Un pupazzo senz'ali


Questo argomento contiene 3 risposte, ha 2 partecipanti, ed è stato aggiornato da Flavia Imperi Flavia Imperi 9 anni, 6 mesi fa.

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  • #11914
    Alberto Della Rossa
    Alberto Della Rossa
    Partecipante

    Mise la testa sotto il cuscino, cercando di non sentire le urla che provenivano da basso. Conosceva il copione, sapeva esattamente i tempi di scena del dramma che si ripeteva sempre davanti allo stesso pubblico terrorizzato. Un colpo, un altro ancora. Il rumore di un piatto che va in frantumi. Uno di quegli insulti innominabili che uscivano dalla bocca di suo padre. Sei una troia, urlava. E sua madre che non rispondeva nemmeno, mugolava e basta. Tirò su la coperta, cercando di dimenticare il mondo oltre la barriera di lana che lo ricopriva e che attutiva appena il rumore della miseria. Nel pugno stringeva un pupazzo di gomma. L’aveva trovato per terra, al parchetto. Tutti i giochi che possedeva li aveva trovati o rubati qua e là. Li nascondeva come un cane fa con un osso e li tirava fuori uno alla volta dalla scatola di latta nascosta dietro la legnaia. Quello che stringeva in mano era il suo preferito.

     

    Quello è l’uomo diavolo, gli aveva detto un bambino. È tuo?

    Aveva risposto di si con un cenno della testa.

    Lui protegge i buoni e picchia i cattivi. E vola, sai? Dovrebbe avere le ali ma il tuo pupazzo non le ha più.

    Lo sapeva, certo che lo sapeva.

    Tu non parli? Vuoi giocare?

    Altro silenzio. Avrebbe voluto giocare.

    Solo non sapeva come si facesse.

     

    La coperta di lana non riuscì a spegnere il rumore sordo, simile a quello di una zucca che cadeva per terra. Poi il silenzio. Di solito si interrompeva tutto con lo sbattere della porta di casa che faceva tremare tutto il pavimento e il pianto di sua madre che proseguiva per ore. Il copione era diverso questa volta e, mentre la paura montava, premeva il pupazzo sulla guancia, lasciandosi dei segni rossi sul viso.

     

    Scese le scale un passo alla volta sui calzini bucati e rammendati innumerevoli volte. Nell’aria c’era un odore metallico che si mischiava al sentore acre dell’alcol. Sporse la testa oltre la soglia e nella penombra c’era suo padre, chino sul corpo di sua madre. I pantaloni abbassati, come se stesse facendo le sue cose, e grugniva. Lasciò cadere il pupazzo, senza nemmeno un singhiozzo. Fu sufficiente per richiamare la bestia.

     

    Piccola merdina, ti piace guardare.

    Biascicava, investendolo con il fiato puzzolente d’alcol mentre gli tirava i capelli e lo trascinava verso sua madre, inerte sul pavimento.

    Figlio di troia, guarda allora mentre la tratto come merita.

    Lei non reagiva. Non respirava. Prendeva solo calci, come una bambola di pezza.

    Poi venne il suo turno e i pugni gli caddero addosso, pesanti come i sassi che gettava nel lago quando era solo.

     

    Quando si svegliò, fuori era ancora buio.Strisciò verso sua madre. C’era sangue, per terra, sul naso e sulle labbra. E occhi sbarrati. Suo padre era sul divano, i pantaloni ancora slacciati. Dall’angolo della bocca scendeva della saliva, e russava.

    In cucina trovò il coltello. Colpì una volta, poi due, poi ancora, a casaccio. Alla bava si unì il sangue. Dall’angolo della stanza, un  pupazzo senz’ali guardava.

    #12049
    Flavia Imperi
    Flavia Imperi
    Partecipante

    Ciao Alberto,
    il tuo racconto evoca emozioni forti, narri bene la trascuratezza e il dolore di un bambino che “non sa giocare” (immagine che ho apprezzato molto), lasciando un senso di amarezza e orrore alla fine della storia. La narrazione scorre e il punto di vista mi sembra reso molto bene.
    Il tema è preso “in negativo”: ali tarpate, strappate insieme all’innocenza dell’infanzia.
    Attento però ai dialoghi, che vanno sempre segnati con uno dei metodi classici (linea lunga, virgolette, etc).

    #12063
    Alberto Della Rossa
    Alberto Della Rossa
    Partecipante

    Ciao Flavia, grazie del commento. Quanto ai dialoghi permettimi di dissentire: ne esistono le più svariate forme. In questo caso la mia è stata una precisa scelta sulla falsariga dello stile di McCarthy. Basta dare un occhio ai dialoghi di Meridiano di sangue, ad esempio. Scelta stilistica riportata anche nelle diverse edizioni, nel caso italiano la Einaudi, e rispettata dal traduttore (in questo caso Raul Montanari). Ritengo che la forma del dialogo sia molto personale, non a caso la formattazione varia addirittura da editore a editore. Nel mio caso specifico ho voluto omettere qualsiasi segno grafico per rispettare il senso di straniamento e di crudezza.  :) questo non vuol dire che ignori deliberatamente le regole di formattazione, ma in alcuni casi ritengo possano essere “piegate”

    #12064
    Flavia Imperi
    Flavia Imperi
    Partecipante

    Alzo il cappello di fronte alla scelta, se fatta con consapevolezza. Però ma rimango dell’idea, a livello di gusto personale, che la mancanza di segni non faciliti la lettura. Che dire, ogni scelta particolare porta con sé pregi e difetti!

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