L'estasi del verme

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Kuranes
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L'estasi del verme

Messaggio#1 » domenica 19 novembre 2023, 23:59

Mentre quell’indiano del cazzo sputacchia le sue proteste - altri sei mesi sono inaccettabili, la raffineria doveva essere completata a Novembre, bla bla bla - Claudio resta impassibile. Controlla il respiro insieme alla stanza.
Le lampade al neon incastrate nel controsoffitto ronzano come mosche moribonde, esauste come tutti loro dopo cinque ore di riunione. Tutti tranne lui. Gambe lunghe accavallate nel tessuto blu elettrico del completo, mani giunte sulle ginocchia, la fronte ampia aggrottata in una derisione che può ancora spacciare per sorpresa. L’indiano ha perso la calma, e con quella anche la partita. Non vede l'ora di prendere quel collo flaccido tra le mani e stringere.
La carne sotto le dita è solo una metafora, ma l’immagine si fa vivida abbastanza da superare il muro del linguaggio e trasformarsi in una fantasia. Gli sembra già di sentire il rumore strozzato e umido del maiale che soffoca. Claudio si prepara a rispondere, e intanto incrocia di nuovo le gambe per nascondere un’erezione che lo ha colto di sorpresa.
L’eccitazione gli sequestra una parte del pensiero, e mentre la lingua risponde all’attacco con dati e argomenti, perizie tecniche e reciproche colpe e clausole di forza maggiore, il punto più nascosto al cuore della sua attenzione palpita all’unisono con il cuore, con il flusso di sangue e di pensieri febbrili. La negoziazione non è ancora finita ma è già un ricordo archiviato. Importa solo il dopo, adesso.
Alle sue spalle, oltre la grande finestra che occupa tutta la parete, si consuma un tramonto incolore. Il sole affonda in un velo di nebbia che nasconde la forma scura incastrata tra il cemento e l’acqua: parco moribondo declinante verso il fiume, piccola valle di squallore sovrastata dal cavalcavia della superstrada. È da lì che arriva l’erezione, lì che la notte vibra il suo richiamo. Lì che lo condurrà.

- Come è andata?
- Bene. Abbiamo chiuso a sei mesi di proroga, se rinunciamo agli extra costi di ingegneria sulla seconda torre di raffreddamento.
- Va bene. Tanto quelli erano perlopiù finti. Stasera hai programmi?
Oh sì, pensa Claudio. E perde la concentrazione, dall'altra parte la voce aggiunge qualcosa che lui non capisce. Impedisce al silenzio di depositarsi e risponde:
- Resterò in hotel a guardare un film. Domani voglio partire presto.
- Ok, a domani. Riposati. E ottimo lavoro.
Dopo aver riagganciato, apre il laptop e prepara una breve mail di riepilogo. La stanza d’albergo è al terzo piano e affaccia sul parcheggio dell’hotel, le luci sono spente ma a illuminarla ci pensano i lampioni all’esterno e il chiarore blu del computer. Quattro stelle immeritate all’uscita della tangenziale, arredamento anni novanta e corridoi a zig zag: un paradiso fuori dal tempo per fantasmi incravattati. Moquette blu, lenzuola croccanti, macchie ostili nascoste negli angoli e frigobar a rimborso spese. Cos’altro può desiderare un uomo il venerdì sera?
Digita, rilegge, preme invio. Poi si slaccia la cravatta, e semina tutti gli altri vestiti nel tragitto tra la scrivania e la doccia. Il bagno è nuovo, pieno di angoli, e l’acqua caldissima. Sotto il getto, dopo una breve indecisione, si masturba. Non serve a nulla: il desiderio gli resta addosso tale e quale a prima. Dev’essere forte, stavolta; più del solito.
Ha appena finito di preparare lo zaino quando qualcuno bussa alla porta.
- Claudio? Ci sei?
E tutto crolla. Lo stagista. Come ha potuto dimenticarsi dello stagista? L’inutile sacco d’ossa che lo ha affiancato per tutto il giorno, vent’anni in meno e due occhi spenti che non rendono più intelligente il suo perenne ghigno da ragazzino. Claudio lo ha osservato più volte durante il giorno, e non l’ha mai visto attento, se non forse verso la fine dell’incontro, quando comunque fissava lui invece che fare attenzione alle reazioni del cliente. Lo stagista al quale, in un attimo di fatale distrazione, ha accordato una birra al bar dell’hotel. Ah, merda. Be’, le apparenze sono importanti, pensa, e poi una birra non gli costerà molto. Prima di aprire la porta fa un bel respiro, indossa la Faccia, e si prepara a un paio d’ore di mediocrità. Non può sapere che saranno ben più di due.
Non può immaginare che saranno le ultime.

Il bar dell’hotel è deserto. Lo stagista insiste per pagare, ride, proteso in avanti sul bancone con un’urgenza che infastidisce Claudio, e gli vomita addosso un fiume di parole. Personali, per di più: le sue origini (miserabili), le sue ambizioni (meschine), quanto bene ha sentito parlare di Claudio in azienda, da quanto tempo desiderava affiancarlo… Sbrodolio inconsistente che lui sorseggia insieme alla birra, cenni cortesi e sorrisi di circostanza per affrettare la conclusione.
Lo chiamano “shadowing”, una pratica imposta da casa-madre che riassume tutto il ridicolo di un mondo corporate a stelle e strisce: affiancare un neofita a un esperto e non fargli fare nulla. Pensano che il mestiere si possa imparare per osmosi. Il moccioso ha ancora in bocca la sintassi di un Campopiano terza edizione e l’entusiasmo di chi non ha perso i capelli, ma d’altronde come altro dovrebbe crescere? Con le notti spese in ufficio davanti a infinite tabelle excel, a farsi sbocconcellare dalla frustrazione? Be’ e perché no? La mia ombramerda, decide Claudio. Da oggi tu sei la mia ombramerda. Poco importa. Ne ho mangiata tanta, mi mangerò anche te.
Claudio è in SertiTech da due anni; altri due per chiudere Hoscom Refinery, portarsi a casa il suo MBO, e poi tanti saluti. A pensarci potrebbe aver bisogno di qualcuno che si prenda la colpa delle bombe a orologeria sepolte sotto il tappeto (dalle valvole duali senza licenza all’assenza dei fascicoli ATEX in metà delle subforniture). Sarebbe una lezione preziosa, per lo stagista. La sua prima vera lezione di vita.
La birra è fredda, sembra non finire mai, e le chiacchiere con quell’idiota adesso sono quasi piacevoli. Nell’aria il canto di sirena inudibile a quasi tutti vibra basso e accogliente, promette a Claudio una soddisfazione che ormai ha scelto di posticipare. Delayed gratification, un piacere volontariamente rimandato.
Il bancone ha degli intarsi che dovrebbero essere foglie di faggio. Claudio passa un dito umido di condensa nei solchi del legno e ripensa ai suoi primi incontri, quando ancora era ragazzo, e scopriva le meraviglie del bosco. Una macchia di abeti grigi e dritti come soldati, ai confini della villetta unifamiliare dove si consumava la sua adolescenza di provincia.
La prima volta che ha sentito le voci aveva undici anni. Lo hanno guidato nel fitto del verde, gli hanno fatto scoprire di essere diverso da tutti gli altri: la magia esisteva fuori dai libri, nel piego dei tronchi, e ciò che gli mostrava era segreto e prezioso. Bello, soprattutto. Forme e colori invisibili a chiunque altro, espressione di un mondo oltre il mondo che prometteva un futuro all’altezza delle sue fantasie di ragazzino. Leggeva di fate e spiriti, ma già allora un qualche senso di inadeguatezza gli impediva di chiamarle in quel modo. E l’idea di confessare i suoi segreti agli adulti, cercare una qualche forma di comprensione, era impensabile. Così si limitava a chiamarle “loro”. E con loro spendeva ore, ascoltando i segreti e le promesse che gli bisbigliavano all’orecchio, immerso nel godimento infantile che per altri è associato all’odore di un dolce e che per lui è un tutt’uno con il rumore di rami spezzati, con la sensazione degli aghi di abete sulla pelle.
È tutto molto vago, però. Immerso nella luce soffusa di un ricordo idealizzato. E quando cerca di ricordare esattamente quali segreti gli rivelassero le voci, o quali forme avessero le creature, quale fosse la natura precisa di quell’altro mondo a cui accedeva… La memoria gli si nega.
Comunque non importa, perché la magia non è mai scomparsa. Claudio non ha mai smesso di sentire le voci. È dovuto crescere, certo. Cambiare. Ma le voci non lo hanno mai abbandonato, e con il tempo ha imparato a sentirle con persino maggior precisione. Ha imparato a ricavarne nuovi piaceri.
- E poi questo non è un posto qualunque, no? È un posto speciale. Magico.
Le ultime parole dello stagista assumono di colpo solidità. Claudio si ritrova quegli occhi stolidi piantati in faccia, il corpo del ragazzo incurvato verso di lui. Può sentire l’odore di birra nel suo alito. Di fronte a loro ci sono almeno otto bicchieri vuoti. Ma quanto tempo è passato?
- Cosa intendi?
- Lo sai cosa intendo. Lo sai benissimo. Hai addosso il loro odore. All’inizio mi sembrava assurdo, pensavo non ti lavassi. Ma poi oggi ti ho visto reagire, oggi, proprio mentre da fuori al tramonto ne arrivava una zaffata più forte… Dillo che sai di cosa parlo.
L’effetto che fanno quelle parole sul volto del ragazzo è straniante. Dovrebbero accenderlo di qualcosa, e invece resta la faccia idiota di sempre. Paonazza per l’alcool e vuota. Come se qualcos’altro parlasse attraverso di lui.
- Non so di cosa parli.
- E dai, cazzo. E quello zaino che ti sei portato dietro?
Il silenzio di Claudio sembra incoraggiarlo.
- Sono nel parco, vero? Il parco sotto al cavalcavia. Portami con te, in due sarà più facile. Il parco è grande. Sai quante nottate ho perso a inseguire l’ombra di un odore, finendo per ritrovarmi addosso a un barbone? Portami con te.
Quasi sbava, tanta è la concitazione con cui parla. Il gonfiore nei suoi pantaloni è evidente, e con quello scompare ogni dubbio circa la natura delle sue conoscenze - o delle sue intenzioni. È la prima volta che a Claudio capita di incontrare un altro esploratore di certe regioni liminali. È assurdo e ridicolo che sia proprio lo stagista.
La birra lo ha reso incauto, o forse è la scoperta di un consimile. L’urgenza che lo aveva momentaneamente abbandonato, e che adesso è tornata più forte di prima, e comanda ogni sua decisione.
- Non sento nessun odore. Le sento, però. Voglio dire, le sento… parlare.
- Lo sapevo, cazzo, lo sapevo. E da quan-
- Stai zitto, ora. Hai ragione, c’è un nido qui vicino. Vuoi andare?
La domanda è retorica. Certo che vuole andare. L’idiota si asciuga una goccia di saliva dalle labbra, e annuisce. Claudio gli poggia una mano sulla spalla, mette lo zaino in spalla, e lo spinge fuori, verso l’uscita. La notte che li accoglie è fredda, umida. Odora già di terra smossa.

Di zone come quella è pieno il mondo. Ampie pianure colonizzate dalla piccola e media industria, ogni zolla di terra trasformata in un piazzale di cemento su cui sorgono bassi capannoni e ciminiere, enormi parcheggi a fianco di strade provinciali che si intersecano all’infinito. Luoghi deserti, assurdi: i parcheggi sono sempre semivuoti, le strade a malapena frequentate. Eppure nell’aria il rumore dei cingoli non smette mai, l’odore metallico misto a quello di fertilizzanti suggerisce una vita frenetica al di là dei muri, dei cancelli. Una vita invisibile.
Il quartiere industriale, qui, sorge di fianco al fiume, insieme a un manipolo di villette a schiera dalle facciate scrostate. La curva ampia della tangenziale sovrasta il corso d’acqua, lo aggredisce per poi ritornare verso l’interno, immettendosi sulla provinciale. Claudio cammina sullo stretto marciapiede della strada, un lampione giallo ogni cento metri a illuminare lui e lo stagista. L’hotel è alle loro spalle. Insieme all’eccitazione prova un grande senso di pace, come sempre quando si trova in luoghi come quello.
Il quadrato industriale è alla loro sinistra. Il parallelepipedo a tre piani di una controllata della Shell dentro cui hanno passato il loro pomeriggio è nella strada immediatamente parallela. A quest’ora è buio, le luci al piano terra sono un alone appena intuito al di là del profilo di un altro edificio basso che potrebbe essere un magazzino.
Alla loro destra, oltre una spianata di cemento che ospita gli uffici di una cava abbandonata, scorre il fiume. È invisibile, anche se presto il cemento cederà spazio nuovamente alla terra. Le voci si sono fatte momentaneamente silenziose, ma non importa. Presto tornerà a sentirle.
Il parco compare improvvisamente, con violenza: è una macchia di buio più profonda di tutto il resto, a cui accede una strada a senso unico. Un furgoncino bianco, vecchio e sporco, è parcheggiato in uno degli stalli a spina di pesce, accanto a una BMW. Dentro alla macchina, un uomo seduto al sedile del guidatore alza lo sguardo dal cellulare e li fissa. Sono le tre di notte.
L’area verde si estende per quasi cinquecento metri in ogni direzione, e poi digrada verso il fiume, scendendo in una piccola valle sormontata dal cavalcavia della tangenziale a cui segue un’ulteriore pendio verso l’acqua. I pilastri di cemento che sorreggono la strada profilano l’orizzonte verso cui camminano i due uomini, spina dorsale di quella strana creatura. Impossibile dire quale follia urbanistica, quale miracolo, abbia permesso a un parco di esistere qui. Ma esiste, e tanto basta.
Mentre camminano sui sentieri di ghiaia, in cammino verso l’avvallamento, Claudio percepisce la sagoma scura di una persona a pochi metri da loro, in mezzo al prato. Dal lato opposto, con la coda dell’occhio, vede accendersi una brace. Ce ne saranno altri, ne è certo: adepti inconsapevoli di un culto senza nome, fedeli in preghiera tra le panchine di legno marcio. Li attira qui una natura corrotta, resa fertile dall’abbandono. Li attirano qui loro, gli araldi di un dio a cui è sacra ogni perversione. Messaggeri che a quei pochi, a quei soli, offrono la grazia di una comunione oltre ogni immaginazione.
O forse, più probabilmente, è il contrario: sono gli atti di fede commessi negli angoli scuri a far nascere le creature. Generate dall’incesto fra fumi industriali e sogni di carne, dalle vergogne inconfessabili mormorate tra le frasche, crescono grasse e invisibili. In attesa che quelli come Claudio le trovino.
Camminano sempre più veloci verso il pendio che digrada verso i piloni, l’entusiasmo di bambino dipinto sul ghigno che entrambi offrono al buio. Il parco dove Claudio ha consumato la sua infanzia, i segreti offerti dal bosco, sopravvivono nell’odore acre che ora inizia a sentire anche lui. Il nido è qui vicino, e loro hanno ricominciato a parlargli.
Claudio dice di udirle, ma è una descrizione inesatta, un’approssimazione che fino ad ora non aveva dovuto usare con altri che sé stesso: non sono parole, è una nota vibrante che si ripete irregolare, accompagnata nei silenzi intermittenti da un desiderio animalesco. Più si avvicina a un nido, più il punto d’origine del suono si fa indistinto, e la nota si trasforma in una vibrazione concentrata tra l’ombelico e l’inguine. Può sentirsela addosso. Presto, ormai.
La terra cede nuovamente il passo al cemento. Un lampione all’inizio della seconda discesa, dall’altra parte del pilone, illumina l’avvallamento. La luce ha il colore di urina malsana, che poi è anche l’odore che Claudio ha iniziato ad avvertire. È la prima volta che le creature irrompono oltre la barriere dell’olfatto. Rallenta il passo e si guarda intorno, cerca di ricomporsi.
- Ora stai calmo e vienimi dietro. Se ci notano troppo presto le perdiamo. Come fai tu, di solito?
Lo stagista ha lo sguardo fisso sul pilone.
- Seguo l’odore di piscio finché non le vedo.
- Non intendo come fai a trovarle. Come le consumi?
Il ragazzo lo guarda. Per la prima volta, nel suo sorriso si scorge un barlume di intelligenza.
- Ma io mica le consumo. Cazzo, eccolo. Il nido è lì.
Indica un punto poco distante, a ridosso del pilone: in quel punto il cemento si è spaccato, e l’umidità ha formato insieme alla terra una pozza di fanghiglia scura. Una pozza di fanghiglia scura nella quale si agita qualcosa.
Si avvicinano con il fiato sospeso. Basta un attimo perché Claudio capisca che quello è il nido più grande che abbia mai incontrato. Decine di corpi lucidi e flessuosi intrecciati gli uni agli altri, grandi ognuno quanto il suo avambraccio. Il colore è un rosa pallido, lucido della secrezione che li avvolge e che si raccoglie scintillante nelle pieghe degli anelli. Su tutta la superficie di ciascun corpo, una miriade di piccole bocche dentate sbavano, si aprono e chiudono lentamente, senza un ritmo apparente. Claudio si accorge che è rimasto a bocca aperta: in una oscena parodia delle creature, stava quasi per sbavare a sua volta.
- Cazzo. Cazzo. Sono enormi, non ne ho mai viste così grandi. Come le apro?
Con grande cautela, si toglie lo zaino dalle spalle e si inginocchia. La massa di vermi freme in un abbraccio dove ogni estremità è indistinguibile dall’altra. C’è una logica, in quella frenesia; un movimento che ora pare riorientarsi in una nuova direzione. Verso di loro.
- Di solito le apro perpendicolarmente… Ma queste… Queste le dobbiamo aprire… Longitudinalmente… E così grosse… Dobbiamo stare attenti alle bocche…
Mormora quelle istruzioni più a sé stesso che allo stagista, intanto che indossa i guanti in lattice e apre la lama del coltello. La sua attenzione è completamente assorbita nella preparazione del rito. Gli ci vuole tutta la sua forza di volontà per impedirsi di afferrare una creatura e leccarla. Calma, Claudio. Civile e ordinato. Dopo tanti anni, ha sviluppato un metodo, e non c’è motivo di tradirlo. Estrae il barattolo di vetro dove farà scolare il sangue trasparente delle creature, quello stesso liquido prezioso che avvolge i loro corpi ipnotici. Una volta, per amor di comparazione, Claudio ha provato l’eroina. Non ne è rimasto impressionato.
Potrei averne abbastanza per delle ore, pensa. E poi, con disappunto: il barattolo non è abbastanza grande. Che spreco. Chissà se lo stagista ha qualcosa con sé.
Lo stagista. Cos’è che ha detto, prima? Che lui non le consuma?
- Dì, ma cosa-
Di colpo, Claudio smette di respirare aria e con la bocca aperta inala qualcosa di solido. L’odore scompare. La plastica trasparente che gli avvolge la testa è come uno schermo di acqua increspata fra lui e il mondo. Attraverso quel velo, può vedere le forme sinuose delle creature strisciare fuori dal buco, velocissime. Scompaiono alle sue spalle, lì dove lo stagista sta stringendo il sacchetto contro la sua faccia. Il corpo del ragazzo è scosso da un fremito: sta ridendo.
- Merda, senti come si agitano, non ne ho mai trovate così forti. Cazzo, ce le ho tutte addosso. Scusa Claudio, ma se non l’hai mai fatto così, non sai cosa ti perdi… È la violenza, capisci, catalizza più del sesso… Infatti all’inizio pensavo che volessi scopare… Il più delle volte basta quello. Quando poi ti ho visto tirare fuori quel coltello, ho capito… A quel punto era una scelta obbligata. Siamo in un tempio, capisci? Siamo di fronte a un altare. È una cosa sacra, questa, va rispettata. Una benedizione a cui abbandonarsi, non un… Cristo, sì… Non un frutto da rubare. Sei fortunato… Ne sta venendo una da te. Un regalo, prima di finire.
L’ultima cosa che Claudio sente è un corpo umido e freddo che gli striscia nel colletto della camicia, sul petto, intorno all’ombelico. Le piccole bocche lo mordono dappertutto, e al suo sangue mischiano il fluido benedetto. La creatura gli si infila nelle mutande mentre le sue sinapsi friggono come lampadine, mentre gli ultimi secondi si fanno eterni e tutto scompare in un lago di piacere. Fa in tempo a pentirsi della propria blasfemia: come ha mai potuto pensare di far loro del male? Adesso non importa, comunque. Non importa più nulla.
Ringrazia lo stagista mentre precipita nel buio, e a quel buio offre con gioia la sua vita: prima vissuta, poi consumata, e infine redenta nell’estasi del verme.



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EnricoCastellano
Messaggi: 7

Re: L'estasi del verme

Messaggio#2 » sabato 9 dicembre 2023, 20:23

Ho avuto serie difficoltà a stare dietro a tutto e non ti nascondo che ho saltato parti mentre lo leggevo.

Punti forte: immagini interessanti.
Punti di debolezza. Narratore onnisciente. Non mi ha trascinato dentro. Descrizioni mal riuscite seppure le immagini sarebbero potute essere interessati.
Da migliorare: Lo stile sicuramente.

Helima
Messaggi: 3

Re: L'estasi del verme

Messaggio#3 » domenica 14 gennaio 2024, 16:59

Ciao,
ecco il mio feedback sul tuo racconto.
Punti di forza:
- Alcune immagini mi sono piaciute: "Le lampade al neon incastrate nel controsoffitto ronzano come mosche moribonde", "per fantasmi incravattati", "lenzuola croccanti"
- Lo stagista che si rivela diverso da come lo si è presentato all'inizio, per me, funziona. Anche se probabilmente non c'è nulla di nuovo in un personaggio che sembra avere un basso profilo e poi assume un ruolo determinante nella storia, trovo che ci stia bene.
Punti di debolezza:
- Le descrizioni dell'ambiente sono un po' lunghe e complesse.
- In molti punti mi sono persa e non ho capito bene a chi si riferisse la frase o cosa stesse accadendo.
- La narrazione è onnisciente, spesso il narratore si intromette in maniera evidente. Molte parti sembrano inserite a beneficio del lettore e non perché il protagonista ha effettivamente quel pensiero in quel momento e soprattutto quel pensiero così lungo ed espresso in certi termini.
Da migliorare:
- La focalizzazione della narrazione
- Le descrizioni
- Rendere chiare le parti che per l'autore (che conosce tutto) sono ben espresse ma per una persona alla prima lettura risultano poco comprensibili. Credo che volessi inserire nella narrazione della riunione, che rappresenta la facciata, la quotidianità, alcune tracce e indizi sulla parte oscura della sua vita che poi è oggetto del racconto. Probabilmente devi trovare modi diversi e più chiari per farlo, anche se immagino sia difficile dire senza dire per mantenere la sorpresa alla fine.

Qualche esempio delle parti che credo vadano migliorate:
- "Non vede l'ora di prendere quel collo flaccido tra le mani e stringere."
Chi è il soggetto? L'indiano, che è il soggetto grammaticale della frase precedente, oppure Claudio?
(poi si capirà che è Claudio ma non è scontato)
- "La carne sotto le dita è solo una metafora, ma l’immagine si fa vivida abbastanza da superare il muro del linguaggio e trasformarsi in una fantasia."
Ad una prima lettura ho pensato: non è una metafora la carne sotto le dita, se strozzi qualcuno hai carne sotto le dita.
Ad una seconda lettura ho interpretato: forse lui pensa all'atto di strozzare, quindi alla carne (del collo) sotto le dita e ciò gli ricorda le creature che vedremo alla fine, ma non è chiaro per niente. IL periodo è troppo complesso e astratto, devi arrivare alla fine della storia per capirlo.
- "Gli sembra già di sentire il rumore strozzato e umido del maiale che soffoca."
Non riesco a figurarmi un rumore "umido" di maiale/persona strozzata, salvo ricollegarlo ai vermi che si muovono poi nella storia ma che a questo punto non sono ancora apparsi e quindi non c'entrano nulla.
-"Importa solo il dopo, adesso."
Qui è solo gusto personale ma non mi piace l'accostamento dopo-adesso perché sembra un gioco di parole e significato, quasi una battuta.
- "- Come è andata?[...] Dopo aver riagganciato, apre il laptop"
Per tutto il dialogo ho immaginato ci fosse qualcuno nella stanza e aspettato di scoprire chi fosse. Al "riagganciato" ho capito che era al telefono. A mio avviso andrebbe specificato prima che è al telefono.
- "Il bagno è nuovo, pieno di angoli"
Intendi che è piccolo e quindi pieno di angoli dovuti alla presenza dei sanitari? Non ho capito...
-"Prima di aprire la porta fa un bel respiro, indossa la Faccia, e si prepara a un paio d’ore di mediocrità."
Perchè la faccia è maiuscolo? Scritto così mi viene da pensare che la faccia possa essere un oggetto particolare oppure che Claudio non sia umano e che indossi una faccia che nasconde la sua identità. Non credo sia però la tua intenzione.
-"Non può sapere che saranno ben più di due.
Non può immaginare che saranno le ultime."
Questa è una intromissione fortissima del narratore onnisciente e ce ne sono altre.
-"La birra è fredda, sembra non finire mai"
Io non sono una gran bevitrice ma so che alla maggior parte delle persone la birra piace fredda o comunque fresca, nella storia, in quel momento, il protagonista credo si annoi e infastidisca, ma la birra fredda in che modo aggiunge a questa sensazione?
-"un’ulteriore pendio verso "
è scappato l'apostrofo che non ci va perché pendio è maschile

Spero di essere stata utile.

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