Nel blu dipinto di blu

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere dedicato agli zombie.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) I migliori di ogni girone approderanno alla finale.
4) Il vincitore verrà pubblicato nell'antologia curata da Anna Pullia e Francesco Nucera, edita da Gainsworth Publishing.
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RaffaeleGargano
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Nel blu dipinto di blu

Messaggio#1 » domenica 2 febbraio 2025, 22:38

Fino a qualche mese fa la mia città era nota per la musica e i fiori. Ora nemmeno io la riconosco più. Il profumo dei fiori è stato spazzato via dalla puzza acre della morte. Al posto della musica ci sono le urla, i pianti e i disgustosi rantoli degli zombie. Anche il silenzio si è sostituito alla musica, il silenzio che giunge quando quei mostri finiscono di fare a pezzi le loro vittime, il silenzio pregno della goduria che provano quando divorano un cervello.
I film sono dei maledetti bugiardi, con i loro scenari post-apocalittici cuciti addosso alle grandi metropoli. Ero preparato a vedere New York distrutta dagli zombie, ma non la mia Sanremo. Casa mia si trova nei pressi della Pigna, o di quel che ne rimane, e da queste parti puoi trovare zombie a ogni angolo. I film li dipingono come esseri stupidi, mossi solo dalla fame e dai loro istinti violenti. Sono furbi, invece, molto furbi. Sanno benissimo che i vicoli medievali della Pigna sono nascondigli perfetti. E quanto sono silenziosi… Ti attaccano alle spalle con una furtività da far invidia ai felini. L’attimo prima sei vivo, l’attimo dopo hai il cranio spaccato e non te ne rendi nemmeno conto.
È così che hanno ammazzato mio fratello. Eravamo a Piazza dei Dolori, non so ben dire se per una divertente coincidenza o per una divina presa per il culo. È successo ieri. Stavamo tornando a casa dopo aver fatto un salto a La Pignese, un ristorante vicino al lungomare. Da quando è iniziato tutto questo, raziona cibo e acqua per noi che siamo ancora umani. È sconfortante vedere come ogni giorno ci sia sempre meno gente. Carlo si era girato a guardare l’orizzonte al di là del mare.
«Che fai?» gli ho chiesto.
«Mi godo il blu», mi ha detto. «Non si sa mai quando potrà essere l’ultima volta.»
E lo è stata.
Stava tenendo lui le buste con i rifornimenti quando è successo. Sì, sono scappato, ma non avrei potuto fare molto. Quando ti attaccano, la tua fine è già scritta. Sono quasi due giorni che non mangio e non bevo. La sete si fa sentire particolarmente, ma d’altronde è agosto e là fuori ci sono minimo quaranta gradi. La corrente è saltata quasi ovunque e non posso accendere i condizionatori. Me ne sto qui, in cantina. È la zona più fresca della casa e sudo comunque come un maiale. Non credo mi siano rimasti molti liquidi in corpo, ma resisto. L’istinto di sopravvivenza non mi ha ancora portato a bere la mia pipì, sempre che mi sia rimasto qualcosa da pisciare.
I miei? Il 23 giugno è iniziata la catastrofe e il 28 sono morti. Da una parte li invidio. Non sono stato testimone del momento, come con mio fratello, ma credo che abbia fatto più male. Io e Carlo eravamo a casa, loro erano usciti per procurarci le provviste. Non sono mai tornati. Per un po’ abbiamo sperato che fossero semplicemente nascosti, in attesa che la via fosse sgombra da zombie, ma dopo quarantotto ore anche la nostra speranza è morta. Chissà se tra quei brandelli di carne e quelle ossa spappolate che si vedono per le strade c’è qualche traccia di loro. Non si limitano solo al cervello, quei bastardi. Se sono davvero affamati non lasciano nemmeno le ossa.
Sono qui, in cantina. Non c’è nemmeno acqua corrente. A quest’ora ne avrei già approfittato per bere, chi se ne frega se non è acqua depurata. Sono assetato, affamato, sudato e per giunta puzzo di capra bagnata. Non bastava la puzza di morto. Vero, Dio? Non so nemmeno più dire se ci sei davvero, se esisti. Però sei l’unica compagnia che ho, oltre alla mia chitarra. Il suo legno fresco mi dona sollievo, finché il mio corpo non lo riscalda. In questo mese e mezzo sono dimagrito così tanto da sentire le sue corde direttamente sulle falangi. Con la poca forza che ho provo a darle una strimpellata. So che il suono potrebbe farmi scoprire dagli zombie, ma le note che volano per aria mi aiutano a tenere i nervi saldi, a non impazzire del tutto.
Una grossa goccia di sudore mi scivola sul naso. Dondola incerta sulla punta, mi fa il solletico. È fastidiosa. Faccio per grattarmi, quando questa decide di cadere con un tonfo sonoro sulla cassa di risonanza della chitarra. Non ce la faccio più. Meglio morire divorato dagli zombie che di sete, almeno è una morte più rapida. Devo andare a procurarmi delle provviste.
Vado in bagno. Apro il rubinetto illudendomi di vedere qualche goccia d’acqua. Niente. Apro l’armadietto accanto allo specchio e afferro il deodorante spray. Il metallo è fresco, così me lo passo sul collo per avere un po’ di sollievo. Con l’asciugamano rimuovo lo strato di sudore dalla pelle, poi apro il deodorante e mi sparo il nebulizzatore addosso, su tutto il corpo. Quando ancora avevo un telefono, prima che la batteria mi abbandonasse, online si diceva che coprendo l’odore umano si può evitare di essere rintracciati dal fiuto zombie, soprattutto grazie agli odori forti. Guardo il cilindro bianco del deodorante per conoscerne la fragranza: palline azzurre fluttuano attorno alla parola “Fresco”. Fresco, certo… Anche il deodorante mi sfotte. Ma poi, che cazzo di odore è “Fresco”?
Mi dirigo alla porta e la libero dalla morsa dei chiavistelli. Ne ho montati altri due da quando è iniziato tutto, non si sa mai. Lascio l’ultimo agganciato e spingo finché mi è concesso. Faccio passare lo sguardo dal centimetro e mezzo che sono riuscito ad aprire. Sembra tutto tranquillo. L’aria torrida mi investe il viso, così chiudo in fretta. Ci manca solo che la casa diventi una fornace.
La fascia della chitarra mi taglia il petto, lei è stretta alla mia schiena. È un po’ come se ci dovessimo guardare le spalle a vicenda. Non so perché la sto portando con me, mi dispiacerebbe se venisse danneggiata o distrutta nel tragitto, ma sono anche ben consapevole del fatto che sia l’unico oggetto abbastanza lungo e largo di cui dispongo. In caso di attacco potrei difendermi tenendo gli zombie a debita distanza. Cristo, quante cazzate mi sto raccontando… Come se un involucro di legno vuoto potesse fermare la loro furia distruttiva.
Esco. Esiste la pelle d’oca per il caldo? Pare di sì, perché l’afa mi ha fatto rizzare i peli delle braccia. Guardo a destra e sinistra. Non c’è nessuno, né umano né zombie. Non so che ore siano, ma è senza dubbio primo pomeriggio. Come lo so? Per il caldo, ovviamente, ma anche perché tutto attorno è deserto. Il silenzio che si respira è un insolito connubio di calma e tensione. C’è un motivo: le persone escono a prendere provviste la sera, quando il caldo non può contare sull’aiuto della luce solare. Devo essere impazzito per essere uscito a quest’ora, ma forse ha un suo lato positivo. Dopotutto, anche gli zombie si fanno vedere più la sera, perché sanno che è il momento in cui troveranno più prede. Questo pensiero mi infonde coraggio, quindi inizio a camminare.
Il sole scotta sulla pelle, il calore fa ribollire le strade. Gli occhi impiegano un po’ ad abituarsi alla luce accecante, nonostante abbia indossato gli occhiali. Gli unici suoni che spezzano questo silenzio spettrale sono i miei passi e il vento caldo che mi fischia nelle orecchie. Rimango concentrato, i sensi all’erta, ma è impossibile non farsi distrarre dall’orrendo spettacolo che mi si para davanti: macchie di sangue incrostato e brandelli di carne ormai putrefatta sono un macabro pattern sull’anacronistica via che sto percorrendo. Sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando le persone morivano in mezzo alle strade per le malattie più banali. Chi avrebbe mai pensato che adesso sarebbero morte sbranate dagli zombie? La puzza è insopportabile, così mi tiro il collo della maglietta sul naso. Per fortuna è un po’ impregnata di deodorante. Già, fortuna… È una parola che mi rimbomba in testa da settimane, ormai. A cos’altro posso dare il merito della mia sopravvivenza?
Oltrepasso il Museo Civico e decido di allungare il tragitto, passando per Piazza Colombo. Come ho detto, gli zombie prediligono i vicoli stretti come nascondigli. I luoghi aperti come le piazze sono i punti più sicuri. Arrivo a Piazza Colombo e mi manca il fiato come ogni volta. Se penso a quanta vita c’era qui fino a poco tempo fa quasi quasi mi rincuoro, ma vengo subito a patti con la realtà dei fatti. I miei ricordi sono solo questo: ricordi. La desolazione regna sovrana. Prendo un profondo respiro per cacciare via le lacrime che si condensano dalle mie memorie e proseguo.
Ed eccolo qui. È inevitabile piangere, adesso. Di fronte a me c’è il luogo dei miei sogni, l’unico e solo Ariston. La facciata esterna non è grande come sembra in tv, ma non posso che sentirmi immensamente piccolo di fronte a questo teatro. Da qui sono passate delle leggende. Ho un’incomprensibile nostalgia di quegli anni che non ho mai vissuto in prima persona, ma di cui conosco bene le immagini viste su YouTube durante la mia breve vita. Ricordo bene gli occhi sognanti con cui guardavo le braccia spalancate di Domenico Modugno che cantava “Volare! Oh, oh!”. Se ci ripenso, i sensi di colpa mi uccidono. Ti ho deluso, me bambino. Volevi tanto salire su quel palco, prima o poi, portarci la tua musica. Aveva ragione Modugno: “Penso che un sogno così non ritorni mai più”. I pensieri dirottano su Carlo. Per una strana ironia della sorte, il “blu dipinto di blu” è stata l’ultima cosa che si è goduto di questa vita.
Proseguo. Non manca molto alla mia destinazione. Il sole sta iniziando a perdere quota, saranno quasi le cinque di pomeriggio. Devo aver perso molto tempo, smarrito tra i miei ricordi.
Sento un rumore. Mi fermo, e mi guardo intorno. Lo sento ancora: è una sorta di sibilo, ma non è il vento. Il suono si sta trascinando sulla strada, e a esso si accoppia quell’inconfondibile rantolo. Alzo lo sguardo verso una stradina annegata nell’ombra.
Sono loro. Cinque, sei… Forse sette. Non ho tempo di contare. La mia mente è concentrata sulla loro pelle cinerea che penzola dalle giunture. I loro abiti sono stracci insanguinati, così come le loro labbra putride. Alcuni hanno perso i capelli, altri addirittura i bulbi oculari, sostituiti da pozzi neri. Chi ha ancora gli occhi, ha le iridi rosse accecate dalla fame.
Sembrano tranquilli, finché resto immobile, ma l’istinto mi dice di indietreggiare di un passo. Mossa sbagliata. Non appena capiscono che sono una papabile preda, si fiondano addosso a me. Inizio a correre, stavolta senza il supporto di Carlo. Sono solo in questa corsa alla sopravvivenza. Accelero con falcate sempre più larghe, senza guardarmi indietro. Inciampo e arrivo sull’asfalto, sbucciandomi mani e ginocchia. Sono stati i resti abbandonati di un cadavere a farmi cadere. Si stanno avvicinando. Mi rialzo in fretta e riprendo a correre. Che Dio mi perdoni, ma spero che quel cadavere li distragga da me. Evidentemente trovano la mia carne viva più invitante, perché i loro passi trascinati e i loro rantoli anziché farsi più lontani si avvicinano.
Curvo verso un vecchio ufficio postale le cui vetrate sono distrutte. Anche i plexiglass sono infranti, così scavalco il bancone per ripararmi. Le mani e le ginocchia bruciano. Per un attimo penso di averla scampata, ma mi sbaglio. Mi hanno raggiunto. Provo ad aprire le porte degli uffici sul retro, ma sono tutte chiuse a chiave. Sono in trappola. Non riescono a scavalcare abilmente il bancone perché non hanno legamenti abbastanza forti. Allungano le mani scheletriche tentando di afferrarmi, le loro unghiate tagliano l’aria. Mi sfilo la chitarra e colpisco. Le braccia si staccano, ma loro non demordono. È la fine. Ho un improvviso impulso di lasciare che succeda. Ormai non ho più niente da perdere. La mia famiglia, i miei sogni, la mia città… Non è rimasto più nulla per cui lottare. Fate pure, prendetemi.
Un canto. Un acuto prolungato si fa strada nelle mie orecchie. Devono essere gli angeli che mi accolgono in Paradiso. Devo essere onesto, pensavo di finire all’Inferno. Quindi è finita? Tutto qui? La morte di cui abbiamo così tanta paura è solo questo?
Ma non sono morto. Sono ancora nell’ufficio postale, e gli zombie sono spariti.
Interdetto, mi rialzo lentamente. Sulla soglia, in controluce, c’è una figura femminile. È troppo calma per essere una zombie. È umana, non ho dubbi.
«Stai bene?» mi chiede.
La raggiungo dall’altro lato del bancone. Per sicurezza ho ancora la chitarra in mano, pronto a colpire. «Credo di sì.»
La osservo. I capelli ramati sono raccolti e nascosti in un cappellino nero. Indossa grandi occhiali da sole e un completino verde militare a maniche corte. I suoi lineamenti sono familiari.
«Sei stata tu a cantare?» le chiedo.
Annuisce.
Sono esterrefatto. «Perché? Voglio dire, quelli mi stavano per sbranare e tu gli hai cantato una canzoncina!?»
«È proprio cantando che ti ho salvato. Non c’è di che.»
Sono sempre più confuso. «Che vuoi dire?»
«Per farla breve, gli zombie odiano la musica. Li fa impazzire così tanto da metterli in fuga.» Indica la mia chitarra. «Deduco che non lo sapessi, altrimenti avresti potuto usare quella per allontanarli.»
«Non ci sto capendo un belìn
«Nemmeno io so perché, ma ho provato a darmi una spiegazione. Credo che la musica, in quanto forma d’arte, sia qualcosa di prettamente umano, e gli zombie hanno perso la loro umanità. Forse è per questo che non l’apprezzano più. Oppure sono pippe mentali e gli dà solo fastidio.»
Avevo bisogno della perla di saggezza dopo essere sopravvissuto a un attacco zombie? No, ma ha comunque un suo fascino. «È una chiave di lettura interessante. Grazie per avermi salvato.» Le porgo la mano. «Simone, piacere.»
Lei ricambia la stretta. Con l’altra mano si toglie gli occhiali da sole. «Annalisa.»
Rimango inebetito. Ecco perché mi sembrava di averla già vista! «Oh, cazzo…» mi sfugge. Mi ridesto, imbarazzato. «Ehm, scusa… È che non mi aspettavo di essere salvato da te. Insomma, sei Annalisa!»
Mi sorride, ma nella dolcezza delle sue labbra incurvate si avverte una nota di malinconia. «Prima di tutto questo forse sì.»
«Ma che ci fai qui?»
Si volta e mi fa cenno di seguirla. «Ti faccio vedere.»
Mi conduce all’esterno, e dopo pochi passi si ferma di fronte a un’automobile ornata di graffi sulla vernice. Dentro, due bestie orripilanti. Un cane tutto nero, dal pelo arricciato, e un gatto bianco e nero, entrambi ringhiano emettendo schiuma dalla bocca. I loro occhi rossi come quelli degli zombie. Eppure, i loro corpi sembrano tutti interi.
«Cosa sono?» chiedo, forse un po’ indelicato.
«Sono i miei animali. Il gatto si chiama Blu, il cane Amaro.»
La guardo con la fronte aggrottata. «Amaro?»
«Un omaggio all’Amaro del Capo. Sono una a cui piace brindare.»
«Ma che gli è successo?»
«Ero a Carcare, a casa mia. Gli zombie hanno attaccato me e i miei genitori. Blu e Amaro sono riusciti a respingerli, ma sono rimasti feriti.»
«Oh» mi limito a dire, comprendendo la situazione. Se uno zombie ti morde o ti graffia, ma non ti uccide, infetta il tuo organismo avviando il processo di trasformazione. «Mi dispiace.»
«Non mi sono arresa. Ho ancora una possibilità. Sono zombie solo parzialmente, per il momento. Ho letto su Facebook che esiste una cura.»
Non so se rimanere più stupito dal fatto che la trasformazione sia reversibile, o che Annalisa creda a delle dicerie. «Su Facebook si dicono tante cose.»
«E perlopiù sono bufale, lo so, ma è l’unica speranza a cui posso aggrapparmi. Sono parte della mia vita anche loro.»
Osservo le due bestiole. A vederli sono spaventosi, ma finché la trasformazione non viene ultimata l’infettato non cede alla natura selvaggia da zombie. Deve essere così anche per gli animali.
«E quale sarebbe questa cura?»
Annalisa fa spallucce. «Non lo so, ma pare si trovi nel luogo in cui sono diretti gli ZombiBus.»
Inarco le sopracciglia. Ora le ho sentite davvero tutte. «Gli ZombiBus?»
«Sono degli autobus che portano in un posto protetto, libero da zombie e con i mezzi giusti per contrastarli. Lì dovrebbero avere anche la cura per chi è stato infettato. Passano solo nelle città più importanti, per questo mi sono diretta qui.»
«Ma da Carcare a Sanremo ci vuole almeno un’ora e mezza!»
«Sì, con un traffico regolare, autovelox e vigili. Ormai non è rimasto nulla di tutto ciò. Se spingi di più sull’acceleratore non ti punisce nessuno.»
«E non c’era un posto più vicino?»
«Quale? Savona? Imperia? Ci ho provato, ma niente.»
La nostra discussione viene interrotta da un nuovo gruppo di zombie in avvicinamento. Il panico in me prende il sopravvento. Annalisa, invece, sbuffa scocciata. Apre lo sportello del guidatore, accende la radio e alza il volume al massimo. Gli inconfondibili “quando, quando, quando” della sua Sinceramente costringono i mostri ad allontanarsi. Sono atterrito dalla semplicità con cui ha gestito la situazione.
«Sali» mi dice.
Obbedisco e salgo da lato del passeggero. Blu e Amaro avvicinano i loro musi per annusarmi. Devono aver intuito che sono un alleato, perché tornano alla posizione precedente, nonostante continuino a guardarmi con sospetto.
Un’improvvisa ventata fresca mi arriva sul viso. Annalisa ha acceso l’aria condizionata. Mi passa anche una bottiglia d’acqua da due litri. La afferro e inizio a tracannare con la stessa ingordigia degli zombie. Quando stacco le labbra, mi sento rinato. «Cristo, ti ringrazio!» Guardo la bottiglia quasi vuota. «Scusa, ne ho lasciata poca…»
«Tranquillo, ho altre due casse nel portabagagli. Bevi quanto vuoi.»
Sto sognando, non c’è altra spiegazione. No, il sollievo che finalmente sto provando è reale.
«Prenderai lo ZombiBus con noi?» mi chiede Annalisa.
La risposta dovrebbe essere scontata. Che altro potrei fare? Eppure, qualcosa mi impedisce di dire di sì. Sono davvero pronto a lasciare casa mia? Prendendo un mezzo che forse non esiste e che, se esistesse, non saprei dove porta? Ma la determinazione con cui Annalisa mi guarda mi distoglie da ogni dubbio. Rido. L’inadeguatezza della mia risata crea un peso sul mio cuore, ma rido lo stesso. Quando è stata l’ultima volta?
«Perché stai ridendo?» domanda la cantante.
«Non lo so. Forse è una risata isterica.» Mi calmo e la guardo, la mia espressione cambia. «Ti sono davvero riconoscente.»
«Ma figurati. In queste situazioni bisogna rimanere uniti.»
«È incredibile, se ci pensi. Siamo sempre stati su piani differenti, Annalisa la pop star e Simone il chitarrista sfigato. Poi arriva un’apocalisse zombie e siamo tutti sulla stessa barca.»
«È per questo che non dovremmo mai sentirci superiori a nessuno. Sono sempre stata dell’avviso che rimanere umili e con i piedi per terra ripaghi.»
Annuisco. Non posso che essere d’accordo con lei. È strano parlare a una che ho sempre visto in tv o sentito nelle cuffie come se fosse un’amica. Mi chiedo come sia possibile rimanere sorpreso di fronte a qualcosa di così semplice, di così umano, quando fino a poco fa dei fottuti zombie stavano per uccidermi. Se mai questa situazione un giorno dovesse risolversi, noi sopravvissuti dovremmo ripartire da qui: dalla semplicità.
Annalisa interrompe i miei pensieri facendomi cenno di guardare avanti. «Sanremo è Sanremo anche per gli ZombiBus, a quanto pare.»
Non credo ai miei occhi. Esiste davvero! Un grosso autobus verde è parcheggiato di fronte all’Ariston, e sul led in alto scorre la scritta “ZOMBIBUS”.
Annalisa scende dalla macchina, apre lo sportello posteriore e fa scendere Blu e Amaro. Mentre scendo anch’io lega gli animali a due guinzagli. Ci avviciniamo tutti insieme al mezzo. La portiera si apre e Annalisa sale per prima, preceduta dai suoi animali.
Io esito un attimo. Sta succedendo davvero. Sono salvo. Non so ancora dove porti questo coso, ma mi andrà bene a prescindere. Gli ultimi due mesi scorrono nella mia mente alla velocità della luce. I morti, la solitudine, la sofferenza… E ora tutto questo sta per finire.
«Sali?» mi chiede Annalisa, già accomodata su un sedile.
«Sì» rispondo.
Prima, però, dò un’occhiata all’orizzonte, e mi godo per un’ultima volta il blu dipinto di blu di casa mia.

Raffaele Gargano
Ultima modifica di RaffaeleGargano il domenica 2 febbraio 2025, 22:49, modificato 1 volta in totale.



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RaffaeleGargano
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Re: Nel blu dipinto di blu

Messaggio#2 » domenica 2 febbraio 2025, 22:39

Aspiro a entrambi i bonus con Annalisa come personaggio famoso e con il suo cane e il suo gatto come animali zombie.

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Daniele_picciuti
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Re: Nel blu dipinto di blu

Messaggio#3 » giovedì 6 febbraio 2025, 9:41

Premesso che Annalisa è una delle mie cantanti preferite, mi ha fatto sorridere ritrovarmela in una epidemia zombie.
Partiamo però dall'inizio: appena ho letto Sanremo ho subito pensato "se ha gestito un'apocalisse zombie durante il festival di Sanremo con tutti i Big del festival è un genio"... ma non era così, purtroppo (per me, che me lo sarei goduto un casino, penso).
Il racconto in sé non mi convince del tutto, non so bene se perché il Vip ha un ruolo troppo centrale (e senza un taglio ironico - non che fosse previsto così eh) o se perché alla fin fine non ci ho visto molta originalità. Ok, gli zombie sono più veloci, furbi e silenziosi del previsto, e questo è un bene, ma manca un guizzo, che mi aspettavo, almeno verso la fine. Lo zombibus era pieno di zombie? Mentre vi si avvicinano i due animali si trasformano del tutto e mordono lui o Annalisa? Insomma, qualcosa...
E poi forse il fatto stesso che la musica li respinga anziché attirarli è una scelta un po' azzardata, la spiegazione sulla mancanza di umanità risulta poco convincente, almeno per come la vedo io.
Nel complesso, tante potenzialità, ma manca quel non so che...
Il mondo che ho creato non è solo parte di me, ma esiste, come esiste la fede.

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RaffaeleGargano
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Re: Nel blu dipinto di blu

Messaggio#4 » giovedì 6 febbraio 2025, 15:15

Daniele_picciuti ha scritto:Premesso che Annalisa è una delle mie cantanti preferite, mi ha fatto sorridere ritrovarmela in una epidemia zombie.
Partiamo però dall'inizio: appena ho letto Sanremo ho subito pensato "se ha gestito un'apocalisse zombie durante il festival di Sanremo con tutti i Big del festival è un genio"... ma non era così, purtroppo (per me, che me lo sarei goduto un casino, penso).
Il racconto in sé non mi convince del tutto, non so bene se perché il Vip ha un ruolo troppo centrale (e senza un taglio ironico - non che fosse previsto così eh) o se perché alla fin fine non ci ho visto molta originalità. Ok, gli zombie sono più veloci, furbi e silenziosi del previsto, e questo è un bene, ma manca un guizzo, che mi aspettavo, almeno verso la fine. Lo zombibus era pieno di zombie? Mentre vi si avvicinano i due animali si trasformano del tutto e mordono lui o Annalisa? Insomma, qualcosa...
E poi forse il fatto stesso che la musica li respinga anziché attirarli è una scelta un po' azzardata, la spiegazione sulla mancanza di umanità risulta poco convincente, almeno per come la vedo io.
Nel complesso, tante potenzialità, ma manca quel non so che...

Ciao Daniele! Inizio ringraziandoti per il commento. Ci ho pensato alla mega invasione di Big-zombie, sai? Poi però ho pensato che non fosse opportuno visto che il Festival si tiene a febbraio e la traccia richiedeva di ambientare il racconto in estate. Per quanto riguarda il resto, avevo intenzione di realizzare un racconto che fosse un flusso di coscienza al 100% (senza nemmeno l'attacco a metà, per intenderci). Poi ho pensato di dare un sottile slancio con quella scena, ma nulla di più. Il messaggio che ho voluto lanciare è quello della conservazione della propria umanità anche in situazioni simili, che vuole essere anche una stoccata alla società post-covid. Ecco il perché di quella metafora sulla musica e, in generale, del poco spazio lasciato ai colpi di scena. Grazie ancora per il tuo riscontro!

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Em Idra
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Re: Nel blu dipinto di blu

Messaggio#5 » domenica 9 febbraio 2025, 18:53

Ciao! Inizio col dire che apprezzo molto il messaggio che hai voluto mandare, di conservare la propria umanità e la propria poesia in qualsiasi situazione, che questo possa essere la chiave della salvezza. Secondo me, però, il messaggio arrivava bene anche senza metterlo nero su bianco con lo stratagemma del canto: la spiegazione di Annalisa sembra quasi un modo di fare la ramanzina anche al lettore. Sarebbe stato molto più efficace lasciare che i pensieri stessi di Simone e il suo punto di vista sul mondo, così pieno di nostalgia, parlassero da soli.
Lo stile oscilla tra metafore veramente azzeccate (le lacrime che si condensano di ricordi, il sole che perde quota, la stradina annegata nell'ombra…) e pezzi che perdono molto slancio:
Si fiondano addosso a me
meglio si fiondano verso di me, altrimenti dà l'impressione che lui sia già spacciato.

Sono stati i resti abbandonati di un cadavere a farmi cadere.
L'intero passaggio non trasmette abbastanza tensione: le azioni sembrano slegate. In questo caso sarebbe forse stato meglio mostrarlo inciampare in qualcosa di molle, in cui magari il piede rimane dentro fino alla caviglia, per rendere anche sensorialmente lo schifo. Soprattutto dato che nelle descrizioni precedenti ci vai giù pesante con le immagini di interiora sbranate.

Altra cosa: non mi quadra tanto il fatto che gli zombie siano descritti come rapidi e silenziosi, ma quando si tratta di inseguirlo si trascinino mugolando.

Quando giunge all'ufficio postale, avrei preferito che la tensione crescesse molto di più. Invece il contrasto "Sono in trappola"/"Non riescono a scavalcare il bancone" suona un po' anticlimatico.

In generale ci sono molti di questi momenti in cui la tensione si sfalda troppo velocemente: in particolare l'arrivo dello ZombiBus così dal nulla fa perdere il potenziale di mettere Annalisa e Simone in viaggio, e chiudere il racconto così: non sanno se mai troveranno lo ZombiBus, ma il contatto umano e una nuova speranza sono già un miglioramento per cui vale la pena lottare.
Nel complesso, molto potenziale, secondo me da migliorare nella gestione.
cerco di combattere l'ansia da confronto ma non sta andando molto bene :)

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