I commenti della GUEST STAR ai racconti finalisti
I commenti della GUEST STAR ai racconti finalisti
Allora, bella gente, sono stato davvero onorato di leggere i vostri racconti e della qualità che avete tirato fuori in questa edizione. Complimenti a tutti.
Tirare fuori i primi 7 è stato un patema, non so se voglio farlo mai più nella vita!
No, davvero, è stato difficilissimo, ma molto stimolante. La qualità qui su Minuti Contati è altissima e ogni volta mi meraviglio di quante idee si possano tirare fuori in sole 4 ore di tempo.
Quindi avanti tutta, belli concentrati per la prossima edizione, siamo appena alla terza tappa dell’Era!
Finalmente posso andare a sbirciare chi ha scritto cosa. Anche se alcuni di voi sono certo di averli riconosciuti! (La vostra guest star del mese)
Figli della palude
Le streghe sono figure che amo molto, anche perché permettono una miriade di interpretazioni e una serie di poteri sempre vari e interessanti da approfondire.
La parte iniziale del racconto è ben gestita. La chiacchierata intorno al fuoco riesce con poche pennellate a rendere bene l’idea di base dei vari personaggi, le loro motivazioni, ciò che li spinge a cacciare questa strega.
Il passaggio diretto al combattimento mi è piaciuto, anche se avrei usato meno metafore in quel punto, visto che è un momento molto concitato in cui probabilmente il nostro protagonista pensa più a salvarsi la pellaccia che ad altro.
Il problema per me è il finale.
Sicuramente scorre troppo veloce rispetto al resto del racconto, ma il problema che ho riscontrato io è più di comprensione.
Vediamo quello che ho capito:
Da 200 anni, ogni 20 anni la strega torna a infastidire la città perché gli esseri umani stanno devastando la natura.
L’ultima volta è stato il padre del nostro protagonista a non-ucciderla, ma ha stretto un patto? O è stato maledetto? E in che cosa consisteva la sua maledizione? Questo è il mio primo dubbio.
Poi passiamo allo scontro, il pungiglione inietta la maledizione e la strega dice “ho corrotto NUOVAMENTE il vostro seme”. Quindi lo ha già fatto con il padre? E l’averlo fatto con il padre in cosa ha maledetto il nostro protagonista? Qualcosa però non ha funzionato se siamo di nuovo punto e a capo. Che cosa?
Poi la strega gli dice che dalla sua progenie nascerà una strega/regina che guiderà gli uomini in una guerra. Quindi questa è la fine della maledizione? È l’ultimo step o dopo 20 anni tornerà di nuovo?
Insomma nel finale è chiaro che l’eroe ha guidato una rivoluzione ed è diventato Re, ma non mi è chiara tutta l’implicazione della strega e come funziona questa maledizione.
Ammetto che non era affatto semplice inserire tutto questo worldbuilding in così poco spazio, quindi ti faccio tanti complimenti anche se il finale mi è rimasto un po’ oscuro!
Ci troveremo, ancora e ancora
Un racconto che già dalla prima lettura mi aveva colpito per il tema e per la perizia con cui è stato trattato. Non un racconto facile, poteva scadere facilmente nel “troppo”, ma così non è stato.
Anche il passaggio a metà dove vengono elencate le “stranezze” del protagonista mi è piaciuto molto, perché sembrava proprio narrato da qualcuno che ha difficoltà a concentrarsi e si sta sforzando di spiegare a chi non è come lui quali siano le sue difficoltà.
Il finale poi è perfetto. Ha sempre trovato un modo per andare avanti nonostante le sue difficoltà e una persona che lo amasse per quello che è, ma con una figlia in arrivo si sente costretto a cambiare, a costo di non essere più sé stesso.
Il riferimento a quelle corna che da lui sono passate alla figlia è un tocco di classe. Qualcosa che condividerà per sempre con il padre, che saprà capirla come nessun altro, creando un legame indissolubile (o questo è quello che leggo io nel finale dandogli una connotazione positiva).
Davvero complimenti.
La crepa
Altro racconto che mi è piaciuto un sacco. Le tinte weird ci sono tutte e dosano alla perfezione il detto e il non detto con la giusta semina (il padre che sa come calmare il figlio, il padre che non va dal dottore perché tanto non si tratta di una malattia, ecc...).
Tutto quello che avevi costruito fino al finale del racconto ha funzionato benissimo, ti faccio i miei complimenti, poi però con le ultime frasi mi sono ritrovato confuso. Ho letto un po’ di volte quel passaggio cercando di interpretare cosa volessi dire…
“Certo che Ronny urlava, quella notte.
Aveva visto suo padre, il suo amato papino, avvicinarsi nel sonno e tagliargli la gola con il coltello.”
Ecco, queste due frasi mi hanno destabilizzato. Quale notte? Quella in cui la crepa era tornata squarciando il quadro? O quella notte intesa come il presente e il padre lo sta uccidendo proprio in quel momento?
Non sono riuscito a figurarmi se il bambino si è svegliato da un incubo come se avesse visto il futuro o se l’omicidio del bambino sta avvenendo nell’ultima scena. Anche perché in quell’ultima scena il bambino non viene nominato e non capisco se è lì nella stanza o se il padre è solo e sta rimuginando su quello che è accaduto la sera prima. Anche perché il bambino non è neppure con la madre dal dottore… poi magari è semplicemente a scuola, ma mi manca proprio la comprensione del finale.
Mannaggia, fino a lì non avevo proprio nulla da recriminare.
Profumo di Gelsomino
Racconto che gioca sui sentimenti e lo fa in maniera eccelsa, dipingendo una bella scena di questa famiglia spezzata dalla malattia della moglie/madre.
Solo un dettaglio non mi ha convinto al 100%, quel “dov’è sua madre quando serve” che sicuramente potrebbe essere un’esclamazione, ma che sembra più un cercare di mandare fuori strada il lettore per coglierlo di sorpresa con la rivelazione finale. Non ce n’era bisogno. Si intuisce che è successo qualcosa con la moglie e che quindi su questo verterà il finale e anche senza quel depistaggio il colpo di scena funziona bene lo stesso. Bastava anche solo un “vorrei che sua madre fosse qui”. Ma è una piccolezza, sia chiaro. Hai usato un sacco di metafore in questo racconto e io le ho apprezzate parecchio, forse però ne avrei tagliata qualcuna per non rischiare di appesantire il testo e non renderlo troppo barocco per il solo gusto di esserlo. È un racconto terra a terra, o almeno io lo vedo più legato ai sentimenti che non alla ricerca del tecnicismo. E infatti funziona alla grande perché sa emozionare.
La migliore metafora comunque senza dubbio quella dello zaino da campeggio, la più particolare. Una chicca davvero ben confezionata.
Domani inizia la vita
In questo racconto i toni sembrano più leggeri di altre opere arrivate in finale, più strappacuore. Sembra ci sia meno sentimento.
Abbiamo un protagonista “cazzone” e sopra le righe. Abbiamo una serie di parolacce tipiche degli adolescenti e quel tono scanzonato di chi ha finito finalmente di studiare e adesso è pronto per divertirsi tutta l’estate prima di doversi mettere a cercare un lavoro. Fa molto anni ‘90 anche se qualcosina stride. Diciamo che un anni ‘90 wannabe, ma le imprecisioni non danno noia.
Poi però si arriva al finale e il tono leggero cambia: arrivano le responsabilità. E non è più la storia di alcuni adolescenti pronti per godersi l’estate.
Mamma che sta poco bene, il ristorante da tirare avanti, gli amici che per quella sera faranno a meno di te.
E il tuo racconto mi è piaciuto proprio per questo cambio di tono e di rotta. Per questo approdare nella vita adulta e mettere il dovere davanti al divertimento. Lo hai reso davvero bene, con toni scanzonati, sì, ma portando una riflessione e facendomi tornare in mente i ricordi di quel passaggio alla vita adulta. Perché va proprio così, un giorno sei uno studente con un sacco di tempo libero e il giorno dopo tutti ti vedono come un adulto con delle responsabilità. Colpito e affondato.
Non in questo mondo
Il racconto comincia con un incipit che acchiappa. Il verso di questi uccelli, umanizzato, ha subito alzato il livello della mia attenzione. Mi aspettavo ci avresti giocato di più nel resto della narrazione, magari chiudendo con un altra “voce” che diceva tipo “lasciala andare” o qualcosa di questo tipo ma più simile al verso di un uccello… così da dargli una chiusura circolare.
Ottima la metafora del prolungamento del cofano, visiva, fuori dal comune, che rimane.
Finale agrodolce. Il nostro protagonista si toglie di dosso il peso della responsabilità che lo attanagliava da quando la madre aveva lasciato nelle sue mani Tilda. Non la insegue perché capisce che deve lasciare andare. Che sua madre se n’è andata e così farà Tilda, e va bene così. Non si può vivere sempre in funzione degli altri.
Forse avrei evitato per due volte la frase “non dovrei pensarci” riferito alla madre e anzi avrei infilato un bel rant contro la mamma che li ha lasciati e spinto sul senso di colpa che prova lui. Ma questo ovviamente è il come avrei condotto io la narrazione quindi non darci peso.
Inoltre ho apprezzato moltissimo il riferimento al fiume che ha portato via tutto, attualissimo considerando quello che abbiamo visto recentemente nei tg.
Altro racconto davvero davvero di qualità.
Quel giorno di ottobre
Questo racconto mi ha riportato alla mente un romanzo che ho letto da poco e ho amato: Il Pescatore di John Langan. E questo è di base già un bel complimento.
Il tono da provincia (poi Bologna, dalle mie parti, quindi doppiamente apprezzato) traspare dai piccoli dettagli. Tiktok che si blocca, un’ora di treno per arrivare alla civiltà, il fiume che attraversa la città e quel desiderio di scappare contrapposto alla “fedeltà” per il proprio paesino d’origine.
Su queste caratteristiche hai fatto un lavoro pregevole, e infatti la parte iniziale vale da sola la lettura del racconto.
Dopo però c’è qualche problemino, a mio avviso. Sicuramente il finale, dove probabilmente hai dovuto fare i conti con i pochi caratteri avanzati e forse anche il tempo residuo.
Sul finale il ricordo del nonno, la morte del padre e la realizzazione del legame con il fiume arrivano troppo repentini, così come la presenza di Enrico sull’argine. Avresti potuto ad esempio farlo chiamare dal protagonista per parlargli e poi mettere la stessa scena di lui che cade nel fiume e la frase finale che è a dir poco perfetta.
A rubarti qualche carattere di troppo, sempre a mio avviso, è stata la parte centrale con lo zio. Non è riuscita a dare al lettore tutte le info di cui aveva bisogno e quindi diventa un pezzo superfluo nell’economia del racconto. Immagino fosse più lungo e forse tu abbia dovuto tagliarlo.
È comunque un signor racconto e ti porgo nuovamente i miei complimenti per le atmosfere perfette.
Abbiamo scritto i nostri nomi nella polvere dei ricordi
Allora, allora, allora! Cosa abbiamo qui? Un racconto a dir poco geniale che purtroppo mi perde un po’ di mordente nel finale. Mannaggia.
Mi spiego meglio.
La prima parte è sublime.
Delirante al punto giusto, giocata con queste ripetizioni di mamma e amore e con questi termini composti che rendono l’idea di una mente disturbata. (inizialmente ho pensato a un bambino, poi quando ho capito che era un adulto ho apprezzato doppiamente l’idea alla base)
Vivere in un mondo così piccolo, così distante dalla realtà deve essere traumatizzante, e la resa è stata ottima, così come i dettagli della madre morta e del nutrimento del protagonista a base di gocce d’acqua putrida. Dettagli disturbanti al punto giusto e non per tutti gli stomaci.
Fino a qui racconto perfetto.
Poi però quando arrivano i “poliziotti” ti sei fatto/a prendere la mano e hai voluto spiegare troppo, raccontandoci dettagli che non erano necessari. Ritengo che a volte da lettore e meglio non sapere tutto, ma rimanere solo con qualche intuizione tra le dita.
Forse avresti potuto far parlare due “poliziotti” come se pensassero che il povero Goffredo non fosse in grado di capirli e snocciolare così il suo passato.
“Cazzo, ma come è ridotto? Beh, ci credo, vent’anni chiuso dentro quella cantina…”
Una roba così sarebbe stata più che sufficiente per imboccare la curiosità del lettore e spiegare tutto e niente. Comunque sto trovando dei cavilli perché stilare una classifica con i racconti finalisti è davvero difficilissimo.
Il testo spacca, sistema quel dettaglio del finale (sempre se concordi con la mia analisi, ovviamente) e spammalo ovunque perché merita proprio!
Labirinto di vetro
Mi piace come avete interpretato questo tema. Vedo che ha tirato fuori il peggio di voi! Scherzi a parte, altra storia dura e violenta. Altra storia fin troppo attuale che parla di colpe dei padri che ricadono sui figli e poi sui nipoti in un circolo difficile da interrompere.
E invece ci prova Serafin a cambiare le cose, a smettere di perpetrare la violenza che gli è stata insegnata, ma che lui non vuole più nella sua vita.
Molto bella questa tematica di redenzione.
Passiamo più nel dettaglio sul racconto. Allora, per me funziona tutto bene fino a Serafin, che è il fulcro della vicenda, ma che viene introdotto con un aneddoto che destabilizza: le bambole. Avevano sicuramente un valore simbolico di qualche tipo, ma non sono riuscito a coglierlo. Forse se avesse liberato degli animali tenuti in gabbia avrebbe reso di più l’idea di bontà d’animo. O comunque qualcosa di meno allegorico, ecco. Perché al di là del libro (e di Jasmin, che forse non avrei messo per non aggiungere troppi personaggi in così poco spazio) non si capisce per bene questa rottura di Serafin con il passato violento della famiglia.
Altro problema nel finale è la dinamica della sparatoria. Quando Pedro viene ferito non si capisce chi abbia sparato. O meglio, l’unica pistola in scena è quella del padre, ma perché gli spara? Ha sbagliato mira? Quel dettaglio mi ha confuso e distratto dalla lettura. Probabilmente avevi finito i caratteri e il tempo, perché le ultime righe sono molto frenetiche e poco chiare purtroppo. Un vero peccato, anche se ti rinnovo i complimenti per tutto il resto.
Tutto suo padre
Sicuramente il racconto più spassoso tra quelli finalisti. La classica battuta del “figlio del postino” resa alla perfezione. L’idea è molto originale e incarna senza dubbio il “buon sangue non mente”. I dettagli sono disseminati bene, partendo dal neo, alla risata ragliata, al coraggio e allo strato esagerato di Nutella (che poi è lo strato giusto!). La scrittura è scorrevole, procede senza intoppi e ti porta a correre verso il finale per capire che cosa sta per succedere. Quando il postino suona alla porta pensavo portasse una denuncia per loro figlio perché in realtà non era un eroe, ma anzi avesse iniziato lui la “rissa”. Invece il papà-postino mi ha steso.
Unici dettagli che avrei cambiato: a metà il ragazzino nei dialoghi sembra fin troppo impostato come lessico, ma non ho abbastanza elementi per dire che non sia azzeccato, solo mi ha stranito quel “andate pure avanti a tessere le mie lodi, invece che elencare i vostri difetti”. Sembra una frase più da adulto o più da testo scritto e non del tutto verosimile.
Molto carino anche il finale che riprende la battuta iniziale del marito “è tutto suo padre” dandogli una accezione decisamente diversa.
Insomma, complimenti per l’idea divertente e per la realizzazione.
Draghi
Sovvertire la classica quest alla caccia del drago in questo modo è stata davvero una bella idea. Quando ho iniziato a leggere il racconto mai mi sarei immaginato dove sarebbe andato a parere, quindi questo è sicuramente un punto a tuo favore.
Però l’inizio della narrazione con l’utilizzo di questo tempo verbale mi ha un po’ allontanato. Al di là che subito non avessi notato l’apertura delle virgolette, questo pezzo è troppo lungo, mi distoglie dalla scena principale e mi ci vogliono più di 10 righe per capire che in realtà è una storia raccontata. Avresti potuto interrompere dopo “l’odore di zolfo” per settare la scena e poi ripartire a raccontare il resto.
L’idea è molto buona, però mi lascia con parecchie domande. Ad esempio, se può esserci solo un drago i due fratelli dovranno uccidersi per forza, ma di questo non viene fatta menzione. Da padre sarebbe una turba non da poco. Okay, io non ucciderei mai mio figlio, ma loro due dovranno ammazzarsi tra loro, o decidere a tavolino chi sopravviverà e chi no.
Anche qui, sarebbe bastato mettere un solo figlio per evitare il problema, oppure accennare a questa preoccupazione nel padre per chiudere il racconto con un problema non risolto a tormentare il lettore. Chiaramente non sono “errori”, solo passaggi che io avrei gestito in maniera diversa.
Ancora complimenti per l’idea geniale.
Il destino dei Cash
Un racconto che parte con una imprecazione in emiliano ha già tutta la mia attenzione! Strizzate d’occhio alla mia Santa Patria a parte, il racconto mi ha divertito un sacco. In 5.000 battute hai creato un personaggio sfaccettato e profondo. Probabilmente uno dei migliori che ho visto in questa edizione. Gianni Cash è un musicista squattrinato, fa parte di una famiglia perseguitata dalla sfiga e profuma di Mazurka lontano un miglio. Quasi posso figurarmelo! Per questo motivo ho voluto premiare il tuo racconto. Hai anche disseminato bene la stranezza delle due sorelle (sono due, vero? La battuta “questi li ha portati la Bruna” e “ragazze venite, si è svegliato” mi hanno confuso e ho pensato potessero essere in tre o più in casa, anche se poi ho capito che era tutto nella testa della Bruna), partendo dall’odore di mandarino che copre la puzza di carne andata a male e tutto la sensazione crescente di qualcosa che non sta andando come dovrebbe.
Ci sono notevoli vibes alla Misery non deve morire, ma in chiave più regionale e anche questo mi è piaciuto molto.
Ho riscontrato qualche problemino nel finale, nel cambio di PDV. Più che altro mi viene da pensare che avessi finito i caratteri o il tempo per la brevità di quell’ultimo pezzo.
Forse sarebbe bastata una battuta della Marfy del tipo: “Bruna, rimboccati le maniche che domani prepariamo i tortelli dolci ripieni di Cash” o una cavolata del genere mentre il nostro Gianni sta morendo. Così avresti potuto tagliare del tutto le ultime 4/5 righe.
È figo vedere il prete che mangia i tortelli con ripieno umano, ma la scena rimane troppo stringata e troppo “spiegata”. Poi lo so che parlarne a posteriori, senza l’ansia della competizione è sempre più facile, quindi benissimo così.
Insomma, Nâni, gran bel lavoro, complimenti!
COMMENTO BONUS AL RACCONTO CHE HA AVUTO IL POLLICE SU DA PARTE DELL'ANTICO, MA CHE NON SI è QUALIFICATO PER LA FINALE:
Sangue di famiglia.
Un racconto che non ha raggiunto la finale, ma che finisce in bacheca. E per fortuna, perché è proprio un bel racconto. Mi fa piacere che qualcuno abbia sfruttato la dinamica del “buon sangue non mente” per allargare il concetto di famiglia. Perché va bene il sangue, ma ancora di più conta la famiglia. La narrazione corre liscia senza intoppi. Avrei alleggerito la prosa in un paio di punti (ad esempio la battuta pasticci-pasticcere, o l’avrei girata in modo più lineare). Avrei inserito prima il nome della protagonista, oppure lo avrei evitato del tutto. Quando compare la prima volta pensavo che Giuls fosse un terzo personaggio in scena, ma poi la narrazione scorre liscia, quindi è proprio un dettaglino.
Belle le preoccupazioni della protagonista che non sa in che scuola mandare Cairn e ho apprezzato parecchio l’aggancio al ricordo. Collegandoti ai capelli e al ricordo della neve hai evitato un possibile infodump trasformandolo in un giusto pensiero da madre.
Un ottimo lavoro!
Tirare fuori i primi 7 è stato un patema, non so se voglio farlo mai più nella vita!
No, davvero, è stato difficilissimo, ma molto stimolante. La qualità qui su Minuti Contati è altissima e ogni volta mi meraviglio di quante idee si possano tirare fuori in sole 4 ore di tempo.
Quindi avanti tutta, belli concentrati per la prossima edizione, siamo appena alla terza tappa dell’Era!
Finalmente posso andare a sbirciare chi ha scritto cosa. Anche se alcuni di voi sono certo di averli riconosciuti! (La vostra guest star del mese)
Figli della palude
Le streghe sono figure che amo molto, anche perché permettono una miriade di interpretazioni e una serie di poteri sempre vari e interessanti da approfondire.
La parte iniziale del racconto è ben gestita. La chiacchierata intorno al fuoco riesce con poche pennellate a rendere bene l’idea di base dei vari personaggi, le loro motivazioni, ciò che li spinge a cacciare questa strega.
Il passaggio diretto al combattimento mi è piaciuto, anche se avrei usato meno metafore in quel punto, visto che è un momento molto concitato in cui probabilmente il nostro protagonista pensa più a salvarsi la pellaccia che ad altro.
Il problema per me è il finale.
Sicuramente scorre troppo veloce rispetto al resto del racconto, ma il problema che ho riscontrato io è più di comprensione.
Vediamo quello che ho capito:
Da 200 anni, ogni 20 anni la strega torna a infastidire la città perché gli esseri umani stanno devastando la natura.
L’ultima volta è stato il padre del nostro protagonista a non-ucciderla, ma ha stretto un patto? O è stato maledetto? E in che cosa consisteva la sua maledizione? Questo è il mio primo dubbio.
Poi passiamo allo scontro, il pungiglione inietta la maledizione e la strega dice “ho corrotto NUOVAMENTE il vostro seme”. Quindi lo ha già fatto con il padre? E l’averlo fatto con il padre in cosa ha maledetto il nostro protagonista? Qualcosa però non ha funzionato se siamo di nuovo punto e a capo. Che cosa?
Poi la strega gli dice che dalla sua progenie nascerà una strega/regina che guiderà gli uomini in una guerra. Quindi questa è la fine della maledizione? È l’ultimo step o dopo 20 anni tornerà di nuovo?
Insomma nel finale è chiaro che l’eroe ha guidato una rivoluzione ed è diventato Re, ma non mi è chiara tutta l’implicazione della strega e come funziona questa maledizione.
Ammetto che non era affatto semplice inserire tutto questo worldbuilding in così poco spazio, quindi ti faccio tanti complimenti anche se il finale mi è rimasto un po’ oscuro!
Ci troveremo, ancora e ancora
Un racconto che già dalla prima lettura mi aveva colpito per il tema e per la perizia con cui è stato trattato. Non un racconto facile, poteva scadere facilmente nel “troppo”, ma così non è stato.
Anche il passaggio a metà dove vengono elencate le “stranezze” del protagonista mi è piaciuto molto, perché sembrava proprio narrato da qualcuno che ha difficoltà a concentrarsi e si sta sforzando di spiegare a chi non è come lui quali siano le sue difficoltà.
Il finale poi è perfetto. Ha sempre trovato un modo per andare avanti nonostante le sue difficoltà e una persona che lo amasse per quello che è, ma con una figlia in arrivo si sente costretto a cambiare, a costo di non essere più sé stesso.
Il riferimento a quelle corna che da lui sono passate alla figlia è un tocco di classe. Qualcosa che condividerà per sempre con il padre, che saprà capirla come nessun altro, creando un legame indissolubile (o questo è quello che leggo io nel finale dandogli una connotazione positiva).
Davvero complimenti.
La crepa
Altro racconto che mi è piaciuto un sacco. Le tinte weird ci sono tutte e dosano alla perfezione il detto e il non detto con la giusta semina (il padre che sa come calmare il figlio, il padre che non va dal dottore perché tanto non si tratta di una malattia, ecc...).
Tutto quello che avevi costruito fino al finale del racconto ha funzionato benissimo, ti faccio i miei complimenti, poi però con le ultime frasi mi sono ritrovato confuso. Ho letto un po’ di volte quel passaggio cercando di interpretare cosa volessi dire…
“Certo che Ronny urlava, quella notte.
Aveva visto suo padre, il suo amato papino, avvicinarsi nel sonno e tagliargli la gola con il coltello.”
Ecco, queste due frasi mi hanno destabilizzato. Quale notte? Quella in cui la crepa era tornata squarciando il quadro? O quella notte intesa come il presente e il padre lo sta uccidendo proprio in quel momento?
Non sono riuscito a figurarmi se il bambino si è svegliato da un incubo come se avesse visto il futuro o se l’omicidio del bambino sta avvenendo nell’ultima scena. Anche perché in quell’ultima scena il bambino non viene nominato e non capisco se è lì nella stanza o se il padre è solo e sta rimuginando su quello che è accaduto la sera prima. Anche perché il bambino non è neppure con la madre dal dottore… poi magari è semplicemente a scuola, ma mi manca proprio la comprensione del finale.
Mannaggia, fino a lì non avevo proprio nulla da recriminare.
Profumo di Gelsomino
Racconto che gioca sui sentimenti e lo fa in maniera eccelsa, dipingendo una bella scena di questa famiglia spezzata dalla malattia della moglie/madre.
Solo un dettaglio non mi ha convinto al 100%, quel “dov’è sua madre quando serve” che sicuramente potrebbe essere un’esclamazione, ma che sembra più un cercare di mandare fuori strada il lettore per coglierlo di sorpresa con la rivelazione finale. Non ce n’era bisogno. Si intuisce che è successo qualcosa con la moglie e che quindi su questo verterà il finale e anche senza quel depistaggio il colpo di scena funziona bene lo stesso. Bastava anche solo un “vorrei che sua madre fosse qui”. Ma è una piccolezza, sia chiaro. Hai usato un sacco di metafore in questo racconto e io le ho apprezzate parecchio, forse però ne avrei tagliata qualcuna per non rischiare di appesantire il testo e non renderlo troppo barocco per il solo gusto di esserlo. È un racconto terra a terra, o almeno io lo vedo più legato ai sentimenti che non alla ricerca del tecnicismo. E infatti funziona alla grande perché sa emozionare.
La migliore metafora comunque senza dubbio quella dello zaino da campeggio, la più particolare. Una chicca davvero ben confezionata.
Domani inizia la vita
In questo racconto i toni sembrano più leggeri di altre opere arrivate in finale, più strappacuore. Sembra ci sia meno sentimento.
Abbiamo un protagonista “cazzone” e sopra le righe. Abbiamo una serie di parolacce tipiche degli adolescenti e quel tono scanzonato di chi ha finito finalmente di studiare e adesso è pronto per divertirsi tutta l’estate prima di doversi mettere a cercare un lavoro. Fa molto anni ‘90 anche se qualcosina stride. Diciamo che un anni ‘90 wannabe, ma le imprecisioni non danno noia.
Poi però si arriva al finale e il tono leggero cambia: arrivano le responsabilità. E non è più la storia di alcuni adolescenti pronti per godersi l’estate.
Mamma che sta poco bene, il ristorante da tirare avanti, gli amici che per quella sera faranno a meno di te.
E il tuo racconto mi è piaciuto proprio per questo cambio di tono e di rotta. Per questo approdare nella vita adulta e mettere il dovere davanti al divertimento. Lo hai reso davvero bene, con toni scanzonati, sì, ma portando una riflessione e facendomi tornare in mente i ricordi di quel passaggio alla vita adulta. Perché va proprio così, un giorno sei uno studente con un sacco di tempo libero e il giorno dopo tutti ti vedono come un adulto con delle responsabilità. Colpito e affondato.
Non in questo mondo
Il racconto comincia con un incipit che acchiappa. Il verso di questi uccelli, umanizzato, ha subito alzato il livello della mia attenzione. Mi aspettavo ci avresti giocato di più nel resto della narrazione, magari chiudendo con un altra “voce” che diceva tipo “lasciala andare” o qualcosa di questo tipo ma più simile al verso di un uccello… così da dargli una chiusura circolare.
Ottima la metafora del prolungamento del cofano, visiva, fuori dal comune, che rimane.
Finale agrodolce. Il nostro protagonista si toglie di dosso il peso della responsabilità che lo attanagliava da quando la madre aveva lasciato nelle sue mani Tilda. Non la insegue perché capisce che deve lasciare andare. Che sua madre se n’è andata e così farà Tilda, e va bene così. Non si può vivere sempre in funzione degli altri.
Forse avrei evitato per due volte la frase “non dovrei pensarci” riferito alla madre e anzi avrei infilato un bel rant contro la mamma che li ha lasciati e spinto sul senso di colpa che prova lui. Ma questo ovviamente è il come avrei condotto io la narrazione quindi non darci peso.
Inoltre ho apprezzato moltissimo il riferimento al fiume che ha portato via tutto, attualissimo considerando quello che abbiamo visto recentemente nei tg.
Altro racconto davvero davvero di qualità.
Quel giorno di ottobre
Questo racconto mi ha riportato alla mente un romanzo che ho letto da poco e ho amato: Il Pescatore di John Langan. E questo è di base già un bel complimento.
Il tono da provincia (poi Bologna, dalle mie parti, quindi doppiamente apprezzato) traspare dai piccoli dettagli. Tiktok che si blocca, un’ora di treno per arrivare alla civiltà, il fiume che attraversa la città e quel desiderio di scappare contrapposto alla “fedeltà” per il proprio paesino d’origine.
Su queste caratteristiche hai fatto un lavoro pregevole, e infatti la parte iniziale vale da sola la lettura del racconto.
Dopo però c’è qualche problemino, a mio avviso. Sicuramente il finale, dove probabilmente hai dovuto fare i conti con i pochi caratteri avanzati e forse anche il tempo residuo.
Sul finale il ricordo del nonno, la morte del padre e la realizzazione del legame con il fiume arrivano troppo repentini, così come la presenza di Enrico sull’argine. Avresti potuto ad esempio farlo chiamare dal protagonista per parlargli e poi mettere la stessa scena di lui che cade nel fiume e la frase finale che è a dir poco perfetta.
A rubarti qualche carattere di troppo, sempre a mio avviso, è stata la parte centrale con lo zio. Non è riuscita a dare al lettore tutte le info di cui aveva bisogno e quindi diventa un pezzo superfluo nell’economia del racconto. Immagino fosse più lungo e forse tu abbia dovuto tagliarlo.
È comunque un signor racconto e ti porgo nuovamente i miei complimenti per le atmosfere perfette.
Abbiamo scritto i nostri nomi nella polvere dei ricordi
Allora, allora, allora! Cosa abbiamo qui? Un racconto a dir poco geniale che purtroppo mi perde un po’ di mordente nel finale. Mannaggia.
Mi spiego meglio.
La prima parte è sublime.
Delirante al punto giusto, giocata con queste ripetizioni di mamma e amore e con questi termini composti che rendono l’idea di una mente disturbata. (inizialmente ho pensato a un bambino, poi quando ho capito che era un adulto ho apprezzato doppiamente l’idea alla base)
Vivere in un mondo così piccolo, così distante dalla realtà deve essere traumatizzante, e la resa è stata ottima, così come i dettagli della madre morta e del nutrimento del protagonista a base di gocce d’acqua putrida. Dettagli disturbanti al punto giusto e non per tutti gli stomaci.
Fino a qui racconto perfetto.
Poi però quando arrivano i “poliziotti” ti sei fatto/a prendere la mano e hai voluto spiegare troppo, raccontandoci dettagli che non erano necessari. Ritengo che a volte da lettore e meglio non sapere tutto, ma rimanere solo con qualche intuizione tra le dita.
Forse avresti potuto far parlare due “poliziotti” come se pensassero che il povero Goffredo non fosse in grado di capirli e snocciolare così il suo passato.
“Cazzo, ma come è ridotto? Beh, ci credo, vent’anni chiuso dentro quella cantina…”
Una roba così sarebbe stata più che sufficiente per imboccare la curiosità del lettore e spiegare tutto e niente. Comunque sto trovando dei cavilli perché stilare una classifica con i racconti finalisti è davvero difficilissimo.
Il testo spacca, sistema quel dettaglio del finale (sempre se concordi con la mia analisi, ovviamente) e spammalo ovunque perché merita proprio!
Labirinto di vetro
Mi piace come avete interpretato questo tema. Vedo che ha tirato fuori il peggio di voi! Scherzi a parte, altra storia dura e violenta. Altra storia fin troppo attuale che parla di colpe dei padri che ricadono sui figli e poi sui nipoti in un circolo difficile da interrompere.
E invece ci prova Serafin a cambiare le cose, a smettere di perpetrare la violenza che gli è stata insegnata, ma che lui non vuole più nella sua vita.
Molto bella questa tematica di redenzione.
Passiamo più nel dettaglio sul racconto. Allora, per me funziona tutto bene fino a Serafin, che è il fulcro della vicenda, ma che viene introdotto con un aneddoto che destabilizza: le bambole. Avevano sicuramente un valore simbolico di qualche tipo, ma non sono riuscito a coglierlo. Forse se avesse liberato degli animali tenuti in gabbia avrebbe reso di più l’idea di bontà d’animo. O comunque qualcosa di meno allegorico, ecco. Perché al di là del libro (e di Jasmin, che forse non avrei messo per non aggiungere troppi personaggi in così poco spazio) non si capisce per bene questa rottura di Serafin con il passato violento della famiglia.
Altro problema nel finale è la dinamica della sparatoria. Quando Pedro viene ferito non si capisce chi abbia sparato. O meglio, l’unica pistola in scena è quella del padre, ma perché gli spara? Ha sbagliato mira? Quel dettaglio mi ha confuso e distratto dalla lettura. Probabilmente avevi finito i caratteri e il tempo, perché le ultime righe sono molto frenetiche e poco chiare purtroppo. Un vero peccato, anche se ti rinnovo i complimenti per tutto il resto.
Tutto suo padre
Sicuramente il racconto più spassoso tra quelli finalisti. La classica battuta del “figlio del postino” resa alla perfezione. L’idea è molto originale e incarna senza dubbio il “buon sangue non mente”. I dettagli sono disseminati bene, partendo dal neo, alla risata ragliata, al coraggio e allo strato esagerato di Nutella (che poi è lo strato giusto!). La scrittura è scorrevole, procede senza intoppi e ti porta a correre verso il finale per capire che cosa sta per succedere. Quando il postino suona alla porta pensavo portasse una denuncia per loro figlio perché in realtà non era un eroe, ma anzi avesse iniziato lui la “rissa”. Invece il papà-postino mi ha steso.
Unici dettagli che avrei cambiato: a metà il ragazzino nei dialoghi sembra fin troppo impostato come lessico, ma non ho abbastanza elementi per dire che non sia azzeccato, solo mi ha stranito quel “andate pure avanti a tessere le mie lodi, invece che elencare i vostri difetti”. Sembra una frase più da adulto o più da testo scritto e non del tutto verosimile.
Molto carino anche il finale che riprende la battuta iniziale del marito “è tutto suo padre” dandogli una accezione decisamente diversa.
Insomma, complimenti per l’idea divertente e per la realizzazione.
Draghi
Sovvertire la classica quest alla caccia del drago in questo modo è stata davvero una bella idea. Quando ho iniziato a leggere il racconto mai mi sarei immaginato dove sarebbe andato a parere, quindi questo è sicuramente un punto a tuo favore.
Però l’inizio della narrazione con l’utilizzo di questo tempo verbale mi ha un po’ allontanato. Al di là che subito non avessi notato l’apertura delle virgolette, questo pezzo è troppo lungo, mi distoglie dalla scena principale e mi ci vogliono più di 10 righe per capire che in realtà è una storia raccontata. Avresti potuto interrompere dopo “l’odore di zolfo” per settare la scena e poi ripartire a raccontare il resto.
L’idea è molto buona, però mi lascia con parecchie domande. Ad esempio, se può esserci solo un drago i due fratelli dovranno uccidersi per forza, ma di questo non viene fatta menzione. Da padre sarebbe una turba non da poco. Okay, io non ucciderei mai mio figlio, ma loro due dovranno ammazzarsi tra loro, o decidere a tavolino chi sopravviverà e chi no.
Anche qui, sarebbe bastato mettere un solo figlio per evitare il problema, oppure accennare a questa preoccupazione nel padre per chiudere il racconto con un problema non risolto a tormentare il lettore. Chiaramente non sono “errori”, solo passaggi che io avrei gestito in maniera diversa.
Ancora complimenti per l’idea geniale.
Il destino dei Cash
Un racconto che parte con una imprecazione in emiliano ha già tutta la mia attenzione! Strizzate d’occhio alla mia Santa Patria a parte, il racconto mi ha divertito un sacco. In 5.000 battute hai creato un personaggio sfaccettato e profondo. Probabilmente uno dei migliori che ho visto in questa edizione. Gianni Cash è un musicista squattrinato, fa parte di una famiglia perseguitata dalla sfiga e profuma di Mazurka lontano un miglio. Quasi posso figurarmelo! Per questo motivo ho voluto premiare il tuo racconto. Hai anche disseminato bene la stranezza delle due sorelle (sono due, vero? La battuta “questi li ha portati la Bruna” e “ragazze venite, si è svegliato” mi hanno confuso e ho pensato potessero essere in tre o più in casa, anche se poi ho capito che era tutto nella testa della Bruna), partendo dall’odore di mandarino che copre la puzza di carne andata a male e tutto la sensazione crescente di qualcosa che non sta andando come dovrebbe.
Ci sono notevoli vibes alla Misery non deve morire, ma in chiave più regionale e anche questo mi è piaciuto molto.
Ho riscontrato qualche problemino nel finale, nel cambio di PDV. Più che altro mi viene da pensare che avessi finito i caratteri o il tempo per la brevità di quell’ultimo pezzo.
Forse sarebbe bastata una battuta della Marfy del tipo: “Bruna, rimboccati le maniche che domani prepariamo i tortelli dolci ripieni di Cash” o una cavolata del genere mentre il nostro Gianni sta morendo. Così avresti potuto tagliare del tutto le ultime 4/5 righe.
È figo vedere il prete che mangia i tortelli con ripieno umano, ma la scena rimane troppo stringata e troppo “spiegata”. Poi lo so che parlarne a posteriori, senza l’ansia della competizione è sempre più facile, quindi benissimo così.
Insomma, Nâni, gran bel lavoro, complimenti!
COMMENTO BONUS AL RACCONTO CHE HA AVUTO IL POLLICE SU DA PARTE DELL'ANTICO, MA CHE NON SI è QUALIFICATO PER LA FINALE:
Sangue di famiglia.
Un racconto che non ha raggiunto la finale, ma che finisce in bacheca. E per fortuna, perché è proprio un bel racconto. Mi fa piacere che qualcuno abbia sfruttato la dinamica del “buon sangue non mente” per allargare il concetto di famiglia. Perché va bene il sangue, ma ancora di più conta la famiglia. La narrazione corre liscia senza intoppi. Avrei alleggerito la prosa in un paio di punti (ad esempio la battuta pasticci-pasticcere, o l’avrei girata in modo più lineare). Avrei inserito prima il nome della protagonista, oppure lo avrei evitato del tutto. Quando compare la prima volta pensavo che Giuls fosse un terzo personaggio in scena, ma poi la narrazione scorre liscia, quindi è proprio un dettaglino.
Belle le preoccupazioni della protagonista che non sa in che scuola mandare Cairn e ho apprezzato parecchio l’aggancio al ricordo. Collegandoti ai capelli e al ricordo della neve hai evitato un possibile infodump trasformandolo in un giusto pensiero da madre.
Un ottimo lavoro!
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