Home › Arena › Chiarle Edition – 72ª Edizione – 7ª della 4ª Era › La fuga di Diego Ducoli
Questo argomento contiene 1 risposta, ha 2 partecipanti, ed è stato aggiornato da Flavia Imperi 9 anni, 6 mesi fa.
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20 ottobre 2015 alle 0:32 #11954
La candida sfera svetta alta nel cielo, illuminando il campo con la sua fredda luce.
Mi stringo forte la cappa intorno al corpo cercando di difendermi dal gelo.
Le suole degli stivali cigolano nella neve fresca. Allungo il passo, ogni respiro è una sorsata di ghiaccio che si condensa in nuvolette di vapore.
Riesco ad intravedere il piccolo maniero, che si erge indomito tra guglie ben più alte di lui, montagne che conosco da quando sono nato.
Mi nascondo tra le ombre stringendo il pugnale infilato nelle vecchie brache di tela, prego di non doverlo usare, non credo di esserne in grado.
Le mura sono sempre più vicine, silenzioso come un ombra sgattaiolo sotto di esse.
Le dita intirizzite vagano alla ricerca della corda, ci deve essere, ne sono sicuro.
Finalmente la trovo.
Sospiro di sollievo, sputo sui palmi e comincio ad arrampicarmi. Una mano dopo l’altra, metro dopo metro. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie, manca poco, solo qualche istante e arriverò alla finestra.
Scavalco, le deboli fiamme nel caminetto tremolano minacciando di spegnersi.
Lei è li che mi aspetta, un lungo mantello gli cinge le spalle e copre i vestiti troppo leggeri per la stagione.
Ci abbracciamo. Per un istante il gelo che mi attanaglia sembra svanire mentre le accarezzo la schiena.
“Sei sicura?” chiedo.
“È l’unico modo.”
“Perderai tutto.”
“Ma non te.” ribatte.
Non abbiamo molto tempo, potrebbero scoprirci da un momento all’altro.
Ci sorridiamo, gli faccio cenno di salirmi in spalla e in un istante sento le sue braccia intorno alle spalle e i capelli solleticarmi il viso.
Stringo forte la fune e scendiamo.
I pochi metri che ci separano dal suolo sembrano un’ infinita ora che trasporto il carico più prezioso del mondo. Il piede scivola su una lastra ghiacciata , precipito ustionandomi i palmi, non un sussurro esce dalle nostre bocche.
Atterro più duramente del previsto, ma fortunatamente siamo entrambi incolumi.
Stringo le mani martoriate e piccole stille carminie macchiano il terreno.
Corriamo veloci cercando di mantenerci, per quanto possibile, nascosti.
Sento il suo respiro farsi pesante, ma dobbiamo proseguire ancora un po’.
Mi sposto in una strada laterale e finalmente intravedo la nostra meta.
Spalanco la porta della baracca e ci tuffiamo al suo interno.
L’odore pungente di animale ci colpisce le narici e un raglio di benvenuto ci accoglie.
Mi avvicino al grosso animale, slego una sacca legata al dorso e ne estraggo una mela che ingurgita con piacere.
Passo la sacca alla mia amata.
“Cambiati non andrai lontano con quei vestiti.”
Lei annuisce e mi dedico a controllare le bisacce cercando di scacciare pensieri poco opportuni.
In pochi minuti siamo pronti.
Vestita con abiti da contadina, le gote arrossate dal freddo e quei stupendi occhi neri, era la creatura più bella che abbia mai visto.
Montiamo in sella, e dirigiamo l’animale verso i monti.
Piccoli fiochi di neve cominciano a scendere lentamente, in lontananza sentiamo il latrato dei cani.
La notte è ancora lunga, e il viaggio è appena cominciato.
21 ottobre 2015 alle 10:31 #12061Ciao Diego!
Che bello leggere una storia d’amore, peraltro di altri tempi. Hai reso delle immagini d’effetto, come il “carico più prezioso del mondo”, che mi hanno emozionata. (sigh) L’unico appunto, forse, è che sembra più una scena di un romanzo che un racconto breve, che per quanto sia difficile, dovrebbe sempre apparire auto-conclusivo. Qui viene da dire “ok, e poi? Che è successo prima? Che succederà dopo?”. Avresti potuto renderlo conclusivo con una frase finale più d’effetto forse. Il che è indice del fatto che è una bella storia, ma non va a favore della lunghezza.
Qualche appunto:
– attento ai possessivi, meglio usarne di meno per rendere più pulita la lettura.
Es. “Mi stringo forte la cappa intorno al corpo”, “mi” è superfluo, appesantisce.
– Ti consiglio di andare a capo solo quando serve e non a ogni frase, altrimenti spezzi il ritmo. Andare a capo è una precisa scelta stilistica, ma andandoci sempre commetti un errore tecnico.
– Mancano un po’ di virgole, per es. “cambiati, non andrai lontana”; “una mela, che ingurgita con piacere”; “sembrano un’infinità, ora che”.
– “quegli stupendi occhi neri”Un racconto avvincente, l’ho apprezzato molto. Hai uno stile evocativo e fai in modo che le scene di rivelino piano piano, in modo avvincente, complimenti!
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Flavia Imperi.
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