13 domande a Federico Guerri
Ciao Federico e grazie per avere accettato, di nuovo, di essere guest star in questa nostra avventura! Ci siamo trovati così bene con te da chiederti di farci da apripista per la nuova Era (ormai la Sesta) che si inaugurerà proprio con questa edizione. Pensiamo infatti che la tua passione sia uno sprone pazzesco e che il limitare l’esperienza ai pur tanti intervenuti a Pisa tagliando fuori tutti gli altrifosse quasi ingiusto nei confronti della comunità di MC.
È la prima volta che ci capita di fare una seconda intervista a una nostra guest (la prima la potete trovare QUI), pertanto non posso che partire da questa domanda (di tredici).
1) Dopo la tua prima esperienza come guest di Minuti Contati, che riflessioni ne hai tratto?
Guerri: Che gli scrittori, al contrario di ciò che vuole il luogo comune, non sono degli animali solitari. Che riunirsi per scrivere è molto bello, che le storie sono il calore attorno al quale si costruiscono le comunità, che mi piace la dimensione ludica della scrittura, che gli hamburger del Lanteri sono davvero buoni.
2) Caratteri limitati, tempo limitato, un tema da rispettare e poi un confronto schietto tra autori. In che modo questo esercizio può essere d’aiuto nella crescita personale di chi ama la scrittura?
Guerri: Mettersi paletti – specie se non si è vampiri con tendenze suicide – può sembrare un ostacolo quando in realtà è una grande opportunità. Lavorare con un tema, con tempi e parole limitate, ci costringe a buttarsi sulla scrittura invece di passare ore davanti al foglio bianco. E’ l’azione della scrittura che genera scrittura e accende il motore della narrazione e ci vuole qualcosa che ci sproni. Il confronto schietto, poi, ci dovrebbe essere sempre. Spesso chi ti legge poi ha paura di dirti che le tue cose non gli sono piaciute, di fare delle critiche più o meno argomentate, ha paura di ferirti che, invece, è quello di cui hai bisogno. I tuoi racconti non sono te. Una critica a un tuo racconto non è un’offesa o un affronto personale. Uno scrittore ha bisogno di essere criticato perché così può sviluppare una capacità di auto-giudizio. Io ho bisogno di sapere quando e dove sbaglio perché altrimenti non posso migliorarmi. Se tutti mi dicono che sono il più grande scrittore vivente e scrivo solo capolavori poi finisco per crederci. Non c’è niente di peggio di chi è convinto di essere arrivato. H.G. Wells, poco prima di morire, scrisse: “Forse un giorno riuscirò a scrivere un libro vero”.
3) Il tuo rapporto con le critiche?
Guerri: Credo di aver già risposto qua sopra.
4) Provare un Minuti Contati in prima persona è sempre diverso dal viverlo dall’esterno (anche se come guest). Ne abbiamo già parlato in privato, ma vorrei ora che tu ribadissi la tua posizione in merito alla seguente domanda: se un giorno riuscissimo a organizzare un’edizione tra guest, tu saresti disponibile? E perché?
Guerri: Sarei disponibilissimo. Il perché è semplice: adoro fare cose diverse e mi piace giocare. Già a Pisa un po’ smaniavo per scrivere. Infatti son rimasto coi partecipanti una parte del pomeriggio scrivendo un racconto tragico sull’ascesa e caduta di un gattino star di Youtube.
5) Bene, tra chi parteciperà e tra chi leggerà questa intervista sono tanti quelli che cullano il sogno nel cassetto di essere pubblicati da Case Editrici che permettano loro di avere una vetrina importante sulla scena nazionale. Hai qualche consiglio?
Guerri: In realtà, non molti. Io stesso non saprei come fare. Ho avuto la fortuna di vedere i miei tre libri pubblicati dalla stessa casa editrice – le Edizioni “Il Foglio” di Piombino – con cui si è creato un bel rapporto fatto di fiducia e maremmanità. La candidatura al Premio Strega m’è capitata tra capo e collo e l’ho vissuta come: “Oh, devo fare qualche giretto a Roma”. Sono un disorganizzato totale. Scrivo tantissimo e non ho un agente. Ogni tanto qualcuno mi dice “facciamo questo progetto” e io lo faccio perché mi piace. Oppure scrivo per il teatro. Se dovessi proprio rispondere direi: scrivete una bella storia, una storia che vorreste leggere, trovatevi un bravo agente onesto e fate fare a lui. Io devo ancora fare la terza cosa. Se qualcuno ha dei consigli su come si fa, me li dia.
6) Ma parliamo di processo creativo. Durante il live di Pisa ci hai lasciato un’interessante riflessione sul tema… Puoi riprenderla anche qui? Come arrivi a creare, cosa ti origina la scintilla, in che modo sei diventato “IL GUERRI”?
Guerri: Arrivo a creare svegliandomi la mattina e decidendo di mettermi a scrivere. A Pisa abbiamo parlato di come io non creda affatto nell’ispirazione e nella “scintilla”. Di come le consideri ottime scuse per non lavorare. “Non ho l’ispirazione”, “ho il blocco dello scrittore”. Se il tuo lavoro è aggiustare motorini o cucinare pizze non è che un giorno ti svegli senza l’ispirazione o col blocco del pizzaiolo. La fatica è cominciare a scrivere. Se uno sta davanti allo schermo e non fa niente se non sforzarsi di trovare l’idea geniale, sta davanti a una macchina spenta pensando di accenderla con la telecinesi. Se uno comincia a scrivere, accende il motore e parte. Innesta la prima, la seconda, la terza, la quinta. Poi parcheggia per un po’ e poi mette la retromarcia per riscrivere. Non credo nel concetto romantico dell’artista come unto da qualcosa di grande. Certo, esistono scrittori più talentuosi e altri meno ma come in ogni altra disciplina o lavoro. Credere che alcuni possano scrivere e altri no (fatta salva la conoscenza della lingua) è assolutamente classista.
Come sono diventato IL GUERRI? Non lo so. Tendo a perdere il nome dopo due-tre incontri e assumere l’articolo davanti al nome come un gallifreyano. Boh, facendo cose probabilmente. Non stando fermo mai.
7) Nella tua opera mi sembra preponderante la necessità di creare storie, indipendentemente dal mezzo. Qui scriviamo, ma tu ami esprimerti soprattutto nel teatro. Perché?
Guerri: E’ il media più bello che c’è. E’ antico quanto il mito eppure resta inimitabile. E’ una forma di racconto tra viventi, tra gente che respira nello stesso posto. Stimola l’immaginazione del pubblico, evoca, è simile a un gioco di bambini fatto con la consapevolezza adulta, ti mette di fronte ai tuoi dubbi e ti fa ridere. E’ un gioco che si fa in gruppo e tutti vincono. E poi è una scrittura “a metà”. Ti permette di lasciare le porte aperte agli attori e al regista. Ti permette di vedere concretamente quante possibilità hanno le parole che hai scritto (se sei bravo, infinite).
Vabbè, s’è capito che amo il teatro, no?
8) Al giorno d’oggi emergono nuove forme che permettono alla narrazione di esplorare frontiere prima inaspettate. Teatro, scrittura, cinema, tv quelle classiche (se ne ho dimenticate, aggiungile) mentre ora siamo ai videogiochi nelle loro varie forme e non solo. Quali possibilità intravedi in queste nuove forme comunicative? Nel rispondermi puoi citarmi anche titoli a sostegno delle tue tesi?
Guerri: Ogni forma ha il suo fascino. Alcuni videogiochi hanno notevole capacità immersiva e, soprattutto, ti mettono di fronte a mondi “altri” apparentemente illimitati in cui ogni tua scelta influenza direttamente il racconto e l’universo in cui ti muovi (un po’ come nel mondo reale, solo in maniera che prima o poi comprenderai). A Pisa parlavamo di “The last of us” come una delle storie più belle di cui abbia fatto esperienza negli ultimi anni. Potrei citare anche “Life is strange” sempre per la capacità di metterti nei panni ed emozionarti. Oppure un gioco come “Legend of Zelda – Breath of the Wild” a cui sto giocando da mesi e che non ha ancora trovato limiti nella capacità di stupirmi, spingermi all’esplorazione e all’avventura.
9) Sei padre e ti sarai posto la questione… Penso agli anni ottanta o novanta, quelli del nostro sviluppo. I nostri genitori erano cresciuti con gli anni sessanta e settanta, quasi due mondi antitetici rispetto ai nostri (argomenta se non concordi). Ora i nostri figli leggono Harry Potter, roba di inizio secolo, e giocano ai Pokemon, roba del 1996. Insomma, c’è meno distanza tra noi e loro? Abbiamo più possibilità di interagire e di raccontarci storie “meno diverse” da quelle con cui erano cresciuti i nostri genitori in rapporto alle nostre?
Guerri: Molti dei nostri genitori erano cresciuti con l’idea che, a un certo punto della vita, le storie andassero abbandonate in favore della serietà dell’età adulta e della responsabilità che essa comporta. I genitori non giocavano con i figli. Libri fantasy, videogiochi, fumetti e compagnia erano “roba che prima o poi i nostri figli abbandoneranno”. E invece ne abbiamo fatto un lavoro. Abbiamo fatto i conti coi nostri mondi fantastici e ci siamo messi a crearne di nostri. Cos’avevamo in comune coi nostri genitori? La religione, spesso. Un credo politico, magari.
E ora è lo stesso. Solo che la nostra religione è Hogwarts o gli Jedi, e si gioca insieme. In più, c’è l’effetto nostalgia. Io voglio che i miei figli godano delle stesse storie di quando ero bambino, delle storie che mi hanno reso felice. Lo so io e lo sanno le case di produzione che ritrasmettono, reboottano, ricreano per i figli i protagonisti delle storie d’infanzia dei loro genitori.
Mi auguro che mia figlia conosca le mie storie e se ne faccia di proprie. Aspetto il momento in cui le dirò: “Ma che cos’è questa musica che ascolti?” Lei mi risponderà: “Non puoi capire, papà”. E io sarò contento perché qualcuno ha creato qualcosa che non capisco e non qualcosa che mi rassicura. L’arte e la musica delle nuove generazioni deve spaventare le vecchie.
10) Torniamo alla scrittura e a Minuti Contati: vuoi darci qualche indizio sul tema che hai pensato per i nostri autori?
Guerri: Dato che s’inaugura una nuova era per Minuti Contati, il tema avrà a che vedere con una partenza. E’ un’immagine che mi piace ma anche abbastanza vaga da essere interpretata in moltissimi modi.
11) E qualche suggerimento sul come relazionarsi alla fase di scrittura? I racconti saranno di lunghezza compresa tra i 3000 e i 5000 caratteri spazi inclusi, su cosa dovrebbero (o su cosa consigli che dovrebbero) concentrarsi primariamente?
Guerri: E’ una storia breve, quindi dovrebbe essere una coltellata. Un racconto non è il riassunto di un grande romanzo in poche righe. Un racconto è necessariamente un frammento significativo e illuminante, è un flash sparato nel buio di una vita che ci permette di coglierne un’istante. Lasciate al lettore la spiegazione di quello che vede.
12) E alla luce della tua prima esperienza, su quali aspetti ti concentrerai nel giudicare i racconti finalisti?
Guerri: La storia. La musica che fa la scrittura. Il divertimento che mettete nello scrivere e che si riversa inevitabilmente in quello che leggo.
13) Ultima domanda: Federico Guerri è un personaggio da tenere d’occhio e da non perdere, soprattutto ora che la sua strada s’è incontrata con quella dei nostri autori. Dacci una mappa e spiegaci dove trovarti tra librerie, web, teatri…
Guerri: In libreria trovate (di solito, su ordinazione) i miei romanzi (Questa sono io e 24:00:00 – Una commedia romantica sulla fine del mondo) e una raccolta di monologhi (Teatri di Guerra). Ma son vecchi e chi li voleva leggere, più o meno, li ha letti.
Su Facebook trovate Bucinella, che è la cosa che voglio scrivere adesso. Siamo al racconto 224. Recuperate. Ah, mi trovate anche sul mio profilo (quello senza banana) e su Mondo di Nerd.
In quanto al teatro, a Pisa, più o meno tutte le domeniche, sono in qualche spettacolo d’improvvisazione. Gli eventi li trovate sulla pagina di ADA – Arsenale Delle Apparizioni, che è la compagnia di cui faccio parte.
Alcuni testi teatrali sono in giro per teatri e laboratori e vi terrò socialmente informati.
Bene, siamo arrivati alla fine di questa intervista. Noi di Minuti Contati ti ringraziamo per l’occasione che ci hai concesso e ti auguriamo una buona Guerri Edition!