L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Iddu lo chiamavano da quelle parti, e sarebbe stato il guardiano della sua prigione per l’eternità.
Era un sabato mattina e lo Stromboli si ergeva dominante sull’isola alla quale Luca, seduto in cabina di comando tra due ufficiali della Polizia Penitenziaria, stava andando incontro.
Da un paio d’ore almeno il traghetto sobbalzava sulle acque al largo di Tropea con a bordo, a detta del capitano, un’altra dozzina di esiliati. «Le tasse sono una condanna» era sempre stato il mantra di suo padre. Ora lo sarebbero state per lui, letteralmente.
«Come ve lo devo ripetere, c’è stato uno scambio di persona!» più Luca si agitava, più quella maledetta camicia di forza lo costringeva. Esistevano ancora?
«Tutti i’ stessi sugnu. Nenti ficeru.»
«Non capisco nemmeno il dialetto, parlate arabo per me. Non sono io Pino u’cangiafaccia, mi chiamo Luca, son di Verderio cazzo!»
«Sì, Lucazzu! Va cuntala a ‘ncun atru vah.» Ridevano, quei bastardi.
Maledetto il giorno in cui era sceso per conoscere i parenti di Caterina. Anni insieme tranquilli al nord ed erano bastati tre giorni alla casa al mare a Zambrone per rovinargli la vita. Non sapeva quando e come fosse entrato in contatto con questo Pino, fatto sta che era stato identificato al suo posto da un ritrattista ambulante della zona. Vallo a spiegare agli aguzzini di Equitalia che non aveva alcun potere se non quello di assorbire le sfighe degli altri toccandoli. Che scusa del cazzo doveva essere sembrata.
Le tasse per un potere come quello di Pinu u’cangiafaccia o come cavolo lo chiamavano erano un costo insostenibile per lui, quindi… Stromboli. Esiliato a Stromboli come gli altri dodici passeggeri, ma isolato, senza contatti visivi e con una guardia dedicata. Avevano paura di confonderlo con gli altri forse? Secondo le autorità in effetti doveva essere una sorta di camaleonte. Bel sabato di merda.
«Moviti. Ca avimu u scindimu atri dudici cristiani appressu i tia.»
«Eh?! Non vi capisco, non so più come dirvelo!»
«Ancora sta strunzata ca nu ‘ndi capisci. Te ne devi scendere!» Che accento ridicolo, quasi li preferiva quando parlavano in dialetto stretto.
Un poliziotto lo spinse sul molo e al primo passo Luca pestò una merda. Te pareva, poteva infilarsele nel culo quelle cazzo di mani.
Lo liberarono dalla camicia di forza, la seconda carica di sfiga era compresa nel prezzo.
«Mo vattin’ ca l’atri stannu aspettandu.»
Era libero, forse. Stromboli era ridotta a un cazzo di ghetto e da quel che sapeva diversi gruppi poco raccomandabili si contendevano il potere. Sarebbe stata dura cavarsela restando isolato come aveva in mente di fare. L’unico modo per essere riabilitato consisteva nell’accumulare abbastanza denaro per pagare i suoi debiti con le tasse, una mission impossible, ma forse era meglio così per tutti, soprattutto per Caterina. Avrebbe sofferto, sì, ma alla lunga sarebbe stato meglio per lei non vivere con a fianco un concentrato di sfighe.
«Pinu! Chi facc’ i ‘merda c’hai!» un uomo gli si avvicinò. Sarà stato sulla quarantina, capelli ricci, barba rasata.
«Non capisco il dialetto, scusa.» Luca arretrò di un passo alzando le mani, non voleva correre il rischio di essere toccato «E comunque non sono Pino, c’è stato uno scambio di persona, una lunga storia.»
«A’ Pinu, nun mi cugghiunijari.»
«Sul serio, non sono Pino.»
«Va bonu vah, mo basta scherzari. Veni cu’ mia o ti scunni di’ corpi.»
Luca non capiva, ma il modo minaccioso con cui l’uomo si batteva la mazza di ferro sulla mano lasciava poco spazio a interpretazioni.
Lo seguì fino a una villa d’epoca. Due Teste di Moro dominavano l’ingresso. L’interno era un concentrato di statue e dipinti di valore. Attraversarono l’atrio centrale e uscirono nel giardino sul retro. Che vista meravigliosa. L’acqua era cristallina e sullo sfondo la costa della penisola calabra faceva da divisorio tra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Decine di api migravano da una bouganville all’altra. Vicino alla pianta più grossa un uomo in bermuda e camicia di lino ne ammirava la fioritura.
L’accompagnatore spinse Luca al centro del giardino, alla fine non aveva resistito al toccarlo.
«Don Giulio, chistu dici ca non è Pinu.»
Don Giulio si allontanò dalla bouganville e osservò Luca da vicino «E cu cazzu sei?»
«Come cercavo di spiegare al suo uomo, non mi chiamo Pino, io nemmeno lo conosco sto Pino.»
Don Giulio avvicinò la mano al volto di Luca che la schivò con un movimento da pugile navigato.
«Che spavento! Belle grosse le api qui al sud eh? Piacere, Luca» si inchinò. Da sempre era la sua alternativa preferita alla pericolosa stretta di mano.
«Lucazzu!» il tirapiedi scoppiò a ridere. Divise diverse, stesso repertorio.
Una finta risata e Luca continuò «sono del nord, mi hanno isolato qui per colpa del mio potere…» sfoderò un grande classico «Il mio tocco porta sfortuna.»
Il tirapiedi cacciò un urlo «Miiinchia! Grande sventura mi capitò!»
«E comu sacciu ca non mi pigghji pu’ culu?»
Questa l’aveva capita. «Fossi in voi non chiederei una dimostrazione.»
Don Giulio aggrottò la fronte.
«Non vi sto minacciando, non oserei mai. Lo dico per voi.»
Don Giulio fece per parlare ma Luca lo interruppe. «Un favore, potreste evitare il dialetto? Colpa mia, ma non vi capisco…»
«Cazz’ i scemu.» Il boss sbuffò «Na manera ‘nci sarria.»
Luca lo guardò interrogato alzando le mani in segno di impotenza.
«Mannaja. Dicevo. Un modo ci sarebbe.» Solito accento di merda, ma almeno si capiva. «Avevo un lavoretto per Pino, ma essendo ca Pinu non c’è, lo farai tu.»
«Ma io non ho i poteri di Pino.»
«Il tuo potere andrà bene, se è vero quello che dici.» L’aveva bevuta alla fine, ma i guai non sembravano finiti.
«Dovrai trovare una persona, Vincenzo De Luca. Vive a Ginostra, sull’altro lato dell’isola.»
Che coincidenza, lo stesso cognome di Cat, quante volte avevano scherzato sul fatto che Caterina De Luca fosse la fidanzata di Luca.
«E perché non ve ne occupate voi? Perdonate.»
«Perché a Ginostra ci si arriva solo in barca. Ci vedrebbero arrivare e ci sparerebbero al largo. Le nostre famiglie sono rivali da tanto tempo.»
«Quindi dovrei andare lì in barca sperando che non mi sparino, incoraggiante.»
Don Giulio si passò l’unghia del mignolino tra i denti. «Avresti la protezione della nostra famigghia e su quest’isola…» allungò il braccio con il palmo della mano aperto verso una bouganville «senza una protezione non puoi mai sapere che ti può capitare.»
Dalla mano di Don Giulio partì un proiettile infuocato che carbonizzò la bouganville.
Luca sudava freddo, le gambe gli tremavano. Si poggiò a una statua posta su un piedistallo e questa barcollò prima di cadere a terra in frantumi. Maledetto scagnozzo che lo aveva toccato, di sicuro l’avrebbe rotta lui la statua.
«Questa la mettiamo sul conto. Trova Vincenzo e occupati di lui, se davvero porti mala sorte come dici non sarà un problema farlo sembrare un incidente.»
«Un minuto, mi state chiedendo di ucc—.»
«E ricorda, la famiglia Torrisi torna sempre a riscuotere i suoi crediti.»
Ammazzare una persona o fare la fine di quella bouganville.
Forse una soluzione c’era, poteva raggiungere Ginostra e chiedere asilo, i Torrisi non sarebbero riusciti a raggiungerlo senza essere abbattuti in mare. La balla del portare sfiga però non avrebbe retto, doveva integrarsi e allo stesso tempo evitare di diventare una discarica per le loro sfighe. Vedere tutte le persone come bionde, leggere il pensiero degli insetti, aveva un vasto repertorio. Ma a queste stronzate ci avrebbe pensato dopo, ora doveva trovare una barca, circumnavigare l’isola e sperare che da Ginostra non gli sparassero a vista.
Il molo era poco distante, lo raggiunse. I nuovi arrivati erano ancora lì, un gruppetto si diresse al bar. Una ragazza rimase in disparte, Luca non poteva credere ai suoi occhi.
«Caterina!»
Lei si girò, occhi lucidi e mani alla bocca. Scoppiò a piangere e gli corse incontro gettandogli le braccia al collo. Lei poteva.
«Luca mio quanto mi sei mancato!»
«Ma che ci fai qui Cat.»
«Non ti potevo abbandonare, appena saputo sono andata a costituirmi. Il mio potere di preveggenza chiede tante tasse, è bastato denunciarlo per ottenere il mio biglietto di sola andata per Stromboli.» Gli passò una mano tra i capelli dietro alla nuca stringendolo più forte. «Eravamo sullo stesso traghetto, ma ti tenevano isolato in cabina, perché?»
«Lascia stare, è un casino. Sei stata folle a venire qui, è un concentrato di criminali mafiosi.»
«Ce la caveremo amore mio, l’importante è che stiamo insieme.» Caterina non accennava a mollarlo.
«E come Cat. Qui o ti fai gli amici giusti oppure…» Luca si staccò dall’abbraccio e le strinse le mani «Il mio potere poi è da sempre un grosso problema, lo sai.»
«Non lo sarà, Lu.»
«Non prendiamoci in giro Cat, il mio potere è un problema. Sarebbe stato meglio per te se fossi rimasta lontana dal concentrato di sfighe che sono.»
«Luca dico sul serio, una soluzione c’è.»
«Caterina, per favore.»
«E stamm’ a sentiri!» Quando partiva col dialetto era meglio lasciarla parlare. «Conosco chi può liberarti dalla maledizione, e per nostra fortuna sta proprio su quest’isola.»
«Amore ti prego...»
«Tu’ giuru amore mio. È mio cuggino Vincenzo, sono anni che sta sull’isola.»
«Non ci credo. Vincenzo hai detto? Vincenzo De Luca?»
«Perché, lo hai già conosciuto?»
«No, ma mi hanno chiesto di farlo fuori.»
«Focu meu, ‘Cenzu!»
«Non so molto, ma deve aver fatto arrabbiare i Torrisi. Se non ci penso io temo che loro penseranno a me.»
«Dobbiamo trovarlo, siete entrambi in pericolo.»
«So già dov’è, ma arrivarci non sarà una passeggiata, in tutti i sensi. Magari con te a bordo eviteranno di spararci a vista.»
Caterina spinse via Luca e una cagata di gabbiano gli passò a pochi centimetri dalla faccia spiaccicandosi a terra.
«E tu volevi fare a meno di me?»
La barca a motore con la quale presero il largo non era il massimo della vita, ma almeno non dovettero remare fino a Ginostra. La sua sfiga lo conduceva sempre in direzione di qualche scoglio sommerso, ma Caterina con la sua preveggenza lo avvertiva in modo da farglieli evitare. Il paesaggio visto dalla barca era mozzafiato. Le costa rocciosa e i faraglioni si immergevano nell’acqua cristallina. Sullo sfondo dominava Iddu, il vulcano, che li salutò con uno sbuffo.
«Ecco il molo, spegniamo il motore e avviciniamoci con le mani in alto. Prega che non ci sparino.»
Furono avvistati da una vedetta «Cu’ siti, chi vinistuvu u’ pigghiati.»
«Che ha detto?»
«Chiede chi siamo e perché siamo qui» tradusse lei «è ora di impararlo sto dialetto caro.»
«Sugnu Caterina De Luca, a’ cuggina i Vincenzu. Iddu mi conosce.»
La vedetta si voltò «O ‘Cenzu! A tia vogghiunu.»
La casa di Vincenzo era piccola ma accogliente, merito soprattutto degli spaghetti alla crema di pistacchi che aveva preparato loro.
«E accussì, scusa, e così vogliono farmi fuori, Vastasi!»
«Già, ma la buona notizia è che qui non verranno, troppa paura di essere abbattuti in mare. Volevano mandare me a fare il lavoro sporco.»
«Vastasi e figghi i’ bottana!» Questa Luca l’aveva capita.
«Pensavamo di chiedere asilo qui» disse Caterina.
«Fosse per me, potreste campare qui quanto volete, ma a’ genti qui è molto superstiziosa Caterina mia, appena scoprono che concentrato i’ mala sorte è il tuo Luca u’mazzanu» e anche questa Luca l’aveva capita.
«È meglio per tutti se vado via, prenderò un mulo e coltiverò un pezzetto di terra vicino al cratere, lontano da tutti.»
Vincenzo batté un pugno sul tavolo «ma mancu pu’ cazzu! Tu sei u’ zitu, scusa, il fidanzato di Caterina mia, e i De Luca non voltano le spalle alla famiglia!»
«Che hai in mente ‘Cenzu» disse Cat.
«Gli hai promesso che lo avrei liberato dal suo potere, giusto? Bene, una promessa tua è una promessa mia, ma non sarà semplice. Qui nessuno vorrà scambiare il proprio potere con il suo.»
«E questo mi pare giusto» disse Luca.
«Ho un piano. Mi fingerò tuo prigioniero e quando saremo là scambierò il potere con qualcuno dei loro, ma c’è un ma.»
«Cioè?»
«Devi aver visto almeno una volta la manifestazione del potere di colui con il quale lo scambierai, e la stessa cosa vale per lui. Per la prima parte potremmo appostarci e spiarli, ma per la seconda…»
«A dire il vero ho già visto Don Giulio, il loro capo, incenerire una pianta con una palla di fuoco o il cazzo che era, e una botticella di sfiga l’ho avuta in sua presenza. Però non posso chiederti di sacrificarti così per me, è un piano troppo rischioso.»
«Sarà rischioso ma l’unico è, e sugnu stancu di stare ‘ca, una prigione nella prigione.»
«E poi grazie al mio potere potreste correre meno rischi» intervenne Caterina.
«Non se ne parla Cat, tu resti qui al sicuro, piuttosto mi butto nel cratere e la faccio finita.»
«Luca dove pensi di andare senza di me, sono anni che ti proteggo! Da soli non superereste il viaggio in barca, hai visto quanto è pericoloso.»
«E chi l’ha mai chiesto il tuo aiuto? Posso benissimo cavarmela senza di te.» Quelle parole le avrebbero fatto male, ma non c’era altro modo.
Caterina scoppiò in lacrime e Luca fece un cenno a Vincenzo.
«Andiamo, se avremo la fortuna di ritornare mi perdonerà.»
Alzandosi dal tavolo Luca rovesciò il resto degli spaghetti alla crema di pistacchi. Se il buongiorno si vede dal mattino…
Vincenzo era stato molto cauto nel viaggiare al largo della costa, il motoscafo che usarono era dotato di sensori radar per individuare gli scogli sommersi.
Arrivati al molo di Piscità iniziò la loro messa in scena. Luca legò le mani di Vincenzo e i due scesero dall’imbarcazione. Il tempo di poggiare il piede sul molo e Luca venne colpito in pieno volto da una merda di gabbiano.
«Figghiu mio sei una cosa impossibbile!»
«Tu pensa che è tutta la vita che vivo così» Luca si rialzò pulendosi il viso «forse era meglio il cratere.»
Con una scossa di terremoto il vulcano sembrò volergli dare ragione.
All’ingresso della villa Luca riconobbe il tirapiedi che lo accolse la prima volta. «Vediamo chi avimu ‘ca, Vincenzo De Luca in persona. Don Giulio sarà contento di vederti.» Tirò un buffetto minaccioso a Vincenzo.
Ad attenderli, nella sala ospiti, c’era Don Giulio Torrisi. «Lucazzu Lucazzu… Non erano questi gli accordi.»
Non l’accoglienza che si aspettava, Luca era spiazzato «Ho pensato che—.»
«Cu’ ti dissi u’ parri!» lo zittì Don Giulio «ti avevo incaricato di ucciderlo, non di portarmelo in casa.»
Luca era ammutolito.
«Ora tu lo accompagnerai alla scogliera e lo butterai di sotto, altrimenti ci finirete entrambi.»
Luca e Vincenzo si guardarono, un breve cenno di intesa e corsero incontro a Don Giulio. Un tocco, bastava un solo tocco.
Una nuova scossa di terremoto, questa volta bella forte, fece cadere a terra Luca e Vincenzo. Luca si rialzò, strinse un braccio di Don Giulio e protese dietro di sé il braccio libero come uno staffettista, ma il braccio che afferrò non fu quello di Vincenzo. Lo scagnozzo lo strattonò e in due lo gettarono a terra riempiendolo di calci. A ogni colpo ricevuto Luca sentiva la sfiga accumularsi dentro di sé, il dolore quasi passava in secondo piano.
«Portate il polentone alla scogliera.» Don Giulio si avvicinò a Vincenzo e gli sputò in faccia. «Di te invece mi occuperò personalmente.»
I due tirapiedi condussero Luca al dirupo. «Figghiu i ‘ndrocchia, vediamo se sai volare.»
Le scosse si fecero sempre più intense, dal cielo iniziarono a piovere detriti. L’altro scagnozzo si voltò verso il vulcano «Minchia Toni, incazzato è!»
Luca strinse gli occhi in attesa dello spintone definitivo. Al suo posto arrivò un rumore sordo, come se qualcuno fosse stato colpito con un badile sulla testa. Si voltò ed effettivamente lo scagnozzo Toni era stato colpito con un badile sulla testa. Da Caterina.
«Buttati a destra Luca!» urlò Caterina.
Luca si tuffò in automatico e un grosso detrito cadde proprio dove stava un secondo prima. Essere un concentrato di sfiga in mezzo a un’eruzione vulcanica non era una posizione invidiabile.
L’altro tirapiedi si scagliò su Caterina facendola cadere schiena a terra, prese il badile e lo alzò al cielo.
Luca sfilò la mazza di ferro dalla giacca di Toni e colpì l’assalitore di Cat.
«Spostati Luca!»
Luca fece un balzo indietro. Un enorme detrito colpì il terreno facendo crollare parte della scogliera e portando giù con sé il mafioso.
Un altro pezzo di scogliera crollò. «Oddio Cat!»
La frana trascinò con se Caterina. Luca si lanciò sul ciglio del dirupo ma non riuscì ad afferrarle la mano. Era caduta, la sua Caterina era finita giù per la scogliera. Alla fine era andata come temeva lui. Il suo potere l’aveva uccisa. Lui, l’aveva uccisa.
«Dassami stari cosu lordu!» Luca non capì quelle parole, ma la voce era quella di Caterina!
Si sporse e la vide aggrappata a una roccia, con lo scagnozzo avvinghiato alle sue gambe a penzoloni sul vuoto.
«Prendi la mia mano Cat!»
Lei l’afferrò con la mano libera, poi con entrambe le mani «Non mi lasciare Luca mio!»
I pantaloni di Caterina si strapparono e lei rimase in mutande, ma quel che più contava era il fatto che i jeans volarono giù per la scogliera, con aggrappato il tirapiedi di Don Giulio.
Un ultimo sforzo e Caterina era di nuovo tra le sue braccia.
«Mi salvasti, Luca mio.»
E tutto grazie al suo potere. Liberandola dalla sfiga e dai suoi jeans le aveva salvato la vita.
«Amore scusa. Non dovevo trattarti così, però capisci? Se ti avessi persa...»
«Ma non è successo, e questo grazie al tuo potere. Io proteggo te e tu proteggi me prendendoti la mia mala sorte.»
«E sempre lo farò, lo giuro.» Caterina lo tirò a sé per baciarlo e Luca sentì un detrito sibilare a pochi centimetri dalla sua testa.
«Vincenzo! Dobbiamo liberarlo Cat.»
I due si voltarono verso la villa. La pioggia di fuoco aumentava di intensità.
«Sembra che io sia il bersaglio preferito di questo inferno. Bene, portiamo l’inferno a casa di Don Giulio.»
Non era una casa, ma un labirinto. Nel salotto degli ospiti non c’erano, in sala da pranzo nemmeno.
«Vincenzo dove sei!»
«Spostati Luca!»
Una sfera infuocata gli sfrecciò vicino alla spalla esplodendo contro una colonna e di certo non veniva dal vulcano.
Si voltarono. Don Giulio teneva Vincenzo per il collo e puntava la mano aperta verso di loro, il palmo si illuminò di rosso, il colpo era in canna. Vincenzo lo strattonò. Cat tirò indietro Luca. Un boato e parte del soffitto crollò ai loro piedi. Il primo colpo di Don Giulio aveva indebolito la colonna, la pioggia di detriti aveva completato l’opera.
«Salta a destra Luca!»
Un nuovo proiettile di Don Giulio evitato. Degli arazzi presero fuoco.
«Altri detriti, seguimi!»
Un altro pezzo di soffitto crollò intrappolandoli nell’unica porzione di casa libera dalle fiamme. Don Giulio, con il braccio sempre stretto al collo di Vincenzo, caricò un altro colpo, questa volta sarebbe stato impossibile evitarlo.
«Corri Luca mio, lanciati su di lui.»
«Caterina, quello ci ammazza.»
«Fai come ti dico!» Caterina spinse Luca che corse alla disperata verso il boss fidandosi di lei. Un’ultima volta.
Vincenzo trattenne il braccio di Don Giulio, partì una sfera di fuoco che colpì la parete di destra facendone crollare una porzione. Altre scosse di terremoto, nuovi detriti. Una trave infuocata cadde di fronte a Luca che inciampandovi sopra finì con la faccia contro le scarpe di Don Giulio.
Qualcuno gli calpestò la mano, era Vincenzo.
I brividi lo invasero, come se uno sciame di formiche impazzite stessero camminando nelle sue vene.
Luca sentì la sfiga abbandonare il suo corpo e una vampata di calore rese il suo sangue incandescente.
Vincenzo si divincolò dalla presa e aiutò Luca a rialzarsi. Nemmeno il tempo di far partire un destro che un grosso detrito colpì in pieno Don Giulio sulla nuca facendolo stramazzare al suolo privo di sensi. «Toh, sfigato.»
«Cat, spostati di lì!» Luca scagliò una sfera infuocata dal palmo della mano facendo esplodere la parete alle spalle di Caterina. Tra le mura si aprì un varco. La loro via per uscire da quell’inferno di fuoco.
Erano salvi. I tre si lanciarono fuori dall’edificio che crollò alle loro spalle.
«E quello cos’era?» Caterina aveva ancora gli occhi sbarrati.
«Purtroppo non potrò più proteggerti assorbendo le tue sfighe amore, ma penso che delle palle di fuoco possano essere ugualmente efficaci.»
Era un sabato mattina e lo Stromboli si ergeva dominante sull’isola alla quale Luca, seduto in cabina di comando tra due ufficiali della Polizia Penitenziaria, stava andando incontro.
Da un paio d’ore almeno il traghetto sobbalzava sulle acque al largo di Tropea con a bordo, a detta del capitano, un’altra dozzina di esiliati. «Le tasse sono una condanna» era sempre stato il mantra di suo padre. Ora lo sarebbero state per lui, letteralmente.
«Come ve lo devo ripetere, c’è stato uno scambio di persona!» più Luca si agitava, più quella maledetta camicia di forza lo costringeva. Esistevano ancora?
«Tutti i’ stessi sugnu. Nenti ficeru.»
«Non capisco nemmeno il dialetto, parlate arabo per me. Non sono io Pino u’cangiafaccia, mi chiamo Luca, son di Verderio cazzo!»
«Sì, Lucazzu! Va cuntala a ‘ncun atru vah.» Ridevano, quei bastardi.
Maledetto il giorno in cui era sceso per conoscere i parenti di Caterina. Anni insieme tranquilli al nord ed erano bastati tre giorni alla casa al mare a Zambrone per rovinargli la vita. Non sapeva quando e come fosse entrato in contatto con questo Pino, fatto sta che era stato identificato al suo posto da un ritrattista ambulante della zona. Vallo a spiegare agli aguzzini di Equitalia che non aveva alcun potere se non quello di assorbire le sfighe degli altri toccandoli. Che scusa del cazzo doveva essere sembrata.
Le tasse per un potere come quello di Pinu u’cangiafaccia o come cavolo lo chiamavano erano un costo insostenibile per lui, quindi… Stromboli. Esiliato a Stromboli come gli altri dodici passeggeri, ma isolato, senza contatti visivi e con una guardia dedicata. Avevano paura di confonderlo con gli altri forse? Secondo le autorità in effetti doveva essere una sorta di camaleonte. Bel sabato di merda.
«Moviti. Ca avimu u scindimu atri dudici cristiani appressu i tia.»
«Eh?! Non vi capisco, non so più come dirvelo!»
«Ancora sta strunzata ca nu ‘ndi capisci. Te ne devi scendere!» Che accento ridicolo, quasi li preferiva quando parlavano in dialetto stretto.
Un poliziotto lo spinse sul molo e al primo passo Luca pestò una merda. Te pareva, poteva infilarsele nel culo quelle cazzo di mani.
Lo liberarono dalla camicia di forza, la seconda carica di sfiga era compresa nel prezzo.
«Mo vattin’ ca l’atri stannu aspettandu.»
Era libero, forse. Stromboli era ridotta a un cazzo di ghetto e da quel che sapeva diversi gruppi poco raccomandabili si contendevano il potere. Sarebbe stata dura cavarsela restando isolato come aveva in mente di fare. L’unico modo per essere riabilitato consisteva nell’accumulare abbastanza denaro per pagare i suoi debiti con le tasse, una mission impossible, ma forse era meglio così per tutti, soprattutto per Caterina. Avrebbe sofferto, sì, ma alla lunga sarebbe stato meglio per lei non vivere con a fianco un concentrato di sfighe.
«Pinu! Chi facc’ i ‘merda c’hai!» un uomo gli si avvicinò. Sarà stato sulla quarantina, capelli ricci, barba rasata.
«Non capisco il dialetto, scusa.» Luca arretrò di un passo alzando le mani, non voleva correre il rischio di essere toccato «E comunque non sono Pino, c’è stato uno scambio di persona, una lunga storia.»
«A’ Pinu, nun mi cugghiunijari.»
«Sul serio, non sono Pino.»
«Va bonu vah, mo basta scherzari. Veni cu’ mia o ti scunni di’ corpi.»
Luca non capiva, ma il modo minaccioso con cui l’uomo si batteva la mazza di ferro sulla mano lasciava poco spazio a interpretazioni.
Lo seguì fino a una villa d’epoca. Due Teste di Moro dominavano l’ingresso. L’interno era un concentrato di statue e dipinti di valore. Attraversarono l’atrio centrale e uscirono nel giardino sul retro. Che vista meravigliosa. L’acqua era cristallina e sullo sfondo la costa della penisola calabra faceva da divisorio tra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Decine di api migravano da una bouganville all’altra. Vicino alla pianta più grossa un uomo in bermuda e camicia di lino ne ammirava la fioritura.
L’accompagnatore spinse Luca al centro del giardino, alla fine non aveva resistito al toccarlo.
«Don Giulio, chistu dici ca non è Pinu.»
Don Giulio si allontanò dalla bouganville e osservò Luca da vicino «E cu cazzu sei?»
«Come cercavo di spiegare al suo uomo, non mi chiamo Pino, io nemmeno lo conosco sto Pino.»
Don Giulio avvicinò la mano al volto di Luca che la schivò con un movimento da pugile navigato.
«Che spavento! Belle grosse le api qui al sud eh? Piacere, Luca» si inchinò. Da sempre era la sua alternativa preferita alla pericolosa stretta di mano.
«Lucazzu!» il tirapiedi scoppiò a ridere. Divise diverse, stesso repertorio.
Una finta risata e Luca continuò «sono del nord, mi hanno isolato qui per colpa del mio potere…» sfoderò un grande classico «Il mio tocco porta sfortuna.»
Il tirapiedi cacciò un urlo «Miiinchia! Grande sventura mi capitò!»
«E comu sacciu ca non mi pigghji pu’ culu?»
Questa l’aveva capita. «Fossi in voi non chiederei una dimostrazione.»
Don Giulio aggrottò la fronte.
«Non vi sto minacciando, non oserei mai. Lo dico per voi.»
Don Giulio fece per parlare ma Luca lo interruppe. «Un favore, potreste evitare il dialetto? Colpa mia, ma non vi capisco…»
«Cazz’ i scemu.» Il boss sbuffò «Na manera ‘nci sarria.»
Luca lo guardò interrogato alzando le mani in segno di impotenza.
«Mannaja. Dicevo. Un modo ci sarebbe.» Solito accento di merda, ma almeno si capiva. «Avevo un lavoretto per Pino, ma essendo ca Pinu non c’è, lo farai tu.»
«Ma io non ho i poteri di Pino.»
«Il tuo potere andrà bene, se è vero quello che dici.» L’aveva bevuta alla fine, ma i guai non sembravano finiti.
«Dovrai trovare una persona, Vincenzo De Luca. Vive a Ginostra, sull’altro lato dell’isola.»
Che coincidenza, lo stesso cognome di Cat, quante volte avevano scherzato sul fatto che Caterina De Luca fosse la fidanzata di Luca.
«E perché non ve ne occupate voi? Perdonate.»
«Perché a Ginostra ci si arriva solo in barca. Ci vedrebbero arrivare e ci sparerebbero al largo. Le nostre famiglie sono rivali da tanto tempo.»
«Quindi dovrei andare lì in barca sperando che non mi sparino, incoraggiante.»
Don Giulio si passò l’unghia del mignolino tra i denti. «Avresti la protezione della nostra famigghia e su quest’isola…» allungò il braccio con il palmo della mano aperto verso una bouganville «senza una protezione non puoi mai sapere che ti può capitare.»
Dalla mano di Don Giulio partì un proiettile infuocato che carbonizzò la bouganville.
Luca sudava freddo, le gambe gli tremavano. Si poggiò a una statua posta su un piedistallo e questa barcollò prima di cadere a terra in frantumi. Maledetto scagnozzo che lo aveva toccato, di sicuro l’avrebbe rotta lui la statua.
«Questa la mettiamo sul conto. Trova Vincenzo e occupati di lui, se davvero porti mala sorte come dici non sarà un problema farlo sembrare un incidente.»
«Un minuto, mi state chiedendo di ucc—.»
«E ricorda, la famiglia Torrisi torna sempre a riscuotere i suoi crediti.»
Ammazzare una persona o fare la fine di quella bouganville.
Forse una soluzione c’era, poteva raggiungere Ginostra e chiedere asilo, i Torrisi non sarebbero riusciti a raggiungerlo senza essere abbattuti in mare. La balla del portare sfiga però non avrebbe retto, doveva integrarsi e allo stesso tempo evitare di diventare una discarica per le loro sfighe. Vedere tutte le persone come bionde, leggere il pensiero degli insetti, aveva un vasto repertorio. Ma a queste stronzate ci avrebbe pensato dopo, ora doveva trovare una barca, circumnavigare l’isola e sperare che da Ginostra non gli sparassero a vista.
Il molo era poco distante, lo raggiunse. I nuovi arrivati erano ancora lì, un gruppetto si diresse al bar. Una ragazza rimase in disparte, Luca non poteva credere ai suoi occhi.
«Caterina!»
Lei si girò, occhi lucidi e mani alla bocca. Scoppiò a piangere e gli corse incontro gettandogli le braccia al collo. Lei poteva.
«Luca mio quanto mi sei mancato!»
«Ma che ci fai qui Cat.»
«Non ti potevo abbandonare, appena saputo sono andata a costituirmi. Il mio potere di preveggenza chiede tante tasse, è bastato denunciarlo per ottenere il mio biglietto di sola andata per Stromboli.» Gli passò una mano tra i capelli dietro alla nuca stringendolo più forte. «Eravamo sullo stesso traghetto, ma ti tenevano isolato in cabina, perché?»
«Lascia stare, è un casino. Sei stata folle a venire qui, è un concentrato di criminali mafiosi.»
«Ce la caveremo amore mio, l’importante è che stiamo insieme.» Caterina non accennava a mollarlo.
«E come Cat. Qui o ti fai gli amici giusti oppure…» Luca si staccò dall’abbraccio e le strinse le mani «Il mio potere poi è da sempre un grosso problema, lo sai.»
«Non lo sarà, Lu.»
«Non prendiamoci in giro Cat, il mio potere è un problema. Sarebbe stato meglio per te se fossi rimasta lontana dal concentrato di sfighe che sono.»
«Luca dico sul serio, una soluzione c’è.»
«Caterina, per favore.»
«E stamm’ a sentiri!» Quando partiva col dialetto era meglio lasciarla parlare. «Conosco chi può liberarti dalla maledizione, e per nostra fortuna sta proprio su quest’isola.»
«Amore ti prego...»
«Tu’ giuru amore mio. È mio cuggino Vincenzo, sono anni che sta sull’isola.»
«Non ci credo. Vincenzo hai detto? Vincenzo De Luca?»
«Perché, lo hai già conosciuto?»
«No, ma mi hanno chiesto di farlo fuori.»
«Focu meu, ‘Cenzu!»
«Non so molto, ma deve aver fatto arrabbiare i Torrisi. Se non ci penso io temo che loro penseranno a me.»
«Dobbiamo trovarlo, siete entrambi in pericolo.»
«So già dov’è, ma arrivarci non sarà una passeggiata, in tutti i sensi. Magari con te a bordo eviteranno di spararci a vista.»
Caterina spinse via Luca e una cagata di gabbiano gli passò a pochi centimetri dalla faccia spiaccicandosi a terra.
«E tu volevi fare a meno di me?»
La barca a motore con la quale presero il largo non era il massimo della vita, ma almeno non dovettero remare fino a Ginostra. La sua sfiga lo conduceva sempre in direzione di qualche scoglio sommerso, ma Caterina con la sua preveggenza lo avvertiva in modo da farglieli evitare. Il paesaggio visto dalla barca era mozzafiato. Le costa rocciosa e i faraglioni si immergevano nell’acqua cristallina. Sullo sfondo dominava Iddu, il vulcano, che li salutò con uno sbuffo.
«Ecco il molo, spegniamo il motore e avviciniamoci con le mani in alto. Prega che non ci sparino.»
Furono avvistati da una vedetta «Cu’ siti, chi vinistuvu u’ pigghiati.»
«Che ha detto?»
«Chiede chi siamo e perché siamo qui» tradusse lei «è ora di impararlo sto dialetto caro.»
«Sugnu Caterina De Luca, a’ cuggina i Vincenzu. Iddu mi conosce.»
La vedetta si voltò «O ‘Cenzu! A tia vogghiunu.»
La casa di Vincenzo era piccola ma accogliente, merito soprattutto degli spaghetti alla crema di pistacchi che aveva preparato loro.
«E accussì, scusa, e così vogliono farmi fuori, Vastasi!»
«Già, ma la buona notizia è che qui non verranno, troppa paura di essere abbattuti in mare. Volevano mandare me a fare il lavoro sporco.»
«Vastasi e figghi i’ bottana!» Questa Luca l’aveva capita.
«Pensavamo di chiedere asilo qui» disse Caterina.
«Fosse per me, potreste campare qui quanto volete, ma a’ genti qui è molto superstiziosa Caterina mia, appena scoprono che concentrato i’ mala sorte è il tuo Luca u’mazzanu» e anche questa Luca l’aveva capita.
«È meglio per tutti se vado via, prenderò un mulo e coltiverò un pezzetto di terra vicino al cratere, lontano da tutti.»
Vincenzo batté un pugno sul tavolo «ma mancu pu’ cazzu! Tu sei u’ zitu, scusa, il fidanzato di Caterina mia, e i De Luca non voltano le spalle alla famiglia!»
«Che hai in mente ‘Cenzu» disse Cat.
«Gli hai promesso che lo avrei liberato dal suo potere, giusto? Bene, una promessa tua è una promessa mia, ma non sarà semplice. Qui nessuno vorrà scambiare il proprio potere con il suo.»
«E questo mi pare giusto» disse Luca.
«Ho un piano. Mi fingerò tuo prigioniero e quando saremo là scambierò il potere con qualcuno dei loro, ma c’è un ma.»
«Cioè?»
«Devi aver visto almeno una volta la manifestazione del potere di colui con il quale lo scambierai, e la stessa cosa vale per lui. Per la prima parte potremmo appostarci e spiarli, ma per la seconda…»
«A dire il vero ho già visto Don Giulio, il loro capo, incenerire una pianta con una palla di fuoco o il cazzo che era, e una botticella di sfiga l’ho avuta in sua presenza. Però non posso chiederti di sacrificarti così per me, è un piano troppo rischioso.»
«Sarà rischioso ma l’unico è, e sugnu stancu di stare ‘ca, una prigione nella prigione.»
«E poi grazie al mio potere potreste correre meno rischi» intervenne Caterina.
«Non se ne parla Cat, tu resti qui al sicuro, piuttosto mi butto nel cratere e la faccio finita.»
«Luca dove pensi di andare senza di me, sono anni che ti proteggo! Da soli non superereste il viaggio in barca, hai visto quanto è pericoloso.»
«E chi l’ha mai chiesto il tuo aiuto? Posso benissimo cavarmela senza di te.» Quelle parole le avrebbero fatto male, ma non c’era altro modo.
Caterina scoppiò in lacrime e Luca fece un cenno a Vincenzo.
«Andiamo, se avremo la fortuna di ritornare mi perdonerà.»
Alzandosi dal tavolo Luca rovesciò il resto degli spaghetti alla crema di pistacchi. Se il buongiorno si vede dal mattino…
Vincenzo era stato molto cauto nel viaggiare al largo della costa, il motoscafo che usarono era dotato di sensori radar per individuare gli scogli sommersi.
Arrivati al molo di Piscità iniziò la loro messa in scena. Luca legò le mani di Vincenzo e i due scesero dall’imbarcazione. Il tempo di poggiare il piede sul molo e Luca venne colpito in pieno volto da una merda di gabbiano.
«Figghiu mio sei una cosa impossibbile!»
«Tu pensa che è tutta la vita che vivo così» Luca si rialzò pulendosi il viso «forse era meglio il cratere.»
Con una scossa di terremoto il vulcano sembrò volergli dare ragione.
All’ingresso della villa Luca riconobbe il tirapiedi che lo accolse la prima volta. «Vediamo chi avimu ‘ca, Vincenzo De Luca in persona. Don Giulio sarà contento di vederti.» Tirò un buffetto minaccioso a Vincenzo.
Ad attenderli, nella sala ospiti, c’era Don Giulio Torrisi. «Lucazzu Lucazzu… Non erano questi gli accordi.»
Non l’accoglienza che si aspettava, Luca era spiazzato «Ho pensato che—.»
«Cu’ ti dissi u’ parri!» lo zittì Don Giulio «ti avevo incaricato di ucciderlo, non di portarmelo in casa.»
Luca era ammutolito.
«Ora tu lo accompagnerai alla scogliera e lo butterai di sotto, altrimenti ci finirete entrambi.»
Luca e Vincenzo si guardarono, un breve cenno di intesa e corsero incontro a Don Giulio. Un tocco, bastava un solo tocco.
Una nuova scossa di terremoto, questa volta bella forte, fece cadere a terra Luca e Vincenzo. Luca si rialzò, strinse un braccio di Don Giulio e protese dietro di sé il braccio libero come uno staffettista, ma il braccio che afferrò non fu quello di Vincenzo. Lo scagnozzo lo strattonò e in due lo gettarono a terra riempiendolo di calci. A ogni colpo ricevuto Luca sentiva la sfiga accumularsi dentro di sé, il dolore quasi passava in secondo piano.
«Portate il polentone alla scogliera.» Don Giulio si avvicinò a Vincenzo e gli sputò in faccia. «Di te invece mi occuperò personalmente.»
I due tirapiedi condussero Luca al dirupo. «Figghiu i ‘ndrocchia, vediamo se sai volare.»
Le scosse si fecero sempre più intense, dal cielo iniziarono a piovere detriti. L’altro scagnozzo si voltò verso il vulcano «Minchia Toni, incazzato è!»
Luca strinse gli occhi in attesa dello spintone definitivo. Al suo posto arrivò un rumore sordo, come se qualcuno fosse stato colpito con un badile sulla testa. Si voltò ed effettivamente lo scagnozzo Toni era stato colpito con un badile sulla testa. Da Caterina.
«Buttati a destra Luca!» urlò Caterina.
Luca si tuffò in automatico e un grosso detrito cadde proprio dove stava un secondo prima. Essere un concentrato di sfiga in mezzo a un’eruzione vulcanica non era una posizione invidiabile.
L’altro tirapiedi si scagliò su Caterina facendola cadere schiena a terra, prese il badile e lo alzò al cielo.
Luca sfilò la mazza di ferro dalla giacca di Toni e colpì l’assalitore di Cat.
«Spostati Luca!»
Luca fece un balzo indietro. Un enorme detrito colpì il terreno facendo crollare parte della scogliera e portando giù con sé il mafioso.
Un altro pezzo di scogliera crollò. «Oddio Cat!»
La frana trascinò con se Caterina. Luca si lanciò sul ciglio del dirupo ma non riuscì ad afferrarle la mano. Era caduta, la sua Caterina era finita giù per la scogliera. Alla fine era andata come temeva lui. Il suo potere l’aveva uccisa. Lui, l’aveva uccisa.
«Dassami stari cosu lordu!» Luca non capì quelle parole, ma la voce era quella di Caterina!
Si sporse e la vide aggrappata a una roccia, con lo scagnozzo avvinghiato alle sue gambe a penzoloni sul vuoto.
«Prendi la mia mano Cat!»
Lei l’afferrò con la mano libera, poi con entrambe le mani «Non mi lasciare Luca mio!»
I pantaloni di Caterina si strapparono e lei rimase in mutande, ma quel che più contava era il fatto che i jeans volarono giù per la scogliera, con aggrappato il tirapiedi di Don Giulio.
Un ultimo sforzo e Caterina era di nuovo tra le sue braccia.
«Mi salvasti, Luca mio.»
E tutto grazie al suo potere. Liberandola dalla sfiga e dai suoi jeans le aveva salvato la vita.
«Amore scusa. Non dovevo trattarti così, però capisci? Se ti avessi persa...»
«Ma non è successo, e questo grazie al tuo potere. Io proteggo te e tu proteggi me prendendoti la mia mala sorte.»
«E sempre lo farò, lo giuro.» Caterina lo tirò a sé per baciarlo e Luca sentì un detrito sibilare a pochi centimetri dalla sua testa.
«Vincenzo! Dobbiamo liberarlo Cat.»
I due si voltarono verso la villa. La pioggia di fuoco aumentava di intensità.
«Sembra che io sia il bersaglio preferito di questo inferno. Bene, portiamo l’inferno a casa di Don Giulio.»
Non era una casa, ma un labirinto. Nel salotto degli ospiti non c’erano, in sala da pranzo nemmeno.
«Vincenzo dove sei!»
«Spostati Luca!»
Una sfera infuocata gli sfrecciò vicino alla spalla esplodendo contro una colonna e di certo non veniva dal vulcano.
Si voltarono. Don Giulio teneva Vincenzo per il collo e puntava la mano aperta verso di loro, il palmo si illuminò di rosso, il colpo era in canna. Vincenzo lo strattonò. Cat tirò indietro Luca. Un boato e parte del soffitto crollò ai loro piedi. Il primo colpo di Don Giulio aveva indebolito la colonna, la pioggia di detriti aveva completato l’opera.
«Salta a destra Luca!»
Un nuovo proiettile di Don Giulio evitato. Degli arazzi presero fuoco.
«Altri detriti, seguimi!»
Un altro pezzo di soffitto crollò intrappolandoli nell’unica porzione di casa libera dalle fiamme. Don Giulio, con il braccio sempre stretto al collo di Vincenzo, caricò un altro colpo, questa volta sarebbe stato impossibile evitarlo.
«Corri Luca mio, lanciati su di lui.»
«Caterina, quello ci ammazza.»
«Fai come ti dico!» Caterina spinse Luca che corse alla disperata verso il boss fidandosi di lei. Un’ultima volta.
Vincenzo trattenne il braccio di Don Giulio, partì una sfera di fuoco che colpì la parete di destra facendone crollare una porzione. Altre scosse di terremoto, nuovi detriti. Una trave infuocata cadde di fronte a Luca che inciampandovi sopra finì con la faccia contro le scarpe di Don Giulio.
Qualcuno gli calpestò la mano, era Vincenzo.
I brividi lo invasero, come se uno sciame di formiche impazzite stessero camminando nelle sue vene.
Luca sentì la sfiga abbandonare il suo corpo e una vampata di calore rese il suo sangue incandescente.
Vincenzo si divincolò dalla presa e aiutò Luca a rialzarsi. Nemmeno il tempo di far partire un destro che un grosso detrito colpì in pieno Don Giulio sulla nuca facendolo stramazzare al suolo privo di sensi. «Toh, sfigato.»
«Cat, spostati di lì!» Luca scagliò una sfera infuocata dal palmo della mano facendo esplodere la parete alle spalle di Caterina. Tra le mura si aprì un varco. La loro via per uscire da quell’inferno di fuoco.
Erano salvi. I tre si lanciarono fuori dall’edificio che crollò alle loro spalle.
«E quello cos’era?» Caterina aveva ancora gli occhi sbarrati.
«Purtroppo non potrò più proteggerti assorbendo le tue sfighe amore, ma penso che delle palle di fuoco possano essere ugualmente efficaci.»
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Punto a tutti i bonus:
Un animale dev'essere elemento di fastidio per i personaggi - il gabbiano
Nel racconto dev'esserci un oggetto anacronistico - camicia di forza
Qualcuno deve avere un superpotere inutile -il protagonista
Bella sfida, tema frizzante e divertente. Buona lettura e buona sfida a tutti!
Un animale dev'essere elemento di fastidio per i personaggi - il gabbiano
Nel racconto dev'esserci un oggetto anacronistico - camicia di forza
Qualcuno deve avere un superpotere inutile -il protagonista
Bella sfida, tema frizzante e divertente. Buona lettura e buona sfida a tutti!
- angelo.frascella
- Messaggi: 729
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Ciao Daniele.
Racconto simpatico, con luci e ombre.
Buona l'ambientazione: efficace e ben fatte le descrizione dei posti, che sono resi in modo vivido nell'immaginazione del lettore, e l'uso del dialetto, che rende bene sia i personaggi locali che lo spaesamento del protagonista.
Nell'insieme il racconto è divertente.
Mi pare però che il tema sia toccato marginalmente (dici che è sabato, ma il concetto di "sabato italiano" non lo vedo molto). Ma questo è più un problema rispetto al contest che un problema di scrittura.
I dettagli che mi hanno un convinto un po' meno sono queste:
- la parte di azione verso la fine risulta un po' una sequenza di eventi che accadono senza che però coinvolgere. L'effetto secondo me è dovuto alla mancanza di "emozione". Volano lapilli, cade Caterina, esplodono cose, ecc. non percepiamo le emozioni dei protagonisti. Aggiungo che la scena di Caterina che sta cadendo nello strapiombo col malvivente attaccato alle gambe, sa molto di già visto in tanti film.
- il personaggio di Caterina mi pare poco personaggio e più Deus ex machina lì per togliere le castagne dal fuoco a Luca. Il problema è particolarmente evidente in questo passaggio:
Questa ragazza si è autodenunciata per andare in quell'inferno, prende a badilate un mafioso, ma scoppia a piangere per una frasetta del genere? La sensazione è che avevi bisogno di metterla da parte per il ritorno finale e hai inserito questo passaggio.
Comunque sei stato bravo e il potenziale per migliorare il racconto con un po' di lavoro di lima c'è tutto.
Racconto simpatico, con luci e ombre.
Buona l'ambientazione: efficace e ben fatte le descrizione dei posti, che sono resi in modo vivido nell'immaginazione del lettore, e l'uso del dialetto, che rende bene sia i personaggi locali che lo spaesamento del protagonista.
Nell'insieme il racconto è divertente.
Mi pare però che il tema sia toccato marginalmente (dici che è sabato, ma il concetto di "sabato italiano" non lo vedo molto). Ma questo è più un problema rispetto al contest che un problema di scrittura.
I dettagli che mi hanno un convinto un po' meno sono queste:
- la parte di azione verso la fine risulta un po' una sequenza di eventi che accadono senza che però coinvolgere. L'effetto secondo me è dovuto alla mancanza di "emozione". Volano lapilli, cade Caterina, esplodono cose, ecc. non percepiamo le emozioni dei protagonisti. Aggiungo che la scena di Caterina che sta cadendo nello strapiombo col malvivente attaccato alle gambe, sa molto di già visto in tanti film.
- il personaggio di Caterina mi pare poco personaggio e più Deus ex machina lì per togliere le castagne dal fuoco a Luca. Il problema è particolarmente evidente in questo passaggio:
«Luca dove pensi di andare senza di me, sono anni che ti proteggo! Da soli non superereste il viaggio in barca, hai visto quanto è pericoloso.»
«E chi l’ha mai chiesto il tuo aiuto? Posso benissimo cavarmela senza di te.» Quelle parole le avrebbero fatto male, ma non c’era altro modo.
Caterina scoppiò in lacrime e Luca fece un cenno a Vincenzo.
Questa ragazza si è autodenunciata per andare in quell'inferno, prende a badilate un mafioso, ma scoppia a piangere per una frasetta del genere? La sensazione è che avevi bisogno di metterla da parte per il ritorno finale e hai inserito questo passaggio.
Comunque sei stato bravo e il potenziale per migliorare il racconto con un po' di lavoro di lima c'è tutto.
- Michael Dag
- Messaggi: 428
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Racconto molto movimentato, con un protagonista che rispecchia in pieno l'italiano medio, rassegnato che combatte unghie e denti contro il destino avverso.
Bello l'uso di stromboli come isola-carcere, anche se mi sarei aspettato un po' più di sicurezza e controllo in una galera per x-man mafiosi.
La storia in se è piacevole anche se il finale mi ha lasciato perplesso.
Non ho ben capito come ha fatto luca a assorbire il potere delle palle di fuoco. Questa cosa mi ha proprio spiazzato, perché mi è parso un pretesto di trama per risolvere la situazione. Forse è legato al potere di vincenzo?
Riguardo allo stile, ho notato una cosa: inizi ogni paragrafo con un commento da narratore esterno, per poi scendere lentamente nell'interiorità del protagonista. È un vizio che avevo anche io. Ti consiglio di concentrarti bene sugli establish shot (Quanto fa figo usare i termini inglesi, ma fa sentire un esperto!). Cerca delle frasi iniziali che facciano capire bene cosa sta succedendo all'inizio della scena.
La fumata del motore della barca? Un commento di luca? Una bestemmia perché qualcosa è andato storto? Insomma, mostra e non raccontare.
Purtroppo non sono riuscito a trovare l'attinenza col tema. Ok, siamo in italia, ma… il sabato?
Anche il gabbiano è una scenetta abbastanza insignificante inserita apposta e la camicia di forza non mi pare così anacronistica col racconto.
Il superpotere invece è più che inutile, è estremamente dannoso ed è quello che da via alla vicenda e ne fa da fulcro quindi ottimo.
Bello l'uso di stromboli come isola-carcere, anche se mi sarei aspettato un po' più di sicurezza e controllo in una galera per x-man mafiosi.
La storia in se è piacevole anche se il finale mi ha lasciato perplesso.
Non ho ben capito come ha fatto luca a assorbire il potere delle palle di fuoco. Questa cosa mi ha proprio spiazzato, perché mi è parso un pretesto di trama per risolvere la situazione. Forse è legato al potere di vincenzo?
Riguardo allo stile, ho notato una cosa: inizi ogni paragrafo con un commento da narratore esterno, per poi scendere lentamente nell'interiorità del protagonista. È un vizio che avevo anche io. Ti consiglio di concentrarti bene sugli establish shot (Quanto fa figo usare i termini inglesi, ma fa sentire un esperto!). Cerca delle frasi iniziali che facciano capire bene cosa sta succedendo all'inizio della scena.
La fumata del motore della barca? Un commento di luca? Una bestemmia perché qualcosa è andato storto? Insomma, mostra e non raccontare.
Purtroppo non sono riuscito a trovare l'attinenza col tema. Ok, siamo in italia, ma… il sabato?
Anche il gabbiano è una scenetta abbastanza insignificante inserita apposta e la camicia di forza non mi pare così anacronistica col racconto.
Il superpotere invece è più che inutile, è estremamente dannoso ed è quello che da via alla vicenda e ne fa da fulcro quindi ottimo.
- Andrea Furlan
- Messaggi: 465
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Ciao Daniele,
il tuo racconto non mi ha preso pienamente, soprattutto perché l’ho trovato molto pieno di ripetizioni su alcuni elementi che alla lunga diventano pesanti: le tasse, la sfiga del protagonista, il gabbiano davvero troppo incontinente (un po’ nuvoletta di Fantozzi), il fatto che ripete ossessivamente di non capire il dialetto siciliano quando invece sembra che capisca benissimo. Se posso dare un suggerimento, che anche io sto imparando con l’esperienza, per spiegare qualcosa non importa ripeterla, basta anche un accenno, una pennellata al punto giusto e il lettore fa il resto. Tornando sul dialetto, in realtà è stato più un problema per me, come lettore, perché non conosco il siciliano e mi sono dovuto sforzare per capire, con difficoltà maggiori soprattutto all’inizio.
Tutta la narrazione mi sembra un po’ esagerata, in questo il tuo racconto assomiglia a quello di Yuri, a cui ho spiegato che non apprezzo questo genere di stile. La tua potrebbe essere una scelta stilistica voluta, ma a tratti l’ho trovata troppo forte.
Le scene di azione sono un po’ sterili e molto concitate, dove alcune dinamiche non sono chiare. Sono d’accordo con altri che in queste scene le emozioni dei personaggi non emergono. I poteri dei personaggi sono un po’ cliché, ma ho apprezzato la dicotomia Luca – Caterina, davvero fatti l’uno per l’altra.
Il tema del sabato italiano non mi sembra rispettato, c’è solo un riferimento veloce a un certo punto ma non è fondante per la storia. I bonus invece mi sembrano centrati
Ho apprezzato l’ambientazione e la personalizzazione del vulcano: a tratti mi ha ricordato il senso di claustrofobia di 1997 – Fuga da New York. Bella anche l’idea delle due famiglie che si sono spartite l’isola negli unici due paesi abitabili.
Insomma per quanto mi riguarda luci e ombre, dove le seconde prevalgono.
il tuo racconto non mi ha preso pienamente, soprattutto perché l’ho trovato molto pieno di ripetizioni su alcuni elementi che alla lunga diventano pesanti: le tasse, la sfiga del protagonista, il gabbiano davvero troppo incontinente (un po’ nuvoletta di Fantozzi), il fatto che ripete ossessivamente di non capire il dialetto siciliano quando invece sembra che capisca benissimo. Se posso dare un suggerimento, che anche io sto imparando con l’esperienza, per spiegare qualcosa non importa ripeterla, basta anche un accenno, una pennellata al punto giusto e il lettore fa il resto. Tornando sul dialetto, in realtà è stato più un problema per me, come lettore, perché non conosco il siciliano e mi sono dovuto sforzare per capire, con difficoltà maggiori soprattutto all’inizio.
Tutta la narrazione mi sembra un po’ esagerata, in questo il tuo racconto assomiglia a quello di Yuri, a cui ho spiegato che non apprezzo questo genere di stile. La tua potrebbe essere una scelta stilistica voluta, ma a tratti l’ho trovata troppo forte.
Le scene di azione sono un po’ sterili e molto concitate, dove alcune dinamiche non sono chiare. Sono d’accordo con altri che in queste scene le emozioni dei personaggi non emergono. I poteri dei personaggi sono un po’ cliché, ma ho apprezzato la dicotomia Luca – Caterina, davvero fatti l’uno per l’altra.
Il tema del sabato italiano non mi sembra rispettato, c’è solo un riferimento veloce a un certo punto ma non è fondante per la storia. I bonus invece mi sembrano centrati
Ho apprezzato l’ambientazione e la personalizzazione del vulcano: a tratti mi ha ricordato il senso di claustrofobia di 1997 – Fuga da New York. Bella anche l’idea delle due famiglie che si sono spartite l’isola negli unici due paesi abitabili.
Insomma per quanto mi riguarda luci e ombre, dove le seconde prevalgono.
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Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Un racconto un po’ azzoppato, secondo me. Principalmente perché le scene si susseguono quasi tutte uguali, ovvero dialoghi, nomi, battute secche, e via, senza che la narrazione si trasformi in farfalla, per intendersi ;)
L’ambientazione e i personaggi mi sono sembrati un po’ forzati, nel senso che seguo male con la sospensione dell’incredulità un tizio che viene lasciato solo su un’isola insieme a dei malavitosi ed entra con grande leggerezza nelle loro faide, e poi si scopre che la sua ragazza è la cugina del boss rivale ecc… tante cose difficili da mettere insieme con così pochi caratteri a disposizione, secondo me.
L’accoppiata con il potere della ragazza è simpatica e divertente.
Ancora fino alla fine seguo con poco trasporto tutte le vicende: eruzioni vulcaniche, persone che precipitano, colpi di scena mancati (lo scambio di poteri) e poi recuperati.
Ripeto la mia prima impressione: secondo me narrazione e stile fanno come l’accendersi di una macchina ma non riescono a partire effettivamente.
;)
L’ambientazione e i personaggi mi sono sembrati un po’ forzati, nel senso che seguo male con la sospensione dell’incredulità un tizio che viene lasciato solo su un’isola insieme a dei malavitosi ed entra con grande leggerezza nelle loro faide, e poi si scopre che la sua ragazza è la cugina del boss rivale ecc… tante cose difficili da mettere insieme con così pochi caratteri a disposizione, secondo me.
L’accoppiata con il potere della ragazza è simpatica e divertente.
Ancora fino alla fine seguo con poco trasporto tutte le vicende: eruzioni vulcaniche, persone che precipitano, colpi di scena mancati (lo scambio di poteri) e poi recuperati.
Ripeto la mia prima impressione: secondo me narrazione e stile fanno come l’accendersi di una macchina ma non riescono a partire effettivamente.
;)
- Shanghai Kid
- Messaggi: 385
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Ciao Daniele,
e piacere di averti letto!
Allora, a me il tuo racconto è piaciuto. L'ho trovato divertente e funzionante, hai catturato la mia attenzione e l'ho letto volentieri. Il super potere che hai scelto è molto, molto carino (un po' in stile MISFITS) e mi è piaciuto parecchio come hai gestito questa parte. Da un punto di vista stilistico sicuramente gli altri commentatori ti hanno fatto appunti più puntuali e preziosi dei miei, quindi non sto a ripetere quanto già detto. A me non è dispiaciuto il tuo modo di scrivere, se non per un eccesso di uso della parola "concentrato".
Se devo dire cosa mi metterà più in difficoltà nel valutarti, sarà l'attinenza al tema e due dei tre bonus >(quello del super potere chiaramente c'è) e mi dispiace molto, perchè il racconto in sè per me è riuscito.
A rileggerci,
Elisa
e piacere di averti letto!
Allora, a me il tuo racconto è piaciuto. L'ho trovato divertente e funzionante, hai catturato la mia attenzione e l'ho letto volentieri. Il super potere che hai scelto è molto, molto carino (un po' in stile MISFITS) e mi è piaciuto parecchio come hai gestito questa parte. Da un punto di vista stilistico sicuramente gli altri commentatori ti hanno fatto appunti più puntuali e preziosi dei miei, quindi non sto a ripetere quanto già detto. A me non è dispiaciuto il tuo modo di scrivere, se non per un eccesso di uso della parola "concentrato".
Se devo dire cosa mi metterà più in difficoltà nel valutarti, sarà l'attinenza al tema e due dei tre bonus >(quello del super potere chiaramente c'è) e mi dispiace molto, perchè il racconto in sè per me è riuscito.
A rileggerci,
Elisa
Re: L'isola della sfortuna - di Daniele Villa
Ciao Daniele, ben trovato!
Parto subito con il dire che il tuo racconto è molto vivace, l’azione è quasi sempre lì e ci sono pochissimi tempi morti, cose sicuramente molto positive; l’altra faccia della medaglia è che l’ho trovato un po’ confusionario e quindi non così agevole da seguire. Un po’ sicuramente per l’uso del dialetto: la scelta è sicuramente interessante, ma rallenta la lettura per chi come me non è avvezzo alla parlata siciliana.
L’idea del potere del protagonista invece è fantastica: non solo il suo superpotere è inutile, è pure dannoso. Mi è anche piaciuto che Caterina sia così complementare con lui, aiutandolo con il suo potere di preveggenza a schivare le sfighe. Ha un che di karmico.
Il personaggio di Caterina ha però anche un lato un po’ troppo deus ex machina. Quando lui le dice di rimanere in disparte, lei scoppia in lacrime e non dice nulla, salvo poi comparire a mo’ di Cavalleria proprio nel momento del bisogno. Suonerebbe forse meno costruito se lei invece che piangere come una dama dell’ottocento si incazzasse come una iena, così la sua entrata in scena successiva sarebbe più coerente (anche perché la Caterina mi sembra bella cazzuta, l’ira credo le si addica di più delle lacrime).
Finale interessante, con Luca che finalmente riesce a trasferire il suo “potere” ad altri ereditandone uno effettivamente più figo; però anche qui, la scena è descritta in modo un po’ caotico e ho dovuto rileggere alcune parti per riuscire a visualizzare correttamente il susseguirsi degli eventi.
Ci sono anche alcuni errori di punteggiatura (punti esclamativi anziché interrogativi, virgole mancanti, ecc) ma nulla di che.
Per quanto riguarda il tema, Il “sabato italiano” non ha una diretta correlazione con ciò che accade, quindi ok, c’è, ma solo abbozzato.
Sui bonus sono perplessa. L’animale è il gabbiano, ma non ha una vera e propria funzione se non quella di defecargli addosso. Le camicie di forza sono sì anacronistiche ma al pelo, vero è che non vengono più usate negli ospedali psichiatrici, ma sono tutt’oggi in vendita (in genere per numeri di escapologia); essendo comunque presenti, pur se molto borderline, tenderei ad assegnarteli comunque. Il potere inutile invece ci sta alla stragrande.
Parto subito con il dire che il tuo racconto è molto vivace, l’azione è quasi sempre lì e ci sono pochissimi tempi morti, cose sicuramente molto positive; l’altra faccia della medaglia è che l’ho trovato un po’ confusionario e quindi non così agevole da seguire. Un po’ sicuramente per l’uso del dialetto: la scelta è sicuramente interessante, ma rallenta la lettura per chi come me non è avvezzo alla parlata siciliana.
L’idea del potere del protagonista invece è fantastica: non solo il suo superpotere è inutile, è pure dannoso. Mi è anche piaciuto che Caterina sia così complementare con lui, aiutandolo con il suo potere di preveggenza a schivare le sfighe. Ha un che di karmico.
Il personaggio di Caterina ha però anche un lato un po’ troppo deus ex machina. Quando lui le dice di rimanere in disparte, lei scoppia in lacrime e non dice nulla, salvo poi comparire a mo’ di Cavalleria proprio nel momento del bisogno. Suonerebbe forse meno costruito se lei invece che piangere come una dama dell’ottocento si incazzasse come una iena, così la sua entrata in scena successiva sarebbe più coerente (anche perché la Caterina mi sembra bella cazzuta, l’ira credo le si addica di più delle lacrime).
Finale interessante, con Luca che finalmente riesce a trasferire il suo “potere” ad altri ereditandone uno effettivamente più figo; però anche qui, la scena è descritta in modo un po’ caotico e ho dovuto rileggere alcune parti per riuscire a visualizzare correttamente il susseguirsi degli eventi.
Ci sono anche alcuni errori di punteggiatura (punti esclamativi anziché interrogativi, virgole mancanti, ecc) ma nulla di che.
Per quanto riguarda il tema, Il “sabato italiano” non ha una diretta correlazione con ciò che accade, quindi ok, c’è, ma solo abbozzato.
Sui bonus sono perplessa. L’animale è il gabbiano, ma non ha una vera e propria funzione se non quella di defecargli addosso. Le camicie di forza sono sì anacronistiche ma al pelo, vero è che non vengono più usate negli ospedali psichiatrici, ma sono tutt’oggi in vendita (in genere per numeri di escapologia); essendo comunque presenti, pur se molto borderline, tenderei ad assegnarteli comunque. Il potere inutile invece ci sta alla stragrande.
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