Marta muore con gli occhi aperti
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Marta muore con gli occhi aperti
Una volta le avevano detto che sarebbe morta con gli occhi aperti. La signora Lilian era una strega dall’orribile sorriso sdentato, e le aveva detto che un giorno sarebbe diventata una persona estremamente coraggiosa.
Che una persona morta con gli occhi aperti fosse coraggiosa era solo una credenza di paese, ma da quel momento, la piccola Marta aveva iniziato a pensare alla morte. La bambina allegra che giocava con le macchinine del fratello e si drogava del profumo di naftalina era scomparsa, lasciando posto ad una grigia e timida figurina inquieta.
La vedeva ovunque, la morte: tra le foglie ai lati del marciapiede, nel palazzo diroccato vicino la scuola, dalla nonna, che le preparava i biscotti al miele e le cantava canzoncine in dialetto.
Si chiedeva: come posso essere la bambina di prima se devo morire? E soprattutto, come faccio a sapere che quando arriverà il momento sarò davvero coraggiosa?
Voleva che i suoi genitori fossero fieri di lei, voleva essere pronta a morire il prima possibile. Così che tutti avrebbero detto: “Guardate che brava Marta, è morta con gli occhi aperti.”
Ma non c’era nulla da fare. Marta non riusciva a non avere paura.
Una notte la sua finestra era socchiusa, un vento leggero muoveva le tendine gialle della sua stanza, e Morte decise di farle visita. Volò oltre la tapparella e atterrò sul tappeto, vicino la bambola Gina dai capelli blu.
Marta si svegliò con un sussulto e la guardò terrorizzata.
Morte fece un inchino, le sorrise e le porse la mano.
Marta serrò le palpebre e tra il buio dei suoi occhi le passò davanti tutta la sua vita. Non che fosse un granché, ma era la sua vita, ed era tutto ciò Morte voleva. Lei però non era pronta.
Così, quella timida bambina chiese alla morte un po’ di tempo in più.
Non ne voleva tanto, qualche decennio. Il tempo di un battito di ciglia, quello necessario a sapere a memoria i capoluoghi d’Italia. E magari invecchiare, e avere dei bambini, e imparare cosa voleva dire morire davvero.
Morte era perplessa: nessuno le aveva mai chiesto più tempo. Era imbarazzata, non sapeva bene come comportarsi. Ci pensò, ma alla fine decise di accettare.
Marta sentì il suo fiato caldo sulla fronte: Morte le diede un bacio, le disse che quando quella fronte sarebbe stata ricoperta di rughe sarebbe tornata per lei.
Poi spiegò le ali e volò inghiottita dalla notte, alla ricerca di un’altra anima da condurre con sé.
Marta aprì gli occhi. Respirò, allentò la stretta su Bimbu, il suo povero pupazzo, e si rese conto che era finita, che aveva superato la prova. Che Morte se n’era andata.
Sorrise e riprese a dormire, fiduciosa in quella promessa.
Quando, ottant’anni dopo, trovarono Marta stesa sul suo letto, il volto morto illuminato dallo stesso sorriso che aveva a sette anni, i suoi figli capirono che il suo incontro con la morte non era solo una storia. E lo capirono dagli occhi: aperti, vuoti, eppur felici.
Marta aveva capito cosa voleva dire morire. E non aveva avuto paura.
- Monica Patrizi
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un bel racconto, davvero, già dal titolo che incuriosisce quanto basta ed è giustamente rappresentativo. Trovo un po’ debole il punto in cui la Morte si imbarazza per la richiesta di tempo della bambina, credo che quasi tutti coloro che incontrano la Morte implorino per averne. Il fatto che l’anello debole del racconto sia il punto di snodo della narrazione è rischioso, ma lo si supera abbastanza bene. Buona l’attinenza al tema.
A rileggerci.
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- angelo.frascella
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Che bello questo racconto! Con delicatezza e poesia riesce a raccontare l'angoscia della presa di coscienza della mortalità da parte di una bambina e l'incapacità di gestire questa sensazione. L'unica cosa che mi convince poco è lo stupore della morte di fronte a una richiesta che non può essere la prima volta che riceva. Si tratta però di un dettaglio che è normale in una competizione come MC (nella fretta di scrivere e rileggere è l'istinto che domina e qualche considerazione razionale finisce per sfuggire). Quindi, complessivamente un ottimo racconto.
A rileggerci
Angelo
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il racconto è ben narrato, soprattutto nello stile che a volte ricorda quello fiabesco. Il tema c’è e anche la storia è piacevole da leggere, sebbene non particolarmente originale. Ho apprezzato molto anche la scelta del titolo, forte e incisivo che cattura l’attenzione e stimola già di per sé la curiosità. Il finale invece non ha aggiunto gran che a tutto il resto, manca di un po’ di pepe.
Comunque una buona prova. Brava.
Alla prossima :)
- beppe.roncari
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La tua storia è carina e poetica ma ci trovo un difetto fatale davvero insormontabile.
Morte era perplessa: nessuno le aveva mai chiesto più tempo.
Nessuno ha mai chiesto più tempo a Morte?!? In tutto il tempo? In tutta la storia? E perché dovrebbe essere una cosa coraggiosa? È piuttosto un piagnucolio da codardi chiedere più tempo, o no?
Quindi tutte le premesse crollano come un castello di carta e un magnifico racconto, per me, diventa un rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato. A livello extradiegetico, però, e non nella storia.
Alla prossima! Scusa la franchezza…
Il doppio modo con cui poni la morte. Da una parte il classico a cui siamo tutti abituati e dall'altro Morte, nome proprio di traguardo, che ammetto mi ha stranito per tutto il racconto (per quanto sia abituato a leggere Pratchett che fa un uso più che eccellente di Morte).
Il comportamento di Morte poi non è da morte (perdona il gioco di parole, ma è colpa tua), questo mi fa pensare che Morte non sia realmente la morte (e due). La morte che si imbarazza (prima volta che le chiedono più tempo?), che ha un "alito caldo". Mi aspettavo che alla fine ci fosse una rivelazione sulla vera identità di Morte, ma non arriva.
Marta poi, nella sua ingenuità e timidezza, davanti alla morte chiede... qualche "decennio"? Rovini un po' l'atmosfera zuccherosa così.
Bella la frase sulla vita di Marta, che era solo quello che la morte voleva. Avresti potuto agganciarti a quello per la concessione "straordinaria", e quindi la morte avrebbe avuto una "vita più lunga" da raccogliere. Il tema? Un paio di ali appiccicate alla morte.
Mi è piaciuta molto l'idea che sta dietro questo racconto, ma trovo la sue realizzazione ancora un pochino debole dal punto di vista formale. Mi spiego: mano a mano che ho letto i vari racconti in gara, mi sono resa conto che in quasi tutti mancano i dialoghi. Prova a far fare il salto di qualità alla tua scrittura uscendo dal racconto "riferito" per passare al racconto "mostrato".
Un conto è dire "Una volta le avevano detto che sarebbe morta con gli occhi aperti. La signora Lilian era una strega dall’orribile sorriso sdentato, e le aveva detto che un giorno sarebbe diventata una persona estremamente coraggiosa." Un altro è dire:
"Morirai con gli occhi aperti" le disse una volta Lilian, attraverso il suo orribile sorriso sdentato. Di lei dicevano che era una strega.
Noti come il ritmo cambia? Come la seconda forma sia più credibile, abbia quasi più concretezza?
Ti hanno fatto già notare, mi pare, come sia poco credibile che la bambina fosse la prima a chiedere più tempo alla morte: difetto facile da correggere, ma non trascurare questi piccoli particolari che potrebbero togliere credibilità al racconto.
Spero di esserti stata utile, a rileggerti presto!
Alessandra
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