Z.o.I. Zombie on Ice
Z.o.I. Zombie on Ice
Le mie lame scivolano sul ghiaccio, lasciando solchi profondi: non ho ancora consumato questa zona della pista, l’ho tenuta per ultima per non rischiare di attirare attenzioni indesiderate con il rumore della macchina rasaghiaccio, ma ormai ho finito lo spazio. Incrocio i piedi, mi giro, e pattino all’indietro per qualche metro prima di alzare lo sguardo su ciò che mi sta intorno: un gatto spelacchiato si è appollaiato sul bordo e mi guarda, agitando piano la coda.
Non ha un bell’aspetto: il fungo che zombifica gli animali gli ha fatto cadere il pelo, ma ce lo teniamo così, tanto non era bello neanche prima. Miagola, facendomi dimenticare il movimento dopo, così decido di fermarmi e di avvicinarmi a lui, dove ora è comparso anche Tommi.
Strano, di solito non viene mai a vedere quando pattino, e per spingerlo a lasciare la sua postazione vuol dire che c’è una novità grossa. Del genere che spero di non sentire mai.
“Qualcosa non va?” gli chiedo.
Ha gli occhi spalancati, le guance rosse dal freddo: sembra felice e il mio sospetto diventa realtà.
“Ci sono state delle segnalazioni! Qui in zona, lo zombiebus sta venendo qui!” mi annuncia, e poi starnutisce. L’idiota è entrato solo con la maglietta a maniche corte, e il freddo della pista inizia a farsi sentire.
Mi infilo i proteggi lama ed esco velocemente, seguito dal gatto che semina pezzi di pelo dietro di sé. Anche Tommi viene con noi, ma non aggiunge altro, sembra quasi aspettarsi qualcosa in risposta alla sua scoperta.
“Gatto zombie è sempre più zombie!” commento, cercando di cambiare discorso.
“Non chiamarlo così!”
“Beh, è tornato in vita dalla morte, come lo posso chiamare?”
“Se lo chiami così penserà di essere come gli zombie umani, ma lui non è contagioso!”
“Va bene, allora dirò solo che Romeo non ha una bella cera. Meglio?”
Riesco a farlo ridere: “Certo che non ha una bella cera, è morto!”
Usciamo nel cortile assolato: da che è scoppiata l’emergenza, solo qualche mese fa, viviamo nel centro sportivo dove lavorava mio padre come capo manutentore e custode. Sono cresciuto qui, sulla pista da pattinaggio, e ormai siamo quasi autosufficienti. Le verdure crescono nel orto, io pattino, e quando vuole Tommi può farsi un tuffo in piscina. Non è per niente male, visto tutto quello che succede in giro. Per dormire usiamo la palazzina degli uffici, e non ci manca niente, friggitrice ad aria compresa. Anche se in realtà è un fornetto, come diceva sempre mia madre.
Potremmo resistere qui per mesi, se solo lui non fosse così fissato con la sua idea. Non faccio in tempo a togliermi i vestiti sudati dall’allenamento che ricomincia.
“Dobbiamo prendere gli zaini, lo zombiebus è in arrivo! Ho pensato che potremmo iniziare con delle perlustrazioni e poi segnare i punti e aspettarlo. Dovrebbero trasmettere via radio la loro ultima posizione tra poco. ”
Alzo gli occhi al cielo: sempre la stessa storia, ogni volta che ne parliamo litighiamo. È sempre stato così tra noi: a Tommi il quartiere stava stretto e voleva scappare via, mentre io mi trovavo bene nel mio piccolo mondo. La pista di pattinaggio vicino a casa, la scuola non troppo lontana dal resto, questo posto non è mai stato perfetto ma è pur sempre qualcosa. Qualcosa di bello, che non voglio lasciare.
Provo a smorzare: “Non credo sia il caso di andare adesso.”
“Perché no?” sbuffa lui. Lo vedo, è pronto a discutere, ma non ne ho voglia.
“è il mio turno di uscire per la spesa, e se vado adesso che è ancora pomeriggio ci sono meno schifosi in giro!” rispondo, indossando la giacca da moto rinforzata. Aggiungo i guanti e un’accetta che mi ha già servito bene in altre occasioni.
Tommi mi guarda in cagnesco, ma poi sembra cedere: “Va bene, ma se vedi qualcosa avvisami.”
“Ma certo” lo rassicuro, depositandogli un bacio sulla testa mentre mento spudoratamente.
Lui mugugna qualcosa: non credo di averlo convinto del tutto, ma a quanto pare neanche lui ha voglia di litigare.
Una volta uscito dal nostro perimetro, mi avvio a passo svelto verso il supermercato più vicino: la nostra zona per fortuna non è mai stata piena di case, e non ci sono troppi cadaveri in giro, ambulanti e no, anche se l’odore si sente comunque. Il sole fa puzzare gli zombie, ma li rallenta anche quindi per me va bene così.
Comincio dal supermercato giallo e blu: passo sotto la saracinesca mezza sollevata, e mi addentro nel locale semibuio. Fa caldo, ma preferisco starmene coperto che rischiare un morso come è successo a Pà. Infilo nello zaino qualche lattina rimasta, poi mi dirigo sul retro, verso il magazzino: è lì che si trovano le cose buone, almeno quelle che non riusciamo a produrci da soli.
Per la carne non mi preoccupo, a Tommi fa pure schifo, ma la pasta la voglio, e pure il lievito per fare la pizza. Non ho trascinato una cucina intera su un carrello della spesa per due isolati per rimanere senza pizza.
È il mio giorno fortunato: trovo un bancale ancora intatto, e riempio un carrello della spesa che stava lì abbandonato. Per qualche settimana non dovremo più uscire a fare scorta.
Da fuori, arriva improvvisamente il suono di una sirena, seguito da una voce.
“CITTADINI! CITTADINI!” Urla una registrazione sicuramente datata.
Mi chiedo chi sia il coglione che fa tutto questo rumore, quando la prima regola per sopravvivere fuori è proprio quella di essere silenziosi.
Mi affaccio alla porta esterna, lasciando il mio tesoro indietro: non ci posso credere, è il cazzo di zombiebus! Aveva ragione Tommi, sono nel quartiere.
Sono così stupidi da annunciarsi a voce alta? E lui vuol farmi lasciare casa mia per questi coglioni?
Osservo per un attimo la situazione: il bus è ben corazzato, e non si vede niente dentro. Ha due piani, quindi sicuramente può ospitare un sacco di gente. Ma è rumoroso, e sento gli zombie che si avvicinano, attirati dalla voce. Spero che quelli sopra siano attrezzati perché io non ho certo tempo da perdere con loro. Mi riprendo il mio carrello ed esco dalla porta sul retro, solo per essere superato da un paio di umani mal equipaggiati che corrono verso il bus.
Buon per loro, mi dico, fiducioso che siano saliti a bordo. Cerco di non farmi prendere dal panico: certo, ci sono gli zombie, ma non sono troppi e ci sono altri umani. Potrò tornare da dove sono venuto senza che mi succeda nulla col mio tesoro.
Ma il mio ottimismo dura solo fino a che non giro l’angolo.
Sono in troppi, anche per me.
Sono in troppi specialmente per quei due umani mal equipaggiati, che non si sono neanche avvicinati alla porta chiusa del bus prima di venire assaggiati da un paio di zombie.
Il mezzo di trasporto non si è mosso di un millimetro, e nessuno è sceso o ha cercato di salvarli in qualche modo, il che la dice lunga su suoi occupanti.
Merda, devo pensare a cosa fare e in fretta!
Potrei chiamare Tommi via radio, ma non voglio fargli sapere del bus. Quello è capace di mollare tutto e provare a saltarci sopra, solo per fare la fine degli altri due.
Un altro piccolo branco di zombie si sta avvicinando, e stanno aumentando di brutto nonostante ci sia il sole! Devono aver finito la roba fresca da mangiare.
Prendo una decisione drastica: rientro dentro il supermercato e poso il carrello nel magazzino. Tornerò domani a prenderlo, se sarò ancora vivo, poi mi avvio verso l’ingresso principale nonostante il grosso degli zombie sia proprio li davanti.
Spero di passare inosservato, e che gli zombie dedichino più attenzione all'autobus che a me. Mi muovo silenziosamente, mentre gli altoparlanti montati sul tettuccio del bus continuano a mandare in onda il messaggio.
“CITTADINI! È ARRIVATO IL BUS DELLA SPERANZA. ACCOGLIAMO SOPRAVVISSUTI, DONNE, BAMBINI, E CHIUNQUE RIESCA A SALIRE. NON SERVONO PENTOLE E OMBRELLI PER DIFENDERSI DOVE STIAMO ANDANDO, MA SOLO LA VOSTRA VOGLIA DI VIVERE.”
Certo come no, sempre se non mi divorano prima, mi dico, mentre passo dopo passo mi allontano pianissimo, a velocità lumaca. Sono quasi fuori dal parcheggio quando uno zombie che non avevo notato si aggrappa alla mia gamba. Merda, per fortuna indosso le protezioni.
Scalcio, cercando di liberarmene, ma quello non vuole lasciare la presa. Lo colpisco con l’accetta che mi porto sempre dietro nelle uscite, mirando subito alle mani. Quello grugnisce, ma il rumore dei suoi amici copre tutto: do un altro colpo ben assestato alla fronte, libero l’accetta dalla scatola cranica ormai andata e corro via, di nuovo in fuga, lasciando i versi degli zombie e la voce dell'altoparlante alle mie spalle.
Appena metto piede al sicuro, inizio a spogliarmi il più velocemente possibile per controllare che non ci siano segni di morsi sulla mia gamba. Tremo come una foglia, nonostante ormai dovrei essere ben abituato a tutto questo.
Un rumore attira la mia attenzione: mi muovo di scatto, l’accetta in mano pronta a colpire, ma è solo Tommi e per fortuna mi fermo prima di lanciargliela contro.
“Matte? Che è successo, volevi lanciarmi quella roba contro?” mi chiede, con gli occhi fuori dalle orbite.
Scuoto la testa: “Casini al supermercato. Lo zombiebus si è fatto vedere e ne ha attirati a grappoli, sono scappato per un pelo. Domani dovrò tornarci per recuperare il carrello, c’é troppa roba buona per lasciarlo lì!”
“Lo zombiebus? Lo hai visto? Perché non mi hai chiamato alla radio, cazzo Matte, potevamo…”
Non gli lascio finire la frase: sento la rabbia montare, contro di lui e il suo stupido autobus che per poco non mi ha fatto uccidere. Se riuscissimo a ragionare, probabilmente dovremmo chiederci chi li manda e perché e come mai non si sente nessuna notizia da parte di chi l’ha preso, ma sono troppo arrabbiato per fare un discorso del genere, e non riesco a fare altro che rispondere arrabbiato.
“Potevamo cosa? Credi che sia tutto un film, ci sali sopra e ti portano magicamente in salvo? Quel cazzo di autobus stava attirando dozzine di zombie, cosa dovevo fare, chiamarti così potevamo servire da primo e secondo insieme?”
“Lo hai fatto apposta” mi accusa Tommi, “perché non vuoi andartene, perché preferisci marcire qui che provare a vivere davvero la tua vita!”
Sospiro: sì, è vero, l’ho fatto apposta, ma non voglio sentirmelo dire, non dopo la giornata di oggi.
“Vaffanculo, se ci tieni tanto raggiungilo! È nel posteggio del supermercato, la strada la conosci!”
Lo mollo lì insieme ai vestiti, alle protezioni e all’accetta: in questo momento non ho più voglia di vedere il suo brutto muso e mi dirigo alla pista del ghiaccio, la sacca dei pattini in spalla afferrata quasi alla cieca lungo il percorso.
Che si fotta, mi dico, un giro di pista dopo l’altro, sempre più veloce, per scaldarmi prima di iniziare le figure. Mi alleno per ore, prima di fermarmi e rendermi conto che ormai fuori dalle finestre è calata la sera.
Mi chiedo se Tommi siano ancora a casa, o se sia lanciato dietro quel cazzo di autobus.
Esco dalla pista: il fresco della sera mi avvolge mentre chiudo la porta a chiave per evitare ospiti indesiderati e guardo verso la palazzina dove abbiamo le camere. Una finestra è ancora accesa, quindi quel cretino dovrebbe essere ancora qui. Mi dirigo velocemente al coperto, più per paranoia mia che per reale pericolo imminente.
Questo posto è sicuro e niente di brutto potrà mai accadere qui dentro fino a che faremo un minimo di attenzione.
Una volta dentro la palazzina, sono combattuto se salire le scale e affrontarlo o se scendere negli spogliatoi e farmi la doccia lì. Salire vorrebbe dire parlargli e non credo di sentirmela, non dopo tutto quello successo; quindi, anche se gli spogliatoi sono chiusi da mesi e faranno sicuramente schifo, scendo le scale e apro con la chiave la porta del tunnel che mi porta alle docce.
Questo posto è un labirinto: ha talmente tante ramificazioni e corridoi che quando ci siamo stabiliti qui abbiamo chiuso la maggioranza delle porte a chiave, rinforzando dove c’era bisogno, per limitare le sorprese. Gli spogliatoi sono stati i primi: si trovano nei sotterranei, e dall’esterno qualcuno potrebbe sempre entrare da una finestra, zombie o umano che sia.
Come temevo, gli spogliatoi puzzano di chiuso e altri odori poco piacevoli, ma il mio orgoglio è più forte, e mi ritrovo a procedere alla cieca fino alla prima doccia. Non ho voglia di accendere la luce: il quadro si trova più avanti e preferisco fare una cosa rapida, al buio.
L’acqua è calda, grazie ai pannelli solari che attivano la caldaia, e mi lava via il sudore dell’allenamento. Distendo i muscoli, godendomi il momento.
Un rumore, però, mette fine alla mia pace: spengo subito il getto per controllare di non essermelo immaginato, ma eccolo di nuovo, allo stesso ritmo di prima.
“Tommi?” chiamo nel buio, maledicendomi da solo. l’unica cosa che ho con me sono asciugamano e vestiti sudati. E i pattini.
Ne prendo in mano uno: non so cosa possa farci, ma le lame sono affilate. Non perdo tempo a mettermi i vestiti o le scarpe, mi basta l’asciugamano per arrivare alle scale ed essere in salvo.
Ma il rumore ricomincia, verso il fondo del tunnel, e qualcosa mi sfiora le gambe e poi miagola. Sussulto, mordendomi la lingua per non urlare: è Romeo, e io per poco non lo facevo fuori con il pattino lanciandoglielo addosso.
Ci mancava solo lui per completare il quadro! Il rumore si fa più intenso e cerco di indietreggiare verso le scale, sperando che la bestia mi segua ma è pur sempre un gatto anche se ormai non respira più, e si dirige tranquillissimo verso il fondo del tunnel. Lo chiamo sottovoce, sperando di riuscire a portarlo via, ma quello mi ignora e continua per la sua strada.
Lo seguo, il pattino pronto in mano, cercando di afferrarlo per portarmelo via. Non ho idea di cosa ci sia in fondo al corridoio, e preferirei non saperlo. Con una mano seguo le piastrelle del corridoio per tenere traccia di dove sono: ho raggiunto il quadro dove si trovano gli interruttori della luce e li premo tutti, a caso.
I neon sul soffitto illuminano una sagoma bionda poco lontana da me, che si raggomitola per nascondersi gli occhi. Ha una tuta addosso, anzi la tuta di una squadra a me familiare.
La mia mente gira alla velocità della luce: qualche giorno prima dell’inizio di tutti i casini qui c’era stata la nazionale giapponese, ma ero sicuro se ne fossero andati, rimpatriati a casa loro in fretta e furia! Il tunnel ha una doppia entrata e si collega agli altri spogliatoi della piscina, risultando ben più lungo di quanto uno si aspetti, ma era impossibile che fossero rimasti qui sotto per tre mesi.
Invece l’odore di decomposizione mi smentisce, come anche il rivolo di sangue che pende dal mento della bionda che si volta: la riconosco subito, ho tenuto il suo poster appeso in camera per anni. È Carolina Kostner, o meglio quello che resta di lei post zombieficazione.
Qualche topo morto giace ai suoi piedi, divorato, insieme a qualche pezzo di carne e ossa chiaramente umani. Ho paura di scoprire dove sia il resto della squadra.
Anche Gatto zombie è impietrito dalla visione, ma per sua fortuna tra i tre io sono il primo a reagire. Lo afferro per la collottola e corro via più veloce che posso. Dietro di me, sento i suoi passi strascicati rincorrermi, ma a quanto pare la dieta della donna nell’ultimo periodo non deve essere stata granché perché riesco a raggiungere la porta in tempo e a chiudergliela praticamente in faccia. Giro la chiave, felice che abbiamo preso la precauzione di rimuovere tutte le maniglie.
Salgo al primo piano, ho il respiro affannoso e non riesco quasi a parlare. Tommi è rimasto in casa per fortuna, e per la seconda volta in questa assurda giornata mi vede arrivare in condizioni pietose.
Solleva un sopracciglio interrogativo, ma non abbiamo tempo di parlare adesso, potrebbero essercene altri. Potrebbe essere tutto invaso, e noi rischiamo di non avere più speranze di sopravvivenza.
“Avevi ragione” dico solo, vestendomi al volo. “dobbiamo raggiungere il bus, e subito!”
Lui non mi chiede altro, ma si capisce che è felice del mio cambio di idea. Prende da un armadio gli zaini di emergenza e me ne lancia uno, che finisco di riempire con vestiti e protezioni varie. Le razioni di emergenza sono già dentro, come torcia, scotch e mazza da baseball.
Infilo Romeo con decisione dentro il trasportino, ignorando le sue proteste, e lo aggancio in cima a tutto. Tommi mi porge l’accetta, che afferro saldamente.
“Pronto?” mi chiede, prima di avviarci verso l’uscita.
Annuisco: il paradiso terrestre in cui pensavo di poter vivere per il resto dei miei giorni non era altro che un’illusione, e forse anche il bus lo sarà; rimanere qui, però, mi sembra peggio che muovermi all’avventura. Non voglio fare la fine dei topi divorati dalla Kostner.
“Okay, andiamo!” mi dice con aria decisa, prendendomi la mano libera dalla accetta. Mi accompagna nella notte, entrambi diretti verso l’ultima posizione nota del bus, senza lasciarmi andare neanche per un istante.
È una pazzia, lo so, ma almeno continueremo a essere pazzi insieme ancora per qualche tempo.
Non ha un bell’aspetto: il fungo che zombifica gli animali gli ha fatto cadere il pelo, ma ce lo teniamo così, tanto non era bello neanche prima. Miagola, facendomi dimenticare il movimento dopo, così decido di fermarmi e di avvicinarmi a lui, dove ora è comparso anche Tommi.
Strano, di solito non viene mai a vedere quando pattino, e per spingerlo a lasciare la sua postazione vuol dire che c’è una novità grossa. Del genere che spero di non sentire mai.
“Qualcosa non va?” gli chiedo.
Ha gli occhi spalancati, le guance rosse dal freddo: sembra felice e il mio sospetto diventa realtà.
“Ci sono state delle segnalazioni! Qui in zona, lo zombiebus sta venendo qui!” mi annuncia, e poi starnutisce. L’idiota è entrato solo con la maglietta a maniche corte, e il freddo della pista inizia a farsi sentire.
Mi infilo i proteggi lama ed esco velocemente, seguito dal gatto che semina pezzi di pelo dietro di sé. Anche Tommi viene con noi, ma non aggiunge altro, sembra quasi aspettarsi qualcosa in risposta alla sua scoperta.
“Gatto zombie è sempre più zombie!” commento, cercando di cambiare discorso.
“Non chiamarlo così!”
“Beh, è tornato in vita dalla morte, come lo posso chiamare?”
“Se lo chiami così penserà di essere come gli zombie umani, ma lui non è contagioso!”
“Va bene, allora dirò solo che Romeo non ha una bella cera. Meglio?”
Riesco a farlo ridere: “Certo che non ha una bella cera, è morto!”
Usciamo nel cortile assolato: da che è scoppiata l’emergenza, solo qualche mese fa, viviamo nel centro sportivo dove lavorava mio padre come capo manutentore e custode. Sono cresciuto qui, sulla pista da pattinaggio, e ormai siamo quasi autosufficienti. Le verdure crescono nel orto, io pattino, e quando vuole Tommi può farsi un tuffo in piscina. Non è per niente male, visto tutto quello che succede in giro. Per dormire usiamo la palazzina degli uffici, e non ci manca niente, friggitrice ad aria compresa. Anche se in realtà è un fornetto, come diceva sempre mia madre.
Potremmo resistere qui per mesi, se solo lui non fosse così fissato con la sua idea. Non faccio in tempo a togliermi i vestiti sudati dall’allenamento che ricomincia.
“Dobbiamo prendere gli zaini, lo zombiebus è in arrivo! Ho pensato che potremmo iniziare con delle perlustrazioni e poi segnare i punti e aspettarlo. Dovrebbero trasmettere via radio la loro ultima posizione tra poco. ”
Alzo gli occhi al cielo: sempre la stessa storia, ogni volta che ne parliamo litighiamo. È sempre stato così tra noi: a Tommi il quartiere stava stretto e voleva scappare via, mentre io mi trovavo bene nel mio piccolo mondo. La pista di pattinaggio vicino a casa, la scuola non troppo lontana dal resto, questo posto non è mai stato perfetto ma è pur sempre qualcosa. Qualcosa di bello, che non voglio lasciare.
Provo a smorzare: “Non credo sia il caso di andare adesso.”
“Perché no?” sbuffa lui. Lo vedo, è pronto a discutere, ma non ne ho voglia.
“è il mio turno di uscire per la spesa, e se vado adesso che è ancora pomeriggio ci sono meno schifosi in giro!” rispondo, indossando la giacca da moto rinforzata. Aggiungo i guanti e un’accetta che mi ha già servito bene in altre occasioni.
Tommi mi guarda in cagnesco, ma poi sembra cedere: “Va bene, ma se vedi qualcosa avvisami.”
“Ma certo” lo rassicuro, depositandogli un bacio sulla testa mentre mento spudoratamente.
Lui mugugna qualcosa: non credo di averlo convinto del tutto, ma a quanto pare neanche lui ha voglia di litigare.
Una volta uscito dal nostro perimetro, mi avvio a passo svelto verso il supermercato più vicino: la nostra zona per fortuna non è mai stata piena di case, e non ci sono troppi cadaveri in giro, ambulanti e no, anche se l’odore si sente comunque. Il sole fa puzzare gli zombie, ma li rallenta anche quindi per me va bene così.
Comincio dal supermercato giallo e blu: passo sotto la saracinesca mezza sollevata, e mi addentro nel locale semibuio. Fa caldo, ma preferisco starmene coperto che rischiare un morso come è successo a Pà. Infilo nello zaino qualche lattina rimasta, poi mi dirigo sul retro, verso il magazzino: è lì che si trovano le cose buone, almeno quelle che non riusciamo a produrci da soli.
Per la carne non mi preoccupo, a Tommi fa pure schifo, ma la pasta la voglio, e pure il lievito per fare la pizza. Non ho trascinato una cucina intera su un carrello della spesa per due isolati per rimanere senza pizza.
È il mio giorno fortunato: trovo un bancale ancora intatto, e riempio un carrello della spesa che stava lì abbandonato. Per qualche settimana non dovremo più uscire a fare scorta.
Da fuori, arriva improvvisamente il suono di una sirena, seguito da una voce.
“CITTADINI! CITTADINI!” Urla una registrazione sicuramente datata.
Mi chiedo chi sia il coglione che fa tutto questo rumore, quando la prima regola per sopravvivere fuori è proprio quella di essere silenziosi.
Mi affaccio alla porta esterna, lasciando il mio tesoro indietro: non ci posso credere, è il cazzo di zombiebus! Aveva ragione Tommi, sono nel quartiere.
Sono così stupidi da annunciarsi a voce alta? E lui vuol farmi lasciare casa mia per questi coglioni?
Osservo per un attimo la situazione: il bus è ben corazzato, e non si vede niente dentro. Ha due piani, quindi sicuramente può ospitare un sacco di gente. Ma è rumoroso, e sento gli zombie che si avvicinano, attirati dalla voce. Spero che quelli sopra siano attrezzati perché io non ho certo tempo da perdere con loro. Mi riprendo il mio carrello ed esco dalla porta sul retro, solo per essere superato da un paio di umani mal equipaggiati che corrono verso il bus.
Buon per loro, mi dico, fiducioso che siano saliti a bordo. Cerco di non farmi prendere dal panico: certo, ci sono gli zombie, ma non sono troppi e ci sono altri umani. Potrò tornare da dove sono venuto senza che mi succeda nulla col mio tesoro.
Ma il mio ottimismo dura solo fino a che non giro l’angolo.
Sono in troppi, anche per me.
Sono in troppi specialmente per quei due umani mal equipaggiati, che non si sono neanche avvicinati alla porta chiusa del bus prima di venire assaggiati da un paio di zombie.
Il mezzo di trasporto non si è mosso di un millimetro, e nessuno è sceso o ha cercato di salvarli in qualche modo, il che la dice lunga su suoi occupanti.
Merda, devo pensare a cosa fare e in fretta!
Potrei chiamare Tommi via radio, ma non voglio fargli sapere del bus. Quello è capace di mollare tutto e provare a saltarci sopra, solo per fare la fine degli altri due.
Un altro piccolo branco di zombie si sta avvicinando, e stanno aumentando di brutto nonostante ci sia il sole! Devono aver finito la roba fresca da mangiare.
Prendo una decisione drastica: rientro dentro il supermercato e poso il carrello nel magazzino. Tornerò domani a prenderlo, se sarò ancora vivo, poi mi avvio verso l’ingresso principale nonostante il grosso degli zombie sia proprio li davanti.
Spero di passare inosservato, e che gli zombie dedichino più attenzione all'autobus che a me. Mi muovo silenziosamente, mentre gli altoparlanti montati sul tettuccio del bus continuano a mandare in onda il messaggio.
“CITTADINI! È ARRIVATO IL BUS DELLA SPERANZA. ACCOGLIAMO SOPRAVVISSUTI, DONNE, BAMBINI, E CHIUNQUE RIESCA A SALIRE. NON SERVONO PENTOLE E OMBRELLI PER DIFENDERSI DOVE STIAMO ANDANDO, MA SOLO LA VOSTRA VOGLIA DI VIVERE.”
Certo come no, sempre se non mi divorano prima, mi dico, mentre passo dopo passo mi allontano pianissimo, a velocità lumaca. Sono quasi fuori dal parcheggio quando uno zombie che non avevo notato si aggrappa alla mia gamba. Merda, per fortuna indosso le protezioni.
Scalcio, cercando di liberarmene, ma quello non vuole lasciare la presa. Lo colpisco con l’accetta che mi porto sempre dietro nelle uscite, mirando subito alle mani. Quello grugnisce, ma il rumore dei suoi amici copre tutto: do un altro colpo ben assestato alla fronte, libero l’accetta dalla scatola cranica ormai andata e corro via, di nuovo in fuga, lasciando i versi degli zombie e la voce dell'altoparlante alle mie spalle.
Appena metto piede al sicuro, inizio a spogliarmi il più velocemente possibile per controllare che non ci siano segni di morsi sulla mia gamba. Tremo come una foglia, nonostante ormai dovrei essere ben abituato a tutto questo.
Un rumore attira la mia attenzione: mi muovo di scatto, l’accetta in mano pronta a colpire, ma è solo Tommi e per fortuna mi fermo prima di lanciargliela contro.
“Matte? Che è successo, volevi lanciarmi quella roba contro?” mi chiede, con gli occhi fuori dalle orbite.
Scuoto la testa: “Casini al supermercato. Lo zombiebus si è fatto vedere e ne ha attirati a grappoli, sono scappato per un pelo. Domani dovrò tornarci per recuperare il carrello, c’é troppa roba buona per lasciarlo lì!”
“Lo zombiebus? Lo hai visto? Perché non mi hai chiamato alla radio, cazzo Matte, potevamo…”
Non gli lascio finire la frase: sento la rabbia montare, contro di lui e il suo stupido autobus che per poco non mi ha fatto uccidere. Se riuscissimo a ragionare, probabilmente dovremmo chiederci chi li manda e perché e come mai non si sente nessuna notizia da parte di chi l’ha preso, ma sono troppo arrabbiato per fare un discorso del genere, e non riesco a fare altro che rispondere arrabbiato.
“Potevamo cosa? Credi che sia tutto un film, ci sali sopra e ti portano magicamente in salvo? Quel cazzo di autobus stava attirando dozzine di zombie, cosa dovevo fare, chiamarti così potevamo servire da primo e secondo insieme?”
“Lo hai fatto apposta” mi accusa Tommi, “perché non vuoi andartene, perché preferisci marcire qui che provare a vivere davvero la tua vita!”
Sospiro: sì, è vero, l’ho fatto apposta, ma non voglio sentirmelo dire, non dopo la giornata di oggi.
“Vaffanculo, se ci tieni tanto raggiungilo! È nel posteggio del supermercato, la strada la conosci!”
Lo mollo lì insieme ai vestiti, alle protezioni e all’accetta: in questo momento non ho più voglia di vedere il suo brutto muso e mi dirigo alla pista del ghiaccio, la sacca dei pattini in spalla afferrata quasi alla cieca lungo il percorso.
Che si fotta, mi dico, un giro di pista dopo l’altro, sempre più veloce, per scaldarmi prima di iniziare le figure. Mi alleno per ore, prima di fermarmi e rendermi conto che ormai fuori dalle finestre è calata la sera.
Mi chiedo se Tommi siano ancora a casa, o se sia lanciato dietro quel cazzo di autobus.
Esco dalla pista: il fresco della sera mi avvolge mentre chiudo la porta a chiave per evitare ospiti indesiderati e guardo verso la palazzina dove abbiamo le camere. Una finestra è ancora accesa, quindi quel cretino dovrebbe essere ancora qui. Mi dirigo velocemente al coperto, più per paranoia mia che per reale pericolo imminente.
Questo posto è sicuro e niente di brutto potrà mai accadere qui dentro fino a che faremo un minimo di attenzione.
Una volta dentro la palazzina, sono combattuto se salire le scale e affrontarlo o se scendere negli spogliatoi e farmi la doccia lì. Salire vorrebbe dire parlargli e non credo di sentirmela, non dopo tutto quello successo; quindi, anche se gli spogliatoi sono chiusi da mesi e faranno sicuramente schifo, scendo le scale e apro con la chiave la porta del tunnel che mi porta alle docce.
Questo posto è un labirinto: ha talmente tante ramificazioni e corridoi che quando ci siamo stabiliti qui abbiamo chiuso la maggioranza delle porte a chiave, rinforzando dove c’era bisogno, per limitare le sorprese. Gli spogliatoi sono stati i primi: si trovano nei sotterranei, e dall’esterno qualcuno potrebbe sempre entrare da una finestra, zombie o umano che sia.
Come temevo, gli spogliatoi puzzano di chiuso e altri odori poco piacevoli, ma il mio orgoglio è più forte, e mi ritrovo a procedere alla cieca fino alla prima doccia. Non ho voglia di accendere la luce: il quadro si trova più avanti e preferisco fare una cosa rapida, al buio.
L’acqua è calda, grazie ai pannelli solari che attivano la caldaia, e mi lava via il sudore dell’allenamento. Distendo i muscoli, godendomi il momento.
Un rumore, però, mette fine alla mia pace: spengo subito il getto per controllare di non essermelo immaginato, ma eccolo di nuovo, allo stesso ritmo di prima.
“Tommi?” chiamo nel buio, maledicendomi da solo. l’unica cosa che ho con me sono asciugamano e vestiti sudati. E i pattini.
Ne prendo in mano uno: non so cosa possa farci, ma le lame sono affilate. Non perdo tempo a mettermi i vestiti o le scarpe, mi basta l’asciugamano per arrivare alle scale ed essere in salvo.
Ma il rumore ricomincia, verso il fondo del tunnel, e qualcosa mi sfiora le gambe e poi miagola. Sussulto, mordendomi la lingua per non urlare: è Romeo, e io per poco non lo facevo fuori con il pattino lanciandoglielo addosso.
Ci mancava solo lui per completare il quadro! Il rumore si fa più intenso e cerco di indietreggiare verso le scale, sperando che la bestia mi segua ma è pur sempre un gatto anche se ormai non respira più, e si dirige tranquillissimo verso il fondo del tunnel. Lo chiamo sottovoce, sperando di riuscire a portarlo via, ma quello mi ignora e continua per la sua strada.
Lo seguo, il pattino pronto in mano, cercando di afferrarlo per portarmelo via. Non ho idea di cosa ci sia in fondo al corridoio, e preferirei non saperlo. Con una mano seguo le piastrelle del corridoio per tenere traccia di dove sono: ho raggiunto il quadro dove si trovano gli interruttori della luce e li premo tutti, a caso.
I neon sul soffitto illuminano una sagoma bionda poco lontana da me, che si raggomitola per nascondersi gli occhi. Ha una tuta addosso, anzi la tuta di una squadra a me familiare.
La mia mente gira alla velocità della luce: qualche giorno prima dell’inizio di tutti i casini qui c’era stata la nazionale giapponese, ma ero sicuro se ne fossero andati, rimpatriati a casa loro in fretta e furia! Il tunnel ha una doppia entrata e si collega agli altri spogliatoi della piscina, risultando ben più lungo di quanto uno si aspetti, ma era impossibile che fossero rimasti qui sotto per tre mesi.
Invece l’odore di decomposizione mi smentisce, come anche il rivolo di sangue che pende dal mento della bionda che si volta: la riconosco subito, ho tenuto il suo poster appeso in camera per anni. È Carolina Kostner, o meglio quello che resta di lei post zombieficazione.
Qualche topo morto giace ai suoi piedi, divorato, insieme a qualche pezzo di carne e ossa chiaramente umani. Ho paura di scoprire dove sia il resto della squadra.
Anche Gatto zombie è impietrito dalla visione, ma per sua fortuna tra i tre io sono il primo a reagire. Lo afferro per la collottola e corro via più veloce che posso. Dietro di me, sento i suoi passi strascicati rincorrermi, ma a quanto pare la dieta della donna nell’ultimo periodo non deve essere stata granché perché riesco a raggiungere la porta in tempo e a chiudergliela praticamente in faccia. Giro la chiave, felice che abbiamo preso la precauzione di rimuovere tutte le maniglie.
Salgo al primo piano, ho il respiro affannoso e non riesco quasi a parlare. Tommi è rimasto in casa per fortuna, e per la seconda volta in questa assurda giornata mi vede arrivare in condizioni pietose.
Solleva un sopracciglio interrogativo, ma non abbiamo tempo di parlare adesso, potrebbero essercene altri. Potrebbe essere tutto invaso, e noi rischiamo di non avere più speranze di sopravvivenza.
“Avevi ragione” dico solo, vestendomi al volo. “dobbiamo raggiungere il bus, e subito!”
Lui non mi chiede altro, ma si capisce che è felice del mio cambio di idea. Prende da un armadio gli zaini di emergenza e me ne lancia uno, che finisco di riempire con vestiti e protezioni varie. Le razioni di emergenza sono già dentro, come torcia, scotch e mazza da baseball.
Infilo Romeo con decisione dentro il trasportino, ignorando le sue proteste, e lo aggancio in cima a tutto. Tommi mi porge l’accetta, che afferro saldamente.
“Pronto?” mi chiede, prima di avviarci verso l’uscita.
Annuisco: il paradiso terrestre in cui pensavo di poter vivere per il resto dei miei giorni non era altro che un’illusione, e forse anche il bus lo sarà; rimanere qui, però, mi sembra peggio che muovermi all’avventura. Non voglio fare la fine dei topi divorati dalla Kostner.
“Okay, andiamo!” mi dice con aria decisa, prendendomi la mano libera dalla accetta. Mi accompagna nella notte, entrambi diretti verso l’ultima posizione nota del bus, senza lasciarmi andare neanche per un istante.
È una pazzia, lo so, ma almeno continueremo a essere pazzi insieme ancora per qualche tempo.
Re: Z.o.I. Zombie on Ice
Faccio richiesta per doppio bonus:
animale zombie: Romeo, er meglio dei gatti non morti
personaggio famoso: Carolina Kostner fresca fresca di non morte per noi!
animale zombie: Romeo, er meglio dei gatti non morti
personaggio famoso: Carolina Kostner fresca fresca di non morte per noi!
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Re: Z.o.I. Zombie on Ice
La premessa è classica ma ben presentata, con personaggi che mi convincono e con cui passerei volentieri più tempo. La tensione funziona davvero, giù negli spogliatoi.
Forse, pensando a una revisione, darei più spazio a qualche anticipazione più diretta o approfondimento sull'apparizione della celebrità, ma potrebbe anche essere meglio com'è. La mia profonda conoscenza dello sport si ferma letteralmente all'anime Yuri on Ice, quindi il fatto che io volessi saperne di più non è affatto indicativo di un problema in sé.
La forma zoppica un po' qui e là: la prosa a volte è rigida o gira su se stessa, e ho notato qualche typo che, comunque, richiederebbe solo un altro giro di revisione (nel orto; “è il mio turno; Mi chiedo se Tommi siano ancora a casa, o se sia lanciato dietro quel cazzo di autobus).
D'altro canto una manciata di passaggi riesce, con osservazioni molto terra-terra, a immergermi tantissimo nella storia: gli zombie più lenti ma anche più puzzolenti al sole, l'immagine della cucina trascinata sul carrello in giro per la città.
Insomma, una mixed bag forse, di cui però avrei letto volentieri altri capitoli, che alla fine mi pare la cosa più importante: complimenti, bella prova.
Forse, pensando a una revisione, darei più spazio a qualche anticipazione più diretta o approfondimento sull'apparizione della celebrità, ma potrebbe anche essere meglio com'è. La mia profonda conoscenza dello sport si ferma letteralmente all'anime Yuri on Ice, quindi il fatto che io volessi saperne di più non è affatto indicativo di un problema in sé.
La forma zoppica un po' qui e là: la prosa a volte è rigida o gira su se stessa, e ho notato qualche typo che, comunque, richiederebbe solo un altro giro di revisione (nel orto; “è il mio turno; Mi chiedo se Tommi siano ancora a casa, o se sia lanciato dietro quel cazzo di autobus).
D'altro canto una manciata di passaggi riesce, con osservazioni molto terra-terra, a immergermi tantissimo nella storia: gli zombie più lenti ma anche più puzzolenti al sole, l'immagine della cucina trascinata sul carrello in giro per la città.
Insomma, una mixed bag forse, di cui però avrei letto volentieri altri capitoli, che alla fine mi pare la cosa più importante: complimenti, bella prova.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
- Manuel Marinari
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Re: Z.o.I. Zombie on Ice
Ciao Elena
La storia è carina, l’idea di ambientare il racconto in un edificio abbandonato è molto valida. Anche i due personaggi, in conflitto tra loro sulle decisioni da prendere per la loro sopravvivenza, funziona. La loro dinamica di relazione, da al racconto quella tensione giusta, oltre a quella di salvarsi dagli zombi, che ti fa venire voglia di finirlo per sapere come va a finire tra di loro. Si salveranno? Si divideranno? Queste domande sorgono mentre leggi ed è ottimo!
Il racconto, secondo me, necessita però di un intervento sulla parte descrittiva delle percezioni (visive/olfattive, ecc) e anche delle sensazioni emotive. Te le appunto qui.
- “Un gatto spelacchiato”: è il primo soggetto che entra in scena (oltre al pdv ovviamente). Scritto così sembra un qualunque gatto, in realtà poi scopriamo che è familiare ai personaggi e loro gli hanno dato anche un nome. Quindi, per il pdv, è Romeo, il gatto. Non un gatto.
- Scrivi che gli zombi dietro l’angolo sono in troppi. Mostrali, facceli vedere. Dicci quanti sono, come sono vestiti, sono nudi o hanno ancora vestiti addosso? Sono sudici, sono puliti? Sono deformi? Gli mancano braccia o gambe? La pelle? Praticamente devo immaginarli (aiuta lo stereotipo dello zombi, ovviamente, ma puoi giocare di creatività e fantasia, divertiti a immaginarli e a mostrarli a chi legge.) Rendi unici i tuoi zombi.
Anche quando dici che alcune persone vengono assaggiate dagli zombi: mostra la scena. Dove li mordono? Al collo? Sulle braccia? Fai vedere il sangue. È un racconto sugli zombi, questo elemento è importante.
- “Sento la rabbia montare”: mostra la rabbia come si manifesta. Il pdv ha una personalità, quale? A parte alzare la voce a Tommi, che si capisce, come si manifesta? Ha le mani sudate? Le guance gli prendono fuoco? Sbatte delle cose a terra? Ecc…
- Lui è nello spogliatoio chiuso da mesi, sente “odori spiacevoli”: descrivi gli odori. Puzzo di muffa? Di Sudore? Di Urina? Aggiungi qualcosa di questo tipo. Odori che ricordano la sensazione sgradevole di entrare in un posto del genere. Sono tutti odori identificabili che chiunque ha sentito.
- “Con una mano seguo le piastrelle”: descrivi come sono. Colore? Sono lisce o sono ruvide? Ci sono delle crepe? Sono calde perché è estate o sono umide perché ci troviamo in uno scantinato chiuso da mesi e ammuffito?
- Della zombi Kostner praticamente vediamo solo i capelli biondi e la tuta mi sembra. Poi? Com’è fatta? In che modo la mutazione modifica il corpo umano? Come lo degenera? Buono il riferimento alle ossa ai suoi piedi.
Un’altra osservazione: come riconosce che è la Kostner? Prima accenni alla nazionale Giapponese, ma lei è italiana. Mi stavo immaginando una pattinatrice giapponese coi capelli biondi e mi ha un po' staccato dal flusso. Questo un po' mi ha confuso. Poi, nella storia siamo almeno nel 2030. Se non sbaglio si è già ritirata dallo sport. (Ne sono al corrente solo perché siamo nati lo stesso giorno :D) Ok, può essere al palazzetto per altri mille motivi. Secondo me questo passaggio ha bisogno di una sistemata. L’ho trovato un po' superficiale (nel modo in cui è inserito, non nell’idea che è molto valida.)
- Il pdv si chiama Matte. Credo che il nome sia emerso soltanto a metà racconto. All’inizio, nei dialoghi, potevi inserirlo per poi ripeterlo dove l’ho letto. Arriva un po' tardi. Almeno, non mi è parso di vederlo prima.
Ho preferito lasciarti molte domande aperte, piuttosto che trovare soluzioni, perché penso che stimolino di più.
Ho trovato qualche refuso:
- nel orto
-mi chiedo se Tommi siano ancora vivo
Il racconto è scritto bene. Lavorando su queste parti, secondo me, può essere migliorato di tanto.
Gli elementi per i bonus ci sono, validi per me.
Una buona prova, con delle potenzialità su cui lavorare ancora.
La storia è carina, l’idea di ambientare il racconto in un edificio abbandonato è molto valida. Anche i due personaggi, in conflitto tra loro sulle decisioni da prendere per la loro sopravvivenza, funziona. La loro dinamica di relazione, da al racconto quella tensione giusta, oltre a quella di salvarsi dagli zombi, che ti fa venire voglia di finirlo per sapere come va a finire tra di loro. Si salveranno? Si divideranno? Queste domande sorgono mentre leggi ed è ottimo!
Il racconto, secondo me, necessita però di un intervento sulla parte descrittiva delle percezioni (visive/olfattive, ecc) e anche delle sensazioni emotive. Te le appunto qui.
- “Un gatto spelacchiato”: è il primo soggetto che entra in scena (oltre al pdv ovviamente). Scritto così sembra un qualunque gatto, in realtà poi scopriamo che è familiare ai personaggi e loro gli hanno dato anche un nome. Quindi, per il pdv, è Romeo, il gatto. Non un gatto.
- Scrivi che gli zombi dietro l’angolo sono in troppi. Mostrali, facceli vedere. Dicci quanti sono, come sono vestiti, sono nudi o hanno ancora vestiti addosso? Sono sudici, sono puliti? Sono deformi? Gli mancano braccia o gambe? La pelle? Praticamente devo immaginarli (aiuta lo stereotipo dello zombi, ovviamente, ma puoi giocare di creatività e fantasia, divertiti a immaginarli e a mostrarli a chi legge.) Rendi unici i tuoi zombi.
Anche quando dici che alcune persone vengono assaggiate dagli zombi: mostra la scena. Dove li mordono? Al collo? Sulle braccia? Fai vedere il sangue. È un racconto sugli zombi, questo elemento è importante.
- “Sento la rabbia montare”: mostra la rabbia come si manifesta. Il pdv ha una personalità, quale? A parte alzare la voce a Tommi, che si capisce, come si manifesta? Ha le mani sudate? Le guance gli prendono fuoco? Sbatte delle cose a terra? Ecc…
- Lui è nello spogliatoio chiuso da mesi, sente “odori spiacevoli”: descrivi gli odori. Puzzo di muffa? Di Sudore? Di Urina? Aggiungi qualcosa di questo tipo. Odori che ricordano la sensazione sgradevole di entrare in un posto del genere. Sono tutti odori identificabili che chiunque ha sentito.
- “Con una mano seguo le piastrelle”: descrivi come sono. Colore? Sono lisce o sono ruvide? Ci sono delle crepe? Sono calde perché è estate o sono umide perché ci troviamo in uno scantinato chiuso da mesi e ammuffito?
- Della zombi Kostner praticamente vediamo solo i capelli biondi e la tuta mi sembra. Poi? Com’è fatta? In che modo la mutazione modifica il corpo umano? Come lo degenera? Buono il riferimento alle ossa ai suoi piedi.
Un’altra osservazione: come riconosce che è la Kostner? Prima accenni alla nazionale Giapponese, ma lei è italiana. Mi stavo immaginando una pattinatrice giapponese coi capelli biondi e mi ha un po' staccato dal flusso. Questo un po' mi ha confuso. Poi, nella storia siamo almeno nel 2030. Se non sbaglio si è già ritirata dallo sport. (Ne sono al corrente solo perché siamo nati lo stesso giorno :D) Ok, può essere al palazzetto per altri mille motivi. Secondo me questo passaggio ha bisogno di una sistemata. L’ho trovato un po' superficiale (nel modo in cui è inserito, non nell’idea che è molto valida.)
- Il pdv si chiama Matte. Credo che il nome sia emerso soltanto a metà racconto. All’inizio, nei dialoghi, potevi inserirlo per poi ripeterlo dove l’ho letto. Arriva un po' tardi. Almeno, non mi è parso di vederlo prima.
Ho preferito lasciarti molte domande aperte, piuttosto che trovare soluzioni, perché penso che stimolino di più.
Ho trovato qualche refuso:
- nel orto
-mi chiedo se Tommi siano ancora vivo
Il racconto è scritto bene. Lavorando su queste parti, secondo me, può essere migliorato di tanto.
Gli elementi per i bonus ci sono, validi per me.
Una buona prova, con delle potenzialità su cui lavorare ancora.
Manuel Marinari
Re: Z.o.I. Zombie on Ice
Vi ringrazio tantissimo per tutti gli appunti, sono molto utili perché non ero mai uscita troppo dal mio "circoletto" di beta e editor di fiducia, quindi mi fa piacere ricevere nuovi feedback!
Anche io sono una bimba di Yuri On Ice e (plot twist!) lavoro nello stesso posto in cui ho ambientato la storia! Ho iniziato come addetta in reception nonché chiusura serale, mentre ora sono Project Manager, e più volte ho pensato come la mia sedia possa diventare un ottimo rifugio in caso di apocalisse zombie (si abbiamo anche la friggitrice ad aria).
Fun fact: abbiamo davvero un palaghiaccio, e Torino ospita le universiadi in questo periodo. Una fredda domenica di gennaio il Comune ci ha telefonato per ospitare l'allenamento della squadra di pattinaggio su ghiaccio giapponese, allenata nientemeno che da Carolina Kostner!!! ZAN ZAN ZAN ZAN!! ho spostato l'evento più avanti nel tempo per esigenze di trama ma era un'occasione troppo ghiotta per non coglierla, dando per scontato che tra dieci anni lei alleni ancora la stessa squadra. Carolina, spero per te che sia cosi o avrai mie notizie!
Anche io sono una bimba di Yuri On Ice e (plot twist!) lavoro nello stesso posto in cui ho ambientato la storia! Ho iniziato come addetta in reception nonché chiusura serale, mentre ora sono Project Manager, e più volte ho pensato come la mia sedia possa diventare un ottimo rifugio in caso di apocalisse zombie (si abbiamo anche la friggitrice ad aria).
Fun fact: abbiamo davvero un palaghiaccio, e Torino ospita le universiadi in questo periodo. Una fredda domenica di gennaio il Comune ci ha telefonato per ospitare l'allenamento della squadra di pattinaggio su ghiaccio giapponese, allenata nientemeno che da Carolina Kostner!!! ZAN ZAN ZAN ZAN!! ho spostato l'evento più avanti nel tempo per esigenze di trama ma era un'occasione troppo ghiotta per non coglierla, dando per scontato che tra dieci anni lei alleni ancora la stessa squadra. Carolina, spero per te che sia cosi o avrai mie notizie!
- GiuliaSilvestri
- Messaggi: 9
Re: Z.o.I. Zombie on Ice
Ciao! :)
Prima di tutto, devo dire che questa storia non mi è dispiaciuta. Scorrevole in vari punti, in altri forse ci sarebbe da rivedere un attimo le frasi e con giusto solo un paio di refusi (per lo più maiuscole mancanti dopo il punto o caratteri dispersi, ma niente di grave). Ho trovato interessante la scelta di usare un Palaghiaccio come base con un'accuratezza notevole ai dettagli (mi è piaciuto la genialata dei protagonisti di chiudere varie aree che non avrebbero usato, io per quanto sono sveglia non ci avrei pensato e sarei già morta) però allo stesso tempo mi sono chiesta: “Ma se non ci sono le maniglie, come aprono/chiudono le porte?” Ma magari sono solo scema io. Però un’altra cosa che mi sono chiesta è… se hanno chiuso tutto, avranno perlustrato le zone, o no? Quindi come hanno fatto a non
Inoltre, il conflitto di interessi dei protagonisti è stata un’ottima scelta perché li distingue bene l’uno dall'altro e dà dinamismo alla storia, solo che ho trovato un po’ troppo frettolosa la parte finale, e capisco il limite di caratteri, ma forse sarebbe stato meglio ridimensionare la parte del supermercato e dare più spazio alla fine con la lotta interiore del protagonista. Okay che capisce che il suo angolo di paradiso non lo è in realtà, ma io sarei combattuta tra l’idea di rimanere e l’idea di andarsene, soprattutto se non sai chi guida o comanda il Bus e dove ti condurrà.
Però tutto sommato un bel racconto, mi è piaciuto e avrei letto altro ancora! I due bonus sono c'entrati in pieno (anche se non comprendo come un gatto zombi non attacchi gli umani, come tutti gli altri mostri, ma deduco che per gli animali non funziona allo stesso modo).
Un buon lavoro!
Prima di tutto, devo dire che questa storia non mi è dispiaciuta. Scorrevole in vari punti, in altri forse ci sarebbe da rivedere un attimo le frasi e con giusto solo un paio di refusi (per lo più maiuscole mancanti dopo il punto o caratteri dispersi, ma niente di grave). Ho trovato interessante la scelta di usare un Palaghiaccio come base con un'accuratezza notevole ai dettagli (mi è piaciuto la genialata dei protagonisti di chiudere varie aree che non avrebbero usato, io per quanto sono sveglia non ci avrei pensato e sarei già morta) però allo stesso tempo mi sono chiesta: “Ma se non ci sono le maniglie, come aprono/chiudono le porte?” Ma magari sono solo scema io. Però un’altra cosa che mi sono chiesta è… se hanno chiuso tutto, avranno perlustrato le zone, o no? Quindi come hanno fatto a non
Inoltre, il conflitto di interessi dei protagonisti è stata un’ottima scelta perché li distingue bene l’uno dall'altro e dà dinamismo alla storia, solo che ho trovato un po’ troppo frettolosa la parte finale, e capisco il limite di caratteri, ma forse sarebbe stato meglio ridimensionare la parte del supermercato e dare più spazio alla fine con la lotta interiore del protagonista. Okay che capisce che il suo angolo di paradiso non lo è in realtà, ma io sarei combattuta tra l’idea di rimanere e l’idea di andarsene, soprattutto se non sai chi guida o comanda il Bus e dove ti condurrà.
Però tutto sommato un bel racconto, mi è piaciuto e avrei letto altro ancora! I due bonus sono c'entrati in pieno (anche se non comprendo come un gatto zombi non attacchi gli umani, come tutti gli altri mostri, ma deduco che per gli animali non funziona allo stesso modo).
Un buon lavoro!
- Andrea Furlan
- Messaggi: 548
Re: Z.o.I. Zombie on Ice
Ciao Elena e benvenuta nell'Arena e alla Sfida.
Il tuo racconto purtroppo non mi ha preso molto, l'ho trovato un po' troppo monocorde e senza cambiamenti di ritmo. Mi è mancato il contesto (ad esempio potevi indicare la località reale dove si svolge la scena), il motivo per cui dopo un'apocalisse ci potesse essere sufficiente elettricità per mantenere attiva la pista di ghiaccio addirittura in piena estate. Non sono un grande esperto, ma credo che di solito e anche in montagna i palaghiaccio siano chiusi in estate. Questo elemento è una premessa forte nel racconto e mi ha fatto perdere subito l’immedesimazione.
Ci sono alcune scene di azione che potevano essere gestite meglio, come l'assalto degli zombie al bus e la discesa degli spogliatoi: entrambe le situazioni si spengono e di nuovo sembrano poco credibili, ad esempio, perché il protagonista in una situazione di possibile pericolo decide di fare la doccia al buio?
I bonus e il tema ci sono, ma l'introduzione della Kostner mi è sembrata forzata, arriva senza una semina adeguata. Così come la decisione del protagonista di cercare il bus sul finale non ha una sua chiara evoluzione, quando sembra che non volesse farlo per il resto della storia.
In sintesi, nel complesso la storia poteva essere gestita meglio da diversi punti di vista.
Il tuo racconto purtroppo non mi ha preso molto, l'ho trovato un po' troppo monocorde e senza cambiamenti di ritmo. Mi è mancato il contesto (ad esempio potevi indicare la località reale dove si svolge la scena), il motivo per cui dopo un'apocalisse ci potesse essere sufficiente elettricità per mantenere attiva la pista di ghiaccio addirittura in piena estate. Non sono un grande esperto, ma credo che di solito e anche in montagna i palaghiaccio siano chiusi in estate. Questo elemento è una premessa forte nel racconto e mi ha fatto perdere subito l’immedesimazione.
Ci sono alcune scene di azione che potevano essere gestite meglio, come l'assalto degli zombie al bus e la discesa degli spogliatoi: entrambe le situazioni si spengono e di nuovo sembrano poco credibili, ad esempio, perché il protagonista in una situazione di possibile pericolo decide di fare la doccia al buio?
I bonus e il tema ci sono, ma l'introduzione della Kostner mi è sembrata forzata, arriva senza una semina adeguata. Così come la decisione del protagonista di cercare il bus sul finale non ha una sua chiara evoluzione, quando sembra che non volesse farlo per il resto della storia.
In sintesi, nel complesso la storia poteva essere gestita meglio da diversi punti di vista.
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