Semifinale Alberto Della Rossa

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere ambientato in un preciso universo narrativo che verrà comunicato al momento del lancio.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Due sponsor leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Ambra Stancampiano, curatrice di Cani, gatti &c. assegnerà la vittoria finale.
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Spartaco
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Semifinale Alberto Della Rossa

Messaggio#1 » venerdì 16 giugno 2023, 22:50

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Eccoci pronti per la seconda parte di La Sfida a Cani, gatti & co. Giudice di questo gruppo è Alberto Della Rossa, già campione d'era di Minuti Contati.
Combattono in questa semifinale:

Giungla di cemento di Pretorian VS La vendetta di Bry, di Dash J. Benton

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: domenica 18 alle 23.59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, al giudice verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23.59 del 18 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



Dash J. Benton
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Re: Semifinale Alberto Della Rossa

Messaggio#2 » domenica 18 giugno 2023, 18:24

Il batuffolo di pelo bianco caracollava a destra e sinistra. Nacio, steso al sole che entrava dalla finestra, l’osservava con l’occhio buono. Pallino gli arrivò davanti e si sedette sguaiato sul didietro, le zampette posteriori allargate e quelle davanti dritte nel mezzo. Girò la testolina da un lato: “Zio Nacio... vuoi giocare?”.

Nacio agitò i baffi senza scomporsi: “Non sono tuo zio. E sono occupato”. Ma Pallino era già a caccia dell’orecchio intero di Nacio. Lui emise un brontolio ma non lo ostacolò. Pallino cominciò ad arrampicarsi su di lui, affondò le unghiette nella pelliccia grigia e spessa, ma poi ricadde a terra con un capitombolo. Si alzò sulle zampette di dietro e cercò di acchiappare la lunga coda di Nacio, per sbattere infine con il muso per terra.

Nacio si alzò senza fretta e gli leccò il musetto. “Smettila di fare il pagliaccio” disse senza convinzione, e si avviò verso il giardino. Con la coda dell’occhio si assicurò che Pallino gli stesse dietro. I due gatti passarono da una porticina a loro dedicata e un attimo dopo stavano già calpestando l’erba umida e profumata.

Nacio si fermò sotto un albero e girò la testa per ascoltare il fiume che gorgogliava poco lontano e le rare auto che passavano al di là della siepe curata. Si sedette, soddisfatto della tranquillità di Bry sur Marne, alla periferia di Parigi. Ma di tanto in tanto, i rumori della strada gli facevano rizzare le orecchie e portavano con sé il richiamo prepotente della vita randagia. Ci pensò Pallino a distrarlo: “Zio, fa molto rumore il fiume, non trovi?”.

Nacio fece un gesto noncurante con la coda: “Non sono tuo zio. E il fiume è solo un piacevole sottofondo. Il mare di Marsiglia in inverno, quello sì che è forte!”.

Pallino gli ballonzolava intorno eccitato: “Cos’è il mare? Mi ci porti?”.

Nacio cominciò a leccarsi la zampa destra e a passarsela sul muso. Pallino cercò di imitarlo senza molto successo. “No, Marsiglia è pericolosa. Ci sono troppi ratti e la vita è difficile. È lì che ho perso l’occhio e che mi hanno mozzato l’orecchio.”

Gli occhi azzurri di Pallino diventarono grandi come ciotole: “Combattevi i ratti? Ne hai uccisi molti? Perché non mi lasci cacciare i topi che ci sono in garage?”.

Nacio sentì rientrare i loro umani e cominciò a fare le fusa, pregustando un lauto pasto. “I topolini del garage sono inoffensivi. E poi ci fanno da sentinelle contro i ratti. Non li infastidire e pensa a diventare grande”.

-o-o-o-

Qualche giorno dopo, Nacio udì un forte miagolio giungere dalla strada. Una convocazione all’assemblea generale! Si divincolò dalla presa del piccolo umano che lo stava accarezzando e ammonì Pallino di restare in casa.

Raggiunse senza problemi la cantina del palazzone dove Randagi e Casalinghi erano soliti riunirsi. Da un lato della grande cantina, i 44 Randagi del paese discutevano con foga. Dall’altro lato si agitavano inquieti quasi 150 Casalinghi che erano riusciti a evadere dalle case dei loro padroni. Gli uni e gli altri, riconoscendolo, si fecevano da parte per lasciarlo passare. Alcuni lo salutavano con rispetto. Nacio si diresse verso la grande poltrona sfondata nell’angolo più recondito della cantina, dove Lili, rappresentante dei Casalinghi, e Zanna, capo dei Randagi, discutevano senza far caso alla confusione generale.

Zanna, un grosso gatto rosso dal pelo corto e lo sguardo deciso, agitava la corta coda come a sottolineare le proprie parole: “Se combattiamo tutti insieme, sicuro che vinciamo! I Randagi sono pronti alla zuffa”.

Lili scuoteva la testa. Nacio notò il lungo pelo color perla della gattina, adornato da fiocchetti rosa piazzati in punti strategici. “I Casalinghi non hanno la libertà di movimento di voialtri. Non possiamo in buona fede garantire che saremo schierati al momento opportuno. Alcuni tra noi potrebbero convincersi, ma la maggioranza vuole desistere”.

Nacio saltò agile sulla poltrona: “Ho l’impressione di essermi perso qualcosa...”.

Zanna lo guardò sollevato e Lili cominciò a fare le fusa non appena posò i bellissimi occhi gialli su di lui. “Le rondini hanno avuto la cortesia di comunicarci che un enorme branco di ratti sta risalendo il fiume” spiegò, lanciando a Nacio uno sguardo timido. “Sembra che stiano facendo disastri lungo tutto il percorso. Qualcosa li ha messi in fuga da Parigi e a momenti saranno qui”.

Nacio agitò l’orecchio mozzato: “L’informazione è attendibile?”.

Zanna fece un cenno affermativo: “E ci è costata cara. Due anni senza attaccare i loro nidi, maledetti uccelli. Ma le rondini sono sicure: i ratti sono molte centinaia. Dobbiamo attaccarli insieme, senza perdere tempo. È l’unico modo!”.

Nacio sentì un fremito attraversarlo, le parole di Zanna stuzzicavano istinti guerrieri a lungo sommersi. Ma era venuto a Bry per stare tranquillo. E poi c’era Pallino di cui prendersi cura. Un po’ controvoglia, si rivolse ai due gatti con un tono che non ammetteva repliche: “Lili ha ragione, inutile correre rischi. Chi ha una casa ci si chiuda dentro, e i Randagi raggiungano i loro rifugi. Lasciate passare il branco e il problema sarà del prossimo villaggio”.

La coda di Zanna smise di agitarsi e lui abbassò appena le orecchie, deluso. Lili guardò Nacio con gratitudine e saltò giù dalla poltrona per comunicare la decisione ai suoi, la coda alta e la testa dritta.

Sulla strada di casa, Nacio rimuginò a lungo. In quanto unico veterano delle Guerre di Marsiglia presente in paese, gli spettava il ruolo di arbitro tra Randagi e Casalinghi. Ma stavolta la sua decisione lo tormentava, un sesto senso che non aveva voluto assecondare ma che ora non lo lasciava tranquillo.

-o-o-o-

Quella notte Nacio sognò le strade di Marsiglia, le lotte continue, l’aria salmastra, l’odore pungente dei ratti. Le sue vibrisse cominciarono a fremere a mano a mano che l’odore di ratto bagnato si faceva più forte. Ma fu il soffio spaventato di Pallino che lo riportò alla realtà: “Zio! Zio!”.

Con un gesto fluido, Nacio si sgomitolò e rizzò l’orecchio buono. Dalla sua posizione sul comò, analizzò in un colpo d’occhio la situazione. Due grossi ratti avanzavano minacciosi verso Pallino, che aveva tutto il pelo dritto e soffiava disperato. Un’altra decina di ratti circondava il comò, pronta a scalarlo.

Tradimento! I topolini, forse spaventati dal branco di ratti parigini, dovevano aver rivelato le entrate segrete della casa, invece di dare l’allarme. Si lanciò dal comò al tavolo, da lì rimbalzò sul muro e finì per atterrare al fianco di Pallino.

“Zio, ho paura!”

Nacio rassicurò il giovane felino: “Non preoccuparti. A Marsiglia erano più grossi e più cattivi”. Emise un brontolio basso e minaccioso dal fondo della gola. Gli occhietti malefici di dodici roditori si fissarono su di lui. Nacio socchiuse la bocca scoprendo denti affilatissimi e intanto spostava l’occhio buono da un ratto all’altro. I lunghi artigli, di solito ben nascosti, già formavano solchi nel parquet.

Il ratto più grosso si lanciò contro di lui. Nacio lo scansò appena e fece scorrere gli artigli lungo il corpo maleodorante, una ferita mortale. Senza attendere, si catapultò su un secondo ratto e gli affondò i canini nella gola. Tre roditori si avventarono su di lui e dovette torcersi e saltare per evitare i loro fetidi denti giallastri. Nacio saettava da una parte all’altra del soggiorno, utilizzando i mobili per sfuggire ai roditori o per attaccarli dall’alto. Ma i ratti erano troppi e non gli davano tregua. Presto cominciò a sentire il dolore lancinante dei loro denti aguzzi che gli trafiggevano la pelle, sporcando di sangue il pelo grigio.

“Zioooaaawww!”

Approfittando della confusione, un ratto era riuscito ad affondare i denti nella spalla di Pallino che, ben più minuto, urlava e si dimenava impotente. Una furia profonda e incontrollabile attraversò l’occhio verde di Nacio. Il muso divenne una smorfia di puro odio. Gonfiò il pelo ed emise un ruggito degno di un Rottweiler. Impazzito di rabbia, si avventò sul roditore che aveva attaccato Pallino e lo azzannò con ferocia sul muso. I lunghi canini si piantarono negli occhietti rossi della bestia. Nacio scosse l’essere immondo fino a staccargli la testa.

Nel frattempo, gli altri ratti gli erano saltati addosso e lo stavano mordendo sulle zampe, la coda, persino l’orecchio buono. Insensibile al dolore, Nacio li fece a pezzi uno alla volta, senza sosta e senza pietà. Quando anche l’ultimo fu annientato, Nacio continuò a girare su se stesso e a ringhiare, in cerca di altri nemici. Il pelo gonfio, che lo faceva sembrare due volte più grande del normale, era coperto di sangue e nuove ferite si erano aggiunte alle antiche cicatrici.

Gli umani della casa, svegliati dal baccano, trovarono una carneficina vomitevole e Nacio che leccava frenetico la ferita del povero Pallino.

-o-o-o-

L’odore sgradevole di prodotti chimici investì i due gatti al ritorno dalla clinica. Qualche ora prima, gli umani li avevano portati a forza dal veterinario. Nacio era troppo preoccupato dalle condizioni di Pallino per opporre resistenza e si era lasciato medicare senza storie. Da parte sua, Pallino si era presto ripreso dallo spavento e aveva narrato con entusiasmo agli altri animali della clinica le gesta eroiche di “mio zio Nacio”, senza tralasciare il proprio ruolo nel dare l’allarme e nel distrarre il ratto che lo aveva morso. L’imitazione dei salti e delle giravolte di Nacio era più simile a una buffa danza che a un combattimento e gli altri animali l’avevano subito preso in simpatia. Adesso, sul divano di casa, non smetteva di pavoneggiarsi e di chiedere a Nacio se la sua ferita sarebbe divenuta una fantastica cicatrice.

Nacio lo ascoltava paziente, ma gettava frequenti sguardi fuori dalla finestra, inquieto circa il destino degli altri gatti. Sapeva di essersi sbagliato: avrebbe dovuto schierarsi con i Randagi a favore di uno scontro frontale. Voleva correre a radunare i gatti del paese, ma i suoi umani avevano sbarrato porte e finestre ed era bloccato. Era già pomeriggio quando qualcuno fu troppo lento a richiudere una porta e Nacio riuscì finalmente a sgusciare via e a lanciarsi per le strade tranquille di Bry.

Il sole basso creava riflessi colorati nel fiume e alcuni umani passeggiavano sereni nel tiepido pomeriggio, ignari. I sensi allenati di Nacio percepivano i disastri lasciati dal branco di ratti. Le tane di topini, criceti e porcospini che vivevano lungo il fiume erano state saccheggiate. I nidi degli uccelli distrutti. Alcuni gufi, animali che a quell’ora avrebbero dovuto dormire, svolazzavano agitati. Immondizia di ogni tipo circondava i cassonetti che i ratti avevano trovato aperti. Nacio vide i gusci vuoti di due tartarughe che, troppo lente a buttarsi in acqua, erano state divorate. Sentì i grugniti dei cani che tiravano impotenti le loro catene o che si appoggiavano alle staccionate che li tenevano rinchiusi. Anche loro odiavano i ratti e, come Nacio, conoscevano la verità: i ratti erano ancora a Bry. Il loro odore inconfondibile impregnava l’aria. Si nascondevano negli anfratti, nelle cantine abbandonate, nei boschetti e nelle siepi più folte. Forse per la mancanza di resistenza, avevano deciso di fermarsi. Un’eco della furia che lo aveva colto la notte precedente rese l’andatura di Nacio ancora più rapida. Quando raggiunse la cantina delle assemblee, solo pochi gatti erano presenti.

Zanna lo accolse con freddezza: “Quattro cuccioli di Randagi morti e sette Casalinghi feriti. Sei contento?”.

Prima che potesse rispondere, Lili intervenne in sua difesa. Aveva perso i fiocchetti e il suo pelo lungo, di solito molto curato, era tutto arruffato: “Nessuno poteva prevedere che quegli ignobili roditori avrebbero avuto l’audacia di penetrare nelle abitazioni. E la decisione l’abbiamo ponderata insieme”.

Nacio abbassò le orecchie: “Mi sono sbagliato, inutile girarci intorno. E il peggio è che loro sono ancora qui, in attesa della notte per ricominciare a uccidere e distruggere.”

L’ammissione di colpa calmò un poco Zanna: “Cosa proponi?”.

Nacio rispose deciso: “Dobbiamo approfittare delle ultime ore del giorno per attaccarli mentre si riposano. E nel frattempo prepararci per la notte”. Zanna e Lili annuirono e Nacio continuò: “Lili, spargi la voce, voglio che tutti i Casalinghi si liberino prima del calar del sole, costi quel che costi. Falli radunare nel parco dietro l’ospedale e poi nascondetevi in posizioni elevate”. Lili spiccò un balzo e corse via, seguita da una manciata di Casalinghi.

Anche Nacio e Zanna si misero in movimento: “Tu e io andiamo a radunare i Randagi in grado di combattere. Squadre di sei, affidatevi al vostro naso e colpite i ratti isolati o in piccoli gruppi finché c’è luce. Quando fa buio e cominciano a uscire in forze, ci ritiriamo verso il cimitero”.

Nelle ore seguenti, Nacio andò a caccia. Ritrovò i suoi istinti bestiali affilati come lo erano stati a Marsiglia. Con cinque robusti Randagi ai suoi ordini, silenzioso e letale, fiutava i nascondigli dei suoi nemici e piombava sui ratti addormentati con estrema violenza. Durante la caccia, Nacio notò dei falchetti che volavano bassi sul fiume, rosso nella luce del tramonto, ma non ebbe tempo di interrogarsi sul loro comportamento. La carneficina fu impressionante, ma sapeva che stavano solo intaccando una minuscola parte dell’enorme branco. Ma l’obiettivo era un altro: farli infuriare.

Quando calò l’oscurità, i ratti si riversarono nelle strade, solo per trovare i corpi mutilati di decine di loro simili ad aspettarli. La reazione dei roditori non si fece attendere: uno stridio sordo di denti e rabbia si sollevò dal branco, che cominciò a cercare un bersaglio contro cui scatenare la propria furia. Nacio saltò di auto in auto, un grasso ratto moribondo in bocca, e si portò al centro del gruppo di ratti che si gonfiava di minuto in minuto. Fece cadere senza cerimonie il ratto sul tetto dell’auto sulla quale si trovava: “Ehi schifosi molluschi, cercate qualcuno?”. Con noncuranza affondò gli artigli nel dorso del ratto, che squittì disperato, prima di dargli il colpo di grazia. Poi si lanciò verso il cimitero. I ratti, folli di rabbia, si precipitarono all’inseguimento. A ogni strada che attraversavano, il branco si infoltiva. Al cimitero, i Randagi lì radunati attaccarono l’avanguardia dei ratti, regalando qualche prezioso minuto di respiro a Nacio. Poi, tutti insieme, si diressero a gran velocità verso il parco dell’ospedale.

Nacio e i Randagi attraversarono di corsa la periferia del parco buio. Sembrava deserto, solo un gufo dai grandi occhi gialli pareva far da sentinella. Il silenzio fu presto violato dall’intenso stridio di centinaia di ratti che si riversavano tra le aiuole curate e i sentieri battuti. Il dubbio che i Casalinghi li avessero abbandonati attanagliò per un momento il cuore di Nacio. Nonostante ciò, raggiunto il centro del parco, si costrinse a girarsi di scatto verso gli inseguitori e a gridare: “All’attaccoooo!”.

Per una frazione di secondo non successe nulla. Poi, con terribili miagolii di battaglia, centinaia di gatti cominciarono a piovere da rami e lampioni sulla massa multiforme di roditori. I primi a essere colpiti morirono sul colpo, sotto il peso e gli artigli dei Casalinghi in caduta libera. Gli altri andarono subito in panico e l’onda di occhietti rossi e denti gialli si infranse contro la linea formata dai Randagi, che fino a un momento prima sembravano spacciati. La lotta fu feroce. Presto la superiorità numerica dei ratti cominciò a farsi sentire e i gatti iniziarono a essere sopraffatti. Sotto la guida di Nacio, i più malmessi cominciarono a ritirarsi per leccarsi le ferite, coperti dai compagni. Nacio vide due Randagi venire sommersi dai ratti e non rialzarsi più. Cominciò a temere il peggio, ma un nuovo suono riempì la notte. Centinaia di ali agitavano l’aria e innumerevoli falchetti e gufi cominciarono a strappare ratti dal terreno, uccidendoli con becchi e artigli o facendoli precipitare dall’alto. Una seconda ondata di panico prese possesso dei roditori. I gatti ne approfittarono per riorganizzarsi e attaccare con nuove energie. Per i ratti non ci fu scampo. Decimati e confusi, iniziarono a scappare via. Nacio dette ordine di non inseguirli e presto la battaglia fu finita. Il branco non esisteva più.

-o-o-o-

“Zio, ma come hai fatto a far arrivare gli uccelli?” Pallino pendeva dalle labbra di Nacio. Dopo una piccola scenata per non essere stato reso partecipe dell’incredibile “Vendetta di Bry”, come la battaglia era ormai conosciuta, aveva preteso un resoconto dettagliato. E adesso lo stava interrogando sui particolari.

Steso al sole nel suo punto preferito, Nacio sollevava la coda e la lasciava ricadere pigramente, l’occhio socchiuso: “È stata una sorpresa anche per me. Pare che avessero un conto in sospeso con i ratti, che avevano distrutto molti dei loro nidi. Quando ci hanno visto in azione nel pomeriggio, si sono radunati nelle campagne circostanti. Sono arrivati giusto in tempo”.

Pallino dava grandi artigliate nel vuoto, immaginando di essere al centro della battaglia: “Ma tanto, i gatti ce l’avrebbero fatta anche da soli! Siamo troppo forti!”.

Nacio aveva i suoi dubbi, ma lasciò correre. Invece disse: “Ho deciso di partire”. Pallino lo guardò senza capire.

Nacio lanciò uno sguardo fuori dalla finestra. Lili era lì che lo aspettava. Dopo la battaglia, ancora sporchi di terra e sangue, si erano guardati negli occhi e avevano riconosciuto la stessa eccitazione. Lo spirito selvaggio di Nacio, assopito per cinque lunghi anni, aveva ripreso il sopravvento. Lili, nata e cresciuta come una Casalinga, scopriva per la prima volta i propri istinti ancestrali e, agli occhi di Nacio, era chiaro che non avrebbe potuto più ignorarli. Si erano dati appuntamento per il giorno dopo.

“Esci di nuovo?” chiese Pallino.

“Sì, ma questa volta non tornerò. Per lo meno, non prima che tu sia grande.”

Le orecchie di Pallino si appiattirono e un miagolio triste scappò dalla piccola gola: “Portami con te, zio! Voglio essere un guerriero come te! Posso imparare!”.

Nacio spiegò a Pallino che vivere in strada era duro e pericoloso, con dolcezza e pazienza. Ma il gattino, invece di desistere, divenne sempre più convinto.

Alla fine Nacio decise di seguire l’istinto, e non la ragione: “Pallino, possiamo rimanere e avere una vita facile con i nostri umani. Ma facile non sempre vuol dire felice. Siamo gatti e siamo nati per la vita selvaggia. Per la caccia, le corse, i salti, le notti stellate. Sei sicuro di voler lasciare tutto quello che abbiamo?”.

Qualche minuto dopo, in strada, Lili li salutò con entusiasmo. I tre gatti, con passo sicuro e la testa alta, si incamminarono lungo il fiume. Non verso Parigi, ma verso le campagne e l’ignoto.

Nei giorni seguenti, rondini e falchetti raccontarono in lungo e in largo la storia dei gatti di Bry che guidati da Nacio-un-occhio, Lili La Bella e Zanna il Rosso avevano distrutto i ratti di Parigi. Ma raccontarono anche di tre gatti che avevano lasciato le proprie case per perdersi nel tramonto. Per tornare a essere se stessi. Liberi e selvaggi.

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Re: Semifinale Alberto Della Rossa

Messaggio#3 » domenica 18 giugno 2023, 19:15

Giungla di cemento

Midnight salta fuori dalle ombre. Gli artigli lacerano il fianco della preda. Il vecchio ratto squittisce e prova a liberarsi dalla presa, ma i suoi movimenti riescono solo ad allargare le ferite.
Midnight lo tira a sé e lo morde alla base del collo. Sa quanto possa essere pericolosa una preda senza via di scampo e cerca di finirla in fretta, prima che disperazione e odio abbiano la meglio sulla paura. Stringe le fauci, affondando le zanne nella gola: il ratto da un ultimo sussulto e smette di respirare.
Midnight si lecca il sangue dal muso. Il sapore accende la fame, ma quello non è un buon posto per mangiare: altri della sua specie cacciano in quella parte dell’edificio e non ha voglia di contendere la preda con qualcun altro.
Morde il ratto, si guarda attorno e lo solleva, allontanandosi verso un posto più sicuro.

Un rumore.
Midnight si ferma e si volta verso destra. La luce del tramonto filtra dalle veneziane pericolanti e illumina il corridoio di rosso sanguigno. Il rumore si ripete: può sentirne la vibrazione trasmettersi dal pavimento alle zampe.
Esita: gli esseri umani hanno abbandonato da tempo le tane fredde, eppure a volte Midnight ha la sensazione che qualcosa di loro sia rimasto intrappolato tra i muri cadenti. Gli spifferi di vento nei corridoi del sesto piano assomigliano troppo al pianto di un bambino, mentre, in alcune stanze vicine al giardino la muffa sulle pareti sta crescendo in modo da formare linee che lui non riconosce, ma che gli fanno rizzare il pelo.
Midnight si sposta in una zona d’ombra, cercando di fare meno rumore possibile, appoggia la preda a terra e annusa l’aria.
Polvere, muffa, sporcizia e… qualcos’altro. Un odore diverso da qualsiasi cosa abbia mai sentito. Odore di qualcosa di vivo e forte. Odore di predatore.
Il cuore gli martella nel petto. L’istinto gli urla di scappare, anche a costo di abbandonare la preda appena catturata, ma esita. Se scappa, non saprà mai la causa del rumore e come può difendersi se non conosce la minaccia?

Midnight entra nella stanza attutendo i movimenti con la parte felpata delle zampe. Si mantiene sottovento e usa il pelo scuro per nascondersi nell’ombra di un pilastro della struttura.
Lo Straniero è sdraiato sul pavimento di una stanza laterale. È la creatura più grande che Midnight abbia mai visto, eppure le forme ricordano quelle dei membri della sua specie, con zampe affusolate, muso baffuto e la lunga coda che frusta il pavimento. Sotto il pelo nero si intuisce un corpo agile, ma possente. Una forza selvaggia che non viene attenuata dalle ferite aperte sui fianchi e sulla schiena.
Lo Straniero è circondato da alti steli d’erba, foglie e rampicanti, di un tipo che il gatto non ha mai visto prima. Alcuni si originano dalle ferite aperte e avvolgono la zampa posteriore destra e il collo in lunghe spire.
La creatura si volta nella sua direzione.
Midnight si immobilizza e trattiene il respiro.
Lo Straniero ringhia di nuovo e scopre i denti: lo ha individuato, ma per ora non sembra intenzionato ad attaccare.
Il gatto si fa avanti e lo fronteggia.
L’istinto non è più quello di scappare, quanto quello di sottomettersi. Si ricorda di quando era un cucciolo e si sdraiava sulla schiena davanti agli anziani della sua specie, offrendo il ventre in segno di umiltà. Sarebbe il modo più corretto di approcciarsi alla maestosa creatura che ha davanti, ma lui non è più un cucciolo.
Si fa avanti. Lo Straniero snuda gli artigli, ma Midnight si limita a lasciare a terra il ratto catturato: un gregario si sottomette a un superiore, ma quando un capo ne incontra un altro gli offre un dono.
Lo Straniero studia il ratto. Lo annusa. Sposta lo sguardo su di Midnight ed emette un altro ringhio.
Lui si siede sul posteriore e resta impassibile.
La creatura afferra la preda e la divora in un morso. Si lecca le labbra.
Distende la zampa posteriore destra. I viticci oppongono resistenza, ma lo Straniero ruggisce e li strappa.
Un fiotto di sangue zampilla a terra: le piante coprivano un osso spezzato che ha squarciato le carni.
La creatura lascia che si formi una pozza cremisi sul pavimento, abbassa la testa e la lambisce con la punta della lingua, guardando Midnight negli occhi.
Vuole che lo imiti? Ha offerto il suo stesso sangue in cambio della preda?
Il gatto si abbassa sulle zampe anteriori e accetta il dono.
Il sangue è caldo e il tepore si diffonde dallo stomaco al resto del corpo.
Midnight ansima. Il cuore gli martella nel petto e i muscoli flettono.
Abbassa lo sguardo e guarda nella pozza.
Il riflesso è quello dello Straniero.

Bagh muove un passo indietro e piega la testa. Il riflesso nell’acqua è il suo, eppure sente che non gli appartenga. Non del tutto. Lo agita con una zampata nel fiume e si allontana.
Sceglie un albero dal tronco largo, posizionato sul bordo di uno sperone roccioso. Lo scala fino al ramo più alto, che oltrepassa le chiome della foresta. Da quella posizione gode di un’ottima vista della vallata.
La sua vallata.
Bagh affonda gli artigli nella corteccia, solleva il capo e lancia il ruggito più forte di cui è capace. Il suono echeggia tra le colline. Porta con sé una sfida a chiunque sia in ascolto: quello è il suo regno e le prede al suo interno sono il suo nutrimento. Se qualcuno vuole contestare il suo dominio, dovrà farlo con la violenza.
Qualcuno risponde. Non il ruggito dei suoi simili, ma un verso basso e gutturale.
Bagh ringhia e si solleva.
L’urlo si ripete: lui ne individua l’origine in un’area chiara che risalta nell’oscurità della foresta.
Anche se non è stato un membro della sua specie a sfidarlo, il verso deve appartenere a un animale possente, abbastanza forte da non temere di rivelare la sua posizione ai predatori in agguato nel buio. Non c’è spazio per una simile creatura nel suo territorio.
Salta giù dall’albero e raggiunge il fiume. Lo risale per un tratto e lo guada in un’insenatura dove le rive sono più vicine e la corrente meno violenta. Si scrolla di dosso l’acqua e prosegue.
Nello spazio tra gli alberi si intravede il bianco della città in rovina.
La foresta la assedia da ogni lato, la soffoca con i rampicanti e ne fa crollare le mura con le radici, ma non è ancora riuscita a piegarla. La potenza delle torri che si stagliano nel cielo notturno e degli edifici decorati da statue fa correre un brivido lungo la schiena di Bagh. Nella mente si forma il termine “tane fredde”.
Il verso del misterioso rivale risuona tra le rovine, più forte e vicino. Lo guida verso una struttura poco distante. Parte dei muri laterali sono crollati e un albero è riuscito a crescere fino a sfondare i gradoni del fianco sinistro, estendendo rami e chiome oltre le ferite inflitte alla pietra. Eppure, quello che ne è rimasto in piedi è sufficiente a gettare ombre inquietanti sul sentiero.
L’istinto gli urla di allontanarsi e di tornare alla foresta ma se il misterioso nemico ha avuto il coraggio di entrare in quel luogo, lui non può essere da meno.
Sale le scale fino alla sommità, dove le pietre sono scivolose per la condensa e il fiato gli diviene vapore davanti alla bocca. All’interno vi è un grande salone, delimitato per tre lati da colonne scolpite in forma di serpente e per un terzo lato da una parete decorata con giganteschi bassorilievi che brillano alla luce della luna. I rami dell’albero che sta distruggendo l’edificio sono riusciti a spaccare alcuni blocchi del pavimento, al punto che in alcune punti si aprono degli squarci nel vuoto.
Il suo rivale è al centro della stanza. Un altro pensiero che non sembra appartenergli lo identifica come umano, ma c’è qualcosa di strano in lui. Le braccia sono troppo lunghe e la testa ha una forma affusolata. Inoltre, il corpo è coperto da capo a piedi da una folta peluria rossastra. Ha le braccia sollevate e sta saltellando da un piede all’altro, rivolto verso le figure scolpite nella parete. A intervalli regolari si ferma, batte le zampe ed emette un verso gutturale che viene distorto e ingigantito dall’eco nell’edificio.
Bagh risponde all’urlo con un ruggito. Il rivale si volta, snuda i denti e prende a battersi il petto con i pugni, gonfiando il corpo muscoloso.
Cominciano a muoversi in circolo.
Bagh raspa il pavimento.
Il rivale snuda le zanne.
Si caricano.
Lui spicca un salto e affonda gli artigli nel torace del nemico. L’urto del colpo sbilancia l’avversario e lo fa sbattere di schiena contro una colonna crollata. Bagh lo blocca sul posto a cerca di azzannarlo alla gola, ma il movimento è interrotto da un pugno sotto l’orecchio.
Un secondo pugno lo prende alla mandibola e lo manda a terra. L’avversario gli salta addosso e schianta su di lui le zampe pesanti. Una costola si spezza, strappandogli un ruggito di dolore, ma lui trova la forza di azzannargli un braccio. Si avvinghiano l’uno all’altro e rotolano sul pavimento, scambiandosi morsi, pugni e artigliate.
Il rivale sale su di lui e solleva i pugni per schiacciargli la testa. Bagh fa forza sulla schiena e lo sbilancia. Il fianco dell’avversario è scoperto ed è a portata delle sue zanne.
Scatta la testa in avanti… e percepisce il vuoto sotto di lui. Perde il contatto con l’avversario e cade. Sopra di loro, lo squarcio del pavimento in cui sono caduti.
Ruggisce, affondando nel buio.

Midnight spalanca gli occhi. È sdraiato a terra, il muso ancora immerso nella pozza di sangue. Le zampe sono anchilosate, ma riesce a rialzarsi.
Guarda lo Straniero e riconosce l’immagine riflessa nel fiume, anche se il corpo martoriato e le ossa spezzate hanno ben poco della potenza che aveva percepito nella visione.
Si avvicina e appoggia il muso sul suo. Lo lecca.
Bagh lo lecca a sua volta e si solleva. Strappa ancora una volta i rampicanti che imprigionano la zampa ferita e la offre a Midnight.
Il gatto osserva l’arto spezzato.
Si era sbagliato: il sangue versato non era un dono, ma una richiesta di aiuto.
Qualunque cosa sia successa nella foresta, il corpo dello Straniero non resisterà ancora a lungo, ma c’è un’ultima cosa che deve fare prima di morire: trovare il suo rivale e completare la caccia.
Midnight si avvicina e lecca la zampa spezzata. L’arto trema, ma non arretra.
Il gatto guarda lo Straniero negli occhi.
A suo modo, anche quello è un dono. Un essere orgoglioso come lui non avrebbe mai affidato la sua ultima volontà a un gregario.

Spalanca le fauci e addenta la carne esposta.

Il sole è tramontato. L’unica luce è quella dei lampioni lungo la via principale. Midnight annusa l’aria e segue la traccia di odore in un vicolo che costeggia le tane.
Da un bidone della spazzatura fa capolino la testa di un grosso cane. Il muso è costellato da cicatrici e l’orbita sinistra è vuota. Snuda i denti e si aggrappa con le zampe anteriori ai bordi del cassonetto.
Midnight si accuccia sulle zampe e spicca un salto, atterrando sulla metà chiusa del bidone. L’impatto fa perdere la presa al cane, che cade in mezzo ai rifiuti. Si rialza, ma il gatto lo guarda fisso nell’unico occhio rimastogli e lascia che il ringhio di Bagh emerga dalle fauci.
Il guercio uggiola e si accuccia nell’angolo più lontano del cassonetto.
Midnight fa un altro salto e sale su un muretto vicino. Lo percorre nella sua lunghezza per raggiungerne un altro che prosegue verso nord.
L’odore si intensifica. Midnight prende a muoversi con più circospezione, accucciato sulle zampe per ridurre la figura esposta. Si ferma per annusare l’aria e per tendere l’orecchio ai rumori che infrangono il silenzio che lo circonda. Raggiunge la parete che delimita un vicolo senza uscita, stretto tra la parte settentrionale delle tane fredde e un magazzino abbandonato.
Il rivale è lì, la figura sgraziata illuminata da un fuoco acceso in un bidone. È chino su una pila di sacchi di plastica neri e ne sta esplorando il contenuto con la zampa destra. La sinistra pende floscia al fianco, coperta da rampicanti identici a quelli che sono cresciuti dalle ferite di Bagh. A parte quello e i segni delle artigliate riportate nel combattimento nelle rovine, sembra in condizioni migliori rispetto allo Straniero.
C’è qualcuno sdraiato a terra accanto a lui. Dagli abiti che indossa, Midnight intuisce che si tratta di uno degli umani randagi che d’inverno trovano rifugio nei cantucci attorno alle tane fredde. Il torace immobile e la testa piegata in una posizione innaturale gli fanno anche capire che l’uomo non dovrà più preoccuparsi della neve.
Muovendosi lungo il bordo, Il gatto raggiunge una scala antincendio arrugginita e si intrufola tra le sbarre. Da quel punto è molto più vicino al rivale, ma mantiene la posizione sopraelevata e la copertura delle ombre. Riesce anche a vedere il volto dell’umano morto e lo riconosce: ha sentito alcuni dei suoi compagni vagabondi chiamarlo “Howard” e una volta gli aveva offerto un piattino di latte e il riparo della sua coperta in una notte fredda.
La sua rabbia si unisce a quella di Bagh. Le lascia esplodere entrambe nel balzo con cui si lancia contro il rivale.
Artigli sguainati. Fauci spalancate. Un ruggito che frantuma il silenzio.
La creatura si volta e cerca di allontanarsi, ma lui gli piomba addosso. La morde al collo e gli lacera la pelle del torace con le unghie. Il rivale urla e schianta su di lui una zampa. L’urto lo proietta contro il muro dall’altro lato del vicolo.
Midnight finisce in mezzo ai rifiuti. Ha sentito alcune ossa frantumarsi per il pugno, mentre altre hanno ceduto nell’impatto contro i mattoni, eppure si rialza sulle sue zampe, illeso.
Il rivale si tocca le ferite: sono profonde, ma piccole. Ne emergono steli di rampicanti che si arrampicano sul pelo rossiccio.
Midnight geme: anche se Bagh gli ha donato la sua forza, bocca e artigli sono troppo piccoli per causare danni estesi.
Il rivale piega la testa di lato. Lo guarda aggrottando le sopracciglia. Senza togliergli lo sguardo di dosso, infila la zampa nel mucchio dei tesori di Howard in cui stava curiosando prima dell’attacco. Ne estrae un rasoio a mano libera. Ne prova il filo sui rampicanti appena cresciuti e li taglia.
Solleva l’arma al di sopra della testa e ghigna.
Midnight ringhia.
Si caricano.
Arrivato alla giusta distanza, il gatto si abbassa. L’avversario muove il rasoio per intercettare un balzo verso il collo, ma lui gli si infila tra le gambe e comincia a ferirlo al polpaccio destro.
Da quella posizione non può essere colpito dalle rasoiate, e seguendo i movimenti del rivale riesce a mantenersi sotto di lui. Quello reagisce sollevando la gamba sinistra per schiacciarlo, ma Midnight scarta su quella di appoggio e trancia il tendine con un morso.
L’avversario crolla a terra. Il gatto lo scavalca dal lato del braccio spezzato e si avventa sul muso. Taglia la palpebra con un’artigliata. Quella successiva spappola l’occhio fino ad affondare nell’orbita. Gli arriva una rasoiata di risposta, ma il braccio dall’altro lato ha una portata limitata. Midnight si muove a sinistra e apre un taglio sul polso. L’arma scivola dalla zampa dal rivale e il gatto gli salta addosso.
Il collo è indifeso, ma il braccio è alzato.
Una trappola per Midnight. Una sfida per Bagh.
Affonda le zanne nella carne del rivale. Un pugno si schianta sulla zampa posteriore sinistra. Il gatto geme, ma non cede e morde più in profondità.
Sangue zampilla dall’arteria. Altro erutta dalla bocca del rivale, che gorgoglia e lo colpisce con una zampata che gli spappola anche l’altra zampa posteriore.
Bagh urla dalle sue fauci. Il nemico emette un grido soffocato in risposta e resta immobile.
Ansimando, Midnight si rialza. Come in precedenza, le ferite si sono rimarginate e le ossa sono tornate intere, lasciando solo una sensazione di intorpidimento agli arti.
Il corpo sotto di lui si scuote: la bocca del rivale si apre e decine di rampicanti ne emergono. Strisciano sul corpo, legandosi a quelli che stanno emergendo dalle ferite fresche. Un paio di loro cercano di afferrare Midnight, ma lui riesce a saltare via prima di esserne intrappolato.
Si volta: gli steli vegetali avvolgono il corpo della creatura e si tendono, come se qualcosa gli tirasse. Si sente un rumore come di ossa spezzate e pelle strappata. Cambiano la loro disposizione si tendono di nuovo. Si restringono, assumendo una forma che ricorda sempre di meno quella del corpo intrappolato.
Da ultimo, tutto ciò che resta è un fascio di rampicanti che sembra emergere dall’asfalto del vicolo. Su alcuni sbocciano dei fiori con petali dal colore rosso acceso.
Midnight strappa uno dei fiori e lo lascia davanti a Howard.
Anche se non può fare di più, nessun gatto dimentica la gentilezza ricevuta.
Lecca la fronte fredda dell’amico e si allontana.
La caccia è finita.


Bagh è coperto di rampicanti. Le zampe posteriori e la schiena sono spezzate in un modo che rende chiaro a Midnight quale prezzo abbia dovuto pagare per permettergli di sopravvivere agli attacchi del rivale.
Il gatto si avvicina per salutarlo, ma lo Straniero lo lecca per primo.
Si guardano negli occhi.
Vieni via con me.
La voce di Bagh è debole nella sua mente e il trasmettergli quei pensieri deve costargli molte delle forze che gli restano, poiché appoggia il capo al pavimento e lascia che i rampicanti gli striscino sopra.
Vieni via con me.
Midnight intravede altri frammenti della memoria di Bagh.
Le cacce alla luce della Luna.
Le lotte con i maschi nella stagione degli amori.
Le femmine della sua specie, fiere e bellissime come nessun’altra creatura.
La libertà della foresta infinita.

Il cuore di Midnight scalpita. La visione accende in lui istinti che non sapeva nemmeno di possedere, come ricordi di un passato tramandatogli nel sangue.
Bagh geme e gli offre il collo.
Vieni via con me.
Midnight lo guarda: stavolta non è una richiesta di aiuto, ma un dono. Il più grande che lo Straniero potrebbe mai fare.
Ma non un regalo che lui possa accettare.
Il gatto chiude gli occhi e risponde ai frammenti di memoria di Bagh con i suoi. Le stesse lotte e le stesse passioni, solo vissute tra le infinite possibilità che la città degli umani offre a quelli come lui.
Due regni diversi per due differenti sovrani.
Lo Straniero lo saluta con un ultimo ruggito e lascia che i rampicanti lo coprano.
Midnight si allontana ed esce dalle tane fredde.
Prende un profondo respiro. Nell’aria sente l’odore di prede ignare.
Affila gli artigli e si nasconde nelle ombre.
La caccia di Bagh è terminata, ma non la sua.
E la notte è ancora lunga.


Agostino Langellotti

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Re: Semifinale Alberto Della Rossa

Messaggio#4 » mercoledì 5 luglio 2023, 17:54

La vendetta di Bry

La vendetta di Bry si presenta come un classicone. Una figura paterna/mentore che si rivela (subito) essere il personaggio principale, una serie di comprimari da manuale, l’accenno di una sottotrama romantica, la contrapposizione netta tra buoni e cattivi, il deus ex machina degli uccelli…

Ecco, il problema del racconto è che è troppo, troppo, troppo scolastico. Manca solo un topo traditore (che si sarebbe chiamato Codamozza, di certo) per chiudere il cerchio.

Il racconto non è di per sé scritto male, anzi. La forma è buona, anche se zeppa di luoghi comuni e di tropi letterari. L’aggettivazione è un tantinello sovrabbondante, ma ci sta (e poi non posso certo contestare una ricca aggettivazione, sarebbe ipocrita da parte mia).

È tutto troppo telefonato, la tensione narrativa è pari a zero (sappiamo tutti cosa sta per succedere) e il momento in cui la narrazione si distacca - nella descrizione del combattimento - crea uno stacco stilistico fin troppo percepibile.

Ok, adesso basta fare il maestrino, rientro nel solito Smilodonte che bazzicava MC.
Oh, io sono un gattaro folle. Coi gatti si vince sempre, ma l’impressione è quella di personaggi secondari come sagome di cartone, con un protagonista che è la media esatta tra Boris Lametta, John Wick de noantri e Snake Plissken, un batuffolo di pelo che è appunto un batuffolo di pelo e i topacci cattivi alla pifferaio di Hamelin. Senza contare quella gatta morta della Lili, coi suoi fiocchetti rosa e il pelo color perla.

Il racconto è da buttare? Assolutamente no. Prendilo, togli gli stereotipi, dagli profondità.
Elimina il combattimento (o rendilo più evocativo). C’è tanta roba che non è pertinente a mandare avanti la storia, e allora perché tenerla?
Oh, e leggiti (se non l’hai già fatto) Io sono un gatto di Soseki.
Troverai una tra le migliori scene d’azione mai scritte.


Giungla di Cemento

Qua c’è dello stile. L’aspetto che ho apprezzato di più è proprio la voce, l’utilizzo del presente (non scontato, assolutamente adatto al tipo di narrazione) e l’utilizzo ponderato di aggettivi e figure retoriche, presenti ma non troppo.
La struttura paratattica aiuta molto, è incisiva. Da bravo neurodivergente, tendo alla sinestesia. Il tuo racconto è scuro, oleoso, costretto da viticci verdi irti di spine.

Però c’è troppo. O meglio, c’è troppo in background e troppo poco su carta. Poni le basi per un setting complesso, ma lasci troppo all’interpretazione. Mi piace l’idea un po’ McCarthiana del mondo in rovina e l’aspetto soprannaturale dello scambio di sangue e ricordi. Ci sono tante cose che mi piacerebbe conoscere, ma tu non ce le dici.
E se noi tutti aborriamo l’info dump, in questo caso ti è scappata un po’ la mano in senso opposto.
Comunque il racconto mi piace.
P.S. Attenzione ai riferimenti pop. Figo Re Luigi, figo il panterone Bagh, ma a meno che non ci sia un motivo specifico (e qua non mi sembra ci sia) aggiunge solo rumore a un racconto che può essere ancora più personale. Le uova di pasqua sono buone a pasqua, non a natale.

Per concludere, chi passa il turno? Non credo ci siano molti dubbi: la mia preferenza va a Giungla di Cemento. Non è un racconto perfetto, ma ha di sicuro un suo perché e un suo stile. So perfettamente quanto sia difficile dare un senso a una storia in una manciata di caratteri e io stesso sono caduto spesso nel trappolone dell'affresco; in questo senso, il difetto più grande di Giungla di Cemento è proprio questo. Compensa però con lo stile e la capacità evocativa.

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