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Questo argomento contiene 22 risposte, ha 16 partecipanti, ed è stato aggiornato da Peter7413 10 anni, 1 mese fa.
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28 febbraio 2015 alle 16:57 #3567
Era la prima volta che ne trovavo uno senza l’aiuto di mio padre. A lui bastavano cinque minuti. Si tuffava di testa dal molo dell’Hotel Ritz, sputava nella maschera, si allontanava di qualche bracciata e dopo un po’ mi chiamava forte con quel sorriso da ragazzino. Allora lo raggiungevo mentre l’acqua fredda di Alghero mi mordeva la pelle. A quel punto bastava che guardassi sotto i piedi di mio padre per trovarmi davanti a una tana circondata da gusci di ricci di mare. Era quello il segreto. Dare la caccia ai gusci per trovare il polipo, e quel giorno d’agosto, col sole che colorava il fondale d’un verde smeraldo, ne vidi tre: due interi e uno a pezzi.
Il polipo rintanato tra due rocce piatte aveva gli occhi piccoli e neri. Se ci fosse stato mio padre l’avrebbe preso a mani nude strappandolo dal fondale come un’erbaccia da un’aiuola, me l’avrebbe dato facendo schioccare le ventose attaccate al braccio, e io l’avrei lanciato in mezzo al mare perché mi divertiva nuotare sott’acqua e afferrarlo prima che toccasse il fondo cercando un’altra tana. Solo che in acqua c’ero solo io. Dopo pranzo a mio padre piaceva accendere l’aria condizionata e starsene nel letto al fresco.
Tesi il braccio e sfiorai il polipo che si ritrasse sputando una nuvola d’inchiostro. Presi fiato e tornai giù. L’inchiostro s’era diradato, eppure non riuscivo a ritrovare la tana perché la corrente mi aveva spinto verso la boa rossa oltre la quale il mare si faceva scuro ed era vietato nuotare. Ci misi un po’ a ritrovare il polipo. S’era rintanato più in fondo tra le rocce. Sporgevano solo i tentacoli.
Sapevo che l’avrebbe avuta vinta se avessi avvicinato la mano e lui si fosse ritratto ancora. Non potevo rischiare, così nuotai fino al molo, uscii dall’acqua e senza asciugarmi superai l’ombrellone verso l’albergo.
“Luca, dove vai?”
Guardai mia madre che aveva un libro in mano mentre mia sorella esaminava affascinata le conchiglie che avevo preso quella mattina.
“Da papà” dissi.
“Sta dormendo.”
“Devo dirgli una cosa.”
La porta era chiusa dall’interno. Bussai. Mio padre non rispondeva. Bussai più forte finché non mormorò qualcosa. Quando aprì, sentii il fresco della camera, il ronzio dell’aria condizionata, e vidi che era in slip bianchi e aveva gli occhi gonfi di sonno.
“L’ho trovato!” dissi eccitato sgocciolando davanti alla stanza.
“Che cosa?”
“Un polipo!”
Mi guardò serio. “Davvero?”
“Sì.”
“E perché non l’hai preso?”
“C’ho provato. S’è rintanato. Solo tu puoi prenderlo.”
Non aveva fatto altre domande perché sapeva che per me era importante, s’era messo il costume e mi aveva seguito fuori dall’albergo. Appena mia sorella ci vide passare lasciò perdere le conchiglie e venne con noi sul molo da cui mio padre si tuffò in bello stile.
Si girò, si scostò i capelli dalla fronte con un colpo di testa come se qualcuno avesse crossato un pallone e mi fece cenno di saltare. Io però avevo freddo, l’acqua mi si era asciugata addosso ed ero scosso dai brividi.
“Come faccio a trovarlo?” urlò dal mare.
“È vicino alla boa.”
Arrivò anche mia madre.
“Che è successo?”
“Ho trovato un polipo. Papà adesso lo prende.”
Mio padre aveva raggiunto la boa in poche bracciate. Lo guardammo immergersi e tornare in superficie, prese una boccata d’aria, s’immerse di nuovo e restò sott’acqua un minuto intero. Immaginavo la sua mano tra le rocce strattonare il polipo, lasciarselo sfuggire, acciuffarlo di nuovo, i tentacoli guizzanti come fruste. Una lotta che mio padre avrebbe vinto perché nessun polipo riusciva a sfuggirgli. Quando riemerse boccheggiava. Si teneva a galla muovendo le gambe.
Disse qualcosa che non capimmo, allora urlò più forte: “Non ci riesco!”
Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi.
“Papà!”
Nicola si è avvinghiato al mio corpo. Le sue gambe magre mi stringono i fianchi. Da quant’è che stiamo in acqua?
Dal vetro della maschera guardo gli ombrelloni sotto il sole rovente. Mia moglie ci osserva sul bagnasciuga riparandosi gli occhi con una mano.
“Ce la fai a prenderlo?”
Scosto i capelli bagnati dalla fronte di mio figlio.
“Certo.”
E vado giù.
L’inchiostro si sta disperdendo. Il polipo mi fissa iroso nella tana circondata da resti di ricci. Lo agguanto con una mano e stringo, è molle, stringo forte, non lo lascio andare. Ruoto il polso e le ventose mi si attaccano alla pelle. Lo strappo con cattiveria dalla roccia.
Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca e le eliche che lasciano una scia rossa come la boa mentre mia madre mi ferisce con le unghie e urla a mio padre di spostarsi.
Mi volto terrorizzato. Non ho fiato per gridare.
Il mare è calmo.
All’orizzonte un pedalò.
Nicola schiaffeggia l’acqua. “Dammelo, papà!”
Strappo il polipo dal braccio e lo do a mio figlio, che se lo rigira tra le mani e lo lancia lontano come una palla per riprenderlo sott’acqua prima che trovi un’altra tana. Non gli ho mai parlato di quel gioco.-
Questo argomento è stato modificato 10 anni, 1 mese fa da
The Beps. Ragione: aggiunte le righe bianche
1 marzo 2015 alle 11:28 #3578Premetto che la storia mi è piaciuta, ma ammetto di averla dovuta leggere due volte per essere sicura che il padre fosse morto. Mi piace che nella prima parte il suo destino resti sospeso, ma secondo me potevi essere anche un po’ più esplicito alla fine. Non credo che si sarebbe perso il carico emotivo. Mi piace anche l’idea di parallelismo tra Luca e Nicola, che alla fine fa lo stesso gioco del padre anche se non gliene h mai parlato, riporta il racconto sulla naturalezza del gioco, come a dire che la vita va avanti. Almeno, così l’ho intesa io, spero di non aver frainteso tutto o averti offeso!
1 marzo 2015 alle 18:08 #3666Ciao Cristina,
grazie per aver letto e commentato.
La morte del padre è accennata attraverso la moglie che urla di spostarsi e le unghie che entrano nella spalla di Luca perché volevo che il quadro si completasse una volta che Luca adulto emergesse dall’acqua e rivivesse la scena del motoscafo.
Come hai detto tu, il messaggio del polipo da acchiappare sott’acqua è proprio quello:
la vita va avanti e certi legami non hanno bisogno di parole per consolidarsi.
Sono contento che la storia ti sia piaciuta, a presto!2 marzo 2015 alle 22:11 #3748Ciao Filippo.
Lettura piacevole, bel racconto.
La storia è interessante, in due scene rendi bene i sentimenti del protagonista, senza cadere nel patetico. Bravo.
Lo stile è buono, non ho nulla da dire.
L’unico neo è il modo in cui non ci fai vivere la morte del padre: “Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi.”
E ci confondi dopo: “Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo.”
Io non l’ho visto, non puoi dirmi che lo rivedi, altrimenti non ho modo di immedesimarmi, di vivere quell’angoscia. Ma è solo un dettaglio.
Invece volevo farti i complimenti per altre immagini nitide, una su tutte : “scostò i capelli dalla fronte con un colpo di testa come se qualcuno avesse crossato un pallone”
Nel complesso una buona prova.
Ciao e alla prossima.5 marzo 2015 alle 15:28 #3906Formalmente non ho nulla da correggerti. Ho apprezzato molto l’incipit: accattivante e dettagliato. Immerge subito il lettore nell’atmosfera del racconto… un’atmosfera agrodolce. Personalmente, ho trovato il modo in cui hai parlato della morte del padre “elegante”… le tue parole non gridano, anche se sarebbe stato facile farlo. Siamo un po’ a quel rinomato “show, don’t tell” tanto difficile da attuare con efficacia. Quando si cerca di utilizzare una simile tecnica, si richiede al lettore un’attenzione maggiore… e il rischio è di non essere compresi subito. Ma, capiamoci, è un po’ il rischio di ogni salto di livello… sarebbe stato semplce raccontare la cosa in modo più diretto. Complimenti per aver provato a fare diversamente!
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 2 mesi fa da
Viviana Spagnolo.
6 marzo 2015 alle 12:28 #3970Ciao Filippo.
Il racconto non è male, ben scritto e la storia è intrigante. La grossa pecca è che ho dovuto rileggerlo più volte per far tornare tutti i conti. Non mi convince il passaggio fra la morte del padre e il ritorno al presente, lo vedo un po’ confuso. Nelle prime due letture non riuscivo a orientarmi al meglio fra passato e presente, magari era mia la colpa però, è solo una mia impressione.
Altra nota positiva è il gioco di lanciare il polipo in mare, ripreso anche dal figlio sul finale.
6 marzo 2015 alle 12:42 #3973Ciao Enrico,
grazie per aver letto e commentato.
Purtroppo il passaggio non è perfetto perché nella formattazione non sono riuscito a inserire uno spazio bianco tra le due scene.6 marzo 2015 alle 14:05 #3974Ciao Filippo,
il racconto è scritto bene. Mi è piaciuto leggerlo. Il tema dell’infanzia e dei rapporti famigliari è una scelta vincente. Penso a Salinger e al suo racconto “Un giorno perfetto per i pesci banana”. Intelligente anche la scelta di non spiegare troppo il passaggio tra passato e presente. Penso , a differenza degli altri, che non sia lì il problema di fondo del tuo racconto. L’intoppo si crea quando si avverte troppo la costruzione della struttura sottostante. Si intravede che lì c’è la tua firma, del narratore, e non più del personaggio a fianco del quale siamo stati per tutta la prima parte.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
Sharon Galano.
6 marzo 2015 alle 16:48 #3992Il racconto mi piace, è scorrevole ed è scritto bene, solo che c’è un punto che non mi convince molto ed è la morte del padre: Come ha fatto a non vedere prima un motoscafo che andasse nella sua direzione? in fondo è stato solo un minuto sott’acqua. Io non ne capisco di pesca ma di solito le tane dei polpi non dovrebbero trovarsi così a largo, un motoscafo che è a pochi metri dalla riva, non dovrebbe muoversi con più attenzione e magari andare più lento? Non lo so, sono dubbi che mi vengono al momento, ma ripeto, io di pesca non ne capisco nulla. Detto ciò, trovo sia una bella storia.
7 marzo 2015 alle 12:20 #4012Ciao Filippo,
ho trovato il tuo racconto molto piacevole da leggere. Ho apprezzato soprattutto il ritmo e la scelta di lasciare al susseguirsi degli eventi il compito di trasmettere gli stati d’animo del protagonista. Anche io, come già detto da altri, credo che la scena della morte del padre possa essere resa meglio e che il flashback in cui la racconti sia confusivo e involontariamente spiazzante per il lettore. La mia valutazione è comunque molto positiva.7 marzo 2015 alle 12:39 #4014Ciao Filippo,
il racconto mi è piaciuto molto, per ora è tra quelli che preferisco in assoluto, sopratutto per la l’equilibrio della scrittura, il suono e la musicalità della frase. Come per gli altri mi ha spiazzato un attimo il ritorno al presente, ma è stato un attimo. Il fatto che tu non abbia usato spaziature per evidenziare il flashback e che questo si sia capito subito è molto positivo! Mi piace molto la tua lingua pulita e la scelta di un’immagine semplice, adatta alla lunghezza del racconto.
Se posso fare una nota, che poi è puro gusto quindi prendila così, è questa: “C’ho provato. S’è rintanato. Solo tu puoi prenderlo”. Non ha nulla di sbagliato, sarà il ritmo, sarà la parola “rintanato” o il tono di “Solo tu puoi prenderlo” che non mi convince in bocca a un bambino. Ma ripeto, gusto.
Complimenti ancora.7 marzo 2015 alle 12:47 #4015Grazie ragazzi per aver letto e commentato,
come ho detto, il fatto di aver dimenticato lo spazio bianco tra le due scene è una svista che mi ha fatto rosicare non poco perché io stesso mi rendo conto che il ritorno dal flashback crea un po’ di confusione. Riguardo la morte del padre posso dire che è la scena è plausibile perché parte della storia è tratta da un fatto realmente accaduto.9 marzo 2015 alle 14:34 #4090Ciao Filippo, ben ritrovato sul nuovo forum.
Ho apprezzato molto il tuo racconto, è delicato, circolare, ben scritto.
La scena della morte del padre va abbastanza bene anche così, forse potevi rafforzarla con un dettaglio tattile, visivo o uditivo che si riproponesse identico nel passato e nel presente. Mi spiego. Tu richiami le unghie della madre nella spalla di Luca, ma questo non succede, è solo ricordato. Se ci fosse un dettaglio come un suono di una sirena, realmente identico nei due quadri, l’accostamento sarebbe molto più forte. Basterebbe riportare due volte identico l’inciso, tipo: “Uno squillo di sirena.”
Tu invece metti un finto ricordo nel quadro presente:Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca e le eliche che lasciano una scia rossa come la boa mentre mia madre mi ferisce con le unghie e urla a mio padre di spostarsi.
La parte di “il motoscafo mi assorda” l’ha vissuta il padre, non Luca. È vista “ad altezza acqua”.
Io ti proporrei una struttura alternativa di questo tipo (mie le parti in corsivo):Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi. Uno squillo di sirena.
[…]
Emergo. Uno squillo di sirena. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca […]
In ogni caso buona prova! Bravo!
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
Beppe Roncari.
9 marzo 2015 alle 17:44 #4096Ciao Beppe,
giustissima osservazione: se avessi rafforzato il passaggio con qualcosa di tattile o uditivo la scena sarebbe stata più efficace. Se metterò mano al racconto mi ricorderò del tuo consiglio, grazie ancora!9 marzo 2015 alle 18:56 #4100È un piacere.
9 marzo 2015 alle 21:21 #4105Ciao Filippo,
Il racconto è scritto molto bene, con uno stile preciso e delle immagini efficaci. Il passaggio dal passato al presente poteva essere forse gestito un po’ meglio, ma non l’ho comunque trovato troppo difficoltoso. La cosa che non mi ha convinto del tutto è invece la trama: il parallelismo tra passato e presente mi sembra un po’ troppo artificioso; in particolare, hai reso così bene la drammaticità della morte del padre che mi sarei aspettata che il protagonista fosse rimasto così traumatizzato da non volere più avere nulla a che fare con i polpi in nessun modo.
9 marzo 2015 alle 22:21 #4111Ciao Viviana,
non sono tanto d’accordo con la tua critica e credo che la forza del racconto stia proprio nel fatto che il protagonista s’è lasciato alle spalle la disgrazia a favore di un presente in cui è disposto a tutto pur di soddisfare il figlio. Il figlio è la cura. E’ ciò che l’ha aiutato a dimenticare. Afferrare il polipo è solo una metafora che mi serve per dire che non dobbiamo lasciarci sconfiggere dalla brutalità dei ricordi.10 marzo 2015 alle 10:40 #4140Anche qui abbiamo un passato che continua a tornare a galla. Confesso che però non ho sentito molto l’angoscia che dovrebbe provocare un ricordo traumatico, come il tema del contest poteva suggerire. Ho ben inteso, come hai spiegato, che lui supera questo trauma insegnando lo stesso gioco al figlio, ma non lo percepisco molto quando lui è bambino, nella narrazione al passato. Di quell’incidente e del dolore che ha causato abbiamo soltanto una vaga traccia (sua madre che gli artiglia la spalla), mentre di lui non riusciamo a provare nulla, mentre invece avrei preferito capire cosa avesse provato in quella circostanza. E’ stata una reminiscenza “fredda”.
A parte questo, lo stile è ben scorrevole, la storia si legge d’un fiato e il mio giudizio verte al positivo. Buona prova.
10 marzo 2015 alle 12:25 #4160Ciao Filippo.
Leggendo il tuo racconto, inizialmente, non mi sono neanche soffermata sulla storia, ma sulla scrittura. Mi è piaciuta, hai uno stile deciso, punteggiatura usata perfettamente, per dare il giusto tono, buone descrizioni. E’ quella che mi coinvolge, più della storia in sé. Sarà perché non ho trovato troppo potente la storia dei polipi, oppure quella del motoscafo e, come ha già scritto Beppe, la frase “il motoscafo mi assorda” risulta poco efficace perché non è stato Luca in prima persona a vivere la scena in precedenza. Al contrario, ho trovato interessante, forte, il parallelismo tra Luca e suo figlio, tra passato e presente, realizzato con descrizioni di scene semplici.
Ciao e alla prossima!10 marzo 2015 alle 18:31 #4185Ok, ora è più chiaro, credo che mi abbia confusa la frase finale sul fatto che lui non gli ha mai parlato del gioco, l’avevo interpretata come un segno che le cose si stessero ripetendo per caso (e allora mi è venuto da chiedermi “ma perché se è ancora traumatizzato dal ricordo del motoscafo non va a fare le vacanze in montagna?”). Comunque vedo dagli altri commenti che sono l’unica che ha avuto questa impressione, quindi sicuramente il problema è solo mio. 😉
13 marzo 2015 alle 16:23 #4296Bello. Semplice, lineare, pulito ed emozionante.
Questo racconto mi ha immersa subito (tanto per restare in tema) in quel mare di dolci ricordi, resi senza cadere nel patetico.
Mi è piaciuto molto anche il filo che unisce il passato al presente, questa ciclicità dei gesti e degli affetti.
Unica critica: IMHO non hai reso molto la “bestialità” del passato, quello che racconti è solo un deja vu del protagonista, doloroso, triste, ma che non ha nulla della bestia feroce.
alla prossima!
16 marzo 2015 alle 22:39 #4456Un bel brano scritto molto bene e senza particolari intoppi.
Ammetto che ho dovuto rileggerlo per capire lo stacco tra le due parti, non sono in grado di dirti come fare per rendere meno brusco o meno nebuloso quel passaggio, sicuramente quelli “studiati” sapranno aiutarti.
Bello il passaggio finale chiude bene il cerchio della storia.
Una buona prova.
18 marzo 2015 alle 13:27 #4601Uno stile incredibilmente più morbido di quello cui ci hai abituati, ottimo, riesci a controllare registri diversi con pari risultati, davvero bravo. Il racconto mi è piaciuto, concentri l’attenzione su un focus ben preciso (la caccia al polipo) e gli fai ruotare tutto intorno dimostrando, anche qui, un mirabile controllo. Forse pecchi in eccessiva leggerezza nel momento del passaggio all’inversione dei ruoli e ti limiti a evocare il trauma attraverso l’immagine del motoscafo, però qualcosa in più poteva trasparire dalle righe, quel pizzico di tristezza e consapevolezza che contraddistingue a prescindere l’età che avanza e che qui sarebbe stata ancora più giustificata. Ecco, prima parte a mio avviso perfetta mentre alla seconda manca un po’ di cuore in più.
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