempita di odori grassi e stantii, di muffe e di humus. [Ok, finisce qui. Ti dico subito che non mi è rimasto niente di quanto ho letto. Mettersi a raccontare tutte queste cose al lettore ha il solo risultato di farlo annoiare e uscire dalla storia. Se non mi hai ancora introdotto per bene i personaggi o la vicenda, perché mi dovrebbe interessare tutto ciò?] Aelhaearn si avvicinò alla donna, ora alla finestra, che osservava gli ultimi raggi arrossare il cielo sulla campagna irlandese. Ne percepiva forte lo scontento. «Neppure questa volta verrà qualcuno a ripararla» le disse, mite. La mitezza era tutto quello che gli era rimasto. Clìodhna non rispose; con il volto imbevuto [bruttino] di disapprovazione stava slabbrando col dito un vecchio strappo nel corpetto. [carino invece questo dettaglio] «Sono andati via quasi tutti» continuò Aelhaearn, sperando che lei capisse che ci aveva provato, ci aveva provato davvero a farla riparare. «Già. Quasi tutti. Ma tu no, vero? Tu dovevi restare qui!» «Lo sai. Sai che non posso lasciarti» Lei si voltò dall'altra parte, battendo un palmo sul davanzale. Neppure la pace di quelle colline baciate dall'oro dell'ultimo raggio riuscì a distenderle quella ruga tra le sopracciglia, che sembravano essersi dichiarate guerra. Aelhaearn le invidiava la rabbia e osservava affascinato quel cipiglio. «Non puoi, ma vorresti, vero?» sibilò la donna, voltandosi a guardarlo, lo sguardo fiammeggiante. Aelhaearn pensò che era identica ad allora, non era cambiata. La ammirava davvero, ancora così viva dopo tutto quel tempo. Si sentì svilito ancora una volta. «Credi che dopo tutto quello che è accaduto io possa avere ancora dei desideri? Resterò qui con te, lo sai» «Lo so. Ma mi piacerebbe che almeno una volta facessi qualcosa perché lo vuoi, ecco» Lui rise; un raschio amaro e lento. Era qualcosa che non faceva da tantissimo tempo. «No, non fa per me. L'ultima volta che ho fatto qualcosa di azzardato, qualcosa che volevo davvero fare, sai come è finita: tuo fratello mi ha ucciso» [ma chi sta parlando? non si capisce] Lei tornò a toccarsi lo strappo sul corsetto, un taglio all'altezza del cuore. [buona la semina] «Lo so, poi è toccato a me» «Mi dispiace. Davvero, Clìodhna. Non avrei dovuto introdurmi di notte a casa d'altri. A casa tua. Tuo fratello Fergus ha creduto che io... che noi...» Ancora arrossiva imbarazzato, anche se in modo impercettibile come spettro. Clìodhna distolse lo sguardo. Non gli avrebbe mai svelato che Fergus avrebbe voluto essere l'unico desiderato da Aelhaearn.
Commento:
Mentirei se ti dicessi che ho letto con piacere questo racconto, ma c'è del potenziale a mio avviso. Della storia non ho capito un batuffolo: spiegoni confusi, dialoghi che non si sa chi parla (e per una storia basata su un dialogo tra due personaggi è un bel problema), personaggi non chiari ecc... Forse sono stato un po' distratto io, ma il racconto non fa davvero nulla per catturare l'attenzione del lettore. Solo il colpo di scena finale mi ha svegliato dal torpore di tutto il resto che però, a causa della mancata progettazione della storia, non è d'impatto come potrebbe. Lo stile è completamente da rivedere. Butta via il narratore onnisciente e calati nel punto di vista di un solo personaggio senza mai uscire dalla sua sensorialità e percezione. Hai un buon polso per i dettagli e alcune delle descrizioni mi son piaciute ma devi limare parecchio tutto il resto. Ovviamente questo è solo il mio parere. Se ti piace davvero tanto il narratore onnisciente puoi anche tenerlo, ma comunque devi imparare anche lì a dosare infodump e raccontato. Ciao!
Classifica:
1) Aldobbello, di Luca Nesler 2) Lo smemorato, di Dario17 3) Non avrai altro dio, di Alessandro Canella 4) Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto 5) L'intruso, di Davide Manucci 6) Sono Fregato, di Filippo Rubulotta 7) Il gioco del Bruco, di Antonio Pilato 8) Quell'unica volta, di Katjia Mirri 9) Melagrane, di Laura Calagna
Gruppo faticoso da gestire, per un valutatore: tanti buoni racconti, senza che però a livello soggettivo ci fosse quella sensazione da "primo posto" immediato che ho avuto in passato. Pochi dubbi comunque sui racconti da prime quattro posizioni.
1. Aldobbello 2. Lo smemorato 3. Non avrai altro dio 4. L’intruso 5. Stesso posto, stessa ora 6. Melagrane 7. Quell’unica volta 8. Il gioco del bruco 9. Sono fregato
Aldobbello, di Luca Nesler
► Mostra testo
Allora. Racconto divertente, con un buon ritmo e una bella idea di fondo. L’uso della parlata romana gli conferisce il realismo necessario e non rallenta la lettura. I dialoghi sono credibili e le informazioni a corredo, diciamo così, puntuali e ben dosate. Il tema c’è, ovviamente. La rivelazione finale si intuisce forse un po’ troppo presto, ma non è un problema. Avrei magari osato di più, magari inserendo un secondo twist nelle ultime righe, che risultano forse un po’ depotenziate; ma onestamente non saprei nemmeno cosa, forse va bene così. Buon racconto, insomma.
Lo smemorato, di Dario Cinti
► Mostra testo
Racconto piacevole, uno spaccato di paese nel dopoguerra che tocca diversi temi, dalla guerra al bullismo. Va letto con attenzione, non ho capito subito che il protagonista è il primo marito di Flavia, anche se la cosa era intuibile con la semina che hai fatto nel testo. Il tema è declinato in una maniera originale, la casa altrui che in realtà è la casa propria senza saperlo. Il racconto forse diventa un po’ legnoso nella parte centrale, in poche righe vengono introdotti – e non sviluppati – forse troppi personaggi. Il prosciutto è una sorta di MacGuffin a suo modo funzionale. Ben descritte le scene iniziali e quella con la figlia. Evita i numerali scritti in cifre. Il calice non tocca il cielo limpido: eviterei certe immagini. Una prova più che discreta, in ogni caso.
Non avrai altro dio, di Alessandro Canella
► Mostra testo
Racconto interessante; peraltro non è l’unico che ha inteso il tema con un bambino posseduto: quantomeno curioso. Mannucci gioca con il doppio punto di vista interno; tu ti poni in terza e racconti quello che succede: due approcci differenti, a loro modo entrambi efficaci. Forse preferisco leggermente il tuo per una risoluzione meglio seminata nel testo. Le implicazioni religiose del testo lasciano molte domande; ma in fondo va bene così. Interessante lo sviluppo finale, anche se la maggior resistenza fisica dell’ispettore (un pochino, non molto) rispetto agli altri poliziotti lascia un amaro retrogusto da mancato supereroe. Mi è piaciuta la descrizione iniziale, anche se mi suona male la prima frase, che avrei riscritto così: “Simili a enormi pennelli, i lampeggianti della polizia coloravano di cupe tinte rosse e blu [a intermittenza] le facciate dei palazzi limitrofi”. Occhio ai refusi (“L’agente fece indicò”); ma capisco che hai cominciato a scrivere tardissimo e va bene così.
L’intruso, di Davide Mannucci
► Mostra testo
Un racconto molto interessante, onestamente non mi è venuto in mente che la casa potesse essere anche un luogo biologico, oltreché fisico – nel tuo racconto ci sono entrambi. Ben resa l’alternanza del punto di vista, un po’ confuso il finale: la madre viene anch’essa posseduta, magari con qualche metodo di contagio? O lo era fin dall’inizio e il suo piano era quello di portare don Silvano “in trappola”? Stilisticamente poco da dire, se non che non sono sicuro che mi piacciano quei puntini di sospensione tra un passaggio e l’altro: forse non avrei messo alcun segno di punteggiatura, per non creare sospensioni. Non so perché, ma mi stona il riferimento alla terza B: per il resto del racconto sembra di essere di qualche secolo indietro, faccio fatica a immaginarmi – limite mio – uno scenario più moderno.
Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto
► Mostra testo
Bel racconto, con una buona declinazione del tema. Forse manca un po’ di contrasto: nonostante le paure della ragazza e il tuo continuo rimando alle possibili conseguenze, forse non si avverte mai davvero il ragazzo come una concreta minaccia. Per il resto il racconto è ben strutturato, con dettagli che giocano con le emozioni dei due protagonisti e rimandi lacustri che con me sfondano sempre una porta aperta. Stilisticamente suggerirei di evitare gli a-capo quando il soggetto è sempre lo stesso. Questo pezzo «Chi sei?» Mi giro verso il prato, un ragazzo di circa la mia età mi sta fissando. Ha i capelli mori tutti in disordine, sembra avere un cespuglio sulla testa. Incrocia le braccia. «Questa è proprietà privata.» Lo scriverei senza mai andare a capo. Quantomeno non la seconda volta. Attento al groppo in gola: si forma, non si blocca.
Melagrane, di Laura Calagna
► Mostra testo
Racconto interessante, molto amaro, che declina il tema in maniera familiare e al tempo stesso estranea. Lo penalizza una scrittura in certi frangenti faticosa (a volte è difficile a una prima lettura capire chi è l’oggetto di certe frasi: “Non ho provato pietà mentre rantolava”, “Ha ammazzato papà”; ma alla seconda già le cose si fanno più chiare). Ci vuole un attimo a inquadrare tutti i personaggi, ma una volta afferrato chi è chi la lettura è piacevole. A livello logico forse ci può stare la sete di vendetta della protagonista, che pure si è rivelata una macellaia; un po’ meno forse l’omicidio che ha dato origine al tutto: va bene essere maniache di ordine e pulizia, ma da qui a pensare a uccidere il padre per pochi euro ce ne passa. Senza contare che il fatto è avvenuto con testimoni: dubito sia stato così facile far ricadere la colpa sulla protagonista. Attenta a non esagerare con i barocchismi: “Le cicale ovattano lo sciabordio del lago” non credo abbia granché senso, dato che è un suono che si aggiunge a un altro; non calcare nemmeno troppo su certi particolari: due volte dici che le impronte dei piedi vanno lavate, forse ne basta una. Personalmente invece di “tappeto che mi dice welcome” userei “tappeto che mi dà il benvenuto”. Detto questo, ho apprezzato abbastanza il racconto.
Quell’unica volta, di Katjia Mirri
► Mostra testo
Racconto interessante, un po’ zoppicante nella prima parte, soprattutto per qualche costrutto un po’ troppo elaborato o poco credibile (dubito che le foglie secche resistano per anni); ma che poi si riprende nell’ampia parte centrale, molto tenera, in cui i due protagonisti vengono esposti piuttosto bene. Il finale permette di declinare a suo modo bene il tema e consente di riguardare il racconto con un’ottica differente (credo giocata sul non poter andarsene versus il non voler andarsene, seppur la cosa sia forse ingannevole); per quanto la situazione giunga un po’ improvvisa, senza elementi di semina – non che sia necessariamente un difetto. Attenzione però ai dialoghi forzati: i due protagonisti sanno come sono andate le cose, lo scrittore dovrebbe farlo capire al lettore senza soluzioni poco verosimili come quel “Poi è toccato a me”. Avrei evitato il doppio riferimento al “gallese” a poche righe di distanza; nella fattispecie avrei tolto “Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese"”, che nulla aggiunge. Non male, d’ogni modo: giochi bene con le atmosfere della campagna gallese e con – immagino – delle leggende o credenze locali, che posso ipotizzare sia un contesto a te non del tutto sconosciuto.
Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
► Mostra testo
Parto dal tema, che è tirato in causa nella prima riga e poi scompare: è un pretesto per giustificare la presenza dei fratelli di Leya e poco altro. Il racconto parte da una buona idea e la sviluppa abbastanza bene, seppur con qualche intoppo, soprattutto per la spiegazione che è un po’ macchinosa e non chiarissima, almeno a una prima lettura, La vicenda è inquietante, non solo per i fatti in sé, ma anche per come il protagonista ripensa quasi con orgoglio a quanto successo. Non mi torna chiaramente il motivo dell’interesse per la sorella di Leya, quando invece la fissazione è proprio per la compagna di classe; ma sono cose sulle quali ho fastidio perfino a ragionare. Segno che il racconto da questo punto di vista colpisce nel segno. A livello di stile non mi piacciono molto gli aggettivi che precedono i sostantivi, ma è una cosa penso soggettiva; molto meno lo sono l’utilizzo eccessivo dei punti di sospensione e l’orrido triplo punto esclamativo nel finale. Racconto interessante, dunque, un po’ penalizzato da quanto sopra.
Sono fregato, di Filippo Rubulotta
► Mostra testo
Un racconto d’atmosfera, in cui il tema è declinato forse in maniera un po’ pretestuosa, solo con un accenno, ma non è un elemento chiave per la vicenda. Non originale, ma comunque ben strutturata la vicenda nei suoi due atti; un po’ stereotipati i dialoghi, forse poco veritieri di una situazione del genere. Occhio alle ripetizioni: “Guardo il mucchietto di solidi e guardo la mia mano” è un po’ fastidioso, bastava dire “e poi la mia mano”. Attenzione anche alle sequenze logiche: avrei detto che il protagonista si tocca la cicatrice prima di esclamare “altrimenti vi faccio vedere come mi sono fatto questa”. Lo stesso poco dopo, quando Jones indica il tizio coi capelli rossi. Ancora, quando escono dal locale passa un’eternità tra il “Lei non sa chi sono io!” e il “Certo che non lo so”. Un racconto discreto, d’ogni modo: se è la prima prova qua dentro è un buon punto di partenza.
Ciao cari, eccoci al momento della classifica. I primi 4 racconti mi sono piaciuti molto, hanno molti punti di forza e pochissimi di debolezza: bravi. Anche il 5° e 6° sono positivi, ma con meno punti di forza rispetto ai primi 4. Gli altri, a parer mio, hanno più problemi dei primi e ne ho dovuto tener conto. A rileggervi, è stato un piacere, G.
Classifica:
1. L’intruso 2. Aldobbello 3. Lo smemorato 4. Non avrai altro dio 5. Stesso posto, stessa ora 6. Sono fregato 7. Melagrane 8. Il gioco del bruco 9. Quell’unica volta
Commenti in ordine (quasi) sparso.
--------------------- L'intruso Ciao Davide, il racconto per me fila liscio. L'intruso, che per quasi tutto il racconto il lettore pensa sia il demonio, in realtà è il povero prete. Di cose positive ne ho trovate tante: i punti di vista ben delineati, le scene chiare, col rimando a "L'esorcista" che è d'obbligo in questo genere di racconti. Certamente si poteva "allargare" la platea delle schifezze oltre il vomito classico, allora avresti fatto bingo, ma si tratta di dettagli che, seppur, importanti, non determinano grossi punti a sfavore. Tema declinato in maniera originale, titolo top, bravo. Sicuramente sul podio, vediamo come. Alla prossima, G. **** ----------------------------- Aldobbello Ciao Luca, ben trovato.
Intanto devo dire che ho riso quando il protagonista ha visto la luce nella casa ed è tornato indietro: lì si è capito che fosse casa de Aldo, quindi il finale è arrivato telefonato e senza quell'emozione in più. Il romanesco molto adatto, un tantino pesante ma le soluzioni erano due: o quella per cui hai optato (che ci sta), o quella in cui Er Ciancica pensa in italiano, ma avrebbe fatto storcere il naso a molti. Certo investire l'orologio d'oro (3-5000 euro) per entrare nella banda... sticazzi Aldu', ma hai bisogno di rubare o lo fai per passatempo? E qui, credo, potevi osare... Alduzzo beccato, moscio, flaccido, sudato, che dice al Ciancica: "L'orologio è falso, ma nun se vede!"
Giudizio positivo, certamente sul podio. Alla prossima, G. **** ---------------------------- Stesso posto, stessa ora
Ciao Stefano, non leggevo una storia così dolce da tempo! E non è assolutamente un punto a sfavore. Scrivi bene, lineare, senza intoppi. Talmente lineare che, per mettere un po' di pepe, secondo me avresti potuto lasciare nel dubbio la ragazza per qualche altro secondo quando dice a lui che nessuno sa che è lì. Tipo un movimento di lui, un ghigno sensuale, un brivido insomma. Qualcosa che facesse credere al lettore: ora ne approfitta. E invece il ragazzo è dolcissimo, ma attento che il miele è buono, dolce. Troppo potrebbe far male!
In definitiva è un lavoro positivo, perché la storia è scritta bene, aderente al tema e si legge con piacere. Alla prossima, G. **** -------------------------- Lo smemorato Ciao Dario,
tema declinato bene, emozionante, malinconico, con un numero di personaggi esagerato per i caratteri a disposizione, senza che quest'ultimo aspetto ti porti alcun beneficio, anzi. L'idea è molto aderente al tema, tra le migliori del contest, però l'atteggiamento dello smemorato mi lascia un tantino perplesso: vero, si può perdere la memoria completamente e conoscere bene la quotidianità come il tuo protagonista, ma lui ragiona in maniera "perfetta" ed è strano non si faccia alcuna domanda. Secondo me doveva apparire leggermente più "toccato/scemotto/ripetitivo" per essere credibile, ma magari è solo un mio pensiero (non ho letto i commenti degli altri!). Finale giusto, delicato, che fa venire voglia di carezze al protagonista. Lavoro in generale interessante. Alla prossima, G. *** --------------------------
Non avrai altro dio
Ciao Alessandro, piacere di leggerti.
L'incipit bello, molto, con una prosa pulita, curata. Il poliziesco non passa mai di moda e sembri portato per questo genere di racconto: sembra infatti una scrittura matura, che conosce i dettagli e li usa al posto giusto. Quando però c'è il cambio di genere e si passa all'horror tipo "esorcista", ecco che mi è parsa una scrittura più frastagliata, meno lineare, forzata. Questa bambina-dio non mi ha esaltato insomma, perché di lei/lui non sappiamo nulla e ci emoziona poco, non sappiamo cosa aspettarci. Il finale ci sta, il tema c'è. In conclusione è un buonissimo lavoro, con dei punti interrogativi sulla divinità, ma rimane un giudizio positivo. Alla prossima, G. *** ------------------------ Melagrane Ciao Laura,
a caldo questo è un racconto che mi lascia amareggiato, perché lo stile è tra quelli che preferisco, ma ti è mancato l'equilibrio tra descrizioni emotive e linearità della storia. Un peccato, un vero peccato. Il tuo stile descrittivo, immersivo, con un po' meno confusione, sarebbe stato premiato, certamente da me. I punti forti si intrecciano ai deboli, ad esempio il "lui" iniziale, per me, ci sta; non stai dicendo chi è, mi metti pressione, ho voglia di scoprirlo, però succede che nel racconto entrano troppi personaggi senza nome per un racconto così corto e quindi quel "lui" ti si ritorce contro. Avrei snellito, in questo senso. Curiosità: ma se è un delitto pianificato e non d'impeto, perché andare a piedi scalzi? magari le facevi comprare un paio di infradito nuove che avrebbe gettato dall'autostrada, nel fuoco, in mare, ecc... A rileggerci, ciao, G. ** ------------------------ Il gioco del bruco Ciao Antonio,
un testo discreto a parer mio, che ha come punto di forza la scorrevolezza, tranne nella spiegazione del gioco che rimane, nella sua semplicità, un tantino pesante per un testo del genere. Il protagonista racconta fatti di vita reale, ha indubbiamente la capacità di intendere e di volere, anche se minorenne; ecco, trovo il suo comportamento molto "border line": mi sta bene che possa essere attratto dalla sorellina, ma che abbassi i pantaloncini ecc.. ecc.., lo trovo fuori luogo per un ragazzo non seguito (ancora) dai servizi sociali. Meglio (come ti hanno fatto già notare) il rigonfiamento umido dei pantaloncini e gli sguardi attoniti dei fratelli. Buonissime potenzialità, ma certe volte meglio non strafare. A rileggerci, ciao, G. ** --------------------- Quell'unica volta Ciao Katija,
chi mi ha preceduto ha sottolineato per bene molti spunti su cui lavorare. Posso aggiungere che si perde, qua e là, la fluidità che la lettura dovrebbe avere; la storia ha un'ambientazione piuttosto truce, cupa e avrei preferito delle pennellate con frasi brevi, per lasciare spazio all'immaginazione e poter metabolizzare il contesto. Perdonami, ma anche i nomi, che probabilmente sono originali, li avrei scelti più "digeribili" alla prima lettura: altrimenti bisogna fermarsi, rileggere, tornando al punto di partenza, a quella fluidità che ti dicevo. Finale non scontato, che cerca il colpo di scena: ci può stare, ma anche senza la storia avrebbe retto. Alla prossima, G. * -------------------- Sono fregato
Ciao Filippo,
piacere di leggerti.
Allora... inizio molto promettente: due belle pennellate e si capisce bene il contesto. Il resto ce lo diranno i lampioni, il fumo, la camera di sopra, ecc.. Non mi sono piaciuti molto i dialoghi, li ho trovati poco incisivi, mi spiego: per me la storia è bella, l'ambientazione anche e dai la giusta enfasi alle descrizioni. Trovandoci in un pub inglese del secolo scorso o del milleottocento, davanti a un ubriaco (che non ha in quel momento la capacità di intendere e volere), non riesco a immaginare il proprietario che dica: «Porta fuori questo signore. Sta importunando Judith...» Avrei preferito: «Ehi, sfregiato, porta via questo alcolizzato di merda. E' la terza volta che tocca il culo a Judith...» E così anche lui, che lo chiama pel di carota, come se fossimo alle scuole medie; all'inizio ci vedevo qualcosa di Arancia Meccanica e, per me, avresti dovuto seguire quel filone. Alla prossima, ciao, G. **
Mentre per i primi due posti la posizione mi è stata chiara sin dall'inizio, per i racconti dalla terza alla quinta avrei preferito un ex-equo; alla fine ha vinto il gusto personale.
1. Lo smemorato, di Dario Cinti 2. Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto 3. Quell’unica volta, di Katjia Mirri 4. Non avrai altro dio, di Alessandro Canella 5. Aldobbello, di Luca Nesler 6. L’intruso, di Davide Mannucci 7. Melagrane, di Laura Calagna 8. Sono fregato, di Filippo Rubulotta 9. Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
COMMENTI
Aldobbello, di Luca Nesler
► Mostra testo
Racconto divertente, scanzonato, che si legge tutto d’un fiato, quasi una vignetta umoristica. L’uso del dialetto romano ci porta in un immaginario di delinquenza di bassa leva dove tutto può succedere. I personaggi sembrano entrambi innocui, quasi che giocassero a guardie e ladri. Il punto di forza che vedo è il personaggio dell’aspirante ladro, che pur di entrare in una banda è disposto a perdere qualcosa di suo e rimane ingenuo fino alla fine. Vi sono però diversi punti di debolezza. Il primo è l’uso del dialetto romano non proprio preciso; per chi non è di Roma può essere credibile, ma per un romano si sente molto la forzatura e l’imprecisione di termini qua e là infastidisce e allontana; ad es. “burino” si usa solo per chi vive fuori Roma, mentre è evidente che Aldo vive in città; i pizzardoni sono i vigili e non i poliziotti. Ciancica, il personaggio narrante è così fortemente caratterizzato da essere un po’ una macchietta, ma probabilmente questo è voluto. A mio avviso, pulendo il dialetto e rendendolo un filo meno macchiettistico il racconto ne guadagnerebbe.
L’intruso, di Davide Mannucci
► Mostra testo
L’infestazione del demonio diventa contagiosa, come frequentare un indemoniato sia spiacevole e, in particolare, pericoloso, molto pericoloso. Ben descritta l’articolazione tra quanto Gioele pensa per sé e quando invece viene controllato dall’essere che è in lui (il demonio?). La progressione che porta al gran finale mi sembra che ogni tanto scivoli un po’ troppo per rimanere negli effetti di genere; ad esempio da dove arriva il catarro, se il bambino non ha problemi respiratori (e nulla ce lo fa intuire)? Il bambino sembra molto ingenuo, ad otto anni (se anche lui fa la terza) non sa che la messa viene fatta in chiesa, cosa ben strana in una famiglia che chiama l’esorcista anziché lo psicologo. La fine non l’ho ben capito. Mi sarei immaginato che aver bevuto il vomito potesse aver cambiato il sacerdote, ma invece cambia la madre, senza che chi legge capisca perché avvenga il cambiamento. Sembra anche strano che la signora si fosse presentata dal bambino con il sacerdote armata di coltello. Una prova interessante, per chi ama il genere.
Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto
► Mostra testo
Un racconto equilibrato. In una scena sola riesce a far incontrare due ragazzi sulla base del senso di estraneità alla loro casa. Ho trovato un punto di forza che il contatto tra i due sia delicato, che si siano incontrati più nelle parole che nel resto, anche se riesce a trasparire l’attrazione che ognuno prova per l’altro. Mi sembra però che l’orfanotrofio sia presentato come forse poteva esserlo cinquant’anni fa, e dal racconto non si capisce che non sia ambientata oggi. “Pane e acqua per un mese” è davvero troppo forte. Tra l’altro, oggi gli orfanotrofi si chiamano “case famiglia”. Mi è sembrato anche innaturale che un ragazzo così giovane possa dire una cosa come “Questa è proprietà privata”. In questo senso toglierei anche l’occhiolino (che fuori dai social è cosa pressoché inesistente), sostituendola con un sorriso, anche più adatto ai toni tenui del racconto. Lavorerei per rendere queste parti meno forti e più fluide.
Non avrai altro dio, di Alessandro Canella
► Mostra testo
La follia del Dio, sembra quasi un tema dionisiaco, in un contesto moderno tra polizia e medicinali. Il Dio impazzisce e, pregando il suo Dio, gli chiede di uccidere gli umani. Sembra che ci siano più dei che prendono forma in un avatar umano. Il racconto lascia molte domande aperte. Perché il Dio pensa che lui e suoi simili siano impazziti (“gli altri miei simili impazziti”). In che senso sono impazziti? E perché vuole uccidere le persone, facendolo peraltro in un modo molto poco efficiente, pochi umani per volta e sporadicamente? Perché non dànno una botta in testa alla bambina per stordirla, visto che è così pericolosa? Che relazione c’è tra questo Dio e gli altri suoi simili e, più ancora, che relazione c’è tra il Dio nella bambina e il suo Dio? E perché l’ispettore crede così fortemente che quello sia un Dio? Questa sembra una cosa così difficile da immaginare, in un contesto moderno. Il racconto mi sembra non tanto auto-contenuto quanto uno spunto per un racconto molto più lungo, se non un romanzo, che mi farebbe anche piacere leggere. L’aderenza al tema mi sembra poco evidente. Forse è che questi dei sono in casa d’altri (gli umani)?
Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
► Mostra testo
Racconto su un momento di passaggio della vita di un ragazzino, caratterizzato dalla perdita di controllo. Una situazione descritta con molti dettagli, che rimanda ad un momento critico. Il racconto mi ha lasciato alquanto perplesso. Ho trovato che la spiegazione di cosa sia il gioco del bruco sia eccessiva per la lunghezza del racconto e non particolarmente chiara: si gioca seduti? Chi sta in piedi deve staccare le mani a chi è seduto? Cosa farebbero gli alleati? Non conoscevo quel gioco, cercando sul web ho trovato regole diverse quindi immagino che sia una versione specifica del gioco. Se l’obiettivo è quello di staccare le mani, sembra improbabile che la bambina sia messa in mezzo, visto che evidentemente è l’anello debole. Ci si sarebbe aspettati che fosse in coda a tutti, ma ovviamente così cade il racconto. L’altra stranezza è che il testo viene raccontato al passato, tanto che il personaggio ricorda le parole dei fratelli. Eppure non sembra esserci nessuna considerazione di un fatto che presumibilmente avrà avuto una ricaduta enorme sulla sua vita: è immaginabile che dopo una scena del genere sarà stato non solo preso in giro, ma probabilmente ostracizzato da almeno tutta la classe, non proprio una cosa così irrilevante. Aggiungere un approfondimento psicologico a posteriori del personaggio, o portare tutto al presente, renderebbe il racconto più incisivo. Così mi sembra un po’ tronco, senza che io possa trovare un senso a quello che è successo.
Lo smemorato, di Dario Cinti
► Mostra testo
Quando ero bambino, si usava ancora il termine “scemo di guerra”, che forse esprime molto bene quel che è diventato il nostro smemorato. Racconto un po’ confuso ma che una volta compreso è interessante. Molto bello il rapporto della ex moglie con lo smemorato, così come quello del nuovo marito con il resto della famiglia. Trovo diversi punti di debolezza che andrebbero sanati per rendere il racconto più forte. La semina degli indizi per far capire che lo smemorato è l’ex marito è un po’ troppo artificiale, come evidente ad es. nella frase “Alzo la mano senza anulare”. L’inizio è alquanto confuso, non si capisce perché gli abbiano dato un prosciutto, che ha un valore estremamente elevato, che sembra eccessivo per il supporto che può dare il nostro personaggio. Così come non si capisce perché debba andare via perché il prosciutto pesa troppo: non poteva posarlo da qualche parte? La parte della sorella sembra un po’ avulsa dal resto. Immagino che serva a far capire il rapporto di parentela tra lo smemorato e la bambina, ma a quel punto mezza riga sulla sorella sarebbe stato meglio aggiungerla. Racconto non perfetto, ma che ho trovato davvero bello pensando alla sofferenza di questi poveri soldati tornati “danneggiati” dalla guerra e delle strane forme di recupero che effettivamente ci sono state.
Melagrane, di Laura Calagna
► Mostra testo
Dramma famigliare in una famiglia disfunzionale dove la violenza estrema sembra essere un tema ricorrente. Il racconto si fa leggere, il personaggio strano abbastanza da essere interessante in sé (figlia con pelle bianca eterea con padre dalla pelle cioccolato). La casa e l’ambiente esterno ben descritti. Ho trovato però il racconto alquanto confuso. Anche alla seconda lettura non ho capito chi ha ucciso il padre, perché un po’ sembra essere stato il marito/compagno della sorella e un po’ la sorella stessa. Non ho nemmeno capito chi è il soggetto di questa frase: “Non ho provato pietà mentre rantolava, ieri.”. Se lei è finita in prigione, senz’altro non sarà stato il padre, ma è improbabile che sia anche la sorella; se “rantolare” è stato usato per un rapporto sessuale, l’uso mi sembra improprio. Anche nella frase “A lui piace mordicchiarla e a me piace lasciarglielo fare.” non mi è chiaro chi sia lui, a meno che la storia con il cognato non stia andando avanti da un po’, nel qual caso potrebbe essere utile farlo capire e far capire perché quel giorno si passi dal sesso alla morte. Il padre è un po’ troppo assente, per quanto così importante nell’economia del racconto. Credo sia utile spendere qualche parola per caratterizzarlo. Il contesto della villa con parquet costoso, quadri e lago, sembra fare un po’ a cazzotti con una morte data per pochi soldi (più un meno 200 euro). Cosa è successo per passare dalla povertà all’agio? Sono troppi dubbi per apprezzare davvero il racconto, che però ha una qualità di descrizione che mi sembra decisamente interessante. Chiarire questi aspetti e dare più spazio alla narrazione della storia e del contesto potrà senz’altro consentire di esprimere un bel valore.
Sono fregato, di Filippo Rubulotta
► Mostra testo
Gli effetti lunghi della violenza in un mondo violento. Il punto chiave del racconto mi sembra essere “Lei non sa chi sono io”. Racconto che si fa leggere, ma con qualche difficoltà. La maggiore è che si capisce che ci troviamo probabilmente nell’ottocento o giù di lì finché non arriva alla lampada e all’avviso del rischio degli incidenti. Questo mi ha richiesto di cambiare tutta l’immagine mentale che mi ero fatta nella scena delle carte. Non un problema grande, ma forse si può ridurre questa frattura. Il problema più grande che trovo è che mi sembra che tutto l’episodio sia eccessivo. Lo sfregiato ha portato fuori il pel di carota, gli ha dato una spinta quando ha provato a rientrare, ma non lo ha né picchiato né insultato. Perché mai questi dovrebbe arrivare al punto di presentarsi con molte persone per fargli ricordare di non aver capito chi fosse? Sembra anche improbabile che un tipo così usi il “lei” per rivolgersi ad un buttafuori. La tecnica c’è, la storia si legge, il racconto però mi sembra poco credibile e in quanto tale non lo riesco ad apprezzare appieno.
Quell’unica volta, di Katjia Mirri
► Mostra testo
La difficile vita degli spettri in un aldilà davvero deprimente. Lo svelamento della natura spettrale dei personaggi rende il racconto interessante, anche grazie al dialogo più intimo. La parte iniziale serve a dare il contesto, ma mi sembra un po’ ostica, si fa un po’ difficoltà a capire quale sia l’ambientazione e i nomi gallesi non aiutano. Il racconto lascia qualche qualche punto aperto, ad esempio perché prima c’erano altre “persone” e poi no, dove sono finite, se il villaggio è un doppio di quello originale. Visto che poi non sono molto funzionali al racconto, ed evidentemente 4.000 caratteri più di quello che hai fatto non si può fare, potrebbe essere utile semplificare un po’ il contesto. Il secondo colpo di scena, la passione di Fergus per Aelhaearn, mi lascia alquanto freddo, avrei preferito capire meglio i sentimenti reciproci dei due personaggi. Mi ha lasciato un buon sapore.
Ecco la mia classifica. Mi avete fatto soffrire, forse una delle più difficili da quando sono su MC.
1. Aldobbello 2. Lo smemorato 3. Non avrai altro dio 4. Stesso posto, stessa ora 5. Melagrane 6. L’intruso 7. Il gioco del bruco 8. Sono fregato 9. Quell’unica volta
I commenti in ordine di lettura.
Aldobello Guarda, di ridere fa ridere (e per farmi ridere con la lettura ce ne vuole). Mi piace soprattutto il modo in cui sono mostrate le informazioni e i piccoli dettagli caratteriali, ben dosati a livello di show. Se devo essere onesto il finale, nonostante sia adeguato, non mi ha preso tantissimo. Il fatto è che non sapevo cosa aspettarmi da questa storia, o forse sì: mi sarebbe piaciuto vederli fallire. È un classico, no? Ma qui ci stava. Avrebbe aggiunto quel tocco di malavita un po’ indecisa e vederli bestemmiare appresso alla pula sarebbe stato ancora più comico.
L’intruso È inutile che ti dico cosa mi ha ricordato il racconto. Il testo in se non è male, tolta qualche sezione dove ci sarei andato più pesante, e non è riuscito a coinvolgermi. Uno dei problemi che ho identificato riguarda i dialoghi, poco ispirati a mio parere. Credo che un altro problema sia non l’aver osato un filo in più, mettendoci del proprio (in questo caso qualcosa di tuo) per diversificare un po’ la vicenda.
Stesso posto, stessa ora Alcune info sono ben presentate, altre sembrano soprattutto rivolte al lettore anziché filtrate dal personaggio (vista la prima persona) o interiorizzate o mostrate come effetti di qualcosa o su qualcosa. La vicenda è dolce, tanto dolce. Mi sarebbe piaciuto di più se nei dialoghi fosse filtrato qualcosa in più dei personaggi e del loro “obiettivo”. Il concetto di abitazione/casa è ben espresso e lavora bene sul tema dell’edition. Viene reso chiaro che lei non si trova bene a casa del preside, non serviva ripeterlo così spesso.
Non avrai altro dio Non male, per una volta si tratta di un dio a possedere una persona e non un vile dimonio. Non mi è piaciuto tanto quel “appuntò mentalmente” riguardo alle pillole: capisco l’intento ma l’avrei mascherato un po’ meglio, magari spostandolo più avanti in un discorso con gli altri agenti? Boh. Però ci siamo capiti. Ci sono anche altri frangenti in cui avrei rivelato le informazioni in modo più subdolo. So che hai sempre dubbi che le tue informazioni non passino (ho letto commenti vari alle tue storie nelle edition passate), ma io ti preferisco in quella maniera. Ripeto che è una mia preferenza da tizio che non è tanto d’accordo col fatto che il lettore sia dio e l’autore messo al suo servizio e dovuto a spiegargli tutto. Nell’approcciarsi al testo un lettore deve “meritarsi” le info ed essere capace di ottenerle (è un approccio su cui sto ancora lavorando, ma la mia idea di base è circa questa). Long story short: la storia è bellina, poche pecche nei dialoghi e “intro” un po’ lunghetta.
Il gioco del bruco Mannaggia. Lo stile della narrazione può non piacere a qualcuno, ma io non credo che il problema sia quello. Probabilmente ti è stato già fatto notare che la spiegazione del gioco è troppo lunga per un raccontino del genere, quindi sorvolo anche su quello. Allora cosa resta? Resta che il concetto della storia mi piace ed è interessante, ma ci sono delle piccole pecche che non mi hanno permesso di godermelo appieno. Se l’obiettivo era di narrare delle difficoltà di questo ragazzino e della sua prima eiaculazione (su una bambina), sarebbe stato più interessante costruire un gioco più semplice e una situazione congeniale a setuppare questo scenario. Mi sembra anche brutto dire che il conflitto è quasi assente, perché non è del tutto vero, ma siccome il vero “dramma” arriva solo sul finale è un po’ difficile apprezzare il tutto sin dal principio.
Lo smemorato L’idea di base è carina e mi piace anche il messaggio. Credo però che il testo vada un po’ levigato. È una scena breve ma riesce a essere caotica, almeno secondo me: tanti nomi, tante info per il lettore, tante cose che potevano essere rimosse o integrate meglio in dialoghi/pensieri. È pure probabile che mi sia perso qualcosa, perché intravedo qualcosa che ha a che fare con lo smemorato, qualcosa che lui ha fatto e di cui non si rende propriamente conto. Aspetta un attimo: ma Flavia è la moglie dello smemorato e poi dell’altro tizio? Ah ok. Questo rende il tutto più interessante, ma non tanto da farmi rimangiare i commenti sulla caoticità e il resto. Resta un bel testo.
Melagrane Ti giuro che all’inizio avevo pensato che figlia e padre avessere un affair, ma invece è una questione tra sorelle(?). La sorella e la madre facevano qualcosa alla protagonista? Molestie (o sono io che vedo crimini sessuali ovunque)? Non credo di aver interpretato tutto e il racconto è un filino enigmatico (o sono io scemo). Mi piace come si muove a livello di narrazione; magari è vero che si può migliorare e perfezionare a livello di stile e pacing, ma fa il suo lavoro d’immersione. Alla fine l’immersione gioca anche sulle emozioni e le esperienze del lettore, e io in questa storia ho trovato tanti elementi che gradisco. Bella prova. Un filino di attenzione in più sul mostrare i dettagli e rivelare le info al giusto momento e sarebbe stato perfetto.
Sono fregato Dai, non male! Il pacing è buono, la storia scorre, ma scorre troppo. Qualcosina nella narrazione e nella gestione dei dialoghi fa scorrere il tutto troppo rapidamente senza però dare veri scossoni, senza nulla che si aggrappi davvero al lettore che passa di lì. Mi piace che il personaggio principale abbia una sorta di trasformazione, da tizio molto brusco a tizio che se ne pente e realizza che deve calmarsi, e avrei giocato molto di più su questo dandogli più colore e più spazio.
Quell’unica volta Col senno di poi, una semina di informazioni per intuire il finale la si può vedere, ma non so se basta. È una di quelle storie dove si gioca molto sulla differenza tra fabula e intreccio, e forse la resa finale non arriva perfetta come dovrebbe. Tutto sommato l’uso del tema mi piace ed è davvero un peccato che a livello formale la storia per me abbia dei piccoli problemi (un filino di raccontato, persino se la distanza narrativa non è proprio immersa; parte iniziale molto statica e descrittiva).
"Scrivo quello che voglio e come voglio. Fatevelo piacere."
1. Aldobbello, di Luca Nesler 2. Non avrai altro dio, di Alessandro Canella 3. L’intruso, di Davide Mannucci 4. Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto 5. Lo smemorato, di Dario Cinti 6. Sono fregato, di Filippo Rubulotta 7. Melagrane, di Laura Calagna 8. Quell’unica volta, di Katjia Mirri 9. Il gioco del bruco, di Antonio Pilato COMMENTI
Aldobbello, di Luca Nesler
► Mostra testo
Buon Nesler, ben trovato. Racconto dalle tinte ironiche divertente. Da non Romano ho apprezzato l'uso del romanaccio non troppo spinto nella narrazione in prima persona. Ammetto di aver capito dove volevi andare a parare, ma come si dice sempre, non è la meta che conta ma la strada che si fa per raggiungerla. E se te lo stai chiedendo, sì, lo dico per tirare l'acqua al mio mulino visto che ogni 3x2 qualcuno capiva dove volevo andare a parare e me lo segnalava tra i difetti imprescindibili del racconto! :P In bocca al lupo per l'edizione.
L’intruso, di Davide Mannucci
► Mostra testo
Ciao Davide e piacerti di averti letto. Il racconto mi è piaciuto, soprattutto in ottica di declinazione del tema. Casa d'altri vista come il corpo di un essere umano, fico. Chiaro, parla di un esorcismo. E in linea di massima gli esorcismi si svolgono più o meno così. Niente di innovativo, ma il tutto è ben gestito con il doppio punto di vista umano-demoniaco. La scoperta nel finale che anche la madre è un demone è inaspettata. Una buona prova! In bocca al lupo per l'edizione.
Stesso posto, stessa ora di Stefano Moretto
► Mostra testo
Ciao Stefano e piacere di leggerti. Intanto comincio facendoti i complimenti per il romanzo, che ho quasi finito di leggere! sperando che qualcuno degli altri legga sto commento e sia incuriosito, soprattutto considerando che esce da un contest proprio di MC! Scrittura pulita e gradevole come ti contraddistingue. Racconto molto dolce e toccante, ma ci ho trovato poco conflitto. Sarebbe perfetto per una scena di intermezzo o come presentazione dei personaggi, ma come racconto non rende alla perfezione. Spiegami solo questa frase: "la coda di cavallo attorno alla vita" all'inizio ho pensato a uno spin off del tuo romanzo, ma magari sono i capelli e ho travisato. Però alla faccia della coda, lunga fino al sedere?
Non avrai altro dio, di Alessandro Canella
► Mostra testo
Ciao Alessandro e piacere di averti letto. Beh, considerando a che ora hai iniziato a lavorarci hai fatto un piccolo miracolo! Complimenti. Non potrò tenere conto del poco tempo che hai avuto a disposizione, ma posso dirti che io non avrei scritto una roba così buona in così poco. Il racconto mi è piaciuto molto, mi dispiace solo che alcuni dettagli siano andati persi nella fretta. Come ad esempio il fatto che sia normale per loro convivere con queste divinità, come hai detto in un commento. Purtroppo non l'ho colto nel testo e mi è rimasto a lungo il dubbio del perché si comportassero in quel modo. Finale, assolutamente azzeccato. Ancora complimenti e peccato per il malus.
Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
► Mostra testo
Ciao Antonio. La dinamica della "prima volta" di un possibile pedofilo poteva essere un gran bel racconto. Pesante, disturbante, ma proprio per questo interessante da leggere. Non vedo molto il tema. Ok, sono a casa di qualcun altro, ma è davvero marginale come cosa. Il gioco lo avrebbero potuto fare praticamente ovunque. Sullo stile non mi dilungo, dico solo che mi piacerebbe rileggere lo stesso racconto scritto con uno stile opposto, immediato, qui e ora. Sarei curioso del risultato. Alla prossima lettura!
Lo smemorato, di Dario Cinti
► Mostra testo
Ciao Dario e piacere di averti letto. Una storia molto delicata, con alcune pennellate di gran classe, complimenti. L'unico difetto che ci ho trovato è la mancanza di conflitto. Sì, ci hai presentato questo smemorato, rimasto scioccato dalla guerra, ma nel racconto non succede nulla che crei conflitto, quindi rimane la presentazione di un personaggio. Assolutamente memorabile, ma solo la presentazione di un personaggio. Ho apprezzato tantissimo tutti i dettagli che hai seminato, dalla mancanza del medio, ai due papà, all'anello doppio. Forse c'erano un po' troppi nomi proprio, l'ho dovuto rileggere per avere la certezza di aver capito tutto. Avrei eliminato del tutto quelli dei paesani, tenendo solo la moglie, la figlia e il nuovo marito (e sarebbero comunque stati quattro nomi da ricordare). Un'ottima prestazione. In bocca al lupo per l'edizione.
Melagrane, di Laura Calagna
► Mostra testo
Ciao Laura e benvenuta. allora, l'idea alla base del racconto, mi è piaciuta molto purtroppo ci sono un paio di ma. Credo che per comunicarci tutti i dettagli che avevi in testa avresti avuto bisogno di molti più caratteri. La tripla vendetta è molto intrigante, ma vista la brevità del contest avrei spinto di più sul descrivere questo omicidio invece che perdersi in rimembranze su quello del giorno precedente (la madre). Inoltre avrei chiarito che si era tenuta per ultima la sorella, quella che più odia visto che l'ha incastrata. Tra i lui e i lei ho avuto un po' di difficoltà a comprendere ogni incastro, meglio mettere soggetti più chiari e evidenti se hai così tanti personaggi in così poco spazio. La parte iniziale con tutti i dettagli sul vestito e sulla capigliatura rubano troppo spazio, credo avresti potuto usare quei caratteri per farci capire meglio tutta la storia pregressa. La chiusa finale "Papà aveva scelto me. Ho scelto anche io lui." rimane troppo criptica. Credo di aver capito cosa intendessi, ma non ne ho la certezza. Mi sarei fermato a papà aveva scelto me. In bocca al lupo per l'edizione.
Sono fregato, di Filippo Rubulotta
► Mostra testo
Ciao Filippo. Il racconto inizialmente mi aveva fatto pensare ad un setting da far west, nonostante il pub in prima riga. Solo quando nomini Londra passo ad immaginarmi una scena alla Peaky Blinders. La parte iniziale con la partita a carte dovrebbe settare la scena, ma in realtà distoglie dal fulcro della narrazione e aggiunge poco se non il dettaglio della cicatrice. Avrei mostrato altro. Quanti buttafuori ha il locale? Sfregiato e i ragazzi? Non mi convince che Sfregiato non riconosca il tizio visto la sera precedente. Se fosse stato lui quello ubriaco anche anche, ma così mi fa proprio strano. Potevi dire fosse passata una settimana, o dieci giorni. Sarebbe stato più credibile. La reazione del rosso mi sembra un po' eccessiva, ma in quell'ambiente forse basta anche uno sguardo storto per essere malmenati. Invece non capisco il comportamento del proprietario, che non solo non lo copre, ma si incarognisce pure lui con la battuta "ho detto solo di accompagnarlo alla porta, non di maltrattarlo" quando prima sussurra "Maledizione, dovevano avvisarti di non venire". Quindi è dalla sua parte o no? e poi chi doveva avvisarlo? I ragazzi che non ci sono? Lo stile non è male, scorrevole dall'inizio alla fine, tutto quello che succede è ben comprensibile. In bocca al lupo per l'edizione.
Quell’unica volta, di Katjia Mirri
► Mostra testo
Ciao Katjia e ben arrivata su questi lidi. La storia è interessante, il colpo di scena finale fa rivalutare tutta la narrazione con occhi diversi ed è molto piacevole. La tua scrittura però è troppo ricercata, a tratti di difficile lettura. Manca di immediatezza e fluidità. Non ti dico di passare al "lato oscuro" della scrittura immersiva o dello show don't tell, però valuta di alleggerire le frasi, ridurre le subordinate e rendere tutto più intelligibile, credo che la qualità finale ne gioverebbe. Se hai qualche domanda, più che volentieri, ma prima di mettermi a fare il maestrino mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
1 Aldobbello, di Luca Nesler 2 Non avrai altro dio, di Alessandro Canella 3 L’intruso, di Davide Mannucci 4 Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto 5 Sono fregato, di Filippo Rubulotta 6 Lo smemorato, di Dario Cinti 7 Melagrane, di Laura Calagna 8 Il gioco del bruco, di Antonio Pilato 9 Quell’unica volta, di Katjia Mirri
Aldobbello, di Luca Nesler
► Mostra testo
Ciao Neslerone, oh che bello, a grande richiesta è tornata la linea comica di Minuti Contati, il nostro Martellone che ce fa ride’. E lo fai molto bene con questo dialettaccio da Italia Centrale (stiamo sul vago che nessuno si offende) e con un testo che corre giù fino in fondo. Si arriva insieme al finale, sai che a me come a Fagiolo piace l’intuisco-non intuisco (fratello del vedo-non vedo) e va bene così. Divertente, scanzonato, questo genere ti veste come un guanto, mi spiace per te che da grande volevi fare il serio.
Non avrai altro dio, di Alessandro Canella
► Mostra testo
Ciao Alessandro! Il racconto mi è piaciuto. Lineare, capito tutto al primo colpo, pulito. Hai una prosa particolare, studiata ma non scolastica, ci vedo sotto molto ragionamento per potersi concedere qualche vizio senza però esagerare. E in questo mezzo ti seguo molto bene. Sotto ti segnalo comunque due frasi che avrei scritto in altro modo, così per non perdere l’abitudine. Mi è piaciuto come caratterizzi da subito protagonista e, man mano che avanzi, i comprimari. Direi che hai superato brillantemente l’ostacolo “molti personaggi sul set”, e non è da tutti. O meglio: dai l’impressione che ci siano molte persone sul set, in realtà agiscono e dialogano in tre. Ho adorato la frase: “Il poliziotto porse nuovamente il flacone” prima di continuare con il rapporto. Ecco le due frasi: [In quel momento ] le sue orecchie furono raggiunte da una litania in una lingua sconosciuta. intenta a ripetere la litania [che perseguitava le teste dei presenti].
L’intruso, di Davide Mannucci
► Mostra testo
Ciao Davide, il tuo modo di scrivere mi piace. Anche l’alternanza tra le voci era opportuna e dosata. Ho cominciato a intuire cosa stava succedendo con gradualità e questo lo ritengo un punto a favore. Entri pian piano nella storia senza incespicare e con la giusta dose di informazioni (finale escluso). Ho apprezzato meno due cose, però: la prima è relativa alle battute di dialogo dell’esorcista. Forse la mia percezione è falsata dai film americani sull’argomento, ma il don si esprime in un modo un po’ improvvisato invece che secondo formule in linea con la professione. Seconda cosa, il finale a sorpresa. Che è veramente a sorpresa, arriva veloce e senza elementi che facciano capire cosa sta succedendo. O meglio, una frase c’è, rileggendo: “La mamma sta sorridendo in un modo strano e guarda Don Silvano”, il che poteva far capire che il demone stesse separandosi e abitando la mamma. Il problema è che subito dopo viene contraddetto dal “Non riesco più a stare qui dentro, devo uscire. Questo corpo mi opprime. Devo andarmene.”, che fa pensare che la cosa che hai appena pensato non sia avvenuta. E che poi invece è successa. Ecco, forse avrei lavorato un po’ più di semina, per non lasciare questo senso di straniamento sul finale. A ogni modo, la maggior parte del racconto è filata via liscia e mi è piaciuta. Lo piazzerei a pari merito con quello di Rubulotta: però preferisco il tuo per il modo in cui piloti la storia e lavori di disvelamento.
Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto
► Mostra testo
Ciao Stefano, hai scritto un racconto delicato, composto bene e con una scrittura lineare. La timidezza della paura della protagonista esce in vari punti in modo efficace, solo che io l’avevo immaginata in un’età al massimo adolescenziale, proprio per queste sue remore. Quando a metà racconto dice di averne diciassette mi ha un po’ stonato. é anche vero che lei potrebbe benissimo mentire, questo non lo sappiamo in effetti. A ogni modo, il tema del non sentirsi a casa propria sia fuori che dentro l’istituto è trattato bene, e l’apertura finale arriva piacevole.
Sono fregato, di Filippo Rubulotta
► Mostra testo
Ciao Filippo, mi è piaciuta molto la scorrevolezza del racconto. Non mi sono mai dovuto fermare, è filato liscio fino alla fine senza intoppi. I personaggi sono ben identificati, non ho mai avuto dubbi su chi stesse parlando. Quindi buono, la forma mi è piaciuta, racconto semplice, diretto e lineare. Sei solo il terzo che leggo e quindi ipotizzo un piazzamento: ti metterei nella prima metà classifica. Una finezza che hanno fatto notare anche a me in passato (era stato Dario Cinti, che ringrazio ancora adesso per questo trucchetto): dal finale, prova a togliere l’ultima riga: ora senti come chiude.
Lo smemorato, di Dario Cinti
► Mostra testo
Acc.. Dario! Alla fine della prima tornata non l’avevo proprio capito, ho dovuto rileggerlo attentamente... ...e alla seconda, ho finalmente capito chi è Alfredo, lo smemorato. E la storia è molto bella e nostalgica, con questo grosso vulnus legato all'immediatezza. Credo di essermi perso principalmente per l’altissimo numero di personaggi in scena, è la prima volta che ne trovo così tanti in MC. Supponiamo di affrontare la descrizione di un paesello e di dare un affresco della gente che ci abita: penso che l’aver dato un nome proprio a ciascuno abbia creato la falsa impressione che ognuno fosse importante. Gli unici che fanno eccezione, e sui quali infatti sono passato via veloce, sono i due amici del figlio del sindaco. Eccoli tutti: figlio del sindaco +2 amici; Rita e Ines; Alice e Nero, Marisa (solo citata), Renato; Alfredo= lo smemorato; Flavia. In particolare lo smemorato: capiamo che il suo nome è Alfredo solo a metà racconto, quando ne sono già molti e nessuno è ben rimasto in testa. Vedrei due soluzioni, per sbrogliare la matassa in un caso simile: ridurre il numero dei personaggi, oppure ridurre il numero di nomi propri. Meglio ancora, tutti e due. E per lo smemorato, fornirei il nome all’inizio (se proprio serve) con un escamotage. Ad es., lui in risposta ai tre: “Non mi chiamo Smemorato. Mi chiamo Alfredo.” o roba così. Di modo che fissi subito il protagonista. Posizionerei il racconto davanti a quello di Laura Calagna. Su entrambi è stata necessaria una rilettura per capire, ma qui la storia mi ha preso maggiormente.
Melagrane, di Laura Calagna
► Mostra testo
Ciao Laura, oddio che racconto misterioso. è scritto bene, ma ho faticato a capire chi era chi, chi faceva cosa. Arrivato in fondo, mi sono fatto l’idea che la prima intuizione è giusta, ma devo rileggerlo. Il problema è che non ci sono nomi, ma pronomi e legami di parentela. E mentre il maschio è solo uno (o meglio, c’è il riferimento a un fidanzato della sorella, ma quello subito scompare), le femmine sono una + due, e nella mia testa si assomigliano un po’ tutte. Perché è giusto che si assomiglino. Ora lo rileggo, e ti dico. (due minuti dopo) Ecco, a una seconda rilettura mi sono fatto un’idea diversa. Lei non vuole incolpare la madre (cosa che ho pensato al primo giro), ma la sorella. Ma non ne sono ancora sicuro, purtroppo. Insomma: c’è una bella storia, condita di incesti e omicidi, ma è difficile trovare il bandolo della matassa. Ma ripeto, lo stile mi è piaciuto! Posizionerei il racconto dietro Rubulotta che invece ha una trama lineare ma subito evidente.
Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
► Mostra testo
Ciao Antonio, la prosa è pesante, ma è il sentiero che intendi percorrere. Indirizzi i tuoi testi a un pubblico molto ristretto e affezionato, e sinceramente a me sta bene così. Scelgo allora un passaggio del racconto per farti notare alcune cose: In preda a una follia quasi totalmente animalesca a un certo punto non seppi più che cosa mi prese: mollai volontariamente la presa dalla sorella di Leya, mi abbassai con foga i pantaloncini e, prima che potesse alzarsi, tentai di penetrarla ma eiaculai subito sul suo vestitino senza riuscire a raggiungere la sua carne. follia quasi totalmente animalesca: follia animalesca. se proprio, follia quasi animalesca (starei sulla prima) mollai volontariamente la presa: se molla lo fa volontariamente, visto quello che succede dopo. anche se la frase prima introduce un dubbio: se lui non sa più cosa gli prese, potrebbe averlo fatto involontariamente. se togli l'avverbio, togli il possibile errore di comprensione del lettore (non dell'autore) prima che potesse alzarsi, tentai di penetrarla. ok, qui la dinamica mi sfugge. lui si è sfilato i pantaloncini, quindi si è alzato. se lei è ancora seduta, lui non può penetrarla pensando alla vagina o al retto. quindi pensa alla bocca, al naso o al più all’orecchio. ma quel “la sua carne” successivo mi fa pensare che volesse proprio le parti di sotto, e allora non capisco la meccanica della cosa.
Quell’unica volta, di Katjia Mirri
► Mostra testo
Ciao Katjia, piacere d’averti letto. Storia interessante, per renderla efficace c’è da lavorare sulla forma. E fortuna vuole che i primi tre periodi soffrano dello stesso problema, così mi focalizzo e facciamo il punto.
Partiamo dalla prima frase: Lo schianto col quale la finestra si spalancò risuonò tra le mura di pietra come una fucilata. Scena a effetto, con dettagli sensoriali e la maledetta finestra, oggetto simbolo su cui ruota il racconto. Quello che non va è che si perde l’immediatezza della scena. Persa dalla subordinata e dall’ordine con cui i dettagli vengono esposti. La sequenza di lettura è questa: leggi “lo schianto”, poi “la finestra che si spalanca”, arrivi a “risuonò” e devi tornare indietro, perché vuoi essere sicuro di aver capito a cosa si riferisce. Qui non si tratta di essere lettori più o meno navigati, più o meno svegli. Torni indietro o comunque rallenti. Ecco una possibile soluzione lasciando tutte le parole: La finestra si spalancò, lo schianto risuonò tra le mura… /con uno schianto che…
Secondo periodo: Il vento autunnale intriso di nebbia e ululati lontani l'aveva forzata. anche qui, “l’aveva forzata” è fuori posto. O meglio, si trova in una posizione poco efficiente per garantire un’esperienza di lettura che sia fluida. Se qualcuno ti dice che la lettura non dovrebbe essere fluida, scegli pure a chi dare ascolto, io non mi offendo.
E veniamo al terzo periodo: aveva fatto irruzione nel salotto buono come un'orda di barbari all'ultima incursione prima del tramonto Qui abbiamo un dettaglio temporale preciso, ma in una posizione che genera confusione: è riferito alla finestra o all’incursione dei barbari? Se riferito alla finestra, devi aspettare di leggere tutto per avere un’immagine mentale chiara del tramonto (e quindi rallenti / torni indietro). Se riferito all’orda, rimani con il dubbio che si riferisca alla finestra.
Nel testo vedo altri possibili spunti di miglioramento, ma secondo me questo è già un buon punto su cui poter lavorare. L’obiettivo, al solito, è migliorare la forma in modo che al lettore arrivi un buon contenuto. Se qualcuno ti dice il contrario, vedi sopra. E se hai bisogno, chiedi pure.
Racconto molto divertente e veramente godibile. Mi è piaciuto molto. Non sono certa che il romanesco sia perfetto, ma comunque è ben gestito, rende bene e il racconto si legge facile facile, anche se è tutto in dialetto. Ottima la caratterizzazione di Ciancica, che non risulta mai artefatta o banale e ben riuscito il contrasto con Aldo. Unico punto debole la luce all’ingresso che si accende di tanto in tanto. Come semina ci sta. La prima volta mi è passata un po’ in sordina, ma la seconda l’ho sgamata, ho capito subito che la casa era di Aldo, che non fa una piega quando la luce si accende. Che Ciancica non ci desse troppo peso è normale, lui stesso ha chiarito di sapere che non c’era nessuno ed era superfluo fare il palo. Però avrebbe dovuto stupirsi che Aldo non se ne preoccupasse. Anche la parte in cui Ciancica, dopo aver fatto il curvone, vede che la luce dell’ingresso si è accesa di nuovo mi suona strana. Io mi ero figurata che la strada girasse intorno alla casa, quindi lui avrebbe dovuto vederne il retro, non l’ingresso. Ma magari sono io che mi sono fatta un’immagine sbagliata e curvando Ciancica si è trovato proprio di fronte alla casa. In ogni caso un’ottima prova.
2) Lo smemorato, di Dario Cinti
► Mostra testo
Racconto piacevole e scorrevole, buono lo stile e la caratterizzazione del personaggio. Ben gestito il punto di vista, con esclusione di questo passaggio:
Alice si guarda intorno, capisce che ha esagerato nel rispondermi così seccata.
Il protagonista non può sapere che la bambina ha capito di aver esagerato, una frase ipotetica ci sarebbe stata meglio. Per quanto riguarda la struttura della storia devo dire che il tuo racconto mi ha un po’ spiazzato. All’inizio non capivo dove volevi andare a parare. Poi, quando il protagonista, accarezzando i capelli di Alice, constata che sono biondi come i suoi, ho capito che era lui il padre, nonché il primo marito di Flavia, e il finale colpito. Davvero un’ottima prova, complimenti.
3) L’intruso, di Davide Mannucci
► Mostra testo
L’idea è sicuramente interessante, il racconto è piacevole e si legge bene. Ti segnalo solo qualche problemino nelle prime 10 righe, che risultano un po’ confuse.
«Vado io! Deve essere Don Silvano». La voce della mamma copre il campanello. È proprio Don Silvano. Ogni domenica la stessa storia.
In questo punto ci sono due problemi. Da come è scritto sembrerebbe che la madre abbia pronunciato la battuta prima che suonasse il campanello. Certo, più avanti spieghi che Don Silvano arriva tutte le domeniche alla stessa ora, ma all’inizio si crea un po’ di confusione. Anche perché, se la voce della mamma copre il campanello, il protagonista non deve essere proprio vicino alla porta, quindi come fa a sapere che è proprio Don Silvano?
Le campane urlano la fine della messa e dopo pochi minuti arriva il pastore. Ma a far che? Non ricordo mai quello che succede quando lui arriva ma credo si chiuda con la mamma e papà per dire messa.
In questo passaggio introduci il padre che poi, nel resto del racconto sparisce completamente. Non solo non ha battute, ma più avanti, quando il demone che si è impossessato di Gioele lancia il “fiume di magma caldo” ci sono soltanto il prete e la madre.
Ma non sarebbe più semplice andare in chiesa? Sono mesi che ho scoperto che la bionda della terza B ci va tutte le domeniche. E invece noi facciamo le cerimonie in casa. «Tesoro vieni a salutare Don Silvano». Non riesco a muovermi, vorrei parlare ma la bocca non si muove. Poi il buio.
In questo passaggio i punti problematici, a mio avviso sono due. Quando il protagonista dice che vorrebbe andare in chiesa per vedere una bionda della terza B invece di fare le cerimonie in casa. Da quello che dice nel passo precedente, lui sembrerebbe escluso dagli incontri con il parroco. Quindi non capisco il collegamento con la messa. Potrebbero essere semplici visite di cortesia. Insomma non è molto chiaro. L’ultima frase, invece, risulta un po’ frettolosa. Dov’è il protagonista? Se è vicino la madre avrebbe dovuto dire «tesoro saluta Don Silvano». Se, invece, Gioele era in un'altra stanza, mi aspetterei che prima di bloccarsi si avvicini all’ospite. Per il resto il racconto è piacevole e ben costruito. Peccato per questo inizio un po’ faticoso da seguire. Buono lo stile e ben caratterizzati i personaggi. Al netto dei problemi iniziali, resta comunque una buona prova.
4) Non avrai altro dio, di Alessandro Canella
► Mostra testo
Buona l’idea, un po’ meno la realizzazione. Ho trovato parecchi refusi e uno stile a volte un po’ legnoso. Giusto qualche esempio, tanto per capirci.
Nel vederlo avvicinarsi
Una cosa del tipo “Notando il suo arrivo” sarebbe stato più lineare.
«Signore..» Il poliziotto esitò a continuare la frase
Il beat non fa altro che spiegare i puntini di sospensione.
tenevano bloccata una bambina per mezzo di lunghi bastoni
Quel per mezzo è proprio bruttino, avresti potuto più semplicemente scrivere “con dei lunghi bastoni” So che non è il tuo solito modo di scrivere e sono sicura che i refusi e le frasi un po’ involute e/o superflue siano solo conseguenza della serata lavorativa, del poco tempo a disposizione e della conseguente impossibilità di rileggere. Dal punto di vista della struttura ho trovato alcuni punti un po’ confusi e poco chiari. In particolare:
«Signore…» Il poliziotto esitò a continuare la frase. «Che succede? È già il quinto caso nell’ultimo mese e gira voce che lo stesso stia accadendo in altre città.» L’ispettore si limitò a deglutire. In quel momento le sue orecchie furono raggiunte da una litania in una lingua sconosciuta. «Da dove arriva questa voce?» Il poliziotto inciampò sulle parole. «Da…dalle nostre teste.» «Sta dicendo che non l’avete sedato?» L’altro abbassò gli occhi. «Ci abbiamo provato, ma il Carfentanil non sembra avere effetto. Per il momento ci limitiamo a contenere il soggetto.»
Questo passaggio è poco comprensibile. Da un lato il poliziotto sembra non sapere cosa stia succedendo. Però quando l’ispettore gli chiede se lo hanno sedato dice che non ci sono riusciti. Ora, se sapeva che avrebbero dovuto sedare quello che fin qui sembra essere un semplice “sospettato” e che la sua “voce” entra nella testa delle persone, dovrebbe sapere bene quello che sta succedendo, anche se magari non lo capisce del tutto. La battuta, quindi, risulta un po’ artefatta. Lo stesso dicasi per l’ispettore che prima sembra non sapere da dove arrivi la voce, ma poi, quando il poliziotto gli dice che arriva dalle loro teste, non si fa domande e chiede conto del fatto che il “soggetto” non sia stato sedato.
5) Sono fregato, di Filippo Rubulotta
► Mostra testo
Il racconto scorre bene, senza intoppi e non è male, ma lascia aperti molti interrogativi. Indubbiamente, per godersi il testo non è necessario sapere esattamente chi sia il fantomatico “carota”, però così, il racconto perde un po’ di mordente. È certamente uno straniero e anche ricco, quindi? È solo di passaggio? In questo caso perché si porta dietro tanti bruti? Ovviamente non può averli assoldati in città, altrimenti lo Sfregiato gli avrebbe riconosciuti e capito subito cosa sarebbe successo. Oppure è un pezzo grosso della criminalità di un'altra città ed è venuto a Londra per prendere le redini del malaffare? Non che il racconto sia brutto, anzi, però, così risulta un po’ piatto e prevedibile. Abbastanza buono lo stile immersivo e la gestione della tripartizione attiva, anche se ci sono margini di miglioramento. A parte qualche piccolo refuso, in questo passaggio, per esempio
Il signore si avvicina e mi guarda. «Non capisco perché dovrei pagare… Hic… Per la compagnia di questa… Hic… Signorina…» Si avvicina alla lampada sul bancone, la solleva e barcolla Jones gliela strappa di mano. «Oltre che dar fastidio vuoi anche dar fuoco al locale?» Sposta lo sguardo su di me. «Portalo fuori ho detto.»
manca il punto tra barcolla e Jones e un po’ di ripetizioni qua e là, il testo è pieno di micro-azioni che rendono la lettura un po’ sincopata. Anche i dialoghi appaiono un po’ artefatti. Mi pare ben strano che il proprietario di un localaccio nei sobborghi di Lontra del, diciamo diciassettesimo/diciottesimo secolo (intuito dalla carrozza e dal lampionaio) usi frasi del tipo
«Come ho già detto al nostro ospite, ho detto solo di accompagnarlo alla porta, non di maltrattarlo.»
Mi immagino piuttosto che, alzate le braccia come a dire io non centro, Jones si rivolga direttamente allo Sfregiato, dicendo qualcosa del tipo «Io ti ho detto solo di accompagnarlo fuori.» Peraltro, il “carota” era presente la sera prima e se l’è presa con il protagonista per il modo in cui lui lo ha trattato. E qui si presenta un altro problema relativo alla credibilità del personaggio. Lo Sfregiato, in questa parte del racconto, mostra una debolezza e una codardia non mostrata prima. E questo risulta contraddittorio con l’immagine del protagonista che ci hai presentato all’inizio. Se volevi dimostrare che il protagonista fa il duro solo con i deboli, mostrando una sicurezza che, in realtà, viene meno non appena la situazione si fa difficile, non mi è arrivata granché.
6) Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto
► Mostra testo
Devo dire che sono un po’ dibattuta su questo racconto. Fila liscio dall’inizio alla fine, qualche piccola imperfezione nello stile, ma davvero poca cosa, come il “di cica la mia età” riferito al ragazzo, o il “Guardo il sole, si sta abbassando dietro le colline”. Non mi convince molto il dialogo, mi sembra un po’ troppo artefatto e impersonale, soprattutto qui:
«Vivo lì, ma quella non è casa mia.» Mi mordo un labbro. «Quel posto è del preside, noi abitiamo a casa sua. Io non ce l'ho, una casa.» Il ragazzo sospira. «E che differenza c'è? Vivi lì, quindi è casa tua.» Stringo i pugni. «Parli facile, tu. A casa tua avrai anche una stanza tutta per te, noi non abbiamo nulla! Un comodino e un letto, questa la chiami casa?»
Non mi sembra credibile che una ragazza faccia affermazioni del tipo “a casa tua avrai anche una stanza tutta per te”. Dovrebbe darlo per scontato, invece usa una frase ipotetica. Dal punto di vista tecnico non ha grandi difetti, è ci sono sicuramente dei guizzi interessanti, ma non mi ha trasmesso granché.
7) Quell’unica volta, di Katjia Mirri
► Mostra testo
Il tuo racconto, secondo me presenta diversi problemi, sia di struttura che di stile. Innanzi tutto, devo confessarti che ho capito che i personaggi erano morti quando, nelle prime righe, il vento solleva le foglie. Questo mi ha un po’ rovinato la lettura. Anche il fatto che se ne sono andati via tutti e sono rimasti solo loro telefona un po’ il finale, sebben sia un dettaglio difficile da capire. Se i personaggi sono morti e sono rimasti lì, mi domando perché non ci siano rimasti anche gli altri? Dove sono andati? C’è un aldilà e i protagonisti sono bloccati in un limbo perché sono stati uccisi? Oppure è bloccata solo lei e lui rimane perché la ama? Non ho capito, poi, il senso del “twist” finale sulla presunta omosessualità di Fergus, non porta nulla al racconto e lascia solo spiazzati. Anche lo stile è un po’ farraginoso. Non tanto la terza persona, quanto piuttosto il fatto che non ci sia un punto di vista preciso e ben focalizzato. Per esempio
«Aelhaearn! Quante volte ti ho detto di chiamare qualcuno e fare aggiustare quella finestra?» strillò furiosa Clìodhna, per poi aggiungere, sottovoce come sempre: «gallese del cazzo». Aelhaearn non rispose. Fece spallucce. Aveva provato a chiamare qualcuno a riparare quella finestra, ma non era arrivato nessuno. Forse non riusciva a farsi capire, con quel suo accento forte e scomodo, che lo rendeva subito inviso, lo faceva riconoscere come straniero. Nei paesi piccoli lo straniero lo si guarda con sospetto. Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese". Sospirò.
In questo passaggio, nella prima frase il punto di vista sembrerebbe essere o Clìodhna oppure un narratore onnisciente. E, infatti, Clìodhna, abbassa la voce per non farsi sentire da Aelhaearn e lui, di certo, se non sente il commento, non può sapere che l’ha pronunciato dopo aver abbassato la voce. Nella frase successiva, il punto di vista è sicuramente quello di Aelhaearn, perché esprime suoi pensieri. Questo passaggio da un punto di vista all’altro disorienta e rende faticosa la lettura. Anche il raccontato non mi piace un granché, ma questi sono gusti personali, però mi sento di suggerirti di snellire un po’ il testo.
Dopo che se ne erano andati tutti era rimasto l'unico uomo in quella casa, era naturale che spettasse a lui chiamare il carpentiere, il fabbro, il falegname. Invano.
Qui, per esempio “Dopo che” è bruttino, impersonale e, secondo me, inutile. “Se ne erano andati tutti e lui era rimasto l’unico uomo in quella casa”
8) Il gioco del bruco, di Antonio Pilato
► Mostra testo
Racconto davvero strano il tuo, che non so bene come classificare. Parto subito col dire che lo stile mi ha un po’ confusa, all’inizio della lettura. Poi, però, gli ho trovato un senso nella caratterizzazione del personaggio. Ti dico subito che non rientra nelle mie corde, ma è solo gusto personale. Quello che, invece, non mi ha convinto per niente è il tema, che è solo esplicitato nella prima riga, ma non ha alcun impatto sulla storia, che invece ruota attorno agli scombussolamenti ormonali di un ragazzino. Anche questo aspetto, però, non è sviluppato in modo coerente. Al di là dei dubbi relativi alla effettiva posizione del protagonista rispetto alla sorella di Leya al momento del tentativo di penetrazione, non sappiamo l’età della bambina fino alla fine del racconto, quindi, la parte in cui il protagonista si eccita, non arriva con la giusta pregnanza di significati.
9) Melagrane, di Laura Calagna
► Mostra testo
L’idea in sé è ance interessante, purtroppo, però, il racconto lascia aperte molte domande e si contraddice in diversi punti. I problemi di struttura sono tanti, te ne indico giusto qualcuno: Tanto per cominciare le ciabatte: perché se le asciuga sul tappeto se tanto poi le lascia fuori? Da quanto intrattiene una relazione col cognato? Se lei e sua sorella sono gemelle e il suo obiettivo era solo quello di ucciderlo, facendo ricadere la colpa sulla sorella, perché ha voluto prima allacciare una relazione amorosa?
Non ho provato pietà mentre rantolava, ieri. Sapeva ciò che ha fatto mia sorella ma, siccome lei era laureata, con una carriera davanti e un buon fidanzato, ha mandato me in prigione.
Questo passaggio totalmente in contraddizione con il finale. Ora, dagli indizi seminati, si direbbe che le due sorelle siano gemelle. Quindi mi chiedo, perché, quando è stato ucciso il padre lei doveva ancora iscriversi a medicina e, invece, la sorella era già laureata? Suppongo che siano gemelle sia perché dici che sono entrambe rosse e hanno entrambe la pelle chiara della madre, sia per il dettaglio del DNA. Quindi, non si capisce come sia possibile che all’epoca una fosse già laureata e l’altra dovesse ancora iscriversi all’università. Poi, perdonami, ma come fa una madre a mandare la figlia in prigione? Da sola non può farlo, al limite avrà dato un falso alibi per la sorella, anche se, la testimonianza dei parenti non vale granché. Ma, in ogni caso, il punto non è questo, la frase, così come l’hai strutturata tu stona perché non è credibile. Magari se avessi scritto qualcosa del tipo “si è schierata contro di me e così sono finita io in prigione” avrebbe stonato meno e sollevato meno dubbi. È un racconto breve, ci sta che non spieghi tutti i dettagli. Anche il fatto che nelle prime righe la protagonista si riferisca a sua sorella indicandola come la moglie. Non è credibile. Il Lei già lo avrei capito di più, usato per spersonalizzare la sorella e stigmatizzarla. Anche lo stile non mi ha convinto molto. In realtà non c’è niente che sia proprio sbagliato, una prima persona al presente, con punto di vista ben focalizzato. Probabilmente i problemi dipendono dal fatto che la scena non è stata ben progettata. Qui, per esempio
I miei boccoli ondeggiano mentre mi addentro nel regno di lei; se mi si staccherà un capello, scopriranno lo stesso DNA.
Nel regno di lei è proprio brutto, meglio sarebbe stato nel suo regno, anche se poi la frase, legata a quella precedente avrebbe potuto far pensare che il suo fosse riferito al cognato. Anche il se mi si staccherà un capello è sbagliato, “cadrà” è più appropriato. Anche qui c’è un problema relativo alla correttezza delle informazioni. Per parlare di DNA non è sufficiente che le cada un capello, ma è necessario che la scientifica lo trovi. Quindi la frase avrebbe potuto essere girata in questo modo “anche se dovessero trovare un mio capello”
1. Aldobbello 2. Lo smemorato 3. L’intruso 4. Melagrane 5. Non avrai altro dio 6. Quell’unica volta 7. Sono fregato 8. Stesso posto, stessa ora 9. Il gioco del bruco
---
I commenti in ordine di lettura.
Aldobello
Ciao Luca, piacere di leggerti.
Il romanaccio mi ha rapita fin da subito, ancora di più quando ho compreso il contesto. Dona al testo quel gusto di “crimine da vicinato” in più. Ottima scelta! Apprezzo anche la selezione delle parole, tutte comprensibili anche per chi di parlata romana non ne sa niente. I protagonisti mi stanno proprio simpatici! Presumo voglia dire che hanno lasciato il segno, buon lavoro! Trovo l’interpretazione del tema particolarmente divertente, forse non altrettanto originale, ma è un’opinione personale. Una situazione di rapina è probabilmente tra le prime cose che vengono in mente con questo tema, ma non posso non elogiare la messa in scena di un teatrino comico per un contesto come questo. C’è solo una parte che mi ha lasciata un pò perplessa: “Faccio er curvone e salgo su pe’ ‘a salita. Se scollino nun me po’ pijà più nessuno. Sotto a strada s’accenne n’artra vorta la luce dell’ingresso. «Ma che cazzo…?»” Forse è un pochetto più complessa del resto, meno scorrevole? Mi ci è voluta una seconda lettura del pezzetto per capire la situazione.
A rileggerti presto, buon contest!
---
L’intruso
Ciao Davide, piacere di leggerti.
Avevo già capito dalle prime righe del testo il tema della possessione demoniaca, credendo che fosse però troppo presto e che per questo il racconto perdesse già di interesse. Ho dovuto ricredermi però! Mi è piaciuto molto come è andato a finire. Fino alle ultime frasi ho creduto che fosse quasi noioso… solo per via della precoce ovvietà della presenza demoniaca. Invece mi hai stupita! Ottima storia! L’interpretazione del tema mi piace. Forse non è molto diretto il collegamento ma non posso dire che non sia originale; dopo il finale, in realtà, questa scelta diventa anche più interessante.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Stesso posto, stessa ora
Ciao Stefano, piacere di leggerti.
Personalmente l’idea di fondo non mi piace un granché. Riferirsi all’orfanotrofio come a una “casa d’altri” è anche una buona idea ma specificare così tanto il sentimento di non appartenenza di Anna a quel luogo mi sembra molto una forzatura del tema. Il contesto è costruito attorno alla volontà di far comprendere il collegamento con il tema in maniera troppo evidente. Avrei usato meglio i pensieri, forse. Spesso anche usare i dialoghi per spiegare emozioni e sensazioni appare forzato, non naturale. Il fatto che i due ragazzi si capiscano l’un l’altro in così poco tempo è insolito dato che il sentimento di estraneità sembra all’inizio un qualcosa di così profondo, ma d’altronde capisco la necessità di spicciarsi nell’arrivare ad una conclusione, dati i caratteri massimi.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Non avrai altro dio
Ciao Alessandro, piacere di leggerti.
Devo ammettere che il tuo testo mi ha un po’ destabilizzata. L’inizio con il tema poliziesco mi ha fatto sospirare, forse è un pò banale utilizzare le solite indagini per arrivare al fulcro della storia, tuttavia sono rimasta concentrata sul testo. Però ho iniziato a perdermi verso metà racconto. Intanto la domanda “«Altro che dovrei sapere prima d’entrare?»” lasciata senza risposta mi ha confusa, forse si poteva evitare piuttosto che abbandonarla e non svilupparla. Poi ci sono un paio di cose che non capisco di questo “dio”. Si tratta di una possessione demoniaca, se non erro, ma a un certo punto appare poco chiaro il ruolo di questo elemento. “«Preghiamo il nostro dio. E a quanto pare egli ha deciso di rispondere alla chiamata dei suoi figli.»” Si tratta di un gruppo di dei al comando di uno solo dio? Perché è importante definire questa cosa piuttosto che la relazione con la bambina o con i motivi intrinsechi delle possessioni “di massa”? Tuttavia gli interrogativi sono anche dovuti in un contesto come quello poliziesco. Non sono dei punti o solo deboli o solo forti. Mi lascia un po’ in dubbio il collegamento con il tema. L’occupazione del corpo della bambina risulta come una “casa d’altri” per il dio? O è questo dio che si trova in casa d’altri essendo tra gli umani?
A rileggerti presto, buon contest!
---
Il gioco del bruco
Ciao Antonio, piacere di leggerti.
Capisco la necessità di dedicare alla spiegazione del gioco qualche riga in più, ma in un testo con un massimo di caratteri bisogna cercare di dare abbastanza spazio a tutto. Comunque non lo reputo un grande problema, però rallenta un po’ la lettura rendendola macchinosa. L’uso del tema è un pò superficiale, si riscontra solo all’inizio come pretesto per dare al racconto i requisiti di idoneità al tema ma poi il testo si concentra su tutt’altro. “Altro” che tra l’altro non apprezzo particolarmente. Racconta di un momento cruciale nella crescita di un adolscente, ma era così essenziale mettere di mezzo una bambina di quattro anni e un evento giocoso come un compleanno? Capisco la mancanza di controllo legata alla situazione ma… mi sembra un pò eccessivo.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Lo smemorato
Ciao Dario, piacere di leggerti.
Tantissimi personaggi. Ho dovuto rileggere il testo per capire di chi si stesse parlando, ma una volta afferrato il concetto devo dire che anche il collegamento al tema è molto buono. Resta comunque il fatto che è abbastanza caotico, forse anche un troppo. Se è complesso ci si stanca a leggerlo e si rischia di perdere interesse. L’unica pecca è probabilmente questa, cercherei di sfoltirlo un pò.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Melagrane
Ciao Laura, piacere di leggerti.
Dramma familiare. Un classico che non stanca mai. Però, ho trovato la lettura un pò difficile. Ben scritto e tutto, per l’amor del cielo, ma un pò confuso. All’inizio ho creduto che figlia e padre avessero una qualche tresca, pensavo fosse un accattivante racconto su un incesto; poi ho compreso. Trovo ancora un po’ confuse, però, alcune parti. Come il fatto che la ragazza è finita in prigione. Sta raccontando dalla prigione qualcosa che ha fatto prima o sta succedendo nel momento stesso in cui lo racconta? Non capisco bene la linea temporale… e nemmeno il soggetto di alcune frasi, ma ho letto gli altri commenti e le tue spiegazioni e ho compreso in seguito, non serve che me lo rispieghi! Tuttavia, resta una prima lettura confusa. Un peccato. Ma comunque un bel lavoro. Mi lascia un po’ in dubbio il tema… dovrebbe essere incentrato su “casa d’altri” ma se uccide il padre non si trova in casa propria? Anche fosse un’altra casa, in senso concreto, resta comunque la sua casa, in senso morale, dato che si tratta di padre e figlia, no? Apprezzerei una tua spiegazione sulla tua interpretazione del tema in questo racconto, se ti va.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Sono fregato
Ciao Filippo, piacere di leggerti.
Testo scorrevole ma un po’ sempliciotto. I dialoghi sembrano molto presi da una sorta di “schema generale”. Insomma, nulla di troppo originale. Forse avresti potuto giocare di più su qualche peculiarità del personaggio per estraniarsi dalla solita tipologia di storia che, tra l’altro, non si addice molto al tema. Non tanto per il concetto di casa-pub, quello spetta all’interpretazione, ma più per il fatto che è lo Sfregiato a minacciare, riferendosi alla propria casa, ma poi è lui a prenderle in casa propria. Forse è anche una forzatura il come va a finire… giusto perché solitamente si conclude così. Non mi convince. Ha comunque uno buono stile.
A rileggerti presto, buon contest!
---
Quell’unica volta
Ciao Katjia, piacere di leggerti.
Mi sono un po’ persa nelle lunghe spiegazioni, lo ammetto, avrei voluto saltarle. Si rischia sempre di annoiare un po’, l’ho imparato per esperienza, tutt’oggi tendo all’infodump e agli spiegoni. Per questo ti dico che capisco la difficoltà nel riuscire a spiegare ciò che si ha in mente senza però spiegare tutto per filo e per segno, ma scommetto che è un dettaglio sul quale puoi lavorare e sicuramente migliorare senza troppi problemi, magari scegliendo un’altra tipologia di narrazione. Il colpo di scena finale mi porta a rivalutare tutto il racconto. L’ho apprezzato molto, dopo gli spiegoni iniziali stavo perdendo interesse invece… tac, sul finale. Ottima scelta.
1) Aldobbello, di Luca Nesler Nulla da eccepire: divertente e ben congegnato con la bella idea del tipo che sacrifica i propri avere per un primo colpo più sicuro. A livello puramente personale: fatico a leggere il dialetto. Mi spiego: capisco tutto, ma mi rallenta terribilmente la lettura e questo va in contrasto con l'intento comico del testo (ma non è solo qui, sia chiaro che mi riferisco al dialetto in generale). Tema ben inserito. Direi un pollice quasi su proprio per la questione dialetto e in classifica si piazza davanti al parivalutato racconto di Mannucci per l'idea geniale del ladro casalingo. 2) L’intruso, di Davide Mannucci Un ottimo racconto. Mi sono chiesto il perché di molte interpretazioni un po' confuse sul fatto che ci fosse stato il passaggio del demone dal ragazzo alla madre, in tanti hanno pensato che ci fossero addirittura due demoni: forse la problematica sta tutta in quel "sorriso strano" che fa nel paragrafo precedente allo scambio, io l'ho interpretato come segno di preoccupazione, ma in effetti poteva essere visto come un preludio a qualcosa d'altro e, sotto questo punto di vista, si tratta senz'altro di un'imprecisione dell'autore. Per il resto, non ho rilevato punti deboli o particolarmente problematici e il tema è inserito perfettamente. Se aggiungiamo che il racconto, a mio parere, va esattamente dove l'autore voleva portarlo, per me siamo su un pollice quasi su. 3) Lo smemorato, di Dario Cinti Bell'idea e buona realizzazione, al netto delle problematiche che ti hanno già sottolineato, soprattutto quella riguardante i troppi nomi. Non concordo invece sulla mancanza di conflitto perché lo percepisco come latente: hai il paese contro, lo bullizzano e gli parlano dietro, ed è in lotta costante con se stesso per ricordare (anche se potevi sottolinearlo per creare, effettivamente, più tensione narrativa, tipo mettere in scena contemporaneamente Flavia e Renato). Il tema è preso bene. Per me un pollice tendente verso il positivo in modo solido e anche brillante. 4) Stesso posto, stessa ora, di Stefano Moretto Il racconto è potenzialmente una piccola gemma. Apertura (al netto della coda di cavallo) e chiusura perfette, qualche problemino sul primo contatto tra i due ragazzi perché lui sembra, inizialmente, molto ostile tranne poi addolcirsi quasi di colpo con una trasformazione troppo netta e improvvisa. Fai riferimento al fatto che lui possa avere un telefono e questo ci porta ai giorni nostri, quindi occhio alla questione orfanotrofi che ti hanno fatto notare. Tema presente. Come valutazione direi un pollice tendente verso il positivo in modo solido e anche brillante per la bella confezione che hai creato. 5) Non avrai altro Dio, di Alessandro Canella Un'ottima prova soprattutto considerando il tempo in cui l'hai scritta. Detto questo, c'è qualche imprecisione che lo rende meno perfetto di quanto avrebbe potuto se avessi potuto revisionarlo. Tralasciando il refuso, l'intro fatica a portare dentro il lettore, ho dovuto leggerlo un due/tre volte prima di sentimi pronto a proseguire. Poi si parte con tutta una serie di domande senza risposta (cui hai poi risposto benissimo nei commenti) che, al netto proprio delle tue risposte, rimangono sospesi: perché la scelta di questa bambina? Chi sono questi dei? Perché si sono manifestati proprio in quest'epoca? E, soprattutto, perché il dio principale risponde alla chiamata proprio in quel momento? In effetti succede ben poco di trascendentale per fare arrivare al dunque la chiamata al Dio e fare terminare l'umanità: perché proprio adesso? Questa è la domanda fondamentale. Ribadisco che da questo testo puoi trarre un capolavoro, lavoraci assolutamente. Allo stato attuale ripropongo una nuova valutazione coniata in questa edizione: pollice tendente verso il positivo in modo brillante, ma non solido. 6) Melagrane, di Laura Calagna Un po' confuso nella messa in scena, soprattutto nella narrazione, però un racconto efficace che mi fa capire che su MC è approdata un'altra buona penna con ottime potenzialità. Byepassando la messa in scena, mi sento di sottolinearti come, trattandosi di un dualismo principalmente tra sorelle, la mia idea sia che dando maggiore spazio alla cosa e caratterizzando meglio l'altra avresti ottenuto una maggiore incisività e probabilmente sarebbe risultato anche meno "debole" la motivazione per la morte del padre. Capisco che tu abbia deciso di incentrare tutto sulla protagonista lasciando il resto sullo sfondo, ma così mi sembra poco funzionale, è necessario sapere e conoscere di più sul background (cosa che fornisci al lettore, ma rimanendone sempre piuttosto lontana, o almeno questa è stata la mia impressione). Tema ok. Come valutazione direi un pollice tendente verso l'alto in modo solido, ma non brillante e in classifica di piazzo davanti al parivalutato racconto di Rubulotta per una struttura più coesa. 7) Sono fregato, di Filippo Rubulotta Meglio la prima parte rispetto alla seconda, soprattutto per la gestione degli spazi scenici: mi sei sembrato faticare parecchio nella disposizione e spostamenti dei personaggi durante "l'agguato" al pub. Per il resto, un racconto che si fa leggere volentieri e scritto con perizia (al netto del problema già sottolineato). Riguardo al tema: declinazione poco efficace anche se presente (da esterno, se mi avessero chiesto di desumere il tema dopo la lettura non mi ci sarei neppure avvicinato). Concludendo, per me un pollice tendente verso il positivo in modo solido, ma non brillante. 8) Il gioco del bruco, di Antonio Pilato Concordo su Giovanni sul mettere da parte lo stile (qui più che buono, mio parere) per concentrarci sul racconto e rilevo due problematiche: 1) la spiegazione del gioco che non è vero che è lunga, semmai poco chiara, quasi male esposta (in contrasto con la grande chiarezza di tutto il resto) e 2) il finale che, d'improvviso, butta in faccia al lettore una situazione ai limiti senza preparazione pregressa o semina sul personaggio, questo soprattutto se la tua intenzione era di mostrare un pedofilo alle prime armi (e qui però mi trovi in disaccordo perché penso sia una situazione originata da determinate esperienze precedenti e non qualcosa che possa manifestarsi per istinti primordiali). Quindi propendo non per la nascita di un pedofilo, ma per un qualcosa che è scattato nel bambino e di cui non troviamo traccia nel narrato precedente, da cui il senso di insoddisfazione per un racconto che, fino a quel punto, sembrava tutt'altro. Resta il fatto che se il tuo intento era di colpire duro il lettore innescando una reazione violenta di rifiuto nei confronti di quanto mostrato, ci sei riuscito. Sul tema, c'è, ma non incide come dovrebbe. Sulla valutazione, sono parecchio in dubbio e propendo per un pollice tendente verso il positivo in modo solido, ma non brillante e in classifica di piazzo dietro i parivalutati proprio per questo finale che può sembrare non preparato adeguatamente. 9) Quell’unica volta, di Katjia Mirri Il racconto ha delle belle atmosfere e tu una buona penna anche se la mia impressione è che tu abbia faticato nella gestione dei personaggi e delle informazioni. Mi spiego: tutti i blocchi mentali di lei che non dice del fratello per non rischiare di rimanere sola e di lui che non la lascia perché si sente colpevole non arrivano, ti sono rimasti in canna. Probabilmente Fergus andava introdotto prima e il dialogo tra i due necessitava di una rielaborazione per permettere al lettore di costruirsi le giuste immagini. Detto questo: credo di essere l'unico a non avere capito il perché di tutto lo spazio dato a carpentieri e affini che non venivano a riparare... E ci credo, erano fantasmi e come facevano a farsi sentire? :) O mi sono perso qualcosa? Quindi, ricapitolando: lascia perdere immersività e onniscente e lavora di più sulle informazioni da trasmettere con il giusto timing all'interno del testo e solo a quel punto deciderai il come trasmetterle. Il tema c'è anche se non così chiaro come avrebbe dovuto e sempre per colpa, mio parere, di queste informazioni mancanti. Allo stato attuale direi un pollice tendente verso l'alto anche se al pelo.