Semifinale Francesco Nucera

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere ambientato in un preciso universo narrativo che verrà comunicato al momento del lancio.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Due sponsor leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Ambra Stancampiano, curatrice di Cani, gatti &c. assegnerà la vittoria finale.
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Spartaco
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Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#1 » venerdì 16 giugno 2023, 22:56

Immagine

Eccoci pronti per la seconda parte di La Sfida a Cani, gatti & co. Giudice di questo gruppo è Francesco Nucera.
Combattono in questa semifinale:

GATTINI, di Shanghai Kid VS Gattile di Ulthar snc di Matteo Mantoani

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: domenica 18 alle 23.59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, al giudice verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23.59 del 18 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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MatteoMantoani
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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#2 » sabato 17 giugno 2023, 7:59

Al suono del citofono Fabio si precipitò all’ingresso. «S-sì?»
«Avvocato Giuliano Democrito. Abbiamo un appuntamento.»
Le dita di Fabio devastarono i tasti, fino a quando il clangore della porta al pian terreno confermò che il visitatore aveva accesso alla rampa di scale. «S-salga fino all’attico.» Spalancò la porta del suo appartamento, si riassettò la T-shirt ricoperta di peli di gatto e attese col cuore che gli martellava in petto.
Democrito fece presto capolino sul pianerottolo immerso nell'ombra. Invitandolo a entrare, Fabio osservò la grossa borsa di cuoio che l'avvocato trascinava a fatica.
Una volta in casa, l'ospite arricciò le narici. «Che strano odore.»
Fabio si strinse nelle spalle, raggiunse la finestra più vicina e armeggiò con la vecchia maniglia d’ottone. «Sa com’è. I gatti.» Sorrise. «All’odore ci si abitua fino a non sentirlo più.»
L’avvocato trasse dei documenti da una cartellina e li posò sul tavolo. «Danno molte noie, questi animali.»
«Come tutti gli altri.» Strinse le labbra. «Ma amarli veramente, significa prendersi cura di loro.»
Democrito non fece una grinza. «Sarà che io preferisco i cani.» Diresse verso Fabio dei glaciali occhi grigi. «Così come gli eredi della contessa Grignani.» Sorrise. «E questo è un bene, per lei.»
Qualcosa si strisciò contro il calcagno di Fabio: un gatto tigrato si era infilato tra i loro piedi e fissava rapito gli intricati lacci delle scarpe di marca dell'avvocato. Fabio lo prese in braccio.
Democrito arricciò le labbra in un ghigno di disgusto, si allontanò di un passo e scartabellò con più furore. «Le riassumo per sommi capi il contratto.» Si schiarì la gola. «Lei si prende l’onere di accudire il gatto chiamato Merlino, appartenuto alla defunta contessa Maria Addolorata Grignani. Come da ultime volontà della contessa, viene immediatamente versata la somma di duemila euro alla società Gattile di Ulthar snc, che in più riceverà anche seimila euro a cadenza annuale. Gli eredi della contessa si impegnano a rimborsare le spese di mantenimento del gatto Merlino, nonché le eventuali cure veterinarie, vita natural durante.» Girò pagina. «Il contratto viene a decadere in caso di inadempienza agli obblighi che la società Gattile di Ulthar snc si è fatta carico nei confronti del gatto Merlino, oppure alla morte dell’animale stesso.» L’avvocato scoprì i denti in un ghigno e lo fissò dritto negli occhi. «Sia chiaro che lo studio legale che rappresento invierà regolarmente dei veterinari per verificare lo stato di salute del gatto e, mi creda» il ghigno si allargò «i veterinari che invieremo non saranno affabili come lo sono io.» Estrasse una penna dal taschino e gliela porse. «Firmi dove indicato dall’adesivo giallo.»
Fabio lasciò andare il gatto che teneva in braccio, scorse col dito le pagine del contratto e firmò.
«Ora, Merlino è suo.» L’avvocato slacciò la borsa di cuoio: una massa di pelo sorretta da zampe grosse come tronchi d’albero saltò fuori, il pavimento di parquet tremò.
Fabio strabuzzò gli occhi. Merlino era enorme, il pelo foltissimo in ogni parte del corpo, fatta eccezione per il muso schiacciato, tipico dei persiani. La voce di Democrito lo costrinse ad alzare lo sguardo. «Il mio lavoro è finito, tolgo il disturbo.» Sorrise. «Ma avrà presto mie notizie.»

«Julia, è arrivato!» Fabio sorrise allo spioncino della porta. La ragazza aprì, lo fissò da capo a piedi e storse le labbra voluttuose in un moto di disgusto. «Che vuoi?»
La vista di Julia lo metteva sempre su di giri: alta, bruna, sudamericana, pelle color cioccolato sul punto di sciogliersi. «Il gatto della contessa, me l’hanno portato. Vuoi venire a vederlo?»
Le sopracciglia a gabbiano ebbero un sussulto. «Va bene, pochi minuti che devo andarre a la palestrra che oggi ho il turrno al mattino.» Mosse il palmo aperto a indicare le scale. «Vai prrima tu, che so che mi guarrdi el culo quando salgo.» Le sue labbra si stirarono in un sorriso malizioso.
Il cuore di Fabio batteva così forte da dargli la sensazione di schizzare fuori dal petto: annuì, si girò di scatto e macinò i gradini a velocità supersonica. «Sono molto contento, sai, è un grande giorno per il mio gattile.»
Nessuna risposta.
Julia raggiunse il pianerottolo e gli lanciò uno sguardo da fare impallidire Dracula. «Allorra? Ti muovi?»
Fabio smise di fissarla e armeggiò con la serratura. Sentiva il suo sguardo di disprezzo posarsi sulle scapole: avrebbe dato di tutto per non sembrare così imbranato, ma quando c'era Julia faceva sempre una figura da australopiteco. Dentro di lui una vocina gli ricordò che, con una ragazza così figa, aveva le stesse possibilità che aveva Silvestro di acchiappare Titti.
Merlino era ancora seduto sul pavimento, osservato da due gatti che si tenevano a debita distanza. La brezza che entrava dalla finestra aperta aveva sparpagliato i documenti sul tavolo. Fabio la chiuse e si girò a fissare la ragazza. Lei si era accovacciata a terra, il davanzale le sporgeva in avanti e il gatto le premeva il naso tra le bocce, le sue fusa parevano il rombo di un terremoto.
Fabio fece un fischio. «Mi s-sa che gli piaci.» Si morse la lingua al pensiero di provare invidia per un gatto.
Julia rise e accarezzò Merlino tra le orecchie. «Anche trroppo, dirrei.»
Lui si leccò le labbra. «Sai, non smetterò mai di ringraziarti per avermi fatto conoscere la contessa. Grazie a te il gattile potrà accogliere più gatti e —»
«Insomma ti hanno sganciato un po’ di dinero. Meglio se in palestrra non dico niente, sennò mi prrendono tutti perr el culo. Quella è l’ultima vecchia con gatti a cui consiglio la tua attività, ok?»
Fabio si mise sull’attenti. «Per ringraziarti, potrei dividere con te un po’ di soldi, e in cambio potresti…» Lo stomaco gli stava per esplodere «venire a cena con me?»
Julia e Merlino diressero verso di lui quattro occhi felini. «Cabron! Per chi mi hai prreso? Perr una puta?»
«S-scusa, lasciamo stare i soldi, volevo solo dire che…» Si piegò a fissarsi i piedi «Vorrei uscire insieme a te.» Deglutì. «S-sai, un appuntamento...» Incredibile, l'aveva detto! Il cuore gli batteva forte e un sudore ghiacciato gli impiastricciava le mani.
Lei non rispose, si alzò e fece ondeggiare le sue forme fino alla porta. «Devo andarre in palestrra, ma più tarrdi ti porrto Prrincesa, perrché vado in Dominica perr un mes.»
«Ah sì? Vai a trovare la tua famiglia per l’estate?»
«Sì. Poi torrnerrò qua con mia madrrre. E poi, forrse, mi potrrai offrrirre una cena di pescado.» Gli puntò addosso un’aguzza unghia laccata. «Forrse»

Princesa era una sphynx, una razza di gatti completamente glabri. Fabio accarezzò la sua pelle untuosa, lei mosse il muso a cercare ancora più coccole. «Però, è la prima volta che vedo uno di voi, sai?» Le strofinò la gola. «E pensa che sono anni che lavoro coi mici.»
Princesa diresse gli occhi celesti, incorniciati di rughe, su Merlino. Soffiò.
Fabio schioccò la lingua. «No no, fai la brava. Lui è buono, lo so che è grosso, ma è così perché ha tanto pelo. Potreste fare amicizia.»
La gatta si agitò, si sciolse dalla presa di Fabio e arcuò la schiena. Le grinze sulla sua pelle si accentuarono a formare un intricato disegno.
«No, no.» Si allungò a trarre Merlino in salvo, pesava una tonnellata. «Vieni bello, ti porto in camera.»
Il gattone non oppose resistenza e si lasciò chiudere nella stanza. Fabio sbuffò e si voltò per tornare in sala a controllare gli altri gatti, ma quattro di loro, compresa Princesa, erano seduti a fissarlo, immobili come statue, pazienti come solo i felini possono essere.
Un brivido gli corse lungo la schiena: era come se qualcosa avesse risvegliato i loro istinti da predatori.

Uno strano rumore lo svegliò, sembrava il frigo che si apriva. Roteò gli occhi nel buio, in attesa di altri rumori. Una lattina veniva aperta.
No, non c’erano dubbi: qualcuno era in casa. Un ladro di birre?
Ansimò, allungò la mano per accendere l'abat jour, ma si fermò. Era meglio non far notare all’intruso che si era accorto di lui. Scivolò fuori dal letto e scostò la porta della sua camera. In fondo alla sala, in cucina, un uomo magro avvolto nell’ombra beveva da una lattina.
Fabio prese un respiro profondo e fece un passo in avanti. Pestò qualcosa, il fischietto di plastica di una pallina di gomma per gatti sputacchiò un lungo strillo.
L’ombra si raddrizzò e portò la lattina all’altezza del petto, il metallo splendeva illuminato dalla luce del lampione che entrava dalla finestra.
Fabio scattò verso gli interruttori e illuminò l’appartamento.
La cucina era vuota, fatta eccezione per Merlino che se ne stava seduto sul parquet, accanto al frigo aperto. Una lattina di birra vuota rotolava per terra.
Un soffio furioso da sotto il tavolo: Princesa fischiava come la sirena di una segheria. Fabio allungò una mano per fermarla, ma i due felini iniziarono ad azzuffarsi sul pavimento: ciuffi di pelo volavano in aria come lapilli di un vulcano durante un’eruzione.
«Ehi! No! Fermi!» Si piegò verso i due animali inferociti, ma questi scivolarono altrove. Tra soffi, graffi e morsi, il pavimento cominciava a sporcarsi di sangue. Fabio rimase a bocca aperta a osservare gli altri gatti che, svegliati dalla cagnara, si lanciavano nella mischia. Sotto alla massa delle bestiole inferocite comparve un vecchio, nudo e peloso come un orso. Tutti i gatti corsero a nascondersi, meno Princesa, che pendeva tenuta per la collottola da due dita ossute.
Il vecchio aveva una lunga barba che gli arrivava al petto e folti capelli candidi macchiati di sangue. «Varda, ‘sta stronza.» Agitò il braccio e fece penzolare Princesa, la cui pelle stirata pareva un lifting venuto male.
Fabio mosse le labbra e farfugliò qualche suono sconnesso, si mise le mani nei capelli e strabuzzò gli occhi per lo stupore.
Il vecchio mosse la mano a coprire il cespuglioso inguine. «Non è che gavessi un paio di braghe per me?»

Il cadavere di Princesa giaceva sulle sue ginocchia, Fabio l’accarezzò con le mani coperte di graffi. Il vecchio indossava i pantaloni di una delle sue tute da ginnastica e stava seduto sul tavolo della cucina con un’altra lattina di birra attaccata alle labbra.
Fabio strinse i pugni. «Me l’hai ammazzata, la gatta!»
«Se meritava de crepar, la merdina. Appena me ga visto la ga capito tutto.»
«Capito cosa?»
«Che mi non iero un vero gato!»
«Ma si può sapere chi sei?» Aggrottò la fronte e fissò il vecchio dritto negli occhi.
«Merlino!»
«Ho detto che voglio sapere chi sei.» Si massaggiò il collo, il corpo di Princesa traballava sulle ginocchia.
«Merlino, ciamame pure cussì.» Sorrise a scoprire una dentatura lastricata di nero, come i tasti di un scalcinatissimo pianoforte. «Mi son el mago Merlino.»
«Il mago Merlino?» Strabuzzò gli occhi. «Quello di re Artù?»
«Mona, quella la xe una storia per bambini.» Ingollò un altro sorso dalla lattina e ruttò. «Mi son un mago vero!»
Fabio schiuse la bocca e lo fissò senza riuscire a parlare, poi diede un pugno alla gamba della sedia. «Ho bisogno di bere anche io.» Poggiò il corpicino della gatta sul tavolo, estrasse una birra dal frigo e prese un lungo sorso. La schiuma gli andò su per le narici, tossì.
«Varda di non sofegarti!»
Lui arricciò il naso pizzicato dall’anidride carbonica e squadrò il vecchio. Era magrissimo, i rilievi delle costole sporgevano dalla pelle giallastra. «Perché parli in veneto?»
«Perché mi son de Trieste.» Allargò gli angoli della bocca.
«Un mago di Trieste.» Sospirò. «Oddio, mi sembra di diventare matto.»
Il vecchio si alzò, un lungo graffio sul petto spandeva gocce di sangue. «Te ti gavessi da fumar?» Fabio rimase impalato a guardarlo, il mago scrollò le spalle. «Dai, ‘ndemo fora, un distributor lo trovemo.» Indicò il corpo di Princesa col dito scheletrico. «Così te pol sotterar la bestia.»

Fabio spinse la pala dentro alla terra soffice in fondo al parcheggio vuoto. Intorno a loro i brutti palazzi della periferia parevano addormentati. Il vecchio lo fissava illuminato dalla luna piena, il luccichio della sigaretta gli colorava gli occhi di arancio. «Dai mulo scava, che non xe profonda a suficiensa!»
«Ma perché non mi dai una mano?» Sbatté la pala a terra. «Invece di startene lì seduto a guardare?»
«Mi son vecio, lavora ti.»
Lui sbuffò e continuò a scavare. «Allora intanto almeno dimmi cosa ci facevi a casa mia!»
Il vecchio ridacchiò. «Quando la vecia bacuca xe andata a sburtar radicio, go pensato di vedere dove la voleva mandarme.» Il luccichio della sigaretta si intensificò, mentre Merlino aspirava. «Mi non pensava mica che’l posto iera quella stamberga di casa tua. Mi credeva che’l fussi un’altra villa di un’altra vecia sua amiga.»
Fabio annuì. «Ho capito.» Fermò la pala e riprese fiato. «Quindi eri l’animale domestico della contessa, e pensavi che ti avesse destinato a un’altra donna ricca, invece che al mio gattile.»
«Sì. Mi voleva veder.» La sigaretta emanò più luce. «Poi go trovato tutti quei gati de merda, pronti a cavarmi fuori gli oci dalle orbite. Maledetti.»
«Ma perché ce l’avevano tanto con te?»
«Lori i xe animali intelligenti, capiscono tutto! La contessa gaveva solo mi, altrimenti sai che dolori!»
«Ma senti, perché ti sei trasformato nell’animale di una vecchia? Che vantaggi ne traevi?»
Risatina. «I xe persone che trattano gli animali meglio dei cristiani! La vecia mi pettinava, mi lavava, puliva la mia merda, e mi comprava scatolette che costavano più de casa tua!»
«Ma… perché?» Batté un piede. «Insomma, coi tuoi poteri, perché ridurti a fare l’animaletto?»
«Te xe proprio un mona.» Risata. «Vedessi la casa che gaveva. Piena di roba: ori, argenti, gioie…»
«Quindi ogni tanto sgraffignavi qualcosa, ti ritrasformavi in uomo, andavi in giro e ti godevi la bella vita.» Sospirò «Poi tornavi e ti facevi accudire, rubavi ancora e così via.»
Merlino allungò le gambe. «Mi sapeva che ti te ieri inteligente.» Sghignazzò. «La vecia la iera così cretina che non si accorgeva di niente.» Emise un fragoroso rutto. «Mi son libero, e la vecia iera la mia cassaforte piena di skei.»
Fabio adagiò il corpicino di Princesa nella buca. «Julia mi ammazza.»
«Chi xe Julia? Quella baba con le tette grosse? Ah! Che mona che ti xe. Una figa come quella là, con un mona come ti.»
«Ma hai sentito, no? L’avrei portata a cena!»
«Sì, sì. Te gavrebbe fato pagar na barca di schei, e poi tutto in vacca!» Si alzò, gettò la cicca nel fiume e si stiracchiò. «Mi vado ora, se vedemo, mona.»
Lo stomaco di Fabio mandò una fitta. «Dove vai?»
«Gira gira mondo! Go da trovare n’altra bacuca cui i piase i gati.»
«No!» Strinse i pugni. «Non puoi lasciarmi! I soldi…» Si morse un labbro.
Merlino si piegò dal ridere. «Ah sì! Te xe un po’ nella merda. Niente schei per il gato della vecia se mi vado! Ah! Che coion!»
«Dai! Mi hai ammazzato la gatta di Julia, non puoi piantarmi così. Se resti provvederò io alle spese per mantenerti e, quando Julia torna, potrai cercare di avvicinarti a sua madre... se assomiglia a sua figlia, vale la pena di aspettare.»
Merlino strinse le labbra e si accarezzò la lunga barba. «Da magnar e da beber? E mi aspetta che arrivi la mamma della baba?»
Fabio si morse un labbro. «Sì, e insegnami anche a trasformarmi in gatto.»
Merlino schioccò la lingua un paio di volte e strabuzzò gli occhi. «Non xe mica facile.»
«Solo per un mese al massimo, ok? Fino a quando torna Julia. Poi va’ pure per la tua strada.»
Il mago rimuginò e grugnì. «In un mese te ti impari solo a trasformarti in un solo gato, senza poter variare. Poderia insegnarte a diventar uguale de mi, cussì che te pol gaver ancora i schei, va ben?»
«Voglio diventare uguale a Princesa.»
«La gata della baba?» Il vecchio annuì. «Voi gioveni, solo la mona nel zervel.»
Fabio sbuffò. «Non credo che tu abbia la levatura morale per darmi lezioncine!»
Merlino scosse la testa. «Va ben, mi resta. Ma varda che te me devi prender da beber tutto quel che voio, senza protestar.»
«Hai la mia parola.» Annuì. «Potrai incioccarti quanto vuoi.»

Fabio si mise in piedi in mezzo al cerchio magico disegnato sul parquet. Un paio di gatti stavano accovacciati fuori dai bordi dell’arabesco, mandandogli sguardi pieni di curiosità.
Il tracciato magico raffigurava uno strano diagramma circolare, con i contorni di diversi occhi felini sospesi tra ghirigori ingarbugliati. «Ma chi te l’ha insegnata, questa roba?»
Merlino, appoggiato al muro sotto alla finestra e con in mano una bottiglia di Slivovitz quasi vuota, fece spallucce. «Xe mejo che non te lo dise.» Alzò il mento. «Ora, pensa al gato senza pelo, e metti i brazi diritti in croxe.» Tese le braccia verso l’esterno, parallele alle spalle. «Quando che ti sarà bravo, il diagramma magico non la servirà più.»
Fabio strinse i denti, allargò le braccia e chiuse gli occhi. Visualizzò nella mente le fattezze di un gatto di razza sphynx, con gli occhi azzurri come Princesa: ogni dettaglio era importante per riprodurne le fattezze.
Trasformato in gatto, non avrebbe più dovuto elemosinare attenzioni, avrebbe potuto vendicarsi di tutte le femmine che lo avevano rifiutato e deriso, farsi amare e rubare loro tutto. Sorrise, era finalmente arrivato il suo momento.
Un’onda di glaciale energia lo investì e gli scorse lungo la spina dorsale.
«Bravo, tienla dentro, non farla andar fora!»
Fabio aggrottò le sopracciglia, cercò di trattenere il freddo all’interno delle ossa, ma la mano di ghiaccio scivolava verso l’alto, oltre il cranio.
«Attento, mona!»
La vibrazione mandò in frantumi tutti i vetri della casa: la bottiglia di liquore che Merlino teneva in mano, le finestre, la lastra del tavolino della tv che, privata di un sostegno, rovinò a terra con un tremendo fracasso.
Fabio aprì gli occhi e uscì dal cerchio magico. Strinse le labbra e si massaggiò le tempie. Il mago si stava ripulendo i vetri dalla folta chioma. Una polvere di brillantini luccicava tra i peli ispidi della sua barba. «Vacca mastella, che gran casin! Gavemo ancora da lavorare molto, go paura.»

Suonò il citofono. «Ehi, Merlino!» Corse verso l’ingresso. «Julia è puntuale! Presto, tra poco si entra in scena!» Alzò la cornetta. «Sì?»
«Dottor Menegon. Sono qui per l’ispezione del gatto Merlino per conto dell’avvocato Democrito»
Il labbro di Fabio tremò, il cuore gli saltò alla testa. «Certo, s-salga.»
Riattaccò.
Il vecchio fece capolino alle sue spalle. «Chi xe?»
«Il veterinario che ti deve controllare, mandato dall’avvocato della contessa!»
«Ma perché lo ti ga fatto salir?» Sbuffò. «Bastava mandarlo in mona!»
«Non so perché l’ho fatto, non ho avuto i riflessi pronti.» Scosse la testa. «Avanti, trasformati.»
Merlino alzò le folte sopracciglia bianche «No.»
Fabio chiuse gli occhi, si batté i pugni sulle tempie, pestò i piedi e allungò le braccia contro il vecchio come se volesse riempirlo di botte. «Non abbiamo tempo per discutere, fai come ti ho detto merdoso vecchio alcolizzato!»
Merlino si impettì. «Vai a farti mettere ti un termometro su pel cul!»
Il campanello della porta suonò. Il mago alzò gli occhi al cielo e si trasformò nel gatto persiano, i vestiti formarono un mucchio sul pavimento.
Fabio prese un sospiro di sollievo e aprì.
Il veterinario aveva i capelli a spazzola e dei baffetti color carota. «Permesso.» Lo scansò, raccolse Merlino e gli annusò il muso. «Questo gatto è ubriaco!»
Fabio cercò di rispondere, ma il veterinario lo zittì con un gesto e scomparve in cucina.
Qualcuno bussò alla porta. Fabio strinse i denti e urlò: «Scusi, vado a vedere chi è.» Il cuore gli batteva all'impazzata. «S-sì?»
«Aprri estupido!»
Accento spagnolo! Era Julia.
La mano tremante girò la chiave, ma alla porta comparve una donna sudamericana di mezza età.
Fabio le si avvicinò. «La mamma di Julia?»
Lei lo fulminò con lo sguardo. «Soi aqui por la gata! Donde està?»
Fabio storse la bocca: quella stronza non era nemmeno salita di persona, ma le cose stavano per cambiare. Sorrise come se nulla fosse. «Vado a prenderla.» Corse in camera. Respirò a fondo, cercò di controllarsi.
Entrò nel cerchio magico e pensò alla gatta glabra. La sensazione del contatto con una mano glaciale lo percorse da capo a piedi mentre i suoi vestiti scivolavano via. Aveva funzionato!
Zampettò fuori e guardò in alto.
La donna lo vide e stirò le labbra in un sorriso tutto cuoricini.
Il veterinario uscì dalla cucina. «Ho finito. Se mi sente, sappia che Merlino è in condizioni pietose: può salutare il suo contratto.» Abbandonò l’appartamento.
«Bonita Princesita.» La mamma di Julia prese in braccio Fabio. «¡Estoy feliz de conocerte!» Lo accarezzò sulla pelle nuda. Ci era cascata, e presto sarebbe stato il turno di Julia. «Pero espera: ¿Qué cosa es esto?» Gli pungolò i testicoli con un’unghia aguzza. Fabio contrasse i muscoli, una fitta lo impietrì. «Tu eres un chico, no una chica.»
La trasformazione non era completa. Possibile che non se ne fosse accorto?
Un miagolio dal basso.
«¡Aquí estás, Princesa!» La donna lo lasciò e raccolse l’altro gatto, un esemplare di sphynx femmina. «¡Sì, es tu Princesita!» La strinse forte al petto. «Vamos a casa.»
Sulla spalla della mamma di Julia, Merlino-sphynx scoprì i denti aguzzi e fece l’occhiolino.
Le zampette di Fabio tremavano, non riusciva a rialzarsi. «Aspetta!» Il brivido freddo lo percorse, mentre si ritrasformava in essere umano.
La donna si fermò sulla soglia, i suoi occhi parevano uscire dalle orbite. «¡Ma estás desnudo, puerco, cabron!»
«No!» Si coprì le pudenda con le mani.
«Yo clamo a los carabineros.» Corse giù per le scale. «¡Puerco!»
Fabio contrasse tutti i muscoli, la testa gli scoppiava. «Lurida merda!» Urlò a squarciagola. «Mi senti? Spugna di merda!»
«Te faccio arrestarr, cabrrrron!»
Cadde faccia al muro, nudo e in lacrime.
I gatti dell’appartamento soffiarono, tutti raccolti attorno a lui.
Uno gli saltò sulla schiena e lo trafisse con gli artigli, ed era solo il primo.

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Shanghai Kid
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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#3 » domenica 18 giugno 2023, 13:05

GATTINI
“Migliaia di anni fa, i gatti furono divinizzati. Non se ne dimenticano.”

3100 a.C., plenilunio, Per Bast, Egitto
Le quattro sacerdotesse vestite di rosso danzano ebbre di vino al suono del sistro strusciandosi l’una sull’altra: un tremore invade il groviglio dei loro corpi.
Migliaia di gatti intorno a loro fanno le fusa.
Una dolce nenia si leva da Per Bast e si mescola ai profumi floreali che si alzano dalla terra.
Una sacerdotessa prende il vaso su cui è stato inciso il rituale e lo riempie di miele.
“A te, dea Bastet, che sei la più dolce Guerriera”, la lingua della donna lecca il miele dal vaso e lo alza verso la luna.
Una seconda sacerdotessa si avvicina gattonando alla prima che le passa il vaso. Lei ci versa del vino.
“A te, dea Bastet, che sei la più inebriante tra le Femmine”, la lingua della donna lecca il vino dal vaso e lo alza verso la luna.
La terza sacerdotessa si avvicina gattonando a sua volta, prende il vaso e lo riempie di latte.
“A te, dea Bastet, che sei la Madre più feconda”, la lingua della sacerdotessa lecca il latte dal vaso e lo alza verso la luna.
La quarta sacerdotessa si avvicina stringendo un cucciolo nerissimo di gatto. La compagna tiene il vaso tra le mani. La quarta sacerdotessa tiene il micio per la collottola con la mano destra, nella sinistra ha una lama. I gatti che riempiono l’area sono ora immobili e guardano la donna. La quarta sacerdotessa incide la zampetta dell’animale mentre lo fissa negli occhi. Un miagolio acuto ferma la musica. Una goccia del sangue del gattino cade nel vaso. Il micio graffia la mano della sacerdotessa. Un secondo miagolio, quello della donna, rompe il silenzio. Una goccia del suo sangue cade nel vaso.
La sacerdotessa posa il micio sul terreno. Prende il vaso dalle mani della compagna e lo alza alla luna.
“A te, oh dea Bastet, il sacrificio che ti porgiamo attende il suo compimento. Che gli uomini non dimentichino il valore sacro del Gatto, dell’Amore, di Te! Che siano puniti se non rispettano la tua Sacra Legge. Che sia il loro stesso odio, la loro stessa violenza a riempire questo vaso di sangue e allora Tu, oh Eterna, splenderai nella tua forza guerriera e i gatti di tutto il mondo torneranno nella loro magnificenza e potenza”.
Un miagolio animale e umano si leva dall’assemblea.
Nella luna, il volto felino di Bastet illumina la gigantesca sfinge dal corpo di gatto che sovrasta il tempio della dea e la radura del rituale e ne allunga l’ombra che inghiotte l’intera assemblea.
La quarta sacerdotessa guarda la statua, sorride, bacia il muso del gattino: “Un giorno tornerete grandi. Devi solo avere pazienza…”

3 luglio 2023, Per Bast, Egitto
Un sole violento innaffia di raggi la pietra rossa dell’antica Per Bast.
“Il Nilo doveva arrivare fino a qui”, Adam parla guardando lo sparuto perimetro d’erba ingiallita intorno alla colonna e si accarezza la barba bruna imperlata di sudore.
Luc non lo ascolta. Con l’indice segue le iscrizioni geroglifiche sul frammento di vaso che hanno appena trovato. Sono al campo da una settimana, ma non gli era ancora capitato tra le mani nulla di tanto interessante.
“Quei furbetti di Ramesses II e Osorkon II ci hanno già reso le cose difficili, per non parlare dei persiani”, Adam rivolge lo sguardo verso Luc. “Oh, mi ascolti?”
“Mmmm”, Luc continua il suo lavoro di decodifica senza alzare la testa. Da quando hanno ritrovato il frammento, un’aria malsana, pesante, ha invaso l’accampamento.
“Stacchiamo un attimo e ci facciamo un panino?”, Adam si avvicina al collega. “Dai facciamo una pausa e ci rimettiamo dopo a pancia piena, così abbiamo la mente più lucida e forse ce la fai a tirare fuori qualcosa di sensato da quel coccio!”
“Io non mangio finchè non ho finito… Voglio capire di che tipo di iscrizione si tratta, cosa dice…”, la voce di Luc è ferma. Un miasma invisibile si alza dal pezzo di coccio e lo avvolge. “Tu mangia pure nel frattempo!”, Luc apre la valigetta ed estrae un foglio e una biro. Poi inizia ad appuntarsi i possibili proseguimenti dell’iscrizione. Una goccia di sudore macchia il foglio. Una sensazione nuova agita Luc. “Sarà questo caldo infernale”, sussurra tra sè e sè il giovane archeologo.
“Ma pensi davvero di farcela? Nella migliore delle ipotesi ci metti un mese”, Adam non molla.
“Finiscila! Mi stai innervosendo. Vai a mangiare”, la voce di Luc è diversa, stridula.
“Dai amico, non prendertela, lo sai anche tu che non sei proprio una volpe, ci hai messo un semestre a preparare un esame che gli altri hanno preparato in un paio di mesi”, Adam prosegue non curante, divertito.
“Ti ho detto di levarti dalle palle! Vai a mangiare il tuo panino a Zagazig e lasciami lavorare!”, Luc fissa i geroglifici sul vaso ma non li vede. Stringe la biro nel pugno della mano destra.
“Come è che era? Luc il Lentone, ti ricordi quando ti chiamavamo così all’università? Mamma mia quanto ti incazzavi!”, la voce di Adam si rompe in una risata ragliata.
Il sole bollente martella le tempie di Luc dove le vene pulsano già ingrossate da una sensazione violenta che non sa riconoscere: è la rabbia trattenuta in anni ed anni di soprusi, ma uno stordimento arcano serpeggia tra le emozioni incancrenite. Luc si passa una mano sulla fronte aggrottata e chiude gli occhi cercando di trattenere l’istinto che si impossessa sempre più di lui: “Ti ho detto di smetterla!”.
“Mamma mia, sono passati anni, poi non c’è niente di male ad essere un po’ lenti, Lentone!”
Luc molla la biro, afferra il coccio di vaso che sta studiando e si scaglia su Adam, colpendolo ripetutamente in volto. “Non chiamarmi mai più così”. Luc è paonazzo e colpisce Adam con una foga mai sperimentata prima. “Sei un pezzo di merda”, urla, “lo sei sempre stato!”.
Luc si ferma, immobile, terrorizzato. Si alza barcollando dal corpo dell’amico su cui si è accanito. Le mani e i vestiti sono pieni di sangue. Trema. Lascia cadere il coccio sul corpo esangue di Adam e si allontana correndo.
I solchi geroglifici del coccio sono ora pieni del sangue del giovane archeologo.
Il cielo si fa buio all’improvviso. Una luna enorme e lattiginosa si materializza su Per Bast, proprio dove prima c’era il sole impietoso.
Una marea di topi riempiono l’area intorno al corpo di Adam e per poi fuggire in tutte le direzioni, come impazziti.
Un profumo intenso e dolce riempie l’aria.
Un piede di donna si poggia sul ventre di Adam.
La donna si china a raccogliere il coccio, lo avvicina alla bocca e con la lingua lecca il sangue, poi passa la lingua sul pelo nero del suo muso e sui lunghi baffi bianchi.
Il sacrificio ha sortito il suo effetto.
La profezia si è compiuta.
Bastet, la dea gatta, è tornata e ora fissa la luna e sorride.
Un miagolio si leva alla luna.
È ora che i gatti si riprendano il mondo.


3 luglio 2023, periferia di Milano, Italia
L’abitacolo della Cinquecento Abarth bianca puzza di arbre magique all’Eucalipto, di vodka e di sudore.
L’automobile su cui viaggiano i due amici svolta a sinistra e si immette sulla superstrada. Enormi condomini fatiscenti e case popolari grigio fumo si nascondono come spie nel buio della notte.
“Cambia musica Gio! Questa canzone fa schifo!”, Michele è stizzito.
“Ma nemmeno se mi paghi, non senti che bel ritmo latino? Papapampampapapam!”, Gio tamburella sul cruscotto fuori tempo.
“Io proprio non capisco cosa ci troviate nel reggaeton, fa pena”, Michele smette per un istante di guardare la strada rivolgendo uno sguardo verde e disgustato all’amico.
“Papapampampapapam!”, Gio mugola un motivetto latinoamericaneggiante che stona con la musica che esce dall’autoradio.
“Ma poi ‘sta cazzata che, a un certo punto, il cantante urla il proprio nome nel bel mezzo della canzone? Cosa cazzo mi vuol significare?”
“Ma cosa te ne frega, Michi? Lasciati guidare dal corazón”, Gio si infila la mano destra sotto maglia
e mima il lento e periodico battere del cuore.
Con un movimento repentino, Michele cambia la stazione radio e alza il volume al massimo. Parole aspre, baritonali, arrivano come un pugno nell’orecchio degli amici.
“Cosa è questa merda? Ah, certo! Mille volte meglio canzoni teutoniche e incazzate di un po’ di buona musica che ti fa venire voglia di muovere il culo!”
“Non mettere più, mai più, nella stessa frase i Rammstein e quei cosi con le camicie sbottonate e i capelli unti”, Michele urla in faccia a Giovanni che abbassa il volume.
“Ma tu te la immagini quella bona di Rachele a twerkare su questa canzone?”, un sorriso malizioso lascia spazio alla fessura che Giovanni ha tra i denti.
“Io quella me la immagino fare tante cose!”.
I due amici scoppiano in una risata. Giovanni estrae un pacchetto morbido Camel dalla tasca del giubbino che tiene infagottato sulle ginocchia e se ne accende una. “Vuoi?”, allunga il pacchetto verso Michele.
“Certo! Accendimela tu, però…”
Giovanni accende la paglia usando la brace della sua e la passa all’amico.
L’abitacolo della macchina si riempie di fumo. Ora puzza di arbre magique all’Eucalipto, di vodka, di sudore e di fumo.
“Sembra di stare in un coffee shop! Tira giù il finestrino, dai… Abbassa il vetro!”, Michele si porta una mano alle labbra e strozza un colpo di tosse.
I due amici aspirano ed espirano fumo con la devozione dello yogin durante il primo saluto al sole della giornata. Fuori dalla macchina un cielo che promette una bella scarica di acqua si fa sempre più pesto e, in lontananza, fulmini dalla forma di vene varicose si accendono a intermittenza nell’aria plumbea.
“Che serata stupenda è stata!”, Giovanni incrocia le mani dietro la nuca e si lascia andare sul sedile “Ma quanto avremo bevuto?”.
“Mah, io troppo come sempre. Infatti mi scappa una pisciata epica. Cazzo, per poco mi facevo Anna, solo a pensarci sento il sangue al cervello… Tu hai visto come mi guardava? Sembrava mi volesse mangiare”, Michele si morde il labbro inferiore.
“Quella è una specie di vampira del sesso secondo me, stacci attento che ti troviamo dissanguato!”
“Senti, senti qui cosa danno… Lo sapevo che questa era la stazione radio giusta!”, un suono gutturale, cavernoso abbandona la bocca di Michele come il lamento di un animale al macello. In un tedesco abbozzato e grugnito, il giovane canta all’unisono con l’autoradio.
“Mah, a me sembra che ruttino parole! Ti ricordi Marco quando facevamo le gare di rutti con la Coca-Cola?”
“Mamma mia che schifo!”, Michele simula un conato di vomito.
“Attento! Un gatto!”, urla stridulo Giovanni.
Michele, come risvegliatosi da uno stato di trance, vede l’animale attraversare, correndo, la carreggiata e cerca di evitarlo. Il tachimetro segna 120 km/h. Le gomme non tengono la strada. “Dai, dai, dai!”, Michele preme il freno, stringe il volante, digrigna i denti.
“Merda!”, Giovanni ha le mani sul cruscotto e spinge come fosse in posizione di plank.
È troppo tardi. Ormai gli sono addosso.

L’impatto è devastante. L’automobile è un groviglio di lamiere e fiamme. I corpi dei due giovani sono riversi sui sedili.
All’autoradio cantano gli Slipknot. La zampa di un secondo gattino calpesta la vettura schiacciandola dal lato del guidatore. È un cucciolo tigrato, alto appena otto metri. La Cinquecento Abarth bianca è per metà una piadina sull’asfalto che puzza di arbre magique all’Eucalipto, di vodka, di sudore e di sangue.
Una micina maculata occupa interamente la stazione di servizio e si lecca la zampetta ferita, ancora appoggiata su un camion da rimorchio con le ruote all’aria. Dall’autocarro esce, insistente e acuto, il rumore del clacson schiacciato dalla testa insanguinata del conducente.
Il falò prodotto da un autobus turistico schiantatosi contro il guard rail illumina gli scheletri di due autovetture uscite di strada.
L’aria è pesante, densa di fumo e di benzina. Si sente in lontananza lo stridore delle lamiere sull’asfalto, dei tentativi di frenata; si sentono le urla di paura e di dolore dei malcapitati automobilisti.
Un gargantuesco miagolio fa tremare l’asfalto. Nel buio impenetrabile della notte, si accendono, come un domino, le luci dei condomini popolari.
Il cucciolo tigrato di otto metri si struscia sinuoso sull’asfalto e le sue fusa sono un brontolio così sordo e profondo che sembra quasi il ventre della terra gorgogli, pronto a rigurgitare mostri mai visti prima.

Giovanni ha perso i sensi. Il suo braccio sinistro è incastrato nella carrozzeria schiacciata dal gattino. Come se si stesse svegliando da un sonno di oppiacei, apre gli occhi e non riesce a capire cosa stia guardando. Dal finestrino ormai andato in frantumi, un grosso cerchio di un verde cangiante e vivo lo fissa.
Interrompendo l’abbraccio cromatico di giallo e azzurro, una fessura nera oblunga percorre in verticale l’intero diametro del cerchio. Questa figura confusa si sposta di poco e a Giovanni sembra di scorgere una superficie multicolore e, attaccati ad essa, lunghi fili bianchi.
L’animale guarda dentro l’abitacolo dell’auto, ma il ragazzo non fa in tempo ad accorgersene.
Una strana sensazione calda e umida lo avvolge. Si sente trascinato dentro una profonda grotta scura: le acuminate stalattiti che pendono dal soffitto gli ricordano, per un ultimo breve istante, i dentini appuntiti di Pallino, il micio dei vicini.

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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#4 » mercoledì 5 luglio 2023, 17:57

Gattile di Ulthar

Ciao, la trama è interessante ma lo stile l’ha appiattita. Manca di patos e a tratti fai perdere di interesse. Nel racconto mancano i cinque sensi per colpa di un eccesso di tell.
Prendo per esempio le prime righe.

Al suono del citofono Fabio si precipitò all’ingresso. «S-sì?»
Suono e corsa me li racconti e non me li fai vivere. Non c’è una reazione del protagonista, sei tu a dirmi che “si precipita”. Quindi so cos’ha fatto ma non l’ho vissuto.

«Avvocato Giuliano Democrito. Abbiamo un appuntamento.»
Le dita di Fabio devastarono i tasti, fino a quando il clangore della porta al pian terreno confermò che il visitatore aveva accesso alla rampa di scale.
Lasciamo stare i termini clangore, accesso e devastarono, poco adatti al contesto. Anche qui non mi fai vedere. Sia chiaro, io so cosa sta succedendo ma sono fuori dalla storia. Fammi sentire lo scricchiolio del tasto sotto il polpastrello. Oppure fammi sentire il tremolio del pavimento quando sbatte il portone. Insomma, usa i sensi.

L’avvocato trasse dei documenti da una cartellina e li posò sul tavolo. «Danno molte noie, questi animali.»
Ogni parola può dare un tratto al personaggio. Aprendo la valigetta puoi farmi capire se è disordinato, maniacale, superficiale… usa questi passaggi per caratterizzare e vedrai che anche il lettore si appassionerà perché comprende che ogni parola è importante.

Secondo me il racconto merita una riscrittura.

GATTINI

Partiamo dalla DOMANDA: perché la terza al presente? C’è molto di meglio in giro. Ma questa è una scelta dello scrittore, quindi faccio finta che non mi abbia infastidito.
Il racconto c’è e non c’è. Diciamo che con 20k si può fare molto di più, magari fingendo che ci sia una trama e non tre avvenimenti piatti che portano alla fine del mondo che conosciamo. Magari sarebbe bastato partire nel presente e saltare nel tempo per dare un po’ di brio alla storia.
Messa così è veramente poco coinvolgente.
Poi occhi ai dialoghi. Alcuni sono poco credibili. Le persone non parlano così:
“Mah, io troppo come sempre. Infatti mi scappa una pisciata epica. Cazzo, per poco mi facevo Anna, solo a pensarci sento il sangue al cervello… Tu hai visto come mi guardava? Sembrava mi volesse mangiare”, Michele si morde il labbro inferiore.
“Quella è una specie di vampira del sesso secondo me, stacci attento che ti troviamo dissanguato!”
Il sangue al cervello? Veramente? Ti troviamo dissanguato?
Sono due amici o due colleghi che hanno paura di essere ascoltati dal capo?
I dialoghi devono essere credibili e reali.

Nel complesso sono indeciso. Mi hai affascinato subito con la scena in Egitto deludendomi però con un finale veloce e per nulla coinvolgente.
Boh, non so se mi sia piaciuto.


Ammetto di essere un po’ deluso perché il potenziale per leggere dei bei racconti c’era. Dovendo esprimere una preferenza, passa il turno Gattini

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