Nebbia
Nebbia
Nebbia
«Nebbia…»
Sto riempiendo la mia borraccia, posizione scomoda. Ho puntato i piedi in modo da tenerli fuori dal terriccio umido che circonda la fonte e sono piegato verso il rivolo d’acqua che spruzza tra le rocce. Mi giro verso la voce e vedo due infradito e pelle nera. «Ma che cazz…!» Perdo l’equilibrio e sono costretto a puntare lo scarpone destro nel fango per non cadere.
«Io… Scusa!»
Raccolgo la borraccia, infilo una mano in tasca per assicurarmi che il serramanico che mi porto dietro per gli incontri sgraditi, tipo lupi o cinghiali o qualunque cosa che non abbia mai incontrato, sia ancora lì e mi seggo su un cumulo di pietre rialzato il giusto da permettermi una posizione di vantaggio. «Sì, beh, non hai fatto niente, sono io che sono scivolato», dico.
Lui sorride e si fa avanti verso la fonte, si piega e si sporge per bere direttamente, non ha con sè una borraccia e neppure uno zaino, per non parlare delle infradito che, beh, su un sentiero di montagna non sono commentabili. Mai visto un nero per andare alla punta, se si esclude quel mio amico con cui gioco a basket. Questo, però, non l’ho mai visto.
«Sono uno della…» sembra cercare la parola «…casa.»
«Intendi quella dove stanno i rifugiati?»
«Sì, quella!» Sorride.
Confermo, non l’ho mai visto, però devo ammettere che sono un po’ tutti uguali e che neppure c’è mai stato tempo per conoscerli: al mattino in fila verso la stazione dei pullman e la sera di nuovo, verso casa. E durante il giorno anche, avanti e indietro, avanti e indietro, verso la città e ritorno.
«Nebbia!» Mi guarda e fa segno con la mano tutto intorno.
«Eh sì» rispondo «C’è sempre su di qua, ma poi passa.»
«Punta vicina?»
«No, manca ancora un pezzo» rispondo di nuovo «Ma sei venuto senza niente?» mi guarda senza capire «Intendo cibo, panini, mangiare o anche solo una maglia nel caso faccia freddo?»
«Ah ok! No no!» fa segno di no con la mano e intanto sorride.
«Beh, venire su di qua senza un minimo di equipaggiamento non è una grande idea, lo sai?»
«Eh sì, sì!» accenna di sì con il volto «Ma io no punta!»
«Solo un giretto? Ti sei spinto un bel po’ su, ragazzo! Se non ci fosse la nebbia vedresti che siamo già belli alti!»
«Io cerca la ultima…» Cerca la parola «… Grangia!»
«L’ultima grangia?»
«Sì! L’ultima prima di vetta!»
«E che ci vai a fare? Non ti interessa arrivare su in punta e guardare il panorama? Da là vedi il Parco Nazionale del Gran Paradiso, sai?»
«Bello! Bello! Ma altra volta! Tu sa dove ultima grangia?»
«Te la sei persa nella nebbia, sta più giù, ragazzo!»
«Oh… Male!» per un attimo lo vedo offuscarsi, poi torna il sorriso e mi guarda «Non comode queste qua!» e indica le sue infradito.
«Eh beh! No che non sono comode! Ma che ci vai a fare a quella grangia? Ormai è abbandonata anche dagli ultimi pastori, non ce le portano fin lì le vacche!»
Mi guarda, non credo abbia afferrato tutto il senso dell’ultima mia frase, ma lo vedo concentrarsi.
«Tu scusa, no parlo bene italiano ancora e rompo regole di lingua…»
«Vai tranquillo!» Gli rispondo con un sorriso che credo appaia di accondiscendenza.
«Io parla spagnolo, inglese, arabo e mia lingua, ma italiano difficile!»
Sorrido, forse meglio glissare sul fatto che io parlo proprio solo quello. Lui continua.
«Saputo da anziano di paese di battaglia dell’ultima grangia, durante vostra resistenza» non lo sapevo ci fosse stata una battaglia «e così volevo vedere posto, sentire…» cerca la parola «…atmosfera».
«Ma dici che si sono combattuti proprio lì? Da chi l’hai saputo, scusa?»
«Da signore con cui fatto viaggio in pullman fino Torino»
In breve, mi racconta di come i partigiani si fossero asserragliati nella grangia con i tedeschi che attaccavano dal basso, un coacervo di urla e di strazi, dall’una e dall’altra parte, con diversi giovani che lasciarono le loro vite proprio lì, ai bordi di quel sentiero che per tanti anni ho percorso inconsapevolmente per andare verso la vetta a rimirare il panorama.
«Nebbia via, non trovi?» Mi dice alla fine, anche se non è vero. O forse è vero, dipende dai punti di vista.
Fatto sta che incominciamo a scendere insieme verso l’ultima grangia mentre lui mi spiega della specializzazione in tornitura che ha preso frequentando un corso in città e di come sia difficile trovare lavoro oggi in Italia.
«Nebbia…»
Sto riempiendo la mia borraccia, posizione scomoda. Ho puntato i piedi in modo da tenerli fuori dal terriccio umido che circonda la fonte e sono piegato verso il rivolo d’acqua che spruzza tra le rocce. Mi giro verso la voce e vedo due infradito e pelle nera. «Ma che cazz…!» Perdo l’equilibrio e sono costretto a puntare lo scarpone destro nel fango per non cadere.
«Io… Scusa!»
Raccolgo la borraccia, infilo una mano in tasca per assicurarmi che il serramanico che mi porto dietro per gli incontri sgraditi, tipo lupi o cinghiali o qualunque cosa che non abbia mai incontrato, sia ancora lì e mi seggo su un cumulo di pietre rialzato il giusto da permettermi una posizione di vantaggio. «Sì, beh, non hai fatto niente, sono io che sono scivolato», dico.
Lui sorride e si fa avanti verso la fonte, si piega e si sporge per bere direttamente, non ha con sè una borraccia e neppure uno zaino, per non parlare delle infradito che, beh, su un sentiero di montagna non sono commentabili. Mai visto un nero per andare alla punta, se si esclude quel mio amico con cui gioco a basket. Questo, però, non l’ho mai visto.
«Sono uno della…» sembra cercare la parola «…casa.»
«Intendi quella dove stanno i rifugiati?»
«Sì, quella!» Sorride.
Confermo, non l’ho mai visto, però devo ammettere che sono un po’ tutti uguali e che neppure c’è mai stato tempo per conoscerli: al mattino in fila verso la stazione dei pullman e la sera di nuovo, verso casa. E durante il giorno anche, avanti e indietro, avanti e indietro, verso la città e ritorno.
«Nebbia!» Mi guarda e fa segno con la mano tutto intorno.
«Eh sì» rispondo «C’è sempre su di qua, ma poi passa.»
«Punta vicina?»
«No, manca ancora un pezzo» rispondo di nuovo «Ma sei venuto senza niente?» mi guarda senza capire «Intendo cibo, panini, mangiare o anche solo una maglia nel caso faccia freddo?»
«Ah ok! No no!» fa segno di no con la mano e intanto sorride.
«Beh, venire su di qua senza un minimo di equipaggiamento non è una grande idea, lo sai?»
«Eh sì, sì!» accenna di sì con il volto «Ma io no punta!»
«Solo un giretto? Ti sei spinto un bel po’ su, ragazzo! Se non ci fosse la nebbia vedresti che siamo già belli alti!»
«Io cerca la ultima…» Cerca la parola «… Grangia!»
«L’ultima grangia?»
«Sì! L’ultima prima di vetta!»
«E che ci vai a fare? Non ti interessa arrivare su in punta e guardare il panorama? Da là vedi il Parco Nazionale del Gran Paradiso, sai?»
«Bello! Bello! Ma altra volta! Tu sa dove ultima grangia?»
«Te la sei persa nella nebbia, sta più giù, ragazzo!»
«Oh… Male!» per un attimo lo vedo offuscarsi, poi torna il sorriso e mi guarda «Non comode queste qua!» e indica le sue infradito.
«Eh beh! No che non sono comode! Ma che ci vai a fare a quella grangia? Ormai è abbandonata anche dagli ultimi pastori, non ce le portano fin lì le vacche!»
Mi guarda, non credo abbia afferrato tutto il senso dell’ultima mia frase, ma lo vedo concentrarsi.
«Tu scusa, no parlo bene italiano ancora e rompo regole di lingua…»
«Vai tranquillo!» Gli rispondo con un sorriso che credo appaia di accondiscendenza.
«Io parla spagnolo, inglese, arabo e mia lingua, ma italiano difficile!»
Sorrido, forse meglio glissare sul fatto che io parlo proprio solo quello. Lui continua.
«Saputo da anziano di paese di battaglia dell’ultima grangia, durante vostra resistenza» non lo sapevo ci fosse stata una battaglia «e così volevo vedere posto, sentire…» cerca la parola «…atmosfera».
«Ma dici che si sono combattuti proprio lì? Da chi l’hai saputo, scusa?»
«Da signore con cui fatto viaggio in pullman fino Torino»
In breve, mi racconta di come i partigiani si fossero asserragliati nella grangia con i tedeschi che attaccavano dal basso, un coacervo di urla e di strazi, dall’una e dall’altra parte, con diversi giovani che lasciarono le loro vite proprio lì, ai bordi di quel sentiero che per tanti anni ho percorso inconsapevolmente per andare verso la vetta a rimirare il panorama.
«Nebbia via, non trovi?» Mi dice alla fine, anche se non è vero. O forse è vero, dipende dai punti di vista.
Fatto sta che incominciamo a scendere insieme verso l’ultima grangia mentre lui mi spiega della specializzazione in tornitura che ha preso frequentando un corso in città e di come sia difficile trovare lavoro oggi in Italia.
Re: Nebbia
Non avrei voluto postare, mi sono incartato troppo presto e mi rendo sempre più conto che st'affare di gestire i racconti che vengono postati mi porta ad alzare bandiera bianca proprio in quel momento in cui rendo di più, cioè quando viene a mancare il tempo. Pertanto ho smesso di scrivere alle 00.30. Perché ho postato? Perché sul primo punto ci sono e forse anche sull'ultimo, anche se al pelo. Il secondo l'ho infilato a forza prima di inviare. In verità volevo parlare Old Schnapps bottle, una storia raccontatami da un ghanese che viene spesso nel mio negozio. Riprenderò il racconto e lo integrerò, nel frattempo mi prendo i vostri commenti in modo da poterlo già cominciare a sistemare. Grazie a tutti.
- Emiliano Maramonte
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Re: Nebbia
Ciao!
Hai praticamente lavorato "zavorrato" ed effettivamente il racconto è monco. Però non è proprio malvagio, nel senso che mi hanno affascinato i panorami, la montagna (amo la montagna, e purtroppo non sono mai stato sulle Alpi...) e mi è piaciuto il tema sociale, più che mai attuale. Interessante il confronto tra l'italiano e il nero e intelligente l'idea di far raccontare allo straniero un episodio della nostra storia che l'italiano non conosce affatto! Un bel paradosso che dovrebbe farci riflettere sul modo in cui vediamo l'altro e il modo in cui lo accogliamo.
Tecnicamente funziona abbastanza bene, anche se ci sono molti refusi, imperfezioni, anche grammaticali, ma considerate le condizioni avverse in cui hai scritto e le modalità del contest, il tutto è perdonabile.
Ti faccio notare che la padronanza dell'italiano da parte del nero è altalenante: a volte sembra che non sappia spiccicare neanche una parola e verso la fine parla molto bene. Da controllare questo aspetto.
Un voto? Un 5 e mezzo.
In bocca al lupo!
Emiliano.
Hai praticamente lavorato "zavorrato" ed effettivamente il racconto è monco. Però non è proprio malvagio, nel senso che mi hanno affascinato i panorami, la montagna (amo la montagna, e purtroppo non sono mai stato sulle Alpi...) e mi è piaciuto il tema sociale, più che mai attuale. Interessante il confronto tra l'italiano e il nero e intelligente l'idea di far raccontare allo straniero un episodio della nostra storia che l'italiano non conosce affatto! Un bel paradosso che dovrebbe farci riflettere sul modo in cui vediamo l'altro e il modo in cui lo accogliamo.
Tecnicamente funziona abbastanza bene, anche se ci sono molti refusi, imperfezioni, anche grammaticali, ma considerate le condizioni avverse in cui hai scritto e le modalità del contest, il tutto è perdonabile.
Ti faccio notare che la padronanza dell'italiano da parte del nero è altalenante: a volte sembra che non sappia spiccicare neanche una parola e verso la fine parla molto bene. Da controllare questo aspetto.
Un voto? Un 5 e mezzo.
In bocca al lupo!
Emiliano.
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Re: Nebbia
Ciao,
buon racconto in cui il nero parlava diverse lingue, ma non l'italiano, e cerca comunque di comunicare e farsi capire, anche quando dà lezioni di storia italiana all'italiano ignaro di ciò che era successo. Buono il cliché del nero con le infradito, anche se forse è stato un po' forzato in questo contesto, la montagna. Senza pecche invece i dialoghi, che danno la perfetta sfumatura aggiuntiva dei due personaggi.
buon racconto in cui il nero parlava diverse lingue, ma non l'italiano, e cerca comunque di comunicare e farsi capire, anche quando dà lezioni di storia italiana all'italiano ignaro di ciò che era successo. Buono il cliché del nero con le infradito, anche se forse è stato un po' forzato in questo contesto, la montagna. Senza pecche invece i dialoghi, che danno la perfetta sfumatura aggiuntiva dei due personaggi.
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Re: Nebbia
Ciao Maurizio,
Sono molto incerta su come valutare il tuo racconto. Da una parte, il racconto in sé mi è piaciuto molto, sia come stile che per l'idea che ci sta dietro. Dall'altra, c'è qualche problema con le specifiche.
Come prima cosa, persone sconosciute si dovevano incontrare in un luogo sconosciuto, cosa che per il protagonista non è vera. Poi,le regole. Qualcuno doveva infrangere una regola non senza conseguenze, mentre il fatto che il ragazzo nero non rispetti quelle della lingua italiana di conseguenza non ne ha nessuna. (Piccolo appunto su questo aspetto: toglierei il fatto che il tizio sa inglese e spagnolo, altrimenti è strano che non le mischi almeno un po' con il suo italiano rudimentale). Infine, nessuno è costretto a dire nessuna bugia,c'è solo qualcuno che dice qualcosa probabilmente intendendolo in senso non letterale.
Insomma, capisco la difficoltà dell'edizione, ma scrivere un bel racconto prendendo così di striscio le specifiche è a mio parere semplificarsi troppo la vita rispetto a chi si è impegnato per starci dentro a pieno. Lo so che non l'hai fatto per disprezzo delle specifiche, solo che non riuscendo a conciliare le cose hai preferito dare la priorità alla storia che avevi in testa, ma dovrò comunque penalizzare il tuo racconto in fase di classifica per quest'aspetto.
Sono molto incerta su come valutare il tuo racconto. Da una parte, il racconto in sé mi è piaciuto molto, sia come stile che per l'idea che ci sta dietro. Dall'altra, c'è qualche problema con le specifiche.
Come prima cosa, persone sconosciute si dovevano incontrare in un luogo sconosciuto, cosa che per il protagonista non è vera. Poi,le regole. Qualcuno doveva infrangere una regola non senza conseguenze, mentre il fatto che il ragazzo nero non rispetti quelle della lingua italiana di conseguenza non ne ha nessuna. (Piccolo appunto su questo aspetto: toglierei il fatto che il tizio sa inglese e spagnolo, altrimenti è strano che non le mischi almeno un po' con il suo italiano rudimentale). Infine, nessuno è costretto a dire nessuna bugia,c'è solo qualcuno che dice qualcosa probabilmente intendendolo in senso non letterale.
Insomma, capisco la difficoltà dell'edizione, ma scrivere un bel racconto prendendo così di striscio le specifiche è a mio parere semplificarsi troppo la vita rispetto a chi si è impegnato per starci dentro a pieno. Lo so che non l'hai fatto per disprezzo delle specifiche, solo che non riuscendo a conciliare le cose hai preferito dare la priorità alla storia che avevi in testa, ma dovrò comunque penalizzare il tuo racconto in fase di classifica per quest'aspetto.
Re: Nebbia
Mi capita talvolta di scrivere dei racconti con una storia che non ha uno scopo, una trama, una fine. Sono come dei brevi filmati di vita. Ovviamente è uno scorcio che scelgo io, con un motivo, con un'intenzione precisa. Ma ogni volta che lo faccio mi dico: questa roba non piacerà. Questo tuo racconto, o spezzone, o semilavorato, mi ricorda proprio questo genere di storie mie. Una in particolare che ho scritto e non ancora mandato in giro è davvero simile, c'è un incontro con un immigrato, qualcosa così. Credo che nascano entrambi dai tempi, e dal nostro sentire. Se devo guardare alla regola dell'edizione mi pare che non ci siamo molto. Vedo qualcosa sulla prima, poco e niente delle altre due parti. Per quanto mi riguarda, per ciò che ho detto prima, a me non dispiace l'idea di racconti di questo tipo. Atmosfera, pensieri, un incontro, riflessioni che nascono da questo, vite che deviano impercettibilmente a causa di questo, futuro lasciato alla fantasia del lettore. Qui però devi lavorarci un po', lo scheletro e la carne ci sono, vestili un po' di più.
- Andrea Partiti
- Messaggi: 1047
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Re: Nebbia
Il tema è appena sfiorato. A volte va bene, ma questa edizione mi sembrava molto più guidata ed è come se fosse più necessario rispettare le specifiche in maniera diretta.
La storia che racconti mi piace, è una bella scena con delle atmosfere credibili. Il dialogo ha bisogno di essere modificato in maniera pesante per essere credibile. Intuisco che cerchi di dare al tuo protagonista un tono molto aperto e curioso, senza ostilità, eppure lo percepisco come estremamente condiscendente, con quel tono che hanno le persone anziane che parlano ai neri trattandoli come bambini e non come pari. Condiscendente nei messaggi eppure senza neppure uno sforzo per semplificare le sue frasi, e questo diventa automaticamente ostile. Se era quella l'idea che volevi dare, perfetto! Ma da altri dettagli pensavo volessi mostrare un dialogo completamente alla pari, con un rifugiato che mostra il suo lato umano e curioso, non definito dall'essere un rifugiato ma con altre sfumature.
Si sente che hai chiuso di fretta il racconto per via di quel "mi racconta di come i partigiani si fossero asserragliati nella grangia con i tedeschi che attaccavano dal basso, un coacervo di urla e di strazi, dall’una e dall’altra parte, con diversi giovani che lasciarono le loro vite proprio lì", perché tentare di ricostruire con uno stile coerente con il tuo racconto la descrizione del "coacervo di urla e strazi" proprio non ce l'ho fatta :D Era una dinamica troppo complicata da descrivere rapidamente e con un vocabolario limitato, secondo me.
La storia che racconti mi piace, è una bella scena con delle atmosfere credibili. Il dialogo ha bisogno di essere modificato in maniera pesante per essere credibile. Intuisco che cerchi di dare al tuo protagonista un tono molto aperto e curioso, senza ostilità, eppure lo percepisco come estremamente condiscendente, con quel tono che hanno le persone anziane che parlano ai neri trattandoli come bambini e non come pari. Condiscendente nei messaggi eppure senza neppure uno sforzo per semplificare le sue frasi, e questo diventa automaticamente ostile. Se era quella l'idea che volevi dare, perfetto! Ma da altri dettagli pensavo volessi mostrare un dialogo completamente alla pari, con un rifugiato che mostra il suo lato umano e curioso, non definito dall'essere un rifugiato ma con altre sfumature.
Si sente che hai chiuso di fretta il racconto per via di quel "mi racconta di come i partigiani si fossero asserragliati nella grangia con i tedeschi che attaccavano dal basso, un coacervo di urla e di strazi, dall’una e dall’altra parte, con diversi giovani che lasciarono le loro vite proprio lì", perché tentare di ricostruire con uno stile coerente con il tuo racconto la descrizione del "coacervo di urla e strazi" proprio non ce l'ho fatta :D Era una dinamica troppo complicata da descrivere rapidamente e con un vocabolario limitato, secondo me.
Re: Nebbia
In una edizione in cui il "fantastico" ha preso il sopravvento questo racconto controcorrente e pieno di realtà mi ha molto colpito. Bellissimo il passaggio in cui lo straniero da "ostile" diventa cicerone di quel tipo di cultura vernacolare che noi stiamo perdendo (scritto malissimo ma penso che si capisca cosa intendo). Bella prova!
#AbbassoIlTerzoPuntino #NonSmerigliateLeBalle
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!
#LicenzaPoeticaGrammatica
Adoro le critiche, ma -ve prego!- che siano costruttive!!
- diego.martelli
- Messaggi: 133
Re: Nebbia
Piacevole il quadretto di bella umanità rappresentato, e la prosa scorre facilmente. Credo che il pregio del racconto stia tutto nella poesia degli eventi, nella diffidenza che diviene ammirazione nel protagonista e di riflesso nel lettore. Credo manchi però qualcosa, forse una maggiore ricerca di immagini e suoni che rendano ancora più potente la poesia evocata, o forse una trovata che legasse maggiormente il protagonista alla ricerca dell'altro.
Re: Nebbia
Racconto carino, come il rovescio del paradigma con il nero che conosce diverse lingue, al contrario dell’italiano che ne conosce solo una, ed è il nero che spiega la storia del posto all’indigeno. Mi sono piaciuti i dialoghi. Nel finale mi aspettavo che il nero dicesse di frequentare ingegneria, e che il protagonista fosse tornitore. Ma come lo hai scritto tu in effetti risulta più credibile.
- Linda De Santi
- Messaggi: 497
Re: Nebbia
Ciao Maurizio! Non ho molto da dirti che non sia già stato detto da altri partecipanti: i temi dell’edizione sono appena sfiorati e non hanno un reale impatto sullo svolgersi della vicenda. Peccato, perché il tuo racconto mi è piaciuto molto: affronti un tema di grandissima attualità senza mettere in mezzo tragicità o retorica come fanno tanti, ma raccontando invece un incontro tra un migrante e un italiano sullo sfondo di uno scenario in cui in passato si è combattuta una battaglia tra razzisti e antirazzisti (il passato di cui nessuno si ricorda, o a cui nessuno dà peso). Ho però l’impressione che il tutto risulti, in qualche modo, un po’ fine a sé stesso: come già detto da Mario, vanno spinti ulteriormente i temi legati all’incontro con la diversità e alla riflessione che questa innesca.
Nel finale mi sembra difficile che il nero, con il suo italiano stentato, riesca a raccontare di partigiani, di tedeschi, di asserragliamenti e di attacchi in montagna: è una storia che richiede una terminologia piuttosto specifica.
Insomma, un buon racconto con qualche imperfezione e che purtroppo ha poca aderenza ai temi, ma l’ho apprezzato per tanti motivi. Se ne scriverai una nuova versione, non vedo l’ora di leggerla!
Nel finale mi sembra difficile che il nero, con il suo italiano stentato, riesca a raccontare di partigiani, di tedeschi, di asserragliamenti e di attacchi in montagna: è una storia che richiede una terminologia piuttosto specifica.
Insomma, un buon racconto con qualche imperfezione e che purtroppo ha poca aderenza ai temi, ma l’ho apprezzato per tanti motivi. Se ne scriverai una nuova versione, non vedo l’ora di leggerla!
Re: Nebbia
Scorcio di vita quotidiana. Bel racconto, molto interessante il tema e la scelta dello stile.
Interessante l'idea di rendere i contrasti usando tutti gli elementi possibili, i vestiti, l'attrezzatura, la lingua, la storia e tutto il non detto che sta dietro.
Il panorama è reso molto bene ma io non faccio testo perché lo conosco molto bene e con me hai gioco facile.
Sai già che il racconto è monco e in effetti è come se mancasse qualcosa, come una fotografia con un angolo sfocato. Nulla che non si possa aggiustare facilmente questo sì ma ora manca.
L'appunto principale che invece faccio è sui temi della sfida. Non li vedo se non molto di sfuggita e con difficoltà. È vero che i due non si conoscono ma il narratore conosce molto bene il posto e anche il secondo personaggio sa bene dove vuole andare. Non vedo il secondo se non solo di sfuggita, infrangere le regole della lingua, in quel contesto, non porta conseguenze. E anche il terzo punto è poco presente, la bugia si fa fatica a trovarla.
Interessante l'idea di rendere i contrasti usando tutti gli elementi possibili, i vestiti, l'attrezzatura, la lingua, la storia e tutto il non detto che sta dietro.
Il panorama è reso molto bene ma io non faccio testo perché lo conosco molto bene e con me hai gioco facile.
Sai già che il racconto è monco e in effetti è come se mancasse qualcosa, come una fotografia con un angolo sfocato. Nulla che non si possa aggiustare facilmente questo sì ma ora manca.
L'appunto principale che invece faccio è sui temi della sfida. Non li vedo se non molto di sfuggita e con difficoltà. È vero che i due non si conoscono ma il narratore conosce molto bene il posto e anche il secondo personaggio sa bene dove vuole andare. Non vedo il secondo se non solo di sfuggita, infrangere le regole della lingua, in quel contesto, non porta conseguenze. E anche il terzo punto è poco presente, la bugia si fa fatica a trovarla.
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