Chiacchierando con Stefano Paparozzi
(Intervista a opera del nostro LordMax)
Lo ammetto, ho visto il libro di Stefano al Salone del Libro di Torino, ho letto la frase “Io sono la Madre delle Moltitudini…” e subito ho pensato a un bel libro horror denso di atmosfere cupe, chiese sconsacrate, riti satanici e… invece no.
Complice la calca, il poco tempo e lo zaino già pieno ho commesso l’errore di non comprarlo. Era anche in cartaceo ad essere sincero e ho deciso di segnarmelo nel “taccuino dei futuri acquisti” poi, come sempre, è rimasto lì ad attendere tempi migliori. Intanto i libri si accumulavano sul tavolo e ho rimediato solo di recente.
Stefano scrive racconti, e ne ha scritti parecchi, ha vinto il premio Robot nel 2015, gran bel risultato e nel 2016 ha ‘piazzato’ un racconto per la raccolta Dinosauria curata dall’amico Crescentini e ora esce con un romanzo per Zona 42 quindi credetemi, è una penna che vale la pena seguire.
E poi c’è un’altra chicca nella faretra di Stefano, continuate a leggere.
Ciao Stefano e benvenuto a Minuti Contati. Sveliamo subito l’arcano. Tu hai fatto una cosa fighissima, hai scritto i sottotitoli della serie Outer limits una delle serie di fantascienza più importanti della storia. Outer Limits purtroppo non è mai uscito in italiano al contrario dell’altra serie meravigliosa che era Ai confini della realtà. Io sono stato costretto a imparare l’inglese per poterla capire quando mi fu regalato il cofanetto della prima serie a metà anni ‘80. Cosa ti ha portato a farlo? Cosa spinge una persona a dedicare così tante ore in un progetto a titolo gratuito?
PAPAROZZI: In realtà ho iniziato a tradurre i sottotitoli di The Outer Limits per una segnalazione di un utente che me lo suggeriva in un commento a uno dei pochissimi film che ho sottotitolato. Non sono neanche sicuro che quell’utente fosse uno di quelli che mi ha poi seguito negli anni successivi di traduzione! Ho deciso di dargli retta proprio perché non c’era assolutamente altro modo di vederla se non con i sottotitoli che avrei fatto, sapevo che mi sarei trovato solo e quindi libero nella mia impresa, e avrei avuto apprezzamenti – seppur pochi – sicuramente sinceri. Non è stato facile (considerato anche che non tutte le puntate sono qualitativamente alla stessa altezza…), ma alla fine la missione può dirsi compiuta.
E questo ci porta alla seconda domanda. Tu scrivi, suoni, traduci e tante altre cose quindi di quello che oggi si chiama storytelling ne sai a pacchi. Quando crei le tue musiche pensi alla storia che stai raccontando? Nascono da una storia o da una idea fine a se stessa? E quando scrivi? Pensi alla storia come un canto (magari alla Signore degli Anelli) o usi delle playlist per ispirarti o preferisci mantenere separate le tue aree di interesse?
PAPAROZZI: Molti si stupiscono che, finora, sia riuscito a non parlare mai, assolutamente mai di musica in nessuno dei miei racconti (esclusi un paio di riferimenti di sfuggita ai gusti musicali di qualcuno). Al contrario, mi sono sempre trovato bene a musicare testi, nonché a trovare ispirazione nella letteratura (su YouTube ci sono un paio di brani presi da Ballard).
Non direi però che scrivo musica pensandola come una storia, mentre è vero il contrario: lo studio delle forme musicali è alla base del mio atteggiamento nei confronti dell’elaborazione della forma letteraria. Penso al racconto con cui ho vinto il Premo Robot, Randezvous, con i capitoli progressivamente uno più lungo del precedente; o Madre Nostra, diviso nelle canoniche tre parti di tante forme musicali. Questo non vuol dire, ovviamente, che abbia mai scritto o voglia scrivere letteratura che segua pedissequamente una forma musicale.
Ora un po’ di storia, nel 2015 hai vinto il premio Robot, come? Come sei arrivato al premio, qual è il percorso che ti ha portato a scrivere fantascienza e a scriverla a un livello tale da vincere il premio?
PAPAROZZI: Sai che non saprei dirtelo? Fino alla fine delle superiori ho letto abbastanza poco (perlopiù gialli – sono cresciuto con Patricia Cornwell e Michael Connelly), riuscendo persino a ignorare quei 4-5 Urania che stranamente avevo in casa. Mi sono avvicinato alla letteratura di genere dopo qualche anno di Conservatorio, fino a prenderla più seriamente mano a mano che mi distanziavo dalla musica (dopo il Diploma ho praticamente smesso di scrivere fino a questa estate).
Temo di essere arrivato al Premio Robot semplicemente scrivendo “concorsi racconti fantascienza” su Google. Mi spiace rompere la magia. Credo anche di non essermi neanche reso conto della portata dell’impresa, visto l’ardire di partecipare a un concorso di questo livello con il secondo e il terzo racconto scritti nella propria vita. (Sì, inviai due racconti: di Rendezvous lascio il giudizio ai lettori, ma posso assicurare che l’altro era veramente stupido.)
Sul tuo sito metti a disposizione numerosi racconti in lettura gratuita. Le tue musiche sono disponibili su youtube, le traduzioni di The Outer Limits sono disponibili per il download. Questo mi fa pensare che sei un autore propenso alla libera diffusione, come moltissimi dei partecipanti a Minuti Contati. Hai mai pensato di trasformare tutto in un business, ritirare il materiale gratuito e metterlo a pagamento o azioni simili? Cosa ti spinge a creare per il pubblico dominio?
PAPAROZZI: Semplicemente, sono convinto che la diffusione di materiale gratuito aiuti la vendita di quello a pagamento. Pubblicità, insomma.
Quando ho finito i sottotitoli di The Outer Limits, alcuni di quelli che mi avevano seguito in quei mesi continuavano a volermi offrire donazioni per ringraziarmi; ho detto loro che, se proprio volevano, potevano sdebitarsi comprando una copia di Madre Nostra. Qualcuno lo avrà pur fatto, no?
E ora torniamo al concreto, il tuo ultimo libro, il primo romanzo, è stato scelto da Zona 42 per la pubblicazione. Raccontaci qualcosa di come hai avuto l’idea, di come l’hai sviluppata, come hai affrontato i problemi e quali sono stati i problemi e di come sei riuscito a farti notare da Zona 42 e come li hai convinti.
PAPAROZZI: Questa domanda vale per sei! Andiamo con ordine.
L’idea era nata per un racconto. La situazione è sfuggita di mano, e quando me ne sono reso conto ho dovuto riprendere lo spartano schemino iniziale e inserirci tutti i nuovi elementi che mi si erano presentati durante il primo tentativo di stesura.
Di problemi ce ne sono stati vari: ad esempio quello dell’evoluzione della lingua della protagonista, Miriam, durante gli anni, o quello del realismo della forma diaristica. Entrambi sono stati risolti (o almeno spero) grazie a un certosino lavoro grammaticale: ho letteralmente deciso da che punto in poi Miriam avrebbe iniziato a usare il congiuntivo, come le frasi sarebbero dovute diventare più complesse, quali parole avrebbe smesso o iniziato a usare. Sembra un freddo lavoro matematico, ma è esattamente quello che c’è dietro a un pezzo musicale. È una tentazione, l’immagine romantica del Beethoven divinamente ispirato mentre scrive il primo tempo della Quinta, ma quello è un intricato lavoro di elaborazione di un motivo quattro note, che va alla relativa maggiore e torna alla tonica come qualsiasi forma sonata. È la cruda verità, e ha poco a che fare con i suggerimenti delle Muse.
Non ho fatto nulla per farmi notare da Zona 42: mi hanno notato loro. Giorgio Raffaelli seguiva la mia pagina Facebook per le mie recensioni, e da qualche settimana stavo annunciando un romanzo che mi sarei autopubblicato. Mi ha chiesto se mi andava di farglielo leggere prima di tentare la sorte e mi sono detto «Perché no? Mi pare abbastanza in linea con lo spirito della Zona». E su questo avevo ragione.
Ora che hai scaldato i muscoli veniamo alle domande fastidiose. Hai scritto racconti e romanzi e sei stato pubblicato, quindi è ovvio che conosci qualche ‘segreto’ misterioso e nascosto per riuscirci. Raccontaci qualcosa del tuo percorso segreto per scrivere, per organizzarti per arrivare da una idea a un prodotto finito e godibile per i lettori e vendibile per le case editrici.
PAPAROZZI: Ma magari ce l’avessi, un percorso segreto! In genere ho un’idea, e a quel punto ci rimugino sopra chiedendomi cosa farne: è un’idea fulminante che non ha bisogno di un intero mondo intorno e può essere un racconto più o meno lungo? O necessita di archi narrativi concentrici e/o tangenti, di più voci e più percorsi da seguire, e deve sfociare in un romanzo?
Se la risposta esatta è la prima, mi segno un breve schema e seguo quello. Se la risposta esatta è la seconda, mi maledico, poi faccio uno schema, lo cancello perché non ha senso, lo rifaccio, inizio a buttare giù delle idee, mi rendo conto che lo schema non va ancora, rifaccio, riscrivo e avanti così per mesi, ogni volta pentendomi amaramente di quello che ho scritto la settimana prima.
E parlando di scrittura, di creatività, di creazione, cosa è per te la scrittura e l’atto creativo?
PAPAROZZI: Questa sì che è una domanda molesta.
Non saprei dare una definizione, se non ché la scrittura è soltanto una parte dell’atto creativo. La letteratura è soltanto uno dei modi in cui mi esprimo, e neanche il mio preferito (che d’altronde non c’è) o quello che trovo più spontaneo (che è invece probabilmente la musica). Più che altro, ho una costante esigenza di creare qualcosa, e questo mi porta a scrivere, comporre, tradurre, disegnare, orchestrare e qualsiasi altra cosa porti alla nascita di qualcosa che prima non c’era. Che poi il risultato sia di qualche interesse per il resto del mondo, è tutto un altro paio di maniche.
Lunedì 19 novembre alcune decine di migliaia di scrittori dovranno scrivere un racconto, sul tuo tema, in meno di 4000 caratteri ed entro quattro ore.
Immaginati nei loro panni: alle 21 ti colleghi al forum per scoprire il tema e poi?
Come organizzi la serata e come procedi (prima delle 21 e dopo)?
Insomma, come cercheresti di superare la prova?
PAPAROZZI: Questa è la domanda più difficile di tutte: Minuti Contati l’ho sempre seguito, ma non ho mai partecipato proprio perché davvero non ci riuscirei! Sono troppo ossessionato dalla rilettura per poter pensare di proporre 4000 battute in 4 ore trovandole soddisfacenti.
Ma, se proprio avessi una pistola puntata alla tempia… Credo che la priorità sarebbe staccare internet immediatamente dopo aver saputo il tema. Silenzio e nessun altro software aperto se non LibreOffice (o qualsiasi cosa usiate voi). A quel punto non potrei fare altro che concentrarmi sul tema e sperare che ne venga fuori qualcosa.
Ora torna nelle vesti di Guest Star: dopo qualche giorno ti faremo avere i racconti dei sopravvissuti allo scontro.
Come ti organizzerai per leggerli e giudicarli?
Come li immagini? Cosa ti aspetti da loro?
Dopo aver combattuto contro le orde di avversari quali elementi dovrà avere un racconto per catturare la tua attenzione e farti esclamare wow?
PAPAROZZI: Per leggere posso sempre ritagliarmi del tempo, mentre per giudicarli credo proprio mi farò un file apposito di appunti su ciò che leggerò, probabilmente assegnando punteggi e facendomi una mia classifica personale.
L’unica cosa che mi aspetto dai partecipanti è la varietà: non l’originalità a tutti i costi, ma la riconoscibilità di voci una diversa dall’altra. Non mi interessa restare stupito da un plot twist inaspettato all’ultima riga, se dovete farlo tutti.
Sempre parlando direttamente ai concorrenti: per cercare di convincermi, potete concentrarvi sul personaggio o potete concentrarvi su un’idea, ma l’importante è che abbiate qualcosa da dire. Soprattutto, non date mai la precedenza al genere rispetto alla storia: preferirei non vi metteste al tavolo dicendovi «Scriverò un racconto sci-fi / horror / giallo / rosa», ma «Scriverò un racconto» e basta. Se poi c’è un alieno, un detective o un’innocua massaia, questo dovrebbe essere funzionale alla storia, più che a quale etichetta vorrete metterle.
Sempre a proposito dei partecipanti all’edizione…
Tu sarai il timone della loro serata con il tema da te pensato: senza svelarcelo, vuoi darci qualche indizio/consiglio a riguardo?
PAPAROZZI: Non do indizi, se non che il tema potrebbe non essere poi così imprevedibile.
Per i consigli, invece, vi dico di andare oltre: non solo – come detto sopra – oltre il genere letterario, ma oltre qualsiasi significato la parola che vi darò come tema potrà assumere. Prendete il primo che vi capita, prendere il più assurdo, prendetene più insieme ed esplorate tutte le possibilità che persino un concetto semplice può potenzialmente aprirvi.
Questa era l’ultima domanda, ti ringraziamo per le risposte e, una volta ancora, per il tempo che ci stai donando. Per noi tutti è un piacere e un onore averti come guest star in questa edizione novembrina di Minuti Contati!