Una normale giornata di primavera

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere ambientato in un preciso universo narrativo che verrà comunicato al momento del lancio.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Livio Gambarini e Marco Cardone leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Samuel Marolla assegnerà la vittoria.
Avatar utente
Andrea Furlan
Messaggi: 411

Una normale giornata di primavera

Messaggio#1 » domenica 2 aprile 2023, 22:30

«Cercate di stare ferme, per favore. Non posso fare nulla se continuate a muovervi.»
La maledetta ape operaia dovrebbe stare immobile sotto la luce del microscopio, ma non ce la fa. Sembra un bambino sovra eccitato: muove le zampe, estroflette l’addome, come se dovesse indicare all’intero alveare dove trovare i fiori migliori. Non so più come fare. Neanche chiudere la finestra è servito. Pensavo che sarebbe bastato per lasciare fuori la primavera bolognese, piena di promesse di ricche fioriture.
Potremmo continuare domani. Ora abbiamo da fare. Molto da fare.
Le solite operaie industriose. Non le sopporto più.
«E va bene, allora basta per oggi. Siete libere.»
Con un ronzio gioioso, l’ape si divincola, mi vola attorno alla testa, poi si posa sul mio naso per qualche secondo. È il suo modo per salutarmi, come il bacio sulla guancia di un’amica che si allontana.
Arrivederci, e scusaci, ma lo sai che in questa stagione siamo impegnatissime.
«Non vi preoccupate, salutate tutte.»
Mi alzo dallo sgabello, la schiena che scricchiola. Non sono più in forma come una volta: quando ero bambino potevo stare ore sdraiato per terra a parlare con le formiche. Una compagnia più interessante: grandi lavoratrici, ma che sanno anche divertirsi.
Le api domestiche invece mi hanno sempre irritato. Sono troppo ossessionate dal lavoro, formali. Guai a dargli del tu, si offendono a morte. Per loro l’individuo non conta, si identificano sempre e solo in gruppo. Un Voi obbligatorio.
Con la solita cura, metto la copertura sull’antico microscopio ottico, un vero cimelio del Dipartimento di Entomologia, sono l’unico che lo usa. I modelli moderni funzionano mille volte meglio, ma le api si lamentano, li trovano troppo freddi, dicono che la loro luce al led da un fastidio terribile.
Mi sposto al computer per lavorare sulla tesi. Scosso la testa, sconsolato. Devo proprio cambiare il titolo: “L’uso delle api come indicatore per l’individuazione dei Polari”. La parte sperimentale è quasi conclusa, ho accumulato un sacco di dati lavorando con tre alveari diversi. La scoperta che mi varrebbe la pubblicazione su “Nature” è dimostrare che gli insetti possono individuare una persona con i poteri. Il vero problema è evitare di rivelare le mie capacità personali, senza scrivere che sono le api stesse a segnalarmelo. Già lo stipendio da tesista frequentatore è una miseria, se dovessero anche tassarmi per il mio potere sarebbe davvero finita.
Era meglio stare a letto. Alla fine è stato un sabato inconcludente passato al lavoro, di questo passo non riuscirò mai a laurearmi.
Per oggi basta, è ora di pranzo e ho fame. Decido di andare a fare una passeggiata in Centro.
A volte mi sembra di assomigliare troppo ad api e formiche: sono quasi sempre solo, parlo con pochissime persone, sto bene in mezzo alla natura. Quando esco, mi fermo a godermi i profumi della bella stagione. Le giovani foglie degli alberi sono appena spuntate, i fiori di inizio primavera spandono le loro fragranze, ascolto gli uccellini cantare felici.
In realtà è un inganno: i pennuti lo fanno apposta per mostrarsi indifferenti, lo so dalle mosche che ronzano qui attorno. Li dileggiano, prendendoli in giro, sfuggendo spericolate ai loro attacchi come corridori in pista. Fra tutti, i ditteri sono gli esseri più bastardi che abbia mai conosciuto.

Attraverso la zona universitaria. Gli studenti riempiono i portici in piccoli gruppi, ridendo fra loro o bevendo qualcosa nei bar.
Dopo una lenta passeggiata dove ho scambiato qualche saluto solo con un paio di scarafaggi, arrivo alla Piazzola, il mercato del sabato. Da quando vivo a Bologna ho sempre adorato passarci in mezzo, ascoltare le chiacchiere della gente senza essere obbligato a parlarci: perdermi nella folla mi fa sentire meno solo.
Spesso ci ho conosciuto insetti interessanti, provenienti da diverse parti d’Italia. Arrivano con i camioncini delle bancarelle e hanno solo voglia di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno che abbia voglia di ascoltarli.
In breve arrivo alla bottega di Ahmed, uno dei migliori kebab turchi di Bologna. Mi metto in fila e attendo il mio turno con pazienza, sbirciando le notizie sul cellulare.
«Buongiorno. Ehm, buongiorno, Prof. Come va?»
Una ragazza minuta ha attirato la mia attenzione: è in fila, ha un viso comune, non bella ma interessante. Porta pantaloni larghi e felpa enorme, mi scruta con un’espressione incerta da sotto un cappuccio scuro.
«Ci conosciamo?» Preso alla sprovvista non so cosa dire, e ora mi sento un completo idiota. Poi mi stupisco che la gente non vuole parlare con me.
«Certo. Sono una delle sue studentesse. Entomologia forestale, del terzo anno. Ho seguito tutte le sue esercitazioni, le ho trovate super interessanti.» Ha un tono più deciso, ora, quasi entusiasta. Lo trovo fuori luogo, ho sempre pensato che quelle lezioni fossero pallose da morire.
«Ah, bene. Ma io non sono un Professore, solo un semplice tesista. Puoi darmi del tu, se vuoi. Giampiero, piacere.» Ci diamo la mano, la sua è piccola, stringe forte. Mi accorgo solo in quel momento che porta dei guanti neri.
«Io sono Rosa. Mi dispiace che ora le lezioni siano finite, avrei continuato volentieri a seguire…»
Continua a parlare, ma vengo distratto. All’improvviso sento il pesante battito d’ali di una cimice. La vedo, si è aggrappata alla mia giacca. Non ascolto più la ragazza: percepisco che l’umore dell’insetto è pessimo. Anzi no, allarmato.
Le cimici sono insetti rudimentali: non sono in grado di parlarmi in modo articolato come gli imenotteri, piuttosto lanciano concetti semplici e diretti che percepisco come singole parole.
Pericolo. Strada. Di là.
Rimango immobile, sorpreso. È la prima volta che un piccolo amico mi lancia un segnale d’allarme così intenso. Mi si arrampica sul collo, come se volesse spingermi via, o forse farsi sentire meglio.
Rosso di testa. Potere. Guarda te. Pericolo. PERICOLO.
È riuscita davvero ad agitarmi. Guardandomi attorno, vedo un ragazzo con i capelli rossi fermo sul marciapiede opposto. Non è molto alto, avrà vent’anni e sembra in attesa, come se aspettasse l’autobus. Ma non c’è nessuna fermata. E sono sicuro che mi abbia fissato per un attimo di troppo.
La ragazza è ammutolita. Il suo sguardo incredulo fissa la cimice che continua a passeggiarmi addosso.
«Scusami. Devo andare, è urgente.» Lo dico mentre esco dalla fila e mi avvio lungo la strada, senza più degnarla di uno sguardo.
Non so bene cosa fare. Mi volto cercando di mostrarmi indifferente. Intravedo lo stesso ragazzo: non è più sul marciapiede, si è mosso. Mi sta seguendo, ne sono certo.
Salendo verso il centro si aprono i vicoli che portano al Ghetto Ebraico: decido di spostarmi in quella direzione, posti dove è facile perdersi fra mille stradine tutte uguali. Il posto ideale per sparire, tornare a casa, al sicuro.
Prendo svolte a caso, in zone poco frequentate, correndo per non farmi raggiungere. Sono abbastanza sicuro di averlo seminato, il respiro torna tranquillo. Mi sono comportato da stupido. Quella Rosa era anche carina, ora ricordo che l’avevo notata fra gli studenti. Potevo stare lì a parlare, invece sono scappato come un coglione. Allarmato da una cimice, fa quasi ridere.
Arrivo in una piccola piazza, vicino alle due Torri, quando incontro un ragazzo. È moro, alto, da un punto di vista fisico niente a che vedere con il rosso di prima. Eppure ha qualcosa che non riesco a identificare, forse gli occhi, il modo in cui mi fissa. Me lo ricorda.
Faccio per passargli a fianco, la testa bassa. Ma si piazza in mezzo al portico, mi blocca il passaggio.
«Giampiero Cumani. Fermati, ti dobbiamo parlare.»
Lo fisso con lo sguardo sbarrato. Mi è sconosciuto, ma sa il mio nome. Nella confusione generale, penso che abbia sbagliato, ha parlato al plurale ma è da solo. Proprio come un’ape.
«Si, dobbiamo parlarti. Smettila di scappare, non ce n’è bisogno. Non vogliamo farti del male.»
Una voce dietro di me. Assurdo, ma sembra identica a quella del tipo che mi ha bloccato. Mi giro: dietro di me è spuntato il rosso, quello che mi fissava al kebab.
Faccio due passi di lato, così li posso vedere entrambi. Sono fermi, ma li percepisco minacciosi, come se potessero scattare e afferrarmi in ogni momento. Uno piccolo, l’altro alto. Diversi come il giorno e la notte. Si guardano attorno, lanciandosi un cenno d’intesa.
Il viso di quello alto a un certo punto cambia, sembra uno di quei video dove il volto di una persona diventa quello di un’altra. Si scioglie su sé stesso, i capelli neri diventano rossi, i vestiti si modificano. Si abbassa, allarga, dilata. In pochi secondi ho di fronte due copie del rosso.
Mi torna in mente qualcosa alla televisione, una puntata di “Chi l’ha visto”: diversi Polari sono spariti nel nulla, un fenomeno in crescita. Una teoria complottista dice che siano i Mutaforma, dei tipi subdoli, pericolosi, di cui non ci si può fidare. Ne hanno fatto vedere uno che si è trasformato proprio così, faceva impressione.
«Sappiamo chi sei, Giampiero. E anche quello che sai fare,» dice quello dietro di me «ci interessa tantissimo. La tua capacità di comunicare con gli insetti è rara» continua quello davanti «strategica, addirittura, la prima volta che troviamo un Polare che lo sappia fare» ancora quello dietro «devi venire con noi, potrai lasciare perdere l’Università e guadagnare un sacco di soldi.»
Sono nella confusione più totale. Solo i miei genitori sanno del mio potere. Fra l’altro è qualcosa di minore, inutile. Parlare con gli insetti. Chi potrebbe mai volermi dare dei soldi per quello? Non posso fare altro che fissarli, incerto.
«Soldi? Ma come fate a sapere? Chi ve l’ha detto? Nessuno…» La mia voce si spegne in un sussurro.
«Certo, soldi. Sappiamo che non hai un lavoro fisso e che stai studiando da più di dieci anni. È da tanto che ti seguiamo.»
«Se vieni con noi ti daremo ventimila euro subito, poi parlerai col nostro capo per il resto. Ti assicuriamo che non te ne pentirai.»
«Noi lavoriamo all’Istituto da tre anni, ormai. E siamo super contenti, non torneremmo mai indietro.»
Hanno parlato a turno, come prima. Uno inizia la frase e l’altro la continua.
«Istituto? Non vorrete dire l’INP vero?» L’Istituto Nazionale Polari, il mio sogno da quando sono ragazzo. Andare a Roma, lavorare fra altri che hanno le mie stesse capacità. Imparare, essere di aiuto alla collettività cercando di mettere a frutto il mio potere.
Ma c’è qualcosa che non torna: i concorsi per entrare all’Istituto sono difficilissimi, con migliaia di richiedenti per pochi posti.
«All’Istituto si entra solo per concorso. Come è possibile…»
Si guardano ancora, uno di loro mi sorride.
«Beh, diciamo che il dipartimento a cui apparteniamo è un po’, ecco, informale.»
«Anche a noi è stato offerto dai nostri colleghi, proprio come a te ora.»
«Prima facevamo i rider: portavamo le pizze a casa della gente, un lavoro orribile, l’unico che avevamo trovato.»
«Ora invece viviamo in una bella casa a Roma Nord dove organizziamo un sacco di feste. Viaggiamo in tutto il mondo, a cercare gente come te.»
«Già, proprio così. Anche noi non ci credevamo, ma abbiamo accettato subito.»
Roma. Una casa. Un lavoro vero, forse avventuroso, dove potrei affinare il mio potere.
Gioia mi torna subito in mente: ci siamo conosciuti in biblioteca. Studiava scienze politiche, allora. Napoletana, piccola e formosa, una forza della natura. Mi ha fatto perdere la testa. Poi ha finito l’Università e se n’è andata. Sui suoi social ho visto che ha una casa a Trastevere, con un gatto, senza fidanzato. Andare a Roma potrebbe voler dire rivederla, far nascere qualcosa di bello.
All’improvviso questi due non mi fanno più tanta paura, anche se la trasformazione mi ha inquietato. Sembrano quasi simpatici, ma meglio andarci cauti.
«Ma come funziona? Diciamo che la cosa forse potrebbe interessarmi, ma non voglio trucchi.»
«Ah bene,» sorridono insieme «ne eravamo sicuri. Devi solo seguirci, poi ti spiegheremo meglio.»
Ci muoviamo, mi tengono in mezzo a loro facendomi sentire un po’ in trappola. In fin dei conti la prima impressione potrebbe essere sbagliata e la loro offerta mi incuriosisce davvero.
Camminiamo a lungo, ma non mi parlano più, sembrano concentrati. È strano come le vie della città siano diventate estranee, piene di ombre nonostante la bella giornata.
In una strada che non riconosco si fermano davanti a un’auto come tante, mi fanno cenno di salire.
All'improvviso sento qualcuno che si avvicina, mi strattona.
«Corri!» Una voce di donna.
«È la stronza dell’altro giorno, quella che è scappata.» Urla uno dei due.
La ragazza mi ha preso per un braccio, mi tira via. Felpa oversize, il cappuccio caduto che rivela capelli neri, lisci. Rosa.
Corro, sempre più confuso.
«Non devono prenderti, sono pericolosi!» L’unica cosa che riesce a urlarmi mentre scappiamo.
Sbuchiamo da una stradina secondaria, corre verso la fermata di un autobus che ci passa davanti. Con le gambe che mi bruciano, saliamo all’ultimo momento, prima che chiuda le porte.
I due rossi arrivano troppo tardi. Rosa gli alza un dito attraverso il finestrino.
Ci guardiamo, ansimando.
«Che diavolo sta succedendo?» Le dico appena riprendo fiato.
«Sono dei maledetti cacciatori di Polari. Ci hanno provato anche con me, ma li ho fottuti, sia allora che adesso.» Controlla, come se avesse paura che ci stessero seguendo.
Mi guardo attorno, sull’autobus c’è poca gente, si fanno i fatti loro.
«Ma allora anche tu? Come fai a saperlo?» Il segreto di una vita, mantenuto al prezzo di silenzi e privazioni. Demolito in una giornata come tante: tre sconosciuti sanno che ho i poteri.
«Lo avevo intuito a lezione, poi ho avuto la conferma da quella cimice: ti camminava addosso senza che la mandassi via. Parli con gli insetti vero? Io posso fare qualcosa di simile con le piante: quando le tocco, le sento. Ma lo odio, cerco di evitarlo il più possibile. Mi da solo problemi.»
Si guarda le mani, ancora coperte dai guanti neri, che ora acquistano tutto un altro senso.
«Quei due, cosa ti hanno detto? Mi hanno offerto ventimila euro per andare al lavorare con loro all’INP.»
«Anche a me, ma ho rifiutato. Mi hanno raccontato una storia che sembrava quasi vera, soldi, viaggi. Io non voglio usare il mio maledetto potere, è inutile e dannoso. Non sai quanti alberi disperati ho incontrato nella mia vita: soprattutto quelli di città, potati, maltrattati. Ho avuto crisi di depressione pesantissime.»
Le sue parole mi fanno riflettere. Mutaforma a caccia di Polari, come noi due. Come fanno a individuarci? Penso alle api che studio, alla cimice che mi ha dato l’allarme. Faccio due più due. Ecco a cosa gli servo.
«Hanno bisogno di qualcuno in grado di identificare i Polari. Alcuni fra gli insetti con cui parlo me li segnalano di continuo, da sempre. La mia tesi è proprio su questo.» Realizzo che se le loro intenzioni non fossero buone, sarebbe un disastro per quelli come noi.
«Certo, non devono prenderci. Aspetta, scendiamo qui. Meglio allontanarci a piedi, sul bus possono seguirci.»
Ancora frastornato dalla fuga e dalle rivelazioni di Rosa, non posso fare altro che seguirla. Non vedo la loro auto, e neanche loro, forse ce l’abbiamo fatta. Ci troviamo sui viali, vicino all’entrata dei Giardini Margherita. Si guarda attorno, poi entra nel parco.
«Qui dovremmo essere al sicuro, vieni.»
Entriamo e ci troviamo in un posto pieno di famiglie e persone che passeggiano con i cani, godendosi il sole del primo pomeriggio. Mi sento rassicurato, sembra tutto normale e c’è molta gente in giro.
«Non possiamo tornare a casa, o all’Università. Sapranno di sicuro dove trovarci. Sapevano tutto di me.»
«Sì, hanno detto che mi seguivano da anni. Ma come possiamo fare? Se scappiamo forse continueranno a cercarci.»
«Non possiamo neanche denunciarli alla polizia, se lavorano all’INP saranno di sicuro d’accordo con loro.»
La prospettiva è angosciante: non avere un posto sicuro dove tornare, nessuno che possa tutelarci. In fondo l’INP rappresenta lo Stato italiano. Mi perdo a parlare con lei, siamo tutti e due impauriti dalla situazione, forse saremo costretti ad abbandonare il mondo che conosciamo. Cerchiamo di trovare una soluzione sensata, fra mille congetture.
È tutto assurdo e spaventoso, ma in fondo mi sto godendo la passeggiata. La trovo interessante, decisa. All’improvviso mi rendo conto che sto avendo la conversazione più lunga degli ultimi tempi. Con una persona, intendo.
Persi nelle nostre chiacchiere, non notiamo i due adolescenti sconosciuti che ci vengono incontro. Solo quando ci sorpassano, mi rendo conto dell’errore.
Uno di loro afferra Rosa da dietro e le mette qualcosa sul viso. Si accascia in un istante fra le sue braccia.
L’altro cerca di fare altrettanto con me, ma riesco a divincolarmi, colpendolo con un calcio. Scappo ancora, preso dal panico. Devono essere loro.
Mi infilo in un vialetto, quando passo vicino a un cespuglio in fiore. Percepisco una presenza familiare. Api che bottinano, indaffarate a raccogliere nettare e polline. Mi viene un’idea.
«Aiutatemi, per favore. Mi stanno inseguendo, vogliono farmi del male. Fermateli!»
Il messaggio allarmato colpisce nel segno: sento che una decina di loro mi sente, si solleva in volo, nota il ragazzo che mi insegue.
Ma poi si rimettono a lavorare, tornano alle loro faccende. Solo un paio di loro si degnano di rispondermi.
Scusaci, ma non abbiamo proprio tempo. Guarda quanto nettare buono, succoso. La nostra Regina sarà contentissima.
Maledette Stacanoviste.
A che diavolo serve avere un potere, se poi chi può salvarti fa quello che gli pare? Ai supereroi degli albi che leggevo da piccolo non succedeva mai qualcosa del genere.
Sento il rumore dei passi in corsa farsi più vicino.
Cerco di espandere le mie percezioni, di trovare un altro aiuto, quando li sento.
Un nido di calabroni in un albero cavo, più avanti.
I calabroni sono attaccabrighe tremendi, aggressivi e antipatici, sempre pronti a menare il pungiglione con chi li disturba. Li ho sempre evitati, ma ora non vedo altre soluzioni.
Lancio anche a loro il mio messaggio di aiuto, senza avere risposta.
Poi qualcosa mi fa inciampare e cado sul vialetto di ghiaia. È il mio inseguitore, che mi afferra, mi schiaccia al suolo, cerca di mettermi un panno bagnato sotto al naso e sento che tutto comincia a sparire, come se mi stessi addormentando. Lotto come posso.
Sento avvicinarsi un ronzio pesante, cattivo. In un istante sono libero: si è alzato, lo vedo agitare le braccia per scacciare qualcosa che non riesco a vedere. Grida, mentre un grosso calabrone appare sulla sua guancia destra.
Altri lo stanno pungendo, perché cerca di difendersi come può, schiaffeggiandosi il corpo.
Ormai si è dimenticato di me. Riesco ad alzarmi a fatica, poi lo stordimento passa in fretta. Torno indietro.
«Seguitemi, per favore, ce n’è un altro. Un’amica è in pericolo.»
Non rispondono, ma li sento attorno a me. Cammino con calma, questa volta, accompagnato da quel ronzio potente che mi fa sentire forte, invulnerabile.
Cerco l’altro, e Rosa. Li trovo a poca distanza dal punto dove l’hanno presa, seduti su una panchina. Lui in attesa, la sorveglia mentre dorme, sembra la sua fidanzata.
Mi vede arrivare, intuisce che qualcosa non va. I calabroni cominciano a ronzargli attorno, senza pungerlo. È sufficiente, si alza impaurito mentre le sue sembianze cambiano. Si trasforma di nuovo, compaiono i capelli rossi, il suo vero volto. I lineamenti si fondono in modo disordinato, come se avesse perso il controllo. Scappa, inseguito.
Esausto, mi siedo sulla panchina accanto a Rosa. Non so come, ma sono certo che quei due non torneranno più, almeno per oggi.
Mi guardo attorno godendomi questo attimo di pace. Il sole, i bambini che giocano nel prato, le famiglie spensierate. Chissà quanti fra loro avranno poteri come noi. Quanti riceveranno la visita di qualcuno come quei due e saranno terrorizzati a morte. Sento che devo fare qualcosa.
Guardo Rosa di fianco a me.
Quando si sveglierà, decideremo insieme le prossime mosse.
In un attimo, non mi sento più solo.



Avatar utente
Andrea Furlan
Messaggi: 411

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#2 » domenica 2 aprile 2023, 22:52

Ambisco a tutti e tre i bonus:
Un animale dev'essere elemento di fastidio per i personaggi: sono le api domestiche, riluttante oggetto di studio per Giampiero, troppo indaffarate per aiutarlo.
Nel racconto dev'esserci un oggetto anacronistico: il vecchio microscopio ottico, così comodo per le api rispetto ai modelli moderni.
Qualcuno deve avere un superpotere inutile: è il potere di Rosa, inutile e dannoso almeno per lei, che soffre come le piante con cui può comunicare.

Avatar utente
Daniele
Messaggi: 183

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#3 » venerdì 7 aprile 2023, 9:28

Buongiorno Andrea. Hai scritto.un racconto utilizzando un potere alla dolittle degli insetti diciamo, che non mi ha convinto e che mi ha richiesto uno sforzo per andare fino in fondo. Il tutto nasce da una cimice che sembra abbia il potere di individuare le persone con poteri, e decifrarne le intenzioni. Conosceva già il protagonista? Se la conosce già allora magari la dovrebbe chiamare per nome, tipo Franco, se non la conosce come fa lei a sapere che lui può parlare con lei e perché deve avvertirlo? Allora davvero capta i poteri degli umani.
Il tema è accennato, è sabato, siamo in Italia, per me è ok, ho fatto la stessa cosa nel mio racconto.
Lo svolgimento l'ho trovato allungato, avrebbe funzionato di più per una sfida con racconto breve da 5000, su questa lunghezza mi ha annoiato.
Non percepisco una trasformazione nel protagonista, all'inizio si affida alla sua abilità di comunicare con gli insetti: chiede aiuto agli insetti per realizzare la sua tesi e risolve la situazione chiedendo aiuto agli insetti.
Per quanto riguarda i bonus il potere non è proprio inutile, comunica con gli insetti, ci sta facendo una tesi e gli salvano la vita, utile direi. Microscopio ok, magari se ne trovano ancora oggi, ma nel 2040 non ci saranno sicuramente più (come le camice di forza che già oggi sono estinte) mentre le api secondo me non infastidiscono il protagonista, sono api operaie che fanno le api operaie, è più lui a cercare di infastidire loro.
In bocca al lupo per la gara!

Avatar utente
Andrea Furlan
Messaggi: 411

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#4 » venerdì 7 aprile 2023, 10:34

Ciao Daniele,
Grazie per il tuo commento e per alcune utili indicazioni.
Vorrei rispondere subito a un paio di domande.
L'interazione fra Giampiero e gli insetti l'ho immaginata come se, essendo in grado di comunicare, siano attratti reciprocamente a interagire fra loro. Un po' come i cani che se si incontrano per strada corrono subito ad annusarsi.
La cimice corre ad avvertirlo perché ha percepito sia il potere del suo inseguitore che un potenziale pericolo. Comunque capisco che avrei potuto spiegare meglio questo punto.
L'evoluzione del protagonista in realtà c'è, non nel suo potere ma nel trovarsi in un mondo diverso dopo questa "normale" giornata. Da studente scollegato e noncurante si trova catapultato in un universo in cui il suo potere lo mette in pericolo.
Il potere inutile non è il suo, ma quello di Rosa, come ho indicato nel post dopo il racconto.

Avatar utente
Michael Dag
Messaggi: 428

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#5 » sabato 8 aprile 2023, 20:34

Una normale giornata di primavera di Andrea Furlan
Ciao Andrea, mi fa piacere leggere qualcosa di più elaborato da parte tua.
Il tuo pezzo ha pro e contro.
la cosa su cui ti facci i complimenti è lo stile. Estremamente scorrevole, un ottimo qui&ora che mi ha fatto leggere tutto d'un fiato senza interruzioni.
Anche il ritomo della storia è bello incalzante. Inizia con calma e all'improvviso ci si trova braccati da due tizi alla agente smith di matrix. Molto inquietante la storia dei polari che scompaiono e i mutaforma che cacciano il protagonista.
Qui però arriva la critica: quello che hai scritto sembra più il prologo di una storia più grande, un primo capitolo, un incidente scatenante che però si ferma lì.
Ok il finale aperto, ma mi è sembrato un po' troppo aperto. Qualche info in più su questi villain avrebbe dato più pepe al tutto. Così sembrano appunto due scagnozzi-macchietta di una non meglio precisata "banda dei cattivi".
comunque ho letto volentieri, e di dico la verità, non mi dispiacerebbe affatto trovare un sequel nel laboratorio o altrove.
Molto buona la psicologia del personaggio di quando si rivolge agli insetti nella parte iniziale.
insomma: bene ma non benissimo ma comunque bene.

Avatar utente
angelo.frascella
Messaggi: 729

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#6 » sabato 8 aprile 2023, 22:46

Ciao Andrea.

Il racconto scorre bene e si legge con piacere. L’idea del tipo che comunica gli insetti mi è piaciuta molto e i passaggi sul suo rapporto con gli insetti sono molto gustosi.
Mi ha convinto meno invece la mancanza della motivazione che spinge i “cattivi” a inseguirlo. Cosa vogliono da lui? Perché deve scappare? Questo toglie un po’ di tensione all’inseguimento. Anche l’incontro casuale con la studentessa che poi si scopre essere una potenziale vittima della banda sembra una coincidenza un po’ forzata.
Insomma, racconto interessante ma che sembra incompleto: probabilmente servirebbe più spazio per espanderlo a dovere.

PS permettimi una battuta: se mi vedessi inseguito cercherei di raggiungere via Indipendenza o via Ugo Bassi per confondermi nella folla e avere dei testimoni attorno, invece di infilarmi nelle vie poco affollate del Ghetto :)

yuri.villani
Messaggi: 26

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#7 » domenica 9 aprile 2023, 9:37

Un racconto piacevole e con un’idea di fondo originale e simpatica.
Fin dalle prima battute lo stile mi sembra pulito e scorrevole. Mi ha un po’ confuso la parte iniziale dello studio delle api in rapporto ai pensieri del protagonista, credo per una diversità di proporzioni: la chiusura del primo capitolo, diciamo, forse è un po’ frettolosa, almeno per i i miei gusti.

Lo sviluppo degli eventi poi mi ha suscitato un po’ di suspance e di voglia di continuare a leggere per vedere come va a finire.
I calabroni attaccabrighe, personalmente, li ho trovati molto simpatici.
Forse avrei voluto sapere qualcosa di più sui “gemelli” e per conti di chi, e per quale obiettivo, lavorassero. Il finale così è molto aperto.
Il “sabato” come tema mi sembra un po’ solo cornice, magari poteva essere approfondito come linea guida più marcatamente.
Comunque, complimenti!

Avatar utente
Shanghai Kid
Messaggi: 342

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#8 » mercoledì 12 aprile 2023, 17:20

Ciao Andrea,
e piacere di averti letto!
A me piace come scrivi e non l’ho mai nascosto, anche se talvolta penso che nei racconti più brevi tu riesca a tirare fuori qualcosa di più, rispetto a questo formato un po’ più lungo. A livello stilistico non ho niente da dire (se non diversi “dà” come verbo dare senza accento, perdonami: deformazione professionale ;) ). Tu scrivi molto bene. Le immagini sono nitide, la narrazione è fluida e tutto è ordinato nel modo giusto. Mi è piaciuta l’idea della comunicazione con insetti e piante e anche quella dei mutaforma a caccia di polari. Il tema è anche secondo me preso un po’ di striscio, ma il racconto raggiunge un ritmo incalzante e coinvolgente, ma nel finale si perde un po’ il tutto.
E’ vero che sembra l’introduzione a qualcosa di più lungo e più articolato, perchè dà un po’ l’idea di non avere una vera e propria conclusione.
A rileggerci,
Elisa

Avatar utente
Milena
Messaggi: 67

Re: Una normale giornata di primavera

Messaggio#9 » venerdì 14 aprile 2023, 11:47

Ciao Andrea, ben trovato! Un racconto simpatico, abbastanza originale, che ho letto volentieri. La seconda parte è ansiogena al punto giusto, il finale un po’ aperto lascia spazio (perché no?) a un possibile ampliamento. Ci sono alcuni passaggi che ho particolarmente apprezzato, un esempio questo “È strano come le vie della città siano diventate estranee, piene di ombre nonostante la bella giornata.”, che trovo evocativo. Ho apprezzato inoltre che ogni differente insetto abbia una propria caratterizzazione: le api stacanoviste che danno al lavoro la priorità su tutto, i calabroni bastardi inside, le cimici stranamente simpatiche (e io le odio dal profondo… me le stai quasi - sottolineo il quasi! - facendo rivalutare).
Ti faccio notare alcuni piccoli errori, nulla di che comunque:
Scosso la testa, sconsolato”
“Alla fine è stato un sabato inconcludente passato al lavoro, di questo passo non riuscirò mai a laurearmi. Per oggi basta, è ora di pranzo “ questo inganna un po’ perché sembra che il sabato sia già finito invece è solo mattina.
Al netto di qualche piccolo difetto, il racconto scorre bene; lo stacco con la seconda parte, più in stile racconto di spionaggio, è forse un po’ netto, ma va bene comunque, ci sta.
I bonus ci sono tutti, anche se ho avuto qualche dubbio sul potere inutile: in realtà sembra inutile solo al protagonista e solo all’inizio. (Aggiornamento: ho letto il tuo commento sui bonus, che mi ero persa, e ho visto che hai specificato l’appartenenza del potere inutile alla ragazza. Rimangio quello che ho scritto prima, bonus accolto!). Anche il tema principale sembra sfiorato solo di striscio, il giorno di sabato non ha una valenza particolare, ma c’è ed è quindi valido.
Una bella storiella che, come ho già detto, potrebbe trasformarsi nei primi due capitoli di un racconto decisamente più lungo. Bel lavoro!

Torna a “La Sfida a Gli Inutili”

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite