L'allenamento
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L'allenamento
Muscolo: all'inizio questa parola mi suscitava immagini come Braccio di Ferro, o figure di culturisti un po' deturpati dagli steroidi, che mettevano in mostra i propri corpi nelle competizioni. Era una parola con un che di esotico e di molto circoscritto a parti del proprio corpo.
Immaginavo questi muscoli come una sezione un po' rossiccia e striata delle braccia e delle gambe, forse anche per effetto delle illustrazioni del mio sussidiario di scuola elementare.
Muscolo: «organo capace di contrarsi sotto uno stimolo adeguato» dice la Treccani. Non ne ero poi così consapevole al tempo.
Quando frequentavo le medie mi allenavo tre volte a settimana: raggiungevo il centro sportivo di Usnago, la cittadina vicina al mio paese, l'unica nella zona che avesse una pista di atletica regolamentare.
Ogni allenamento durava due ore: all'inizio c'era il riscaldamento, poi sessioni di esercizi - sempre diversi, ma per me era come se fossero sempre uguali da una volta all'altra -, qualche giro di campo e, infine, stretching.
I miei genitori avevano scelto per me, nel modo che di solito usano i genitori medi italiani. Mio padre mi considerava una promessa dell'atletica, per il passo svelto, la "falcata" - come diceva lui, ampia. Mia madre invece vedeva per me una possibilità di riuscita: forse, quella che lei non si era mai concessa.
Gli anni passarono. Era come vivere in un mondo a parte: ero un professionista. Sedicenne, conducevo una vita lavorativa: sveglia presto, dal residence di zona mi spostavo in palestra con gli altri. Avevo traslocato: gli allenamenti si svolgevano al centro sportivo provinciale, con la supervisione degli allenatori della Nazionale.
La giornata scorreva intensa in questa specie di microcosmo in cui ci si conosceva tutti per condividere un elemento in comune: la corsa.
Finivo gli allenamenti alle 18: era allora, in quel momento così sospeso e intenso, che sempre più spesso ho iniziato a sentirmi estraneo a quel mondo.
I successi continuavano: vinsi medaglie di svariati metalli, finii sul podio molte volte, ma...
Ma.
Questa mia vita ha iniziato ad attorcigliarsi attorno a un ma di fondo, che ormai mi accompagnava ogni giorno.
Ho iniziato a scrivere così, per dare voce alla più piccola sillaba di dissenso e dubbio pronunciabile.
Mi allenavo sempre, forse addirittura con più passione di prima: ero consapevole ormai che con l'allenamento avrei potuto ottenere risultati sempre migliori.
Volevo conquistare per me quello che ritenevo di poter meritare. Volevo essere premiato, ammirato, desiderato come il migliore. Allora mi allenavo anche oltre gli orari di chiusura della pista; e più mi allenavo, più mi allontanavo da quel ma sottile e impertinente che continuava a sibilarmi dentro, e meno soffrivo.
Entrai in nazionale, finalmente. Era solo questione di tempo: lo sapevo. Ottenni i migliori risultati della mia categoria e ricevetti diverse menzioni.
Ma. Una parte di me continuò in qualche modo ad ascoltare quel coro monosillabico, e continuò a scrivere.
Non sapevo scrivere, ma provai senza sosta. Per procedere questa volta con i miei passi. Per vivere e respirare.
Ogni tanto mi chiedo dove sono: se nelle mani o nei piedi, in quale di queste sezioni di frontiera del mio corpo in effetti io viva.
Mi chiedo se esistano ancora muscoli da allenare, voci da ascoltare.
Immaginavo questi muscoli come una sezione un po' rossiccia e striata delle braccia e delle gambe, forse anche per effetto delle illustrazioni del mio sussidiario di scuola elementare.
Muscolo: «organo capace di contrarsi sotto uno stimolo adeguato» dice la Treccani. Non ne ero poi così consapevole al tempo.
Quando frequentavo le medie mi allenavo tre volte a settimana: raggiungevo il centro sportivo di Usnago, la cittadina vicina al mio paese, l'unica nella zona che avesse una pista di atletica regolamentare.
Ogni allenamento durava due ore: all'inizio c'era il riscaldamento, poi sessioni di esercizi - sempre diversi, ma per me era come se fossero sempre uguali da una volta all'altra -, qualche giro di campo e, infine, stretching.
I miei genitori avevano scelto per me, nel modo che di solito usano i genitori medi italiani. Mio padre mi considerava una promessa dell'atletica, per il passo svelto, la "falcata" - come diceva lui, ampia. Mia madre invece vedeva per me una possibilità di riuscita: forse, quella che lei non si era mai concessa.
Gli anni passarono. Era come vivere in un mondo a parte: ero un professionista. Sedicenne, conducevo una vita lavorativa: sveglia presto, dal residence di zona mi spostavo in palestra con gli altri. Avevo traslocato: gli allenamenti si svolgevano al centro sportivo provinciale, con la supervisione degli allenatori della Nazionale.
La giornata scorreva intensa in questa specie di microcosmo in cui ci si conosceva tutti per condividere un elemento in comune: la corsa.
Finivo gli allenamenti alle 18: era allora, in quel momento così sospeso e intenso, che sempre più spesso ho iniziato a sentirmi estraneo a quel mondo.
I successi continuavano: vinsi medaglie di svariati metalli, finii sul podio molte volte, ma...
Ma.
Questa mia vita ha iniziato ad attorcigliarsi attorno a un ma di fondo, che ormai mi accompagnava ogni giorno.
Ho iniziato a scrivere così, per dare voce alla più piccola sillaba di dissenso e dubbio pronunciabile.
Mi allenavo sempre, forse addirittura con più passione di prima: ero consapevole ormai che con l'allenamento avrei potuto ottenere risultati sempre migliori.
Volevo conquistare per me quello che ritenevo di poter meritare. Volevo essere premiato, ammirato, desiderato come il migliore. Allora mi allenavo anche oltre gli orari di chiusura della pista; e più mi allenavo, più mi allontanavo da quel ma sottile e impertinente che continuava a sibilarmi dentro, e meno soffrivo.
Entrai in nazionale, finalmente. Era solo questione di tempo: lo sapevo. Ottenni i migliori risultati della mia categoria e ricevetti diverse menzioni.
Ma. Una parte di me continuò in qualche modo ad ascoltare quel coro monosillabico, e continuò a scrivere.
Non sapevo scrivere, ma provai senza sosta. Per procedere questa volta con i miei passi. Per vivere e respirare.
Ogni tanto mi chiedo dove sono: se nelle mani o nei piedi, in quale di queste sezioni di frontiera del mio corpo in effetti io viva.
Mi chiedo se esistano ancora muscoli da allenare, voci da ascoltare.
Gianfranca Gastaldi
Re: L'allenamento
Gianfranca! Che bello rivederti nell'Arena! Caratteri e tempo ok, buona Libroza Edition!
- Polly Russell
- Messaggi: 812
Re: L'allenamento
L’allenamento di Gianfranca Gastaldi
Piacere di conoscerti Gianfranca. Un buon racconto il tuo, che ci mostra quanto il riuscire bene in qualcosa non sia di per sé una vittoria. Il testo è fluido, scorre bene, alcune frasi davvero evocative, questa per esempio “Ogni tanto mi chiedo dove sono: se nelle mani o nei piedi, in quale di queste sezioni di frontiera del mio corpo in effetti io viva.” Per il resto lineare, senza troppi guizzi, ma non sempre sono necessari. Non so perché tu abbia voluto inserire quel “italiani”, credo ahimè, che le aspettative asfissianti siano appannaggio di genitori di ogni nazionalità. Per il resto, nulla da eccepire.
Piacere di conoscerti Gianfranca. Un buon racconto il tuo, che ci mostra quanto il riuscire bene in qualcosa non sia di per sé una vittoria. Il testo è fluido, scorre bene, alcune frasi davvero evocative, questa per esempio “Ogni tanto mi chiedo dove sono: se nelle mani o nei piedi, in quale di queste sezioni di frontiera del mio corpo in effetti io viva.” Per il resto lineare, senza troppi guizzi, ma non sempre sono necessari. Non so perché tu abbia voluto inserire quel “italiani”, credo ahimè, che le aspettative asfissianti siano appannaggio di genitori di ogni nazionalità. Per il resto, nulla da eccepire.
Polly
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Re: L'allenamento
L’ALLENAMENTO di Gianfranca Gastaldi La seconda possibilità del tuo protagonista è di ascoltare il vero se stesso attraverso l’attività della scrittura, questo, dopo una giovinezza passata fra le gare di atletica per compiacere i genitori (l’agonismo del padre, lo spirito di rivalsa della madre) in un turbinio di gare, allenamenti anche importanti (vedi i supervisori della Nazionale), i trofei e le medaglie. Tutto in un’ottica di rigore che gli ha impedito di vivere la sua vera età (il residence, gli orari degli allenamenti e il ritmo lavorativo della sua vita). Racconto che mostra in pochi caratteri l’altro lato del mondo dei campioni ammirati e invidiati da tutti.
- wladimiro.borchi
- Messaggi: 396
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca,
Piacere di conoscerti.
È il tuo primo racconto che leggo e l'ho trovato molto interessante.
Da un punto di vista strettamente stilistico mi sembra ineccepibile, non vi ho trovato parole fuori posto e mi sembra che l'uso delle parole sia ben equilibrato e senza eccessi.
Cionostante, almeno per quanto mi riguarda, il racconto non ha saputo toccare le giuste corde.
Non ho vissuto la vita del protagonista, non ho provato le sue emozioni, non ho visto attraverso i suoi occhi.
Se devo individuare una responsabilità, immagino che dipenda dal fatto che c'è troppo narrato e poco mostrato.
L'idea è buona, ma per rendere il lavoro davvero perfetto, forse dovresti piazzare una bella telecamera sugli occhi del protagonista e farci vedere quel mondo attraverso di lui, filtrato dalle sue emozioni, per farle diventare le nostre.
Un lavoro discreto, ma che può crescere ancora.
A rileggerci presto.
Wladimiro
Piacere di conoscerti.
È il tuo primo racconto che leggo e l'ho trovato molto interessante.
Da un punto di vista strettamente stilistico mi sembra ineccepibile, non vi ho trovato parole fuori posto e mi sembra che l'uso delle parole sia ben equilibrato e senza eccessi.
Cionostante, almeno per quanto mi riguarda, il racconto non ha saputo toccare le giuste corde.
Non ho vissuto la vita del protagonista, non ho provato le sue emozioni, non ho visto attraverso i suoi occhi.
Se devo individuare una responsabilità, immagino che dipenda dal fatto che c'è troppo narrato e poco mostrato.
L'idea è buona, ma per rendere il lavoro davvero perfetto, forse dovresti piazzare una bella telecamera sugli occhi del protagonista e farci vedere quel mondo attraverso di lui, filtrato dalle sue emozioni, per farle diventare le nostre.
Un lavoro discreto, ma che può crescere ancora.
A rileggerci presto.
Wladimiro
- emiliano.maramonte
- Messaggi: 165
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca! Piacere di conoscerti. Mi par di capire che sei stata frequentatrice assidua di MC, e ora sei tornata.
Vengo subito al dunque: narrazione semplice, lineare e cristallina. Nulla da dire su questo. Buona scelta delle parole e dei periodi, con una prosa abbastanza sorvegliata. E questo è un punto a tuo favore. Mi sono trovato di fronte a un buon flusso di coscienza, dove viene narrata una vicenda personale di sogni e concretezza, di alternative e di riscatto, di vittorie e sconfitte. Purtroppo però ho vissuto una strana sensazione di distacco, come se un amico mi avesse raccontato in un pub di fronte a una buona birra alcune sue esperienze di vita, e io lo avessi ascoltato alternando interesse a distrazione. Quello che manca è una sequenza, qualcosa da vedere, una cinepresa, un quadro dove c'è un personaggio che fa delle cose. Qui siamo all'esatto opposto della regola dello "show don't tell" che, intendiamoci, non è una regola assoluta scolpita nel marmo, però nella narrativa brevissima, come quella di Minuti Contati, è sovrana. Tale mancanza penalizza non poco il testo in quanto ha generato noia ai confini col disinteresse, come accennato poco fa.
Non dico che non sia una buona storia, ma è insufficiente per i motivi che ho esposto.
In bocca la lupo!
Emiliano.
Vengo subito al dunque: narrazione semplice, lineare e cristallina. Nulla da dire su questo. Buona scelta delle parole e dei periodi, con una prosa abbastanza sorvegliata. E questo è un punto a tuo favore. Mi sono trovato di fronte a un buon flusso di coscienza, dove viene narrata una vicenda personale di sogni e concretezza, di alternative e di riscatto, di vittorie e sconfitte. Purtroppo però ho vissuto una strana sensazione di distacco, come se un amico mi avesse raccontato in un pub di fronte a una buona birra alcune sue esperienze di vita, e io lo avessi ascoltato alternando interesse a distrazione. Quello che manca è una sequenza, qualcosa da vedere, una cinepresa, un quadro dove c'è un personaggio che fa delle cose. Qui siamo all'esatto opposto della regola dello "show don't tell" che, intendiamoci, non è una regola assoluta scolpita nel marmo, però nella narrativa brevissima, come quella di Minuti Contati, è sovrana. Tale mancanza penalizza non poco il testo in quanto ha generato noia ai confini col disinteresse, come accennato poco fa.
Non dico che non sia una buona storia, ma è insufficiente per i motivi che ho esposto.
In bocca la lupo!
Emiliano.
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- Messaggi: 592
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca,
Concordo sostanzialmente con i commenti precedenti: lo stile è pulito, ma il tono rimane freddo, distaccato, un elenco di fatti che non ci permette di entrare davvero in contatto con le emozioni del protagonista. Avrei voluto sentire di più la fatica e la dedizione degli allenamenti, le sensazioni che lo portano a cercare di realizzarsi in modo diverso, insomma, conoscere meglio il personaggio che hai creato.
Nel complesso, non un brutto racconto, ma non mi ha convinto del tutto.
Concordo sostanzialmente con i commenti precedenti: lo stile è pulito, ma il tono rimane freddo, distaccato, un elenco di fatti che non ci permette di entrare davvero in contatto con le emozioni del protagonista. Avrei voluto sentire di più la fatica e la dedizione degli allenamenti, le sensazioni che lo portano a cercare di realizzarsi in modo diverso, insomma, conoscere meglio il personaggio che hai creato.
Nel complesso, non un brutto racconto, ma non mi ha convinto del tutto.
- CaterinaDP
- Messaggi: 32
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca.
Il tuo è un racconto in forma di diario. Mi è piaciuto nella prima parte dove parli di te e accompagni il lettore dentro questo diario, con le parole e l’atmosfera giuste. Stilisticamente l’ho apprezzato.
Mi è piaciuta meno l’idea del piano B, nel senso che mi aspettavo una svolta più significativa e motivata. Considerando che l’idea della scrittura accompagna molte persone, anche in parallelo ad altre attività, nel tuo racconto questa scelta non la sento come un forte cambiamento di rotta.
Il tuo è un racconto in forma di diario. Mi è piaciuto nella prima parte dove parli di te e accompagni il lettore dentro questo diario, con le parole e l’atmosfera giuste. Stilisticamente l’ho apprezzato.
Mi è piaciuta meno l’idea del piano B, nel senso che mi aspettavo una svolta più significativa e motivata. Considerando che l’idea della scrittura accompagna molte persone, anche in parallelo ad altre attività, nel tuo racconto questa scelta non la sento come un forte cambiamento di rotta.
Re: L'allenamento
La scrittura è fluida, lineare, evocativa a volte poetica. Niente da eccepire. Mi trovo un po’ perplessa per il tema richiesto. Il piano B. Si sente l’esigenza di cambiare, la vocina interna che urla. Lui/lei la fa assopire, perché, fondamentalmente, trae piacere dalle continue vittorie. Non sembra abbia voglia di smettere, vuoi per la richiesta dei genitori, vuoi per la grande autostima che ne ricava. E allora? C’è o no la svolta? Lo attua un piano B?
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- Messaggi: 65
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca,
il tuo racconto mi ha intrigato. L'inizio è buono, incuriosisci il lettore con questa definizione di muscolo. Forse è anche per questa aspettativa che mi sono fatto all'inizio, che sono rimasto deluso dalla parte centrale del tuo racconto. Parli della vita del protagonista, senza che effettivamente capiti alcun tipo di azione; questa parte porta fuori il lettore dal tuo racconto, secondo me. Sul finale ti riprendi: si inizia a intravedere il sorgere di dubbi riguardo le scelte di vita del protagonista, tant'è che al di fuori degli allenamenti comincia a scrivere, per dar voce a un bisogno interiore. Qui è molto bello il concetto che esprimi: il piano b è scegliere qualcosa che effettivamente avresti voluto fare, il muscolo da allenare (se ho capito bene) è il cervello. Il mio giudizio è in linea generale buono, dovresti solo aggiustare un po' la parte centrale.
il tuo racconto mi ha intrigato. L'inizio è buono, incuriosisci il lettore con questa definizione di muscolo. Forse è anche per questa aspettativa che mi sono fatto all'inizio, che sono rimasto deluso dalla parte centrale del tuo racconto. Parli della vita del protagonista, senza che effettivamente capiti alcun tipo di azione; questa parte porta fuori il lettore dal tuo racconto, secondo me. Sul finale ti riprendi: si inizia a intravedere il sorgere di dubbi riguardo le scelte di vita del protagonista, tant'è che al di fuori degli allenamenti comincia a scrivere, per dar voce a un bisogno interiore. Qui è molto bello il concetto che esprimi: il piano b è scegliere qualcosa che effettivamente avresti voluto fare, il muscolo da allenare (se ho capito bene) è il cervello. Il mio giudizio è in linea generale buono, dovresti solo aggiustare un po' la parte centrale.
Re: L'allenamento
Ciao Gianfranca, il tuo racconto è un flusso di pensiero. Un personaggio che ha diviso e divide la sua vita tra due passioni, tra due abilità. Una che probabilmente non è davvero sua, ma in cui ha grande successo e dunque è diventata la sua vita. L'altra che è forse la vera passione dell'anima, ma non si capisce bene se lo porta al successo. Hai scritto bene, il tema in fondo c'è, ma non riesco a provare emozioni, né a sentirmi coinvolto. Forse sono io, forse no, decidilo leggendo gli altri commenti (io non li leggo mai prima di scrivere il mio.
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