L'involontaria
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L'involontaria
La luce in movimento
Fu la luce ad attrarmi per prima.
Ero uscita a consegnare una pila di moduli e ricevute in segreteria studenti. Per tornare avevo preso il giro lungo.
Lo facevo sempre, dopo le interazioni con gli sconosciuti. In più, Alessia mi aveva scritto di non avere ancora ottenuto tutti i testi per la tesi. Marciava in tondo per ore quando era nervosa, come un cattivo dei cartoni animati, e il nostro non era un appartamento grande. Meglio darle spazio.
I mattoni rossi del centro lasciarono il posto all’intonaco scrostato della periferia. Agli scorci delle corti interne si erano sostituiti parchetti e cortili asfaltati. Mi resi conto di aver superato il mio appartamento, ma avevo ancora voglia di camminare.
I condomini divennero capannoni. Superai un bar e un’autofficina, svoltai l’angolo e mi trovai a costeggiare una pista ciclabile tra case con giardino, viali alberati e prati.
Ancora qualche minuto e mi sarei lasciata alle spalle la città.
Solo allora alzai lo sguardo: il cielo si era fatto blu scuro, striato di rosa o di viola dietro i colli. Ero talmente assorta da non aver notato il tramonto. Non mi succedeva da quando ero bambina.
Forse era meglio rientrare. Il silenzio intorno a me aveva una nota inquietante, di non-vita.
In quel momento la vidi: baluginante, rossa e arancione come un secondo tramonto in miniatura. Una fiamma, che compariva e scompariva appena dietro una panchina alla mia destra.
Pensavo: Dovrei chiamare qualcuno.
I pompieri.
Forse è un principio d’incendio.
Pensavo e pensavo, un passo dopo l’altro, sempre più vicina.
Si muove? Una scarica di freddo mi risalì le viscere, fino alla schiena. Mi strofinai le palpebre con le maniche della felpa e guardai meglio.
Il sole era appena visibile ormai, e anche lei si era raffreddata: aveva assunto sfumature di azzurro e di grigio. E si era allontanata.
La seguii.
Si fermò all’angolo della strada, di fianco a una quercia. Qualcuno aveva legato fiori e biglietti alla base del tronco, dopo chissà quale incidente. Posai una mano sulla corteccia coperta di muschio. Umido. Anche i miei capelli si stavano bagnando: una pioggia leggera aveva iniziato a cadere. Appena me ne accorsi, la fiamma si estinse.
«No!» Non c’era un filo di fumo. Abbassai lo sguardo, in cerca di cenere o di una fonte di luce.
Invece, trovai una lucertola.
La lucertola impossibile
«Fammi capire». Alessia scolò la pasta nel lavandino, perdendone mezzo piatto e rischiando di scottarsi. Viveva in appartamento da anni, al contrario di me. Non avevo idea di come fosse sopravvissuta così a lungo. «Hai visto un riflesso strano».
«Circa,» risposi, accoccolata sul divano con il mio fagotto di asciugamani calde.
«Ti sei strofinata gli occhi, il riflesso si è spostato. I colori dell’ambiente sono cambiati, il riflesso anche. Corretto?»
«Non lo chiamerei riflesso».
«E hai trovato una lucertola».
«Cinico, per una storica delle religioni».
«Dai!». Versò le farfalle in una padella che odorava di soffritto, pomodoro e, appena, di vino. «La tua esperienza sovrannaturale di suggestione è al cento percento valida, va bene?»
Sbuffai.
«Vuoi la pasta o no? Ho fatto io il sugo, altro che schifo pronto».
«Solo perché è il tuo».
«Fammi posto». Lasciò la mia cena sul tavolino insieme a una forchetta. Lei mi si sistemò accanto, per truccarsi di fronte a uno specchio da borsetta. Il mio specchio. Teneva i trucchi in mezza bottiglia di plastica, tagliata in orizzontale per farne un barattolo.
«Esci?»
«Ho un impegno, dopo cena».
«Ti ha risposto la tua associazione, per la lucertola?» Il fagotto mi tremò tra le mani, come in risposta alle mie parole.
«Non è mia, la conosco soltanto. Ma mandano qualcuno».
«Grazie».
Mi rispose con una spallata, ma rimbalzai e le finii con la fronte contro la spalla. Rise. Il rettile mi riposava addosso come un gatto.
A qualche livello sapevo che non era proprio una lucertola. Avevo visto le sue due zampe, le alucce rosate, l’estremità rigida della coda. Doveva essere una specie esotica, e tenerla in braccio doveva essere un’idea pessima.
Eppure io mangiavo scomoda, ma serena come una pianta, e lei mi ronfava tra le braccia. Mi accoccolai contro la spalla della mia coinquilina, con la sensazione sottile di far parte di un segreto.
L’assurdo ha i suoi metodi per passare inosservato.
Prima che uscissi, Alessia mi infilò lo specchietto in borsa, poi mi sistemò la borsa sulla spalla. Mi sentivo un venditore porta-a-porta americano degli anni Cinquanta: io ero in partenza per un lungo viaggio sulla costa Ovest, e lei era mia…
Abbassai lo sguardo. Era arrossita anche lei, o solo io?
Il posto riflesso
Pioveva a dirotto quando arrivammo al centro. Il volontario, un ragazzo imbacuccato in un felpone bordeaux con cappuccio, si era presentato come Rosso Malpighi. Mi aveva dato uno scatolone per l’animale e aveva guidato con la prudenza di un pilota ubriaco.
La porta a specchio era una ragnatela di crepe profonde. Non riuscivo nemmeno a vedere la maniglia. Neanche il ragazzo, evidentemente: prese il telefono dalla tasca e puntò la torcia sulla porta. Dalla cover pendeva un ciondolo di metallo decorato con un motivo astratto, tanto lucido da riflettere la mia immagine. Dovette trovare la maniglia, perché aprì con una spinta e mi invitò a seguirlo.
Dentro era tutto buio: il mio mondo si ridusse ai passi di Rosso, al tintinnio della porta che si chiudeva alle nostre spalle e a un suono ritmico dal fondo dell’ufficio, come di un trattore che cerca di accendersi.
«L’avrei portata da solo, ma conosco la specie. Se ti si è affezionata, facciamo prima a portarvi in due che a separarvi in casa. Se si fissano con qualcosa, non le stacchi più». Accese la luce; mi coprii gli occhi per non restare abbagliata. «Sei stata gentile a venire».
«È il minimo». Non sapevo mai come rispondere ai complimenti.
Eravamo in un ufficio, con una vecchia scrivania e scaffalature di alluminio contro tutte le pareti. Quasi ogni centimetro di spazio era occupato da quotidiani ripiegati, scatole di cartone e raccoglitori gonfi di fogli. Sulla scrivania c’era una vecchia radio con l’antenna estesa a metà, che pareva uscita dagli anni Novanta.
«No, ragazza mia!» Una donna sulla quarantina emerse da sotto la scrivania. In una mano teneva un barattolo, nell’altra un fagotto di stracci. «Proprio non è il minimo». Aveva i capelli tinti di verde, sparati in aria come una fiamma. Mi ricordò la mia fiammella. Mi era sfuggita di mente, finora.
La donna passò il fagotto a Rosso - Si è mosso? C’è un animale dentro? - e mi tese la mano.
«Sono Silvana. Il taranta ti ha morso?»
«Peggio,» replicò il volontario. «Si è affezionato».
«Ahi!» Silvana, ancora sorridente, posò il barattolo. Dentro luccicava un liquido viola.
Mi invitò a consegnarle il rettile, accoccolato nel suo scatolone. Obbedii.
«Taranta?,» domandai.
«Tarantaside. Una viverna umorale».
Una viverna era una specie di drago, se ricordavo bene: la bestiola aveva un nome fantasy, come il Drago di Komodo. Forse era altrettanto esotica. Gorgogliò e allungò il muso affilato verso Silvana, curiosa. Lei gli grattò il mento.
«Nome e cognome? Scusami, sai, dobbiamo fare il terzo grado a tutti».
Risposi alle sue domande e feci il resoconto del ritrovamento, ma omisi la mia lucina. Raccontai della creatura tremante di freddo, di come l’avevo tenuta con me.
«Ho chiamato ed eccomi qua,» conclusi.
«Benissimo! Puoi quasi andare. Rosso ti… Cioè, io ti accompagnerò a casa. All’andata eravamo incasinati, ma ora posso lasciargli il fortino». Lui sollevò un sopracciglio.
Non vedevo l’ora di infilarmi sotto le coperte a leggere, eppure andarmene mi lasciava un retrogusto amaro in bocca. Non avevo voglia di abbandonare il tarantaside.
Mi costrinsi a pensare che loro erano esperti, io no. Se ne sarebbero presi cura meglio di me. Era stata un’avventura, ma era finita, e neanche male.
Fu allora che la fata mi pugnaló nello stinco.
Oltre l’ufficio
Aveva proporzioni umanoidi, ma non era più alta di un mio dito indice. Brandiva un pezzo di stuzzicadenti affilato.
Mi aveva trafitto la caviglia in corsa ed era schizzata verso l’uscita.
Rosso si precipitò ad aiutarmi; Silvana ci superò in un movimento fluido.
La creatura si arrampicò su una pila di giornali; dalla cima spiccò un balzo verso uno scaffale vicino, e la porta.
Un guanto lacero da meccanico la intercettò a mezz’aria. Silvana esultò, aggiustò la presa e sparì oltre la porta laterale dell’ufficio.
Seguirono due scatti metallici e un fruscio: una gabbia aperta, richiusa e coperta.
«Quanta fretta! Un giorno d’osservazione e tornate in discarica, Cru-cru. Ah!,» esclamò poi, «la ragazza sa bene?»
«Niente di rotto!» Rosso aveva radunato disinfettante, cotone e cerotti. Mi sorrise: «Ora ci pensa. Quando si tratta dei suoi mostriciattoli, è una monomaniaca».
Il taglio pulsava: mi chiesi se rischiasse d’infettarsi. Cercai di pensare solo a quello. L’enorme massa nera dell’assurditá a cui avevo assistito riposava da qualche parte, in fondo alla mia mente, pronta a paralizzarmi del tutto.
L’avrei affrontata.
Dopo.
Mi lasciai medicare.
Rosso mi offrì un cucchiaino di liquido viola dal barattolo sulla scrivania; accettai, meccanicamente. Sapeva un po’ di vino, con una punta di sale.
«Cos’era?» La consapevolezza di avere ingerito una sostanza ignota, offerta da uno sconosciuto, mi riscosse dal torpore.
«Glamour distillato,» rispose Rosso. «Non possiamo permetterci che parli di noi là fuori, ti pare?»
Il panico mi strinse le viscere. «Come mai?,» mi sentii chiedere, e il mio tono casuale quasi mi fece ridere.
«Streghe, ovvio». Mi aveva coperto il taglio con un cerotto.
«Ovvio».
«Sai quante vorrebbero un tarantaside? O uno dei nostri fuochi fatui?»
«Quelli che…» Cercai di ricordare. Capire qualcosa era cruciale, per mantenere la presa sulla realtà. «Ingannano i viaggiatori?»
«Guidano gli spiriti, vivi o morti - a volte nel posto giusto, a volte no. Se dietro c’è una strega, il più delle volte no». Rosso sospirò e mi diede le spalle per raccogliere la scatola del tarantaside. «Seguimi».
«Cosa?»
«Devo portarlo in gabbia,» Le maniche della felpa gli si erano sollevate: tatuaggi della stessa tonalità lucente del glamour gli circondavano i polsi, come bracciali. «Tanto vale che te li mostri».
Lo seguii.
I nomi delle cose
Rosso mi guidò in una sala circolare, con grandi tavoli e scaffali ovunque.
Anche qui c’erano giornali e scatole, più ciotole piene di pastoni colorati e un frigorifero, ma le gabbie erano le protagoniste assolute: trasportini, acquari, terrari. Alcuni erano coperti da scampoli di tessuto, altri circondati da simboli tracciati nel sale.
«Somigliano a quelli sui tuoi polsi,» osservai. Lui quasi perse la presa sulla scatola.
«Immagino,» borbottò.
Aprii la bocca per scusarmi, ma esalai in silenzio, notando le creature dentro le gabbie.
Le più capienti ospitavano larve umide e luminescenti, grandi quanto bambini, da cui emergevano volti e mani umane - o costole, o unghie. Avevano grandi occhi spalancati, tutti fissi su di me. Sulle etichette lessi lemuri.
«Non avvicinarti,» mi ammonì Rosso, «ti consumano».
Un’anguilla nuotava in tondo in una bacinella. Se rasentava una parete, l’ombra di due mani ci si appoggiava per riprendere il corso.
«La quarantena è là, oltre il Posto Buio.».
Non suonava rassicurante, ma l’idea di allontanarmi dai “lemuri” non mi dispiaceva.
Il Posto Buio era un corridoio stretto, senza finestre. Rosso mi disse di sbrigarmi e richiuse la porta alle mie spalle, gettandoci nella tenebra.
«Sono qui intorno, nelle gabbie. I fuochi».
«Che fanno?» I miei occhi si stavano abituando al buio, ma i colori erano ancora strani.
«Riposano. Sognano. Si preparano a ripartire. E se si sono un po’ persi lungo la via…» Fece una pausa. «Hanno gli altri a guidarli».
Aprii la bocca. Non erano i miei occhi a essersi abituati all’oscurità.
Una dozzina di fiamme si stavano accendendo, mobili e tremanti come quella che avevo visto al tramonto. Erano brune come i miei occhi, rosse come la felpa di Malpighi, nere come i suoi capelli.
Dovetti socchiudere gli occhi.
Malpighi mi trascinò fuori dal corridoio, in una stanzetta stipata di armadietti e, ancora, gabbie.
«Prendine una grande». Estrasse il tarantaside dalla scatola.
Recuperai un terrario vuoto, col fondo già foderato di quotidiani, ma quando glielo porsi Rosso aveva le sopracciglia alzate e la bocca storta da una smorfia.
«Stai morendo?,» mi chiese. «Divorziando?»
«Non… Credo?» Volevo fare una battuta, ma ero appena uscita da un corridoio pieno di fuochi fatui. Era difficile essere sicura di qualcosa.
«Tarànto era un drago che infestava il lodigiano,» spiegò Rosso, «tanto maligno da diffondere una pestilenza tutta sua. La specie prende il nome da lui. Apri». Lo feci, ma mi ritrassi quando il rettile mi sfiorò. «Tranquilla. Quello era nato dal cadavere di un generale; questo, direi, da una piccola morte. C’è una differenza di scala, ma entrambi si nutrono degli umori rilasciati da emozioni e intenti forti. O, sai, incantesimi. Per questo gli stregoni li adorano: un tarantaside nasconde la tua volontà in un pasto, e lascia lo spazio spirituale più pulito della casa di un brownie grasso». Notò la mia confusione e aggiunse: «È un folletto, se gli dai da mangiare ti aiuta in… Non importa. Il punto è: in assenza di magia forte, tragedie o crisi, ci mette mesi a mangiare abbastanza da, sai, defecare».
«Quindi, mi hai chiesto se stavo morendo perché…»
«Perché qui, tesoro, c’è una cacca gigante».
Rilascio
Silvana indicò i simboli sui polsi di Rosso: «Sono manette».
«Non sono un volontario in un centro per mostri,» confermò lui. «Sono un mostro, costretto a fare il volontario».
Lei sbuffò: «Esagera. È un mazapégul, un folletto seduttore. È andato troppo oltre e l’abbiamo accolto qui perché possa espiare le sue colpe».
«Servizi socialmente utili,» cercai di interpretare.
«Brava! Niente di più, niente di meno. Capisci cosa cerco di dirti?»
Annuii.
Passò un secondo.
Scossi la testa.
«Dico che, se eri qui per rapire una creatura o rubare un po’ di glamour, confessare è la scelta migliore. Non ne saremo entusiasti, ma non ti bruceremo neanche su un palo».
«Non sono una strega». Lo volevo urlare, ma nella mia voce c’era più incredulità che rabbia. Una collezionista di creature magiche coi capelli verdi e un presunto folletto facevano di tutto per assicurarmi che non mi avrebbero arsa sul rogo, ed ero esausta.
«Voglio crederti,» disse Silvana, pensosa. «Ma come ti è finita addosso tanta energia da saziare una viverna umorale? Sono quantità da famiglio, quelle». Famiglio. Come i gatti delle streghe. «Quando ci hai chiamati, mi è parso strano che avessi notato un tarantaside, ma capita».
«Non vi ho chiamati io».
«Come? No, certo, abbiamo la radio. Ce l’ha sistemata uno stregone di Reggio per evitarsi una multa, rileva ritrovamenti come il tuo. Vi diciamo che ci chiamate, in realtà vi individua lei».
La verità mi colpì dritta in faccia, ovvia e nauseante. Non dissi nulla.
«Non c’è altra scelta, vero?» Rosso trasse un lungo sospiro.
La donna annuì con espressione grave, quindi si rivolse a me: «Puoi andare».
«Cosa?»
Allargò le braccia: «Se avessi lanciato incantesimi qui dentro, i sensori l’avrebbero rilevato. Sono vecchi, ma funzionano. Il tarantaside non è stregato, tu emani l’aura magica di una ciabatta - potrebbe averla ripulita la bestiola, ma ti abbiamo tenuta qui abbastanza a lungo da generarne altra. Devo supporre che tu fossi nelle vicinanze di un incantesimo per sbaglio, e lasciarti andare. Se non torni qui, il glamour ti ripulirà la memoria in una mezz’ora. Siamo un centro di recupero con poche risorse e ancora meno volontari, non una forza armata. Non possiamo che affidarci alla tua onestà».
Apriti sesamo
Uscii sola, sotto la pioggia.
Silvana mi avrebbe raggiunta in un paio di minuti con la macchina.
Presi il telefono e composi il numero di Alessia.
«Pensavo che avrei dovuto chiamarti io,» disse.
«Nessuno ha telefonato al centro. Sono stati allertati dalla loro radiolina magica. E il glamour; il sapore del glamour distillato… Era l’ingrediente segreto del tuo sugo, vero?»
«La mia versione, ma sì - magia liquida, q.b.».
«Per controllarmi».
«Per…» La sua voce s’indurì: «Non ha importanza. Hai il tuo specchietto per il trucco in borsa, no?»
Sospirai. «Certo. Ce l’hai messo tu».
«Ottimo. Tiralo fuori! Ricordi il sigillo sullo specchio con cui avete aperto la prima volta, vero? Se non ho scazzato il sugo, dovresti averci fatto caso».
Estrassi dalla borsa il mio specchietto e lo aprii.
Non mi sorprese che dentro, al posto della mia stupida faccia, ci fosse il sorriso malizioso di Alessia.
«Non è una porta a specchio. Lo specchio è la porta».
«Non essere sciocca. Ogni specchio è una porta. Ora sbrigati! Traccia il sigillo sulla superficie e puntami verso l’accesso. Voglio verificare se posso entrare ogni volta che...»
«No».
«Prego?»
«Non so se il tuo sugo magico possa forzarmi, ma non voglio rapinare un canile magico. Trova un altro modo per pulirti l’aura».
«Non volevo ripulire me». Incrociò le braccia. «Vivere con una strega ti lascia addosso dei residui. Rischiavi che qualcuno ti attaccasse per arrivare a me. Non volevo che accadesse».
«Oh. Potevi… Mandarmi via, no?»
«Potevo. Non volevo».
«Oh». Stavolta non abbassai lo sguardo, e fui certa che anche Alessia era arrossita «Ma avevi già un tarantaside. Mi ci hai condotta tu».
«E l’avrei portato all’indigestione in un mese. Qui me lo curano loro, e ne trovano altri regolarmente».
«Beh, questo posto non è la tua miniera, Alessia!» Ero così furiosa che sentii appena la frenata. «Non dovresti rapinarlo, dovresti, che ne so, fargli una donazione!»
«Ben detto!» Silvana s’impadronì dello specchietto e prese a disegnarci sopra col dito, mentre Rosso mi immobilizzava.
«Smettila!,» protestai. «Lasciala stare! E toglimi di dosso il molestatore magico!»
«Folletto seduttore. Non ho mai molestato nessuno, io».
Mi liberai con uno strattone; lui si mise tra me e Silvana. Gli indicai i suoi polsi: «E quelli, allora?»
«Un’amica doveva liberarsi di un ex insistente. Gli ho fatto, ah, un dispetto».
«L’hai… Ucciso?»
«Starà benissimo, una volta uscito dall’ospedale. E da Bangkok. Il punto è: ne so qualcosa di relazioni tossiche. Se tu e Maleficent, lì, volete portare avanti questa cosa, vi servirà più onestà. Pretendila».
Mi sentii avvampare le guance, e mi voltai. Alessia era ancora riflessa nello specchio, ma sospesa, adesso, in un limbo buio. Imprigionata.
«E ora?,» chiese, seccata.
«Ora,» rispose Silvana, «veniamo a prenderti».
L’involontaria
Avevo dovuto aspettare due ore, in mezzo a una folla di matricole come me, per cinque minuti di ricevimento con il professor Crani. Un’agonia - ma avevo resistito: stavo migliorando.
Raggiunsi il centro di corsa.
Alessia mi aprì la porta a specchi prima che potessi bussare. Tatuaggi luccicanti coprivano i suoi polsi sottili, per impedirle di nutrire il tarantaside oltremisura. O rubare scorte di glamour. O lanciare incantesimi.
«Ed ecco la piccola traditrice,» sbuffò.
Avrei potuto correggerla o ribattere, ma risposi con un sorriso. Intanto sei venuta in anticipo per aspettarmi.
Alle sue spalle, dietro la scrivania, riposava un enorme rettile alato, verde acceso, con la testa percorsa da una lunga cresta.
«Aspetta - quello è il mio tarantaside?»
«Oh, no. Lei, a occhio, è qui da prima. Dai, vieni».
Entrai e guardai Alessia che chiudeva la porta. C’era qualcosa di aggraziato nella sua svogliatezza esasperata.
«Finalmente ci siete entrambe!» La voce di Silvana mi fece sobbalzare. Mi aspettava alla scrivania. Della viverna, nessuna traccia. «Rosso!,» chiamò.
Mi voltai verso Alessia, che si strinse nelle spalle. Nessuno meglio di un mostro per curare mostri, immagino.
«Sono felice che siamo tutti entusiasti di fare del bene» Rosso entrò portando guanti in lattice per tutti e una pila di quotidiani. «Oggi pulirete le gabbie». Ci rivolse un sorriso tremendo: «Non dovrete più chiedervi se i lemuri vanno di corpo. La risposta è: troppo».
Ridacchiai. Alessia mi lanciò un’occhiataccia, ma sorrideva anche lei.
Il pomeriggio prometteva bene.
Fu la luce ad attrarmi per prima.
Ero uscita a consegnare una pila di moduli e ricevute in segreteria studenti. Per tornare avevo preso il giro lungo.
Lo facevo sempre, dopo le interazioni con gli sconosciuti. In più, Alessia mi aveva scritto di non avere ancora ottenuto tutti i testi per la tesi. Marciava in tondo per ore quando era nervosa, come un cattivo dei cartoni animati, e il nostro non era un appartamento grande. Meglio darle spazio.
I mattoni rossi del centro lasciarono il posto all’intonaco scrostato della periferia. Agli scorci delle corti interne si erano sostituiti parchetti e cortili asfaltati. Mi resi conto di aver superato il mio appartamento, ma avevo ancora voglia di camminare.
I condomini divennero capannoni. Superai un bar e un’autofficina, svoltai l’angolo e mi trovai a costeggiare una pista ciclabile tra case con giardino, viali alberati e prati.
Ancora qualche minuto e mi sarei lasciata alle spalle la città.
Solo allora alzai lo sguardo: il cielo si era fatto blu scuro, striato di rosa o di viola dietro i colli. Ero talmente assorta da non aver notato il tramonto. Non mi succedeva da quando ero bambina.
Forse era meglio rientrare. Il silenzio intorno a me aveva una nota inquietante, di non-vita.
In quel momento la vidi: baluginante, rossa e arancione come un secondo tramonto in miniatura. Una fiamma, che compariva e scompariva appena dietro una panchina alla mia destra.
Pensavo: Dovrei chiamare qualcuno.
I pompieri.
Forse è un principio d’incendio.
Pensavo e pensavo, un passo dopo l’altro, sempre più vicina.
Si muove? Una scarica di freddo mi risalì le viscere, fino alla schiena. Mi strofinai le palpebre con le maniche della felpa e guardai meglio.
Il sole era appena visibile ormai, e anche lei si era raffreddata: aveva assunto sfumature di azzurro e di grigio. E si era allontanata.
La seguii.
Si fermò all’angolo della strada, di fianco a una quercia. Qualcuno aveva legato fiori e biglietti alla base del tronco, dopo chissà quale incidente. Posai una mano sulla corteccia coperta di muschio. Umido. Anche i miei capelli si stavano bagnando: una pioggia leggera aveva iniziato a cadere. Appena me ne accorsi, la fiamma si estinse.
«No!» Non c’era un filo di fumo. Abbassai lo sguardo, in cerca di cenere o di una fonte di luce.
Invece, trovai una lucertola.
La lucertola impossibile
«Fammi capire». Alessia scolò la pasta nel lavandino, perdendone mezzo piatto e rischiando di scottarsi. Viveva in appartamento da anni, al contrario di me. Non avevo idea di come fosse sopravvissuta così a lungo. «Hai visto un riflesso strano».
«Circa,» risposi, accoccolata sul divano con il mio fagotto di asciugamani calde.
«Ti sei strofinata gli occhi, il riflesso si è spostato. I colori dell’ambiente sono cambiati, il riflesso anche. Corretto?»
«Non lo chiamerei riflesso».
«E hai trovato una lucertola».
«Cinico, per una storica delle religioni».
«Dai!». Versò le farfalle in una padella che odorava di soffritto, pomodoro e, appena, di vino. «La tua esperienza sovrannaturale di suggestione è al cento percento valida, va bene?»
Sbuffai.
«Vuoi la pasta o no? Ho fatto io il sugo, altro che schifo pronto».
«Solo perché è il tuo».
«Fammi posto». Lasciò la mia cena sul tavolino insieme a una forchetta. Lei mi si sistemò accanto, per truccarsi di fronte a uno specchio da borsetta. Il mio specchio. Teneva i trucchi in mezza bottiglia di plastica, tagliata in orizzontale per farne un barattolo.
«Esci?»
«Ho un impegno, dopo cena».
«Ti ha risposto la tua associazione, per la lucertola?» Il fagotto mi tremò tra le mani, come in risposta alle mie parole.
«Non è mia, la conosco soltanto. Ma mandano qualcuno».
«Grazie».
Mi rispose con una spallata, ma rimbalzai e le finii con la fronte contro la spalla. Rise. Il rettile mi riposava addosso come un gatto.
A qualche livello sapevo che non era proprio una lucertola. Avevo visto le sue due zampe, le alucce rosate, l’estremità rigida della coda. Doveva essere una specie esotica, e tenerla in braccio doveva essere un’idea pessima.
Eppure io mangiavo scomoda, ma serena come una pianta, e lei mi ronfava tra le braccia. Mi accoccolai contro la spalla della mia coinquilina, con la sensazione sottile di far parte di un segreto.
L’assurdo ha i suoi metodi per passare inosservato.
Prima che uscissi, Alessia mi infilò lo specchietto in borsa, poi mi sistemò la borsa sulla spalla. Mi sentivo un venditore porta-a-porta americano degli anni Cinquanta: io ero in partenza per un lungo viaggio sulla costa Ovest, e lei era mia…
Abbassai lo sguardo. Era arrossita anche lei, o solo io?
Il posto riflesso
Pioveva a dirotto quando arrivammo al centro. Il volontario, un ragazzo imbacuccato in un felpone bordeaux con cappuccio, si era presentato come Rosso Malpighi. Mi aveva dato uno scatolone per l’animale e aveva guidato con la prudenza di un pilota ubriaco.
La porta a specchio era una ragnatela di crepe profonde. Non riuscivo nemmeno a vedere la maniglia. Neanche il ragazzo, evidentemente: prese il telefono dalla tasca e puntò la torcia sulla porta. Dalla cover pendeva un ciondolo di metallo decorato con un motivo astratto, tanto lucido da riflettere la mia immagine. Dovette trovare la maniglia, perché aprì con una spinta e mi invitò a seguirlo.
Dentro era tutto buio: il mio mondo si ridusse ai passi di Rosso, al tintinnio della porta che si chiudeva alle nostre spalle e a un suono ritmico dal fondo dell’ufficio, come di un trattore che cerca di accendersi.
«L’avrei portata da solo, ma conosco la specie. Se ti si è affezionata, facciamo prima a portarvi in due che a separarvi in casa. Se si fissano con qualcosa, non le stacchi più». Accese la luce; mi coprii gli occhi per non restare abbagliata. «Sei stata gentile a venire».
«È il minimo». Non sapevo mai come rispondere ai complimenti.
Eravamo in un ufficio, con una vecchia scrivania e scaffalature di alluminio contro tutte le pareti. Quasi ogni centimetro di spazio era occupato da quotidiani ripiegati, scatole di cartone e raccoglitori gonfi di fogli. Sulla scrivania c’era una vecchia radio con l’antenna estesa a metà, che pareva uscita dagli anni Novanta.
«No, ragazza mia!» Una donna sulla quarantina emerse da sotto la scrivania. In una mano teneva un barattolo, nell’altra un fagotto di stracci. «Proprio non è il minimo». Aveva i capelli tinti di verde, sparati in aria come una fiamma. Mi ricordò la mia fiammella. Mi era sfuggita di mente, finora.
La donna passò il fagotto a Rosso - Si è mosso? C’è un animale dentro? - e mi tese la mano.
«Sono Silvana. Il taranta ti ha morso?»
«Peggio,» replicò il volontario. «Si è affezionato».
«Ahi!» Silvana, ancora sorridente, posò il barattolo. Dentro luccicava un liquido viola.
Mi invitò a consegnarle il rettile, accoccolato nel suo scatolone. Obbedii.
«Taranta?,» domandai.
«Tarantaside. Una viverna umorale».
Una viverna era una specie di drago, se ricordavo bene: la bestiola aveva un nome fantasy, come il Drago di Komodo. Forse era altrettanto esotica. Gorgogliò e allungò il muso affilato verso Silvana, curiosa. Lei gli grattò il mento.
«Nome e cognome? Scusami, sai, dobbiamo fare il terzo grado a tutti».
Risposi alle sue domande e feci il resoconto del ritrovamento, ma omisi la mia lucina. Raccontai della creatura tremante di freddo, di come l’avevo tenuta con me.
«Ho chiamato ed eccomi qua,» conclusi.
«Benissimo! Puoi quasi andare. Rosso ti… Cioè, io ti accompagnerò a casa. All’andata eravamo incasinati, ma ora posso lasciargli il fortino». Lui sollevò un sopracciglio.
Non vedevo l’ora di infilarmi sotto le coperte a leggere, eppure andarmene mi lasciava un retrogusto amaro in bocca. Non avevo voglia di abbandonare il tarantaside.
Mi costrinsi a pensare che loro erano esperti, io no. Se ne sarebbero presi cura meglio di me. Era stata un’avventura, ma era finita, e neanche male.
Fu allora che la fata mi pugnaló nello stinco.
Oltre l’ufficio
Aveva proporzioni umanoidi, ma non era più alta di un mio dito indice. Brandiva un pezzo di stuzzicadenti affilato.
Mi aveva trafitto la caviglia in corsa ed era schizzata verso l’uscita.
Rosso si precipitò ad aiutarmi; Silvana ci superò in un movimento fluido.
La creatura si arrampicò su una pila di giornali; dalla cima spiccò un balzo verso uno scaffale vicino, e la porta.
Un guanto lacero da meccanico la intercettò a mezz’aria. Silvana esultò, aggiustò la presa e sparì oltre la porta laterale dell’ufficio.
Seguirono due scatti metallici e un fruscio: una gabbia aperta, richiusa e coperta.
«Quanta fretta! Un giorno d’osservazione e tornate in discarica, Cru-cru. Ah!,» esclamò poi, «la ragazza sa bene?»
«Niente di rotto!» Rosso aveva radunato disinfettante, cotone e cerotti. Mi sorrise: «Ora ci pensa. Quando si tratta dei suoi mostriciattoli, è una monomaniaca».
Il taglio pulsava: mi chiesi se rischiasse d’infettarsi. Cercai di pensare solo a quello. L’enorme massa nera dell’assurditá a cui avevo assistito riposava da qualche parte, in fondo alla mia mente, pronta a paralizzarmi del tutto.
L’avrei affrontata.
Dopo.
Mi lasciai medicare.
Rosso mi offrì un cucchiaino di liquido viola dal barattolo sulla scrivania; accettai, meccanicamente. Sapeva un po’ di vino, con una punta di sale.
«Cos’era?» La consapevolezza di avere ingerito una sostanza ignota, offerta da uno sconosciuto, mi riscosse dal torpore.
«Glamour distillato,» rispose Rosso. «Non possiamo permetterci che parli di noi là fuori, ti pare?»
Il panico mi strinse le viscere. «Come mai?,» mi sentii chiedere, e il mio tono casuale quasi mi fece ridere.
«Streghe, ovvio». Mi aveva coperto il taglio con un cerotto.
«Ovvio».
«Sai quante vorrebbero un tarantaside? O uno dei nostri fuochi fatui?»
«Quelli che…» Cercai di ricordare. Capire qualcosa era cruciale, per mantenere la presa sulla realtà. «Ingannano i viaggiatori?»
«Guidano gli spiriti, vivi o morti - a volte nel posto giusto, a volte no. Se dietro c’è una strega, il più delle volte no». Rosso sospirò e mi diede le spalle per raccogliere la scatola del tarantaside. «Seguimi».
«Cosa?»
«Devo portarlo in gabbia,» Le maniche della felpa gli si erano sollevate: tatuaggi della stessa tonalità lucente del glamour gli circondavano i polsi, come bracciali. «Tanto vale che te li mostri».
Lo seguii.
I nomi delle cose
Rosso mi guidò in una sala circolare, con grandi tavoli e scaffali ovunque.
Anche qui c’erano giornali e scatole, più ciotole piene di pastoni colorati e un frigorifero, ma le gabbie erano le protagoniste assolute: trasportini, acquari, terrari. Alcuni erano coperti da scampoli di tessuto, altri circondati da simboli tracciati nel sale.
«Somigliano a quelli sui tuoi polsi,» osservai. Lui quasi perse la presa sulla scatola.
«Immagino,» borbottò.
Aprii la bocca per scusarmi, ma esalai in silenzio, notando le creature dentro le gabbie.
Le più capienti ospitavano larve umide e luminescenti, grandi quanto bambini, da cui emergevano volti e mani umane - o costole, o unghie. Avevano grandi occhi spalancati, tutti fissi su di me. Sulle etichette lessi lemuri.
«Non avvicinarti,» mi ammonì Rosso, «ti consumano».
Un’anguilla nuotava in tondo in una bacinella. Se rasentava una parete, l’ombra di due mani ci si appoggiava per riprendere il corso.
«La quarantena è là, oltre il Posto Buio.».
Non suonava rassicurante, ma l’idea di allontanarmi dai “lemuri” non mi dispiaceva.
Il Posto Buio era un corridoio stretto, senza finestre. Rosso mi disse di sbrigarmi e richiuse la porta alle mie spalle, gettandoci nella tenebra.
«Sono qui intorno, nelle gabbie. I fuochi».
«Che fanno?» I miei occhi si stavano abituando al buio, ma i colori erano ancora strani.
«Riposano. Sognano. Si preparano a ripartire. E se si sono un po’ persi lungo la via…» Fece una pausa. «Hanno gli altri a guidarli».
Aprii la bocca. Non erano i miei occhi a essersi abituati all’oscurità.
Una dozzina di fiamme si stavano accendendo, mobili e tremanti come quella che avevo visto al tramonto. Erano brune come i miei occhi, rosse come la felpa di Malpighi, nere come i suoi capelli.
Dovetti socchiudere gli occhi.
Malpighi mi trascinò fuori dal corridoio, in una stanzetta stipata di armadietti e, ancora, gabbie.
«Prendine una grande». Estrasse il tarantaside dalla scatola.
Recuperai un terrario vuoto, col fondo già foderato di quotidiani, ma quando glielo porsi Rosso aveva le sopracciglia alzate e la bocca storta da una smorfia.
«Stai morendo?,» mi chiese. «Divorziando?»
«Non… Credo?» Volevo fare una battuta, ma ero appena uscita da un corridoio pieno di fuochi fatui. Era difficile essere sicura di qualcosa.
«Tarànto era un drago che infestava il lodigiano,» spiegò Rosso, «tanto maligno da diffondere una pestilenza tutta sua. La specie prende il nome da lui. Apri». Lo feci, ma mi ritrassi quando il rettile mi sfiorò. «Tranquilla. Quello era nato dal cadavere di un generale; questo, direi, da una piccola morte. C’è una differenza di scala, ma entrambi si nutrono degli umori rilasciati da emozioni e intenti forti. O, sai, incantesimi. Per questo gli stregoni li adorano: un tarantaside nasconde la tua volontà in un pasto, e lascia lo spazio spirituale più pulito della casa di un brownie grasso». Notò la mia confusione e aggiunse: «È un folletto, se gli dai da mangiare ti aiuta in… Non importa. Il punto è: in assenza di magia forte, tragedie o crisi, ci mette mesi a mangiare abbastanza da, sai, defecare».
«Quindi, mi hai chiesto se stavo morendo perché…»
«Perché qui, tesoro, c’è una cacca gigante».
Rilascio
Silvana indicò i simboli sui polsi di Rosso: «Sono manette».
«Non sono un volontario in un centro per mostri,» confermò lui. «Sono un mostro, costretto a fare il volontario».
Lei sbuffò: «Esagera. È un mazapégul, un folletto seduttore. È andato troppo oltre e l’abbiamo accolto qui perché possa espiare le sue colpe».
«Servizi socialmente utili,» cercai di interpretare.
«Brava! Niente di più, niente di meno. Capisci cosa cerco di dirti?»
Annuii.
Passò un secondo.
Scossi la testa.
«Dico che, se eri qui per rapire una creatura o rubare un po’ di glamour, confessare è la scelta migliore. Non ne saremo entusiasti, ma non ti bruceremo neanche su un palo».
«Non sono una strega». Lo volevo urlare, ma nella mia voce c’era più incredulità che rabbia. Una collezionista di creature magiche coi capelli verdi e un presunto folletto facevano di tutto per assicurarmi che non mi avrebbero arsa sul rogo, ed ero esausta.
«Voglio crederti,» disse Silvana, pensosa. «Ma come ti è finita addosso tanta energia da saziare una viverna umorale? Sono quantità da famiglio, quelle». Famiglio. Come i gatti delle streghe. «Quando ci hai chiamati, mi è parso strano che avessi notato un tarantaside, ma capita».
«Non vi ho chiamati io».
«Come? No, certo, abbiamo la radio. Ce l’ha sistemata uno stregone di Reggio per evitarsi una multa, rileva ritrovamenti come il tuo. Vi diciamo che ci chiamate, in realtà vi individua lei».
La verità mi colpì dritta in faccia, ovvia e nauseante. Non dissi nulla.
«Non c’è altra scelta, vero?» Rosso trasse un lungo sospiro.
La donna annuì con espressione grave, quindi si rivolse a me: «Puoi andare».
«Cosa?»
Allargò le braccia: «Se avessi lanciato incantesimi qui dentro, i sensori l’avrebbero rilevato. Sono vecchi, ma funzionano. Il tarantaside non è stregato, tu emani l’aura magica di una ciabatta - potrebbe averla ripulita la bestiola, ma ti abbiamo tenuta qui abbastanza a lungo da generarne altra. Devo supporre che tu fossi nelle vicinanze di un incantesimo per sbaglio, e lasciarti andare. Se non torni qui, il glamour ti ripulirà la memoria in una mezz’ora. Siamo un centro di recupero con poche risorse e ancora meno volontari, non una forza armata. Non possiamo che affidarci alla tua onestà».
Apriti sesamo
Uscii sola, sotto la pioggia.
Silvana mi avrebbe raggiunta in un paio di minuti con la macchina.
Presi il telefono e composi il numero di Alessia.
«Pensavo che avrei dovuto chiamarti io,» disse.
«Nessuno ha telefonato al centro. Sono stati allertati dalla loro radiolina magica. E il glamour; il sapore del glamour distillato… Era l’ingrediente segreto del tuo sugo, vero?»
«La mia versione, ma sì - magia liquida, q.b.».
«Per controllarmi».
«Per…» La sua voce s’indurì: «Non ha importanza. Hai il tuo specchietto per il trucco in borsa, no?»
Sospirai. «Certo. Ce l’hai messo tu».
«Ottimo. Tiralo fuori! Ricordi il sigillo sullo specchio con cui avete aperto la prima volta, vero? Se non ho scazzato il sugo, dovresti averci fatto caso».
Estrassi dalla borsa il mio specchietto e lo aprii.
Non mi sorprese che dentro, al posto della mia stupida faccia, ci fosse il sorriso malizioso di Alessia.
«Non è una porta a specchio. Lo specchio è la porta».
«Non essere sciocca. Ogni specchio è una porta. Ora sbrigati! Traccia il sigillo sulla superficie e puntami verso l’accesso. Voglio verificare se posso entrare ogni volta che...»
«No».
«Prego?»
«Non so se il tuo sugo magico possa forzarmi, ma non voglio rapinare un canile magico. Trova un altro modo per pulirti l’aura».
«Non volevo ripulire me». Incrociò le braccia. «Vivere con una strega ti lascia addosso dei residui. Rischiavi che qualcuno ti attaccasse per arrivare a me. Non volevo che accadesse».
«Oh. Potevi… Mandarmi via, no?»
«Potevo. Non volevo».
«Oh». Stavolta non abbassai lo sguardo, e fui certa che anche Alessia era arrossita «Ma avevi già un tarantaside. Mi ci hai condotta tu».
«E l’avrei portato all’indigestione in un mese. Qui me lo curano loro, e ne trovano altri regolarmente».
«Beh, questo posto non è la tua miniera, Alessia!» Ero così furiosa che sentii appena la frenata. «Non dovresti rapinarlo, dovresti, che ne so, fargli una donazione!»
«Ben detto!» Silvana s’impadronì dello specchietto e prese a disegnarci sopra col dito, mentre Rosso mi immobilizzava.
«Smettila!,» protestai. «Lasciala stare! E toglimi di dosso il molestatore magico!»
«Folletto seduttore. Non ho mai molestato nessuno, io».
Mi liberai con uno strattone; lui si mise tra me e Silvana. Gli indicai i suoi polsi: «E quelli, allora?»
«Un’amica doveva liberarsi di un ex insistente. Gli ho fatto, ah, un dispetto».
«L’hai… Ucciso?»
«Starà benissimo, una volta uscito dall’ospedale. E da Bangkok. Il punto è: ne so qualcosa di relazioni tossiche. Se tu e Maleficent, lì, volete portare avanti questa cosa, vi servirà più onestà. Pretendila».
Mi sentii avvampare le guance, e mi voltai. Alessia era ancora riflessa nello specchio, ma sospesa, adesso, in un limbo buio. Imprigionata.
«E ora?,» chiese, seccata.
«Ora,» rispose Silvana, «veniamo a prenderti».
L’involontaria
Avevo dovuto aspettare due ore, in mezzo a una folla di matricole come me, per cinque minuti di ricevimento con il professor Crani. Un’agonia - ma avevo resistito: stavo migliorando.
Raggiunsi il centro di corsa.
Alessia mi aprì la porta a specchi prima che potessi bussare. Tatuaggi luccicanti coprivano i suoi polsi sottili, per impedirle di nutrire il tarantaside oltremisura. O rubare scorte di glamour. O lanciare incantesimi.
«Ed ecco la piccola traditrice,» sbuffò.
Avrei potuto correggerla o ribattere, ma risposi con un sorriso. Intanto sei venuta in anticipo per aspettarmi.
Alle sue spalle, dietro la scrivania, riposava un enorme rettile alato, verde acceso, con la testa percorsa da una lunga cresta.
«Aspetta - quello è il mio tarantaside?»
«Oh, no. Lei, a occhio, è qui da prima. Dai, vieni».
Entrai e guardai Alessia che chiudeva la porta. C’era qualcosa di aggraziato nella sua svogliatezza esasperata.
«Finalmente ci siete entrambe!» La voce di Silvana mi fece sobbalzare. Mi aspettava alla scrivania. Della viverna, nessuna traccia. «Rosso!,» chiamò.
Mi voltai verso Alessia, che si strinse nelle spalle. Nessuno meglio di un mostro per curare mostri, immagino.
«Sono felice che siamo tutti entusiasti di fare del bene» Rosso entrò portando guanti in lattice per tutti e una pila di quotidiani. «Oggi pulirete le gabbie». Ci rivolse un sorriso tremendo: «Non dovrete più chiedervi se i lemuri vanno di corpo. La risposta è: troppo».
Ridacchiai. Alessia mi lanciò un’occhiataccia, ma sorrideva anche lei.
Il pomeriggio prometteva bene.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
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Re: L'involontaria
Bonus
Bonus 1: Protagonisti adolescenti (Young Adult) -3.
La protagonista, diciannovenne, matricola appena trasferita.
Bonus 2: Almeno una scena che generi “sense of wonder” -2
Il "giro turistico" nel centro dopo l'attacco della fata, e il Posto Buio in particolare.
Bonus 4: Uno specchio deve essere importante nella trama -2
La porta-specchio del centro, e lo specchietto da borsetta della protagonista.
Bonus 1: Protagonisti adolescenti (Young Adult) -3.
La protagonista, diciannovenne, matricola appena trasferita.
Bonus 2: Almeno una scena che generi “sense of wonder” -2
Il "giro turistico" nel centro dopo l'attacco della fata, e il Posto Buio in particolare.
Bonus 4: Uno specchio deve essere importante nella trama -2
La porta-specchio del centro, e lo specchietto da borsetta della protagonista.
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Re: L'involontaria
Argh - ieri sera, nella fretta, ho scritto nella risposta-per-i-bonus che la protagonista è diciannovenne, ma essendo una matricola qualunque ha diciotto anni, non diciannove.
Cambia poco, visto che i temi YA sono sempre quelli (una ragazza teen appena allontanatasi da casa, che incontra nuove modalità di relazionarsi agli altri tra social anxiety, nuove possibilità e responsabilità), ma siccome alla veneranda età di ventinove anni ho più ansie io di lei lo specifico.
Cambia poco, visto che i temi YA sono sempre quelli (una ragazza teen appena allontanatasi da casa, che incontra nuove modalità di relazionarsi agli altri tra social anxiety, nuove possibilità e responsabilità), ma siccome alla veneranda età di ventinove anni ho più ansie io di lei lo specifico.
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Re: L'involontaria
A TUTTI I PARTECIPANTI:
Se volete che La Sfida diventi qualcosa di più di un esercizio di scrittura sta a voi impegnarvi. Anche nella fase dei commenti cercate di superare i vostri limiti. Fate critiche costruttive, cercate le lacune dei racconti che dovete leggere e non fatevi problemi nell’esprimere il vostro pensiero in maniera onesta.
La perfezione non passa da queste parti ma insieme potete aiutarvi a migliorare.
Ultima nota, affinché la comunità cresca, se non l’avete fatto vi consiglio di iscrivervi al gruppo Facebook de La Sfida a…
https://www.facebook.com/groups/215238252346692
Se volete che La Sfida diventi qualcosa di più di un esercizio di scrittura sta a voi impegnarvi. Anche nella fase dei commenti cercate di superare i vostri limiti. Fate critiche costruttive, cercate le lacune dei racconti che dovete leggere e non fatevi problemi nell’esprimere il vostro pensiero in maniera onesta.
La perfezione non passa da queste parti ma insieme potete aiutarvi a migliorare.
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Re: L'involontaria
Riassunto in due parole: bel racconto. Semplice e scorrevole, trama molto lineare, una protagonista ben caratterizzata, uno sfondo di mondo magico chiaro ma che non ambisce particolarmente, magari per tua volontà o la complicità del numero di caratteri. Tutto è funzionale e niente è in eccesso, anche lo stile è ben curato (ho trovato un unico refuso, quando Silvana chiede a Rosso "come sa la ragazza" al posto di "come sta"). Confermo sia l'aderenza al tema che la piena presenza di tutti e tre i bonus da te segnalati, oltretutto magistralmente giocati (certo, hai dovuto sacrificare quello del flashback/flasforward, ma gli altri risultano inseriti con maggiore organicità così). Secondo me, potevi tralasciare la suddivisione in scene/sequenze con relativo titoletto, ma questa è una mera quisquiglia ed oltretutto dipende soltanto dal mio giudizio personale (probabilmente troverai anche qualcuno che magari ha gradito tale scelta). Mi sarebbe piaciuto però vedere una maggiore insistenza su tensione e suspense all'interno del brano, qualcosa che generasse in me un minimo di sussulto o turbamento, ma alla fine anche nella sua leggerezza il tuo testo suscita l'interesse del lettore.
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Re: L'involontaria
Risposta breve: grazie.
Sono felice che il racconto faccia il suo mestiere, e il complimento sui bonus è un boost di autostima.
Inoltre, hai intuito un sacco di cose sul Dietro le quinte del racconto.
C'era una prima stesura con un'insistenza ancora maggiore sul ruolo degli specchi, e un ruolo abbastanza decisivo dato a particolari creature magiche che negli specchi ci vivono, e più spazio per i background di Rosso Malpighi e Silvana ma, ahimè, caratteri. Magari è meglio così, chissà.
Comunque questa è la premessa per un romanzo che mi gira in testa da un po', quindi nel futuro chissà cosa potrebbe succederle.
Ti spiego il background della cosa nel caso tu sia curiosə: dato che, complici i limiti di caratteri, ci sono un sacco di scene in rapida sequenza con tagli quasi televisivi, e sono noto per la mia tendenza a scrivere roba troppo complicata/contorta, ho usato spazi chiari e titoletti per dare un senso di regolarità al flusso di eventi e confondere meno il lettore. Poi, probabilmente sarebbe stato chiaro comunque e l'esperienza mi ha reso paranoico, ma ho voluto sperimentare - quindi, il feedback su questo aspetto nello specifico mi interessa molto per aggiustare la rotta in futuro. Ancora, grazie.
Terrò in considerazione il suggerimento per futuri sviluppi.
Sono felice che il racconto faccia il suo mestiere, e il complimento sui bonus è un boost di autostima.
Inoltre, hai intuito un sacco di cose sul Dietro le quinte del racconto.
uno sfondo di mondo magico chiaro ma che non ambisce particolarmente, magari per tua volontà o la complicità del numero di caratteri.
C'era una prima stesura con un'insistenza ancora maggiore sul ruolo degli specchi, e un ruolo abbastanza decisivo dato a particolari creature magiche che negli specchi ci vivono, e più spazio per i background di Rosso Malpighi e Silvana ma, ahimè, caratteri. Magari è meglio così, chissà.
Comunque questa è la premessa per un romanzo che mi gira in testa da un po', quindi nel futuro chissà cosa potrebbe succederle.
Ouch, beccato, correggerò in revisione, grazie.ho trovato un unico refuso, quando Silvana chiede a Rosso "come sa la ragazza" al posto di "come sta"
Secondo me, potevi tralasciare la suddivisione in scene/sequenze con relativo titoletto, ma questa è una mera quisquiglia ed oltretutto dipende soltanto dal mio giudizio personale (probabilmente troverai anche qualcuno che magari ha gradito tale scelta).
Ti spiego il background della cosa nel caso tu sia curiosə: dato che, complici i limiti di caratteri, ci sono un sacco di scene in rapida sequenza con tagli quasi televisivi, e sono noto per la mia tendenza a scrivere roba troppo complicata/contorta, ho usato spazi chiari e titoletti per dare un senso di regolarità al flusso di eventi e confondere meno il lettore. Poi, probabilmente sarebbe stato chiaro comunque e l'esperienza mi ha reso paranoico, ma ho voluto sperimentare - quindi, il feedback su questo aspetto nello specifico mi interessa molto per aggiustare la rotta in futuro. Ancora, grazie.
Mi sarebbe piaciuto però vedere una maggiore insistenza su tensione e suspense all'interno del brano, qualcosa che generasse in me un minimo di sussulto o turbamento, ma alla fine anche nella sua leggerezza il tuo testo suscita l'interesse del lettore.
Terrò in considerazione il suggerimento per futuri sviluppi.
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- Giovanni Attanasio
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Re: L'involontaria
Ciao!
La storia non è male, ma ho dovuto rileggerla una seconda volta per afferrare la trama. Lo stile è ok, ma mi è capitato di faticare nel seguire i dialoghi.
C'è un passaggio in particolare, quello della fata che pugnala la protagonista nello stinco, che mi ha un po' confuso. La fata non è mai stata introdotta in nessun modo, giusto? È apparsa dal nulla. Forse farlo notare sarebbe stato meglio, perché ho speso qualche secondo a cercare di capire se mi fossi perso qualche dettaglio.
Mi ha fatto sorridere il nome Rosso Malpighi. A parte in Rosso Malpelo non lo avevo mai letto altrove. Penso sia anche il mio personaggio preferito del racconto.
Alla prossima lettura, ciao!
La storia non è male, ma ho dovuto rileggerla una seconda volta per afferrare la trama. Lo stile è ok, ma mi è capitato di faticare nel seguire i dialoghi.
C'è un passaggio in particolare, quello della fata che pugnala la protagonista nello stinco, che mi ha un po' confuso. La fata non è mai stata introdotta in nessun modo, giusto? È apparsa dal nulla. Forse farlo notare sarebbe stato meglio, perché ho speso qualche secondo a cercare di capire se mi fossi perso qualche dettaglio.
Mi ha fatto sorridere il nome Rosso Malpighi. A parte in Rosso Malpelo non lo avevo mai letto altrove. Penso sia anche il mio personaggio preferito del racconto.
Alla prossima lettura, ciao!
"Scrivo quello che voglio e come voglio. Fatevelo piacere."
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Re: L'involontaria
Ciao Giovanni, grazie per il commento.
Come accennavo, causare confusione è un difetto con cui lotto nei pezzi di questa lunghezza (in parte anche in quelli più corti), quindi ogni feedback in proposito è oro, ne terrò conto.
Più che "apparire dal nulla", viene notata all'improvviso, dalla protagonista, e solo perché l'attacca. Dato che il racconto è tutto dal suo punto di vista, introdurla in quel momento segue questo fatto (oltre a offrirmi l'opportunità di un buon salto di scena).
In seguito viene riportata in gabbia tra le altre creature: da questo si può intuire da dove arrivi di preciso, ma non è indispensabile.
Fun fact: la sequenza della fata è un omaggio. Chi capisce a cosa e a chi vince, non so, un caffè quando potrò offrirlo.
Piccolo gioco di parole su Rosso Malpelo e easter egg sulla città in cui è ambientata la storia, per achi la conosce (non era importante specificarla, ma chi ha familiarità può individuarla con abbastanza facilità, credo).
Grazie di nuovo e alla prossima.
La storia non è male, ma ho dovuto rileggerla una seconda volta per afferrare la trama. Lo stile è ok, ma mi è capitato di faticare nel seguire i dialoghi.
Come accennavo, causare confusione è un difetto con cui lotto nei pezzi di questa lunghezza (in parte anche in quelli più corti), quindi ogni feedback in proposito è oro, ne terrò conto.
C'è un passaggio in particolare, quello della fata che pugnala la protagonista nello stinco, che mi ha un po' confuso. La fata non è mai stata introdotta in nessun modo, giusto? È apparsa dal nulla. Forse farlo notare sarebbe stato meglio, perché ho speso qualche secondo a cercare di capire se mi fossi perso qualche dettaglio.
Più che "apparire dal nulla", viene notata all'improvviso, dalla protagonista, e solo perché l'attacca. Dato che il racconto è tutto dal suo punto di vista, introdurla in quel momento segue questo fatto (oltre a offrirmi l'opportunità di un buon salto di scena).
In seguito viene riportata in gabbia tra le altre creature: da questo si può intuire da dove arrivi di preciso, ma non è indispensabile.
Fun fact: la sequenza della fata è un omaggio. Chi capisce a cosa e a chi vince, non so, un caffè quando potrò offrirlo.
Mi ha fatto sorridere il nome Rosso Malpighi. A parte in Rosso Malpelo non lo avevo mai letto altrove. Penso sia anche il mio personaggio preferito del racconto.
Piccolo gioco di parole su Rosso Malpelo e easter egg sulla città in cui è ambientata la storia, per achi la conosce (non era importante specificarla, ma chi ha familiarità può individuarla con abbastanza facilità, credo).
Grazie di nuovo e alla prossima.
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Re: L'involontaria
Ciao Daniel,
prima di tutto, complimenti per la storia: mi è piaciuta davvero. Hai creato un worldbuilding adatto alla storia che volevi raccontare e il tuo stile è coinvolgente. Mi è piaciuto in particolar modo le relazioni sociali-sentimentali tra i personaggi, mi ci sono anche affezionato e a essere sincero mi piacerebbe molto leggere un intero romanzo con questa ambientazione, penso che ne verrebbe fuori qualcosa di strepitoso. Un altro punto a favore per l'inventiva dei mostri: okay il mostro principale è preso dalle leggende, ma sono i piccoli dettagli che mostrano quanto hai puntato sul worldbuilding. Mi riferisco ad esempio alle anguille che fanno comparire impronte di mani: me le sono viste davanti come fossi stato lì. Bravo davvero.
Ora la parte dolente, perché sì le mazzate piovono per tutti purtroppo. Il punto più critico di questo testo è la distribuzione delle informazioni. Ad esempio l'incipit è un po' disordinato: prima parli che viene attratta dalla luce, poi fai un lungo flashback su come è arrivata lì e sulle sue abitudini. Al termine del flashback il lettore se n'è già dimenticato della luce, ti conviene descrivere gli eventi nel giusto ordine temporale.
Poi la lucertola: non è una lucertola, ma il lettore non lo capisce per buona parte del testo. Non sappiamo quanto sia grande, di che colore sia, quante zampe ha. Il lettore crede di saperlo per la prima parte, poi gli sovrascrivi metà informazioni con una descrizione sommaria e l'altra metà la lasci sottintendere con le sue azioni. Se non era una lucertola normale dovevi dirlo subito, soprattutto perché la protagonista aveva tutto il diritto di farne una descrizione mentale accurata essendo un animale a lei totalmente nuovo. Invece dicendo "una lucertola" il lettore vede una piccola lucertola verde, di certo non un drago alato.
Questa frase è un po' problematica. All'inizio non la capivo, complice anche uno stacco non necessario, e credevo fosse una sorta di metafora per dire che stava per succedere qualcosa. Poi sono andato al paragrafo successivo e ho capito che non era uno stacco e non era una metafora, era davvero una fata. Il fatto che tu abbia usato l'articolo determinativo mi ha fatto confondere, perché di solito si usa per qualcosa che si conosce, mentre qui la protagonista non sa neanche che ci sia un esserino vicino a lei e soprattutto nella riga successiva passa a descriverla. Lei non poteva sapere in quel momento che a pugnalarla fosse stata una fata, può solo aver sentito il dolore, il fatto che dica "la fata mi pugnalò" significa che a raccontare la storia non è la lei che sta vivendo quell'attimo, ma la lei che racconta i fatti dopo averli vissuti, magari una volta tornata a casa. La cosa mi ha cacciato via dall'immersione della lettura in modo abbastanza brutale e mi ha disorientato.
Un altro problema: se dici "fata" il lettore si immagina un essere con le ali, mentre dopo fai capire che non le ha. Devi fare attenzione alle immagini che evochi nella mente delle persone con la scelta delle parole.
Un'altra scena che ho avuto difficoltà a figurarmi è quando Silvana e Rosso la placcano sul finale, non ho capito da dove sono spuntati fuori. Immagino da una macchina, visto che poco prima ha sentito una frenata, ma l'informazione è data in modo un po' approssimativo e la scena risulta confusa.
Anche la scena finale in cui doveva esserci la spiegazione del perché l'amica strega aveva ordito quel piano mi è risultato un po' confuso, non ho capito di preciso quale fosse il suo obiettivo, forse è colpa mia che non ci sono arrivato, ma non mi è sembrato così immediato.
Infine, l'atteggiamento passivo della protagonista mi ha dato un po' fastidio a un certo punto: tutto il tempo nell'ufficio lo passa guardando gli eventi scorrerle davanti agli occhi e si fa fare di tutto. Capisco che la situazione l'ha paralizzata emotivamente, ma un protagonista troppo "molle" è difficile da apprezzare.
In definitiva: mi è piaciuto molto il mondo che hai creato, ma penso che avresti potuto valorizzarlo molto, molto più di così. Resta comunque un ottimo racconto.
prima di tutto, complimenti per la storia: mi è piaciuta davvero. Hai creato un worldbuilding adatto alla storia che volevi raccontare e il tuo stile è coinvolgente. Mi è piaciuto in particolar modo le relazioni sociali-sentimentali tra i personaggi, mi ci sono anche affezionato e a essere sincero mi piacerebbe molto leggere un intero romanzo con questa ambientazione, penso che ne verrebbe fuori qualcosa di strepitoso. Un altro punto a favore per l'inventiva dei mostri: okay il mostro principale è preso dalle leggende, ma sono i piccoli dettagli che mostrano quanto hai puntato sul worldbuilding. Mi riferisco ad esempio alle anguille che fanno comparire impronte di mani: me le sono viste davanti come fossi stato lì. Bravo davvero.
Ora la parte dolente, perché sì le mazzate piovono per tutti purtroppo. Il punto più critico di questo testo è la distribuzione delle informazioni. Ad esempio l'incipit è un po' disordinato: prima parli che viene attratta dalla luce, poi fai un lungo flashback su come è arrivata lì e sulle sue abitudini. Al termine del flashback il lettore se n'è già dimenticato della luce, ti conviene descrivere gli eventi nel giusto ordine temporale.
Poi la lucertola: non è una lucertola, ma il lettore non lo capisce per buona parte del testo. Non sappiamo quanto sia grande, di che colore sia, quante zampe ha. Il lettore crede di saperlo per la prima parte, poi gli sovrascrivi metà informazioni con una descrizione sommaria e l'altra metà la lasci sottintendere con le sue azioni. Se non era una lucertola normale dovevi dirlo subito, soprattutto perché la protagonista aveva tutto il diritto di farne una descrizione mentale accurata essendo un animale a lei totalmente nuovo. Invece dicendo "una lucertola" il lettore vede una piccola lucertola verde, di certo non un drago alato.
Fu allora che la fata mi pugnaló nello stinco.
Questa frase è un po' problematica. All'inizio non la capivo, complice anche uno stacco non necessario, e credevo fosse una sorta di metafora per dire che stava per succedere qualcosa. Poi sono andato al paragrafo successivo e ho capito che non era uno stacco e non era una metafora, era davvero una fata. Il fatto che tu abbia usato l'articolo determinativo mi ha fatto confondere, perché di solito si usa per qualcosa che si conosce, mentre qui la protagonista non sa neanche che ci sia un esserino vicino a lei e soprattutto nella riga successiva passa a descriverla. Lei non poteva sapere in quel momento che a pugnalarla fosse stata una fata, può solo aver sentito il dolore, il fatto che dica "la fata mi pugnalò" significa che a raccontare la storia non è la lei che sta vivendo quell'attimo, ma la lei che racconta i fatti dopo averli vissuti, magari una volta tornata a casa. La cosa mi ha cacciato via dall'immersione della lettura in modo abbastanza brutale e mi ha disorientato.
Un altro problema: se dici "fata" il lettore si immagina un essere con le ali, mentre dopo fai capire che non le ha. Devi fare attenzione alle immagini che evochi nella mente delle persone con la scelta delle parole.
Un'altra scena che ho avuto difficoltà a figurarmi è quando Silvana e Rosso la placcano sul finale, non ho capito da dove sono spuntati fuori. Immagino da una macchina, visto che poco prima ha sentito una frenata, ma l'informazione è data in modo un po' approssimativo e la scena risulta confusa.
Anche la scena finale in cui doveva esserci la spiegazione del perché l'amica strega aveva ordito quel piano mi è risultato un po' confuso, non ho capito di preciso quale fosse il suo obiettivo, forse è colpa mia che non ci sono arrivato, ma non mi è sembrato così immediato.
Infine, l'atteggiamento passivo della protagonista mi ha dato un po' fastidio a un certo punto: tutto il tempo nell'ufficio lo passa guardando gli eventi scorrerle davanti agli occhi e si fa fare di tutto. Capisco che la situazione l'ha paralizzata emotivamente, ma un protagonista troppo "molle" è difficile da apprezzare.
In definitiva: mi è piaciuto molto il mondo che hai creato, ma penso che avresti potuto valorizzarlo molto, molto più di così. Resta comunque un ottimo racconto.
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Re: L'involontaria
Grazie mille, l'ambientazione in effetti mi girava in testa da un po' per un ipotetico romanzo, quindi grazie per l'incoraggiamento. E grazie per i complimenti riguardo i mostri; l'unica pressappoco originale è l'anguilla, ma mi fa piacere comunque sapere che ho presentato bene anche gli altri. Potrei chiudere il commento qui: il resto dei tuoi pareri sono validi e preziosi, e ci penserò su a lungo per capire come possono aiutare il testo in futuro. r diletto e per confronto, approfondisco comunque alcune delle tue riflessioni, così da chiarirle meglio anche a me stesso. Non si tratta di risposte vere e proprie, quanto di pensieri ad alta, beh, tastiera, e includono una delle cose più noiose del mondo da leggere: l'esplicitazione dei pezzi impliciti che strutturano una storia da parte dell'autore; se non vi piace leggere quel genere di roba, siete avvisati, saltate avanti. Io non mi offendo.Ciao Daniel, prima di tutto, complimenti per la storia: mi è piaciuta davvero. Hai creato un worldbuilding adatto alla storia che volevi raccontare e il tuo stile è coinvolgente. Mi è piaciuto in particolar modo le relazioni sociali-sentimentali tra i personaggi, mi ci sono anche affezionato e a essere sincero mi piacerebbe molto leggere un intero romanzo con questa ambientazione, penso che ne verrebbe fuori qualcosa di strepitoso. Un altro punto a favore per l'inventiva dei mostri: okay il mostro principale è preso dalle leggende, ma sono i piccoli dettagli che mostrano quanto hai puntato sul worldbuilding. Mi riferisco ad esempio alle anguille che fanno comparire impronte di mani: me le sono viste davanti come fossi stato lì. Bravo davvero.
Terrò conto dell'osservazione ma, per diletto di confronto, ti esplicito anche la funzione ideale della scelta: il modo migliore per generare meraviglia (o i suoi parenti in scala ridotta) in un urban fantasy (e questo, almeno in termini d'ambientazione, lo è) è partire da una situazione familiare, mondana persino, e quando questa è stata sufficientemente stabilita romperla con qualcosa di impossibile (il fuoco fatuo, nel mio caso). La frase iniziale non serve a dare al lettore informazioni che questi debba trattenere per forza perché la storia funzioni; serve invece a dare anticipazioni, a dire: "Certo, stai per leggere di una passeggiata di ritorno di una matricola fuori sede ma, ehi: ci sono dei fuochi d'artificio alla fine della strada". Se il lettore dimentica la luce, nessun danno (anzi, è quasi meglio). Se invece l'anticipazione risulta fastidiosa... Quello è un altro discorso.Ora la parte dolente, perché sì le mazzate piovono per tutti purtroppo. Il punto più critico di questo testo è la distribuzione delle informazioni. Ad esempio l'incipit è un po' disordinato: prima parli che viene attratta dalla luce, poi fai un lungo flashback su come è arrivata lì e sulle sue abitudini. Al termine del flashback il lettore se n'è già dimenticato della luce, ti conviene descrivere gli eventi nel giusto ordine temporale.
Qui mi hai preso in pieno. Quello della "lucertola" è un trucco pensato per trasmettere la capacità del magico di mascherarsi in modo implicito, ma l'avrei potuto distribuire molto meglio nel capitoletto, e con una riscrittura in più forse ce l'avrei fatta. Ehi, vedremo in fase di revisione.Poi la lucertola: non è una lucertola, ma il lettore non lo capisce per buona parte del testo. Non sappiamo quanto sia grande, di che colore sia, quante zampe ha. Il lettore crede di saperlo per la prima parte, poi gli sovrascrivi metà informazioni con una descrizione sommaria e l'altra metà la lasci sottintendere con le sue azioni. Se non era una lucertola normale dovevi dirlo subito, soprattutto perché la protagonista aveva tutto il diritto di farne una descrizione mentale accurata essendo un animale a lei totalmente nuovo. Invece dicendo "una lucertola" il lettore vede una piccola lucertola verde, di certo non un drago alato.
Sono un po' disorientato dall'ultima parte di questo commento, a dire il vero: l'intera vicenda è giocata come un incontro formativo quanto stravaganti, non come un'avventura mozzafiato (nessuno rischia mai il collo, in ultima istanza, e le tensioni maggiori sono interiori o interpersonali), il che può piacere o meno, ma che la storia sia raccontata a posteriori viene ricordato molto spesso: la prima frase (sulla luce), questa sulla fata, la scelta del passato remoto insieme alla prima persona... Mi sembra strano che questa particolare istanza sembri fuori posto. Per il resto, però, validissima osservazione che non sei stato l'unico a fare: ne terrò conto.Fu allora che la fata mi pugnaló nello stinco. Questa frase è un po' problematica. All'inizio non la capivo, complice anche uno stacco non necessario, e credevo fosse una sorta di metafora per dire che stava per succedere qualcosa. Poi sono andato al paragrafo successivo e ho capito che non era uno stacco e non era una metafora, era davvero una fata. Il fatto che tu abbia usato l'articolo determinativo mi ha fatto confondere, perché di solito si usa per qualcosa che si conosce, mentre qui la protagonista non sa neanche che ci sia un esserino vicino a lei e soprattutto nella riga successiva passa a descriverla. Lei non poteva sapere in quel momento che a pugnalarla fosse stata una fata, può solo aver sentito il dolore, il fatto che dica "la fata mi pugnalò" significa che a raccontare la storia non è la lei che sta vivendo quell'attimo, ma la lei che racconta i fatti dopo averli vissuti, magari una volta tornata a casa. La cosa mi ha cacciato via dall'immersione della lettura in modo abbastanza brutale e mi ha disorientato.
Anche questo prenderò in considerazione. Ma davvero ci siamo ridotti a semplificare così tanto il Piccolo Popolo da associarlo immediatamente e indubitabilmente con la Trilly della Disney o le protagoniste di Carnival Row? Good grief. Devo uscire più spesso e parlare con gli esseri umani.Un altro problema: se dici "fata" il lettore si immagina un essere con le ali, mentre dopo fai capire che non le ha. Devi fare attenzione alle immagini che evochi nella mente delle persone con la scelta delle parole.
In effetti, essendomi limitato al PDV della protagonista, l'arrivo in macchina dei due è preannunciato solo periferalmente: non solo dalla frenata (Silvana aveva comunque detto alla protagonista che stava andando a prendere la macchina, ed è l'esitazione di quest'ultima a condannare Alessia, in fin dei conti), ma comunque da poco e lasciato sullo sfondo. Annotato.Un'altra scena che ho avuto difficoltà a figurarmi è quando Silvana e Rosso la placcano sul finale, non ho capito da dove sono spuntati fuori. Immagino da una macchina, visto che poco prima ha sentito una frenata, ma l'informazione è data in modo un po' approssimativo e la scena risulta confusa.
In breve: vivere con una strega, come dice Alessia e preannunciano i commenti di Silvana e Rosso, è pericoloso, a causa delle tracce spirituali che lascia e che potrebbero trasformare la povera protagonista in un bersaglio. Ma per Alessia, ormai affascinata dalla protagonista, separarsene è fuori discussione. Un tarantaside si nutre di questo genere di tracce. Alessia però - che è pur sempre stregonescamente cunning - non cerca solo una soluzione temporanea, e spera di ottenere libero accesso al Centro per potersi rifornire dei piccoli rettili mangiamagia regolarmente. Questo è il piano esplicitato, quantomeno: è lasciato intenzionalmente vago se le interessasse rubare anche altro. Le informazioni sono un po' sparse, confesso, ma ho preferito dedicare più spazio all'esplorazione, in accordo con il feeling che mi davano le indicazioni per l'edizione (I'm a sucker for a little sense of wonder).Anche la scena finale in cui doveva esserci la spiegazione del perché l'amica strega aveva ordito quel piano mi è risultato un po' confuso, non ho capito di preciso quale fosse il suo obiettivo, forse è colpa mia che non ci sono arrivato, ma non mi è sembrato così immediato.
Qui torna a farsi sentire la mia mania di tenere molto implicito: il viaggio della protagonista da spettatrice a collaboratrice ad attrice in grado di prendere decisioni è tratteggiato con estrema leggerezza, e l'arco che la porta a trovare un luogo sicuro dalla propria ansia sociale proprio nel posto più inverosimile della città resta in molti passaggi sotto la superficie, esplorato soltanto attraverso accenni indiretti. Ci rifletterò.Infine, l'atteggiamento passivo della protagonista mi ha dato un po' fastidio a un certo punto: tutto il tempo n ell'ufficio lo passa guardando gli eventi scorrerle davanti agli occhi e si fa fare di tutto. Capisco che la situazione l'ha paralizzata emotivamente, ma un protagonista troppo "molle" è difficile da apprezzare.
Grazie ancora per il commento. Se riuscirò a tradure il concept in romanzo in futuro, spero di contarti tra i lettori allora.In definitiva: mi è piaciuto molto il mondo che hai creato, ma penso che avresti potuto valorizzarlo molto, molto più di così. Resta comunque un ottimo racconto.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
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Re: L'involontaria
Daniel Travis ha scritto:Sono un po' disorientato dall'ultima parte di questo commento, a dire il vero: l'intera vicenda è giocata come un incontro formativo quanto stravaganti, non come un'avventura mozzafiato (nessuno rischia mai il collo, in ultima istanza, e le tensioni maggiori sono interiori o interpersonali), il che può piacere o meno, ma che la storia sia raccontata a posteriori viene ricordato molto spesso: la prima frase (sulla luce), questa sulla fata, la scelta del passato remoto insieme alla prima persona... Mi sembra strano che questa particolare istanza sembri fuori posto. Per il resto, però, validissima osservazione che non sei stato l'unico a fare: ne terrò conto.
Credo ci sia una differenza di vedute su questo argomento: una narrazione per essere immersiva non dovrebbe dare l'impressione di essere raccontata a posteriori neanche se la narrazione è in prima persona al passato. A riprova di questo nel tuo racconto le parti che ho trovato più appassionanti sono quelle in cui sembrava tutto raccontato come se stesse accadendo secondo per secondo, mentre i passaggi in cui espliciti la presenza di un narratore dal futuro (come ad esempio la pugnalata della fata) mi hanno fatto rallentare.
A tal proposito ti consiglio la lettura di romanzo: "Shiver", di Maggie Stiefvater. È scritto tutto in prima persona al passato e la primissima frase è "Ricordo che ero distesa sulla neve", proprio a dire "sì, c'è la protagonista che sta raccontando la storia", ma dopo non ci sono più riferimenti a questa informazione e tutto il resto della storia scorre come fosse un film che ti vivi sul momento. Ovviamente non è scritto secondo tutti i crismi che qui ci sforziamo di seguire, ma è uno dei miei libri preferiti. Se vuoi dare una lettura ai primi capitoli su Amazon c'è l'estratto consultabile gratuitamente, io te lo consiglio.
Daniel Travis ha scritto:Grazie ancora per il commento. Se riuscirò a tradure il concept in romanzo in futuro, spero di contarti tra i lettori allora.
Se dovessi scrivere seriamente il romanzo di questa storia e ne avessi bisogno ti farei volentieri anche da beta-lettore
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Re: L'involontaria
Oh, è più che okay, non è un'osservazione insensata, anzi, e ne terrò conto in revisione. E conosco "Shiver": buon consiglio, grazie mille.
Grazie davvero.
Stefano.Moretto ha scritto:Se dovessi scrivere seriamente il romanzo di questa storia e ne avessi bisogno ti farei volentieri anche da beta-lettore
Grazie davvero.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
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Re: L'involontaria
Ciao Daniel.
Il tuo è uno di quei racconti che mi causano reazioni contrastanti. Da un lato c’è un’ambientazione interessante (non originalissima, ma comunque interessante), una trama che ingrana lenta ma che offre un buon colpo di scena nel finale, dei personaggi (secondari) interessanti, dialoghi abbastanza naturali nel loro evolversi. Dall’altra però c’è una protagonista che subisce gli eventi senza mai agire, una scrittura il più delle volte poco immersiva e a tratti anche confusionaria nel gestire il flusso delle informazioni, una costruzione della trama che mostra il fianco a un universo narrativo difficile da contenere in soli 20k caratteri. Il problema è che, per quanto mi riguarda, il secondo gruppo ha un peso maggiore rispetto al primo.
In generale, concordo con quanto già scritto da Stefano in merito alla scarsa immersione nel POV della protagonista e sulla sua passività. Solo riguardo la questione dei nomi ti do in parte ragione, Daniel. In una realtà alternativa ci sta che una lucertola non sia propriamente una lucertola per come la intendiamo noi o che una foto sia lontana dal classico cliché alla Trilly. Ha però ragione Stefano quando scrive che dovresti anticipare gl’indizi che palesano tali differenze. Non serve fare una descrizione stile tema delle elementari ogni volta che introduci una creatura, basta inserire nel flusso delle azioni informazioni che sottolineino i lati “weird” delle tue creature. Ad esempio, se il tuo personaggio vede un cane, fai fare un’azione a quel cane tale da far capire che i cani del tuo mondo in verità hanno sei zampe e sono in grado di compiere balzi di decine di metri attraverso i loro peti esplosivi.
Alcune note sparse:
Sento come una eco di Doctor Who. :)
*caldi
Piccola nota tipografica: è vero che l’impostazione grafica della punteggiatura può essere modificata, entro certi limiti, secondo i propri gusti (basti vedere come le singole case editrici adottino parametri diversi), però se decidi di adottare un formato, meglio rispettarlo sempre. Detto questo, per quanto mi riguarda, eviterei la doppia punteggiatura (prima e dopo le virgolette di dialogo), sia per una questione di “pesantezza” grafica, sia perché così facendo risparmi caratteri, il che non è mai un male su MC. A win win, bro.
Ecco, questo è l’unico passaggio del racconto dove non riesco proprio a capire cosa stia succedendo. Cosa vuol dire che rimbalza? Contro cosa? E perché finisce con la fronte contro la spalla dell’amica. Giuro, sto impazzendo. Svelami l’arcano, ti prego! XD
Per concludere, la scelta di sfruttare le idee per un romanzo all’interno di un racconto da 20k caratteri non è stata forse felicissima, il che è un peccato perché il potenziale per un bel brano c’erano tutte. Nutro inoltre qualche dubbio sul bonus young adult. Non basta infatti avere una protagonista diciottenne per scrivere una storia young adult. Mancano infatti le tematiche classiche del genere, il che è risulta ancor più palese considerando che la tua protagonista, vista la sua passività, appare più come una marionetta nelle mani dell’autore. Che lei abbia 18 anni, o 30 o 50, quali modifiche sostanziali comporterebbe alla tua storia? In tutta onestà? Purtroppo nessuna.
Rimango comunque curioso di leggere altro di tuo, magari nato e pensato proprio come racconto.
Il tuo è uno di quei racconti che mi causano reazioni contrastanti. Da un lato c’è un’ambientazione interessante (non originalissima, ma comunque interessante), una trama che ingrana lenta ma che offre un buon colpo di scena nel finale, dei personaggi (secondari) interessanti, dialoghi abbastanza naturali nel loro evolversi. Dall’altra però c’è una protagonista che subisce gli eventi senza mai agire, una scrittura il più delle volte poco immersiva e a tratti anche confusionaria nel gestire il flusso delle informazioni, una costruzione della trama che mostra il fianco a un universo narrativo difficile da contenere in soli 20k caratteri. Il problema è che, per quanto mi riguarda, il secondo gruppo ha un peso maggiore rispetto al primo.
In generale, concordo con quanto già scritto da Stefano in merito alla scarsa immersione nel POV della protagonista e sulla sua passività. Solo riguardo la questione dei nomi ti do in parte ragione, Daniel. In una realtà alternativa ci sta che una lucertola non sia propriamente una lucertola per come la intendiamo noi o che una foto sia lontana dal classico cliché alla Trilly. Ha però ragione Stefano quando scrive che dovresti anticipare gl’indizi che palesano tali differenze. Non serve fare una descrizione stile tema delle elementari ogni volta che introduci una creatura, basta inserire nel flusso delle azioni informazioni che sottolineino i lati “weird” delle tue creature. Ad esempio, se il tuo personaggio vede un cane, fai fare un’azione a quel cane tale da far capire che i cani del tuo mondo in verità hanno sei zampe e sono in grado di compiere balzi di decine di metri attraverso i loro peti esplosivi.
Alcune note sparse:
La lucertola impossibile
Sento come una eco di Doctor Who. :)
con il mio fagotto di asciugamani calde.
*caldi
«Dai!».
[…]
«Esci?»
Piccola nota tipografica: è vero che l’impostazione grafica della punteggiatura può essere modificata, entro certi limiti, secondo i propri gusti (basti vedere come le singole case editrici adottino parametri diversi), però se decidi di adottare un formato, meglio rispettarlo sempre. Detto questo, per quanto mi riguarda, eviterei la doppia punteggiatura (prima e dopo le virgolette di dialogo), sia per una questione di “pesantezza” grafica, sia perché così facendo risparmi caratteri, il che non è mai un male su MC. A win win, bro.
Mi rispose con una spallata, ma rimbalzai e le finii con la fronte contro la spalla. Rise. Il rettile mi riposava addosso come un gatto.
Ecco, questo è l’unico passaggio del racconto dove non riesco proprio a capire cosa stia succedendo. Cosa vuol dire che rimbalza? Contro cosa? E perché finisce con la fronte contro la spalla dell’amica. Giuro, sto impazzendo. Svelami l’arcano, ti prego! XD
Per concludere, la scelta di sfruttare le idee per un romanzo all’interno di un racconto da 20k caratteri non è stata forse felicissima, il che è un peccato perché il potenziale per un bel brano c’erano tutte. Nutro inoltre qualche dubbio sul bonus young adult. Non basta infatti avere una protagonista diciottenne per scrivere una storia young adult. Mancano infatti le tematiche classiche del genere, il che è risulta ancor più palese considerando che la tua protagonista, vista la sua passività, appare più come una marionetta nelle mani dell’autore. Che lei abbia 18 anni, o 30 o 50, quali modifiche sostanziali comporterebbe alla tua storia? In tutta onestà? Purtroppo nessuna.
Rimango comunque curioso di leggere altro di tuo, magari nato e pensato proprio come racconto.
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Re: L'involontaria
Ciao John, grazie per i commenti, ne farò tesoro. Specialmente sui pezzi da 20000, il mio punto debole, mi fa sempre comodo avere osservazioni e spunti per migliorare.
Mi permetto comunque di replicare ad alcuni punti che, per quanto legittimi in termini di valutazione personale, fanno osservazioni che lasciano qualche dubbio che preferisco dissipare.
Sembra che tu abbia inteso che, nell'universo narrativo del racconto, tutte le lucertole abbiano due zampe e le ali, o che questa sia comunque una variazione comunque. Questa però non è una possibilità lasciata vaga dal racconto, che esplicitamente sostiene qualcosa di drasticamente diverso.
Il racconto, ambientato sostanzialmente nel nostro mondo, dice esplicitamente che il rettile non è una lucertola, e che a qualche livello la protagonista se ne rende conto (pensa specie esotica e non drago perché è una persona razionale), eppure ignora questo fatto, e lo tratta con le parole e con le azioni come una lucertola.
Si tratta della prima istanza di qualcosa di magico che si nasconde (ai profani, in questo caso).
Questo è testo, non sottotesto, a parte l'ultimo dato che però è fortemente indicato, e anche se fosse l'insalata di parole più confusa del mondo, mi sembra strano che la prima ipotesi sia quella che implichi.
Ovvio che si tratta di una questione incidentale: se il racconto non ti cattura/si spiega abbastanza da far passare l'informazione il punto non è il singolo dettaglio ma la necessità per me di migliorare il racconto.
Anche riguardo le fate: fate senza ali ne abbiamo a bizzeffe nel folklore, non le ho inventate io né sono così rare. Prendo nota dal commento precedente che la pop culture ha ridotto questa varietà, almeno per una fetta di pubblico, e valuterò di sostituire "folletto" a "fata", ma il punto non è che queste fate sono originali (non lo sono affatto): dare per scontato che il lettore accetti cani a sei zampe senza introdurli, la questione lucertola e la questione fate sono tre affari ben diversi, distinti quanto struttura (errore nel concept) ed espressione (esposizione contorta o troppo articolata).
Anche qui, l'osservazione di gusto ("Non aprezzo un protagonista che non agisca molto esternamente") è più che legittima, ma mi resta l'impulso a fare qualche precisazione.
Stiamo parlando di una ragazza giovane, appena trasferita in una nuova città, che affronta la propria ansia sociale e un interesse romantico inatteso, si trova in una realtà inaspettata a essere in principio manipolata da una persona di cui si fidava e poi a ribellarsi e guadagnarsi una nuova responsabilità (e trovare un rifugio dalla sua ansia sociale in uno spazio sicuro, come chiarisce il parallelo tra la prima e l'ultima scena). Lungo la strada è costretta a cambiare e a rivedere i propri assunti su almeno una persona (più di una in realtà - Alessia, che non è una buona coinquilina indifferente ma una stregaccia che ci tiene, Rosso riguardo il suo passato e Silvana superficialmente).
Questo è tutto ciò che fa e che le succede.
Incidentalmente le sue azioni (sfuggire alla gente dopo la visita in segreteria, prendere con sé una bestiola in difficoltà, trovarsi nei guai per questo, obbedire passivamente, apprezzare il valore di un luogo fantastico, prenere finalmente la propria sorte in mano e ribellarsi ad Alessia) sono più interne che esterne, ma non sono nulle.
Al di là della passività dell'arco della protagonista, però, che dipende da percezione e gusto, i temi YA ci sono, tecnicamente. Poi è chiaro che nulla ti obbliga ad apprezzarli o a trovarli ben fatti: siamo qui per questo.
Una trentenne, anche appena trasferita per lavoro (meno probabile di una matricola fuori sede, ma tutto sommato comune), anche molto insicura anche nella più semplice delle interazioni quotidiane (ancora, non impossibile ma meno probabile per una persona matura che per una matricola universitaria), che non resiste alla sofferenza di un animale trovato in strada (molto più probabile per un'adolescente, di nuovo, purtroppo), e reagisce alla scoperta di un sottobosco sovrannaturale segreto con più curiosità e meraviglia che terrore (per una trentenne, sarebbe molto più adatto un arco di ri-scoperta della meraviglia giovanile anziché uno di scoperta e di scoperta di sé, no?), quindi obbedisce alle indicazioni degli "adulti" (reazione più da diciottenne timida che da trentenne o cinquantenne, per quanto timida) e rifiuta di partecipare a un furto per ragioni puramente idealistiche (potrebbe farlo anche una trentenne o una cinquantenne, certo, ma lo farebbe presentando ragioni esclusivamente morali, senza neanche una menzione alle conseguenze pratiche?) e conclude la propria storia con una nuova appartenenza, chosen family e approccio alla vita di tutti i giorni mi sembra distintamente meno probabile di una diciottenne che fa lo stesso percorso. Una cinquantenne altrettanto, per ragioni diverse (non sto a farti tutto il discorso di nuovo, ma se sei interessato chiedi pure).
La psicologia del personaggio sarebbe quantomeno alienante in una fascia d'età diversa (aspetto anagrafico e psicologico), i temi sono quelli tipici formativi intrecciati a gran parte della letteratura YA (aspetto tematico) e anche diversi tropi YA sono rintracciabili nel testo (aspetto di genere).
Resta più che legittimo il parere.
Torno infine a ringraziarti per le osservazioni, comunque preziose, e a scusarmi se le risposte sembrano un filo polemiche: il loro intento era soltanto mettere i puntini sulle i per individuare meglio, anche di fronte a me stesso, gli aspetti del testo su cui lavorare e come e con quale target in mente lavorarci.
Mi permetto comunque di replicare ad alcuni punti che, per quanto legittimi in termini di valutazione personale, fanno osservazioni che lasciano qualche dubbio che preferisco dissipare.
JohnDoe ha scritto:Solo riguardo la questione dei nomi ti do in parte ragione, Daniel. In una realtà alternativa ci sta che una lucertola non sia propriamente una lucertola per come la intendiamo noi o che una foto sia lontana dal classico cliché alla Trilly. Ha però ragione Stefano quando scrive che dovresti anticipare gl’indizi che palesano tali differenze. Non serve fare una descrizione stile tema delle elementari ogni volta che introduci una creatura, basta inserire nel flusso delle azioni informazioni che sottolineino i lati “weird” delle tue creature. Ad esempio, se il tuo personaggio vede un cane, fai fare un’azione a quel cane tale da far capire che i cani del tuo mondo in verità hanno sei zampe e sono in grado di compiere balzi di decine di metri attraverso i loro peti esplosivi.
Sembra che tu abbia inteso che, nell'universo narrativo del racconto, tutte le lucertole abbiano due zampe e le ali, o che questa sia comunque una variazione comunque. Questa però non è una possibilità lasciata vaga dal racconto, che esplicitamente sostiene qualcosa di drasticamente diverso.
Il racconto, ambientato sostanzialmente nel nostro mondo, dice esplicitamente che il rettile non è una lucertola, e che a qualche livello la protagonista se ne rende conto (pensa specie esotica e non drago perché è una persona razionale), eppure ignora questo fatto, e lo tratta con le parole e con le azioni come una lucertola.
Si tratta della prima istanza di qualcosa di magico che si nasconde (ai profani, in questo caso).
Questo è testo, non sottotesto, a parte l'ultimo dato che però è fortemente indicato, e anche se fosse l'insalata di parole più confusa del mondo, mi sembra strano che la prima ipotesi sia quella che implichi.
Ovvio che si tratta di una questione incidentale: se il racconto non ti cattura/si spiega abbastanza da far passare l'informazione il punto non è il singolo dettaglio ma la necessità per me di migliorare il racconto.
Anche riguardo le fate: fate senza ali ne abbiamo a bizzeffe nel folklore, non le ho inventate io né sono così rare. Prendo nota dal commento precedente che la pop culture ha ridotto questa varietà, almeno per una fetta di pubblico, e valuterò di sostituire "folletto" a "fata", ma il punto non è che queste fate sono originali (non lo sono affatto): dare per scontato che il lettore accetti cani a sei zampe senza introdurli, la questione lucertola e la questione fate sono tre affari ben diversi, distinti quanto struttura (errore nel concept) ed espressione (esposizione contorta o troppo articolata).
JohnDoe ha scritto:In generale, concordo con quanto già scritto da Stefano in merito alla scarsa immersione nel POV della protagonista e sulla sua passività.
JohnDoe ha scritto:Nutro inoltre qualche dubbio sul bonus young adult. Non basta infatti avere una protagonista diciottenne per scrivere una storia young adult. Mancano infatti le tematiche classiche del genere, il che è risulta ancor più palese considerando che la tua protagonista, vista la sua passività, appare più come una marionetta nelle mani dell’autore. Che lei abbia 18 anni, o 30 o 50, quali modifiche sostanziali comporterebbe alla tua storia? In tutta onestà? Purtroppo nessuna.
Anche qui, l'osservazione di gusto ("Non aprezzo un protagonista che non agisca molto esternamente") è più che legittima, ma mi resta l'impulso a fare qualche precisazione.
Stiamo parlando di una ragazza giovane, appena trasferita in una nuova città, che affronta la propria ansia sociale e un interesse romantico inatteso, si trova in una realtà inaspettata a essere in principio manipolata da una persona di cui si fidava e poi a ribellarsi e guadagnarsi una nuova responsabilità (e trovare un rifugio dalla sua ansia sociale in uno spazio sicuro, come chiarisce il parallelo tra la prima e l'ultima scena). Lungo la strada è costretta a cambiare e a rivedere i propri assunti su almeno una persona (più di una in realtà - Alessia, che non è una buona coinquilina indifferente ma una stregaccia che ci tiene, Rosso riguardo il suo passato e Silvana superficialmente).
Questo è tutto ciò che fa e che le succede.
Incidentalmente le sue azioni (sfuggire alla gente dopo la visita in segreteria, prendere con sé una bestiola in difficoltà, trovarsi nei guai per questo, obbedire passivamente, apprezzare il valore di un luogo fantastico, prenere finalmente la propria sorte in mano e ribellarsi ad Alessia) sono più interne che esterne, ma non sono nulle.
Al di là della passività dell'arco della protagonista, però, che dipende da percezione e gusto, i temi YA ci sono, tecnicamente. Poi è chiaro che nulla ti obbliga ad apprezzarli o a trovarli ben fatti: siamo qui per questo.
Una trentenne, anche appena trasferita per lavoro (meno probabile di una matricola fuori sede, ma tutto sommato comune), anche molto insicura anche nella più semplice delle interazioni quotidiane (ancora, non impossibile ma meno probabile per una persona matura che per una matricola universitaria), che non resiste alla sofferenza di un animale trovato in strada (molto più probabile per un'adolescente, di nuovo, purtroppo), e reagisce alla scoperta di un sottobosco sovrannaturale segreto con più curiosità e meraviglia che terrore (per una trentenne, sarebbe molto più adatto un arco di ri-scoperta della meraviglia giovanile anziché uno di scoperta e di scoperta di sé, no?), quindi obbedisce alle indicazioni degli "adulti" (reazione più da diciottenne timida che da trentenne o cinquantenne, per quanto timida) e rifiuta di partecipare a un furto per ragioni puramente idealistiche (potrebbe farlo anche una trentenne o una cinquantenne, certo, ma lo farebbe presentando ragioni esclusivamente morali, senza neanche una menzione alle conseguenze pratiche?) e conclude la propria storia con una nuova appartenenza, chosen family e approccio alla vita di tutti i giorni mi sembra distintamente meno probabile di una diciottenne che fa lo stesso percorso. Una cinquantenne altrettanto, per ragioni diverse (non sto a farti tutto il discorso di nuovo, ma se sei interessato chiedi pure).
La psicologia del personaggio sarebbe quantomeno alienante in una fascia d'età diversa (aspetto anagrafico e psicologico), i temi sono quelli tipici formativi intrecciati a gran parte della letteratura YA (aspetto tematico) e anche diversi tropi YA sono rintracciabili nel testo (aspetto di genere).
Resta più che legittimo il parere.
Torno infine a ringraziarti per le osservazioni, comunque preziose, e a scusarmi se le risposte sembrano un filo polemiche: il loro intento era soltanto mettere i puntini sulle i per individuare meglio, anche di fronte a me stesso, gli aspetti del testo su cui lavorare e come e con quale target in mente lavorarci.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
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- Artemis Entreri
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Re: L'involontaria
Ciao, piacere di leggerti.
Il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo sia per come è strutturato sia per il tema. Molto bella l'idea del rifugio per mostri gestito da streghe, con tanto di 'condannati ai lavori socialmente utili'. Apprezzabili tutti i personaggi, molto ben caratterizzati. Nonostante non ci fosse spazio per chissà quali dettagli, riesci a fornire uno scorcio ben definito del mondo magico in cui si muovono i protagonisti. Io ho gradito anche la suddivisione delle sequenze con relativo titolo, ci sta proprio bene.
Il tema è centrato e anche lo specchio fa il suo dovere. Peccato per il flashback/flashforward, ma così la storia scorre a meraviglia seguendo la trama, inserire qualcosa a forza l'avrebbe rovinata.
L'unica cosa che mi sento di eccepire sulla gestione delle scene riguarda la lucertola. Ho aggrottato la fronte quando è venuto fuori che la protagonista aveva portato a casa una lucertola e chiamato la protezione animali... Immaginavo la lucertola sulle sue ginocchia e mi dicevo: WTF?
A proposito, sono cieca io o questa poveretta non ha un nome? Almeno una volta avresti potuto farla chiamare per nome da Alessia o farle dare nome e cognome quando gliel'hanno chiesto al rifugio.
Ti segnalo anche qualche frase che - secondo la mia sensibilità - andrebbe rivista e qualche typo, sperando di essere d'aiuto (sono pigra e non uso l'HTML per citare, abbi pazienza).
Il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo sia per come è strutturato sia per il tema. Molto bella l'idea del rifugio per mostri gestito da streghe, con tanto di 'condannati ai lavori socialmente utili'. Apprezzabili tutti i personaggi, molto ben caratterizzati. Nonostante non ci fosse spazio per chissà quali dettagli, riesci a fornire uno scorcio ben definito del mondo magico in cui si muovono i protagonisti. Io ho gradito anche la suddivisione delle sequenze con relativo titolo, ci sta proprio bene.
Il tema è centrato e anche lo specchio fa il suo dovere. Peccato per il flashback/flashforward, ma così la storia scorre a meraviglia seguendo la trama, inserire qualcosa a forza l'avrebbe rovinata.
L'unica cosa che mi sento di eccepire sulla gestione delle scene riguarda la lucertola. Ho aggrottato la fronte quando è venuto fuori che la protagonista aveva portato a casa una lucertola e chiamato la protezione animali... Immaginavo la lucertola sulle sue ginocchia e mi dicevo: WTF?
A proposito, sono cieca io o questa poveretta non ha un nome? Almeno una volta avresti potuto farla chiamare per nome da Alessia o farle dare nome e cognome quando gliel'hanno chiesto al rifugio.
Ti segnalo anche qualche frase che - secondo la mia sensibilità - andrebbe rivista e qualche typo, sperando di essere d'aiuto (sono pigra e non uso l'HTML per citare, abbi pazienza).
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Re: L'involontaria
Artemis, troppo gentile, ti sono davvero grato per i complimenti e i commenti (farò in modo di approfittare per quelli sulle singole frasi in fase di revisione).
Beccato in pieno. L'intero capitoletto è quello più debole dal punto di vista espositivo, userò le osservazioni di tutti per cercare di migliorarlo.
Ci hai visto giusto, niente nome. È un trucco che ho visto usare un paio di volte, si presta bene a protagonisti e gateway character, specie quando lo stesso personaggio è entrambe le cose, ancora di più quando l'intento è portare il lettore a fare un giro in un posto fantastico - o almeno spero. Sei la prima a notarlo (esplicitamente, quantomeno), complimenti.
E grazie ancora.
L'unica cosa che mi sento di eccepire sulla gestione delle scene riguarda la lucertola. Ho aggrottato la fronte quando è venuto fuori che la protagonista aveva portato a casa una lucertola e chiamato la protezione animali... Immaginavo la lucertola sulle sue ginocchia e mi dicevo: WTF?
Beccato in pieno. L'intero capitoletto è quello più debole dal punto di vista espositivo, userò le osservazioni di tutti per cercare di migliorarlo.
A proposito, sono cieca io o questa poveretta non ha un nome? Almeno una volta avresti potuto farla chiamare per nome da Alessia o farle dare nome e cognome quando gliel'hanno chiesto al rifugio.
Ci hai visto giusto, niente nome. È un trucco che ho visto usare un paio di volte, si presta bene a protagonisti e gateway character, specie quando lo stesso personaggio è entrambe le cose, ancora di più quando l'intento è portare il lettore a fare un giro in un posto fantastico - o almeno spero. Sei la prima a notarlo (esplicitamente, quantomeno), complimenti.
E grazie ancora.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
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- Mauro Lenzi
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Re: L'involontaria
Ciao Riccardo,
Anch'io ho avuto le perplessità maggiori nella protagonista. Dandomi l’idea di essere piuttosto svampita e poco reattiva, per me non è stata un’efficace chiave di lettura per comprendere gli eventi weird. Erano normali in quel mondo, oppure non erano comuni ma era lei a non darvi particolare peso? Ad esempio, quando le parlano del Glamour, lei sa cos’è? Leggendo poi i commenti credo che sia giusta la prima ipotesi.
Forse in questo hanno contribuito alcuni passaggi un po’ ermetici, come certi dialoghi asciutti e con riferimenti poco lineari mentre si sta cercando di capire come funziona l’elemento fantastico, che non sempre mi hanno permesso di cogliere al volo cosa intendesse, e mi hanno lasciato con un dubbio sottile di aver capito bene. Naturalmente non ti dico di scadere negli as you know Bob, però un po’ più di attenzione alla comprensione da parte di chi legge mi sento di consigliartela. Il “po’ “ sia chiaro non è un modo diplomatico per far passare una critica, intendo davvero: “solo leggermente di più di quanto è adesso.”
Credo che a livello stilistico ti abbiano già fatto le dovute osservazioni, anche se ammetto non mi sono soffermato molto. Ricordo che quel “fu allora che la fata mi punse” mi ha catapultato fuori dalla storia e avrai capito perché. Sarà anche per evitare le narrazioni a ritroso che la prima persona la preferisco al presente, è un gusto mio ma ti ho voluto fare un esempio del perché.
Per quanto riguarda le tue osservazioni sulla protagonista passiva, mi sento di darti il mio parere con l’obiettivo di metterti in guardia da quello che ritengo un errore: vedila così, né più né meno. Il fatto che la protagonista appaia passiva può essere giustificato, però rimane secondo me qualcosa che non rende un buon servizio alla storia. Estremizzo il concetto, è come se tu scrivessi una storia noiosa, giustificandoti col fatto che il difetto del protagonista è proprio quello di essere un inetto, che il tema della storia vuole trattare proprio della noia dell’esistenza… ok, è tutto giustificato, però non cambia che il tuo lettore medio si annoierà a leggere una storia noiosa.
Se ti ho dato l’impressione di avere toni paternalistici scusami, sto solo cercando di rendere quello che voglio dire più comprensibile possibile.
I titoli sopra le scene hanno un effetto analogo. Come artifizio metanarrativo li trovo suggestivi, però mi buttano fuori dalla storia quando lo stacco temporale è minimo. Per cui “La lucertola impossibile” non mi ha dato fastidio quanto i titoli durante le scene al centro.
Per quanto riguarda i mini riassunti, come durante il terzo grado… a me non piacciono. Però mi piacerebbe ancora meno assistere parola per parola al terzo grado, su questo non ci piove. Io personalmente preferisco evitare un riassunto e fare un mini-stacco di scena. Ma conosco anche chi la pensa diversamente e preferisce fare come fai tu, dicendo che preferisce un piccolo riassunto in tell piuttosto che frammentare eccessivamente la storia.
Nei dialoghi, complessivamente buoni, in ottica di continuo miglioramento ti esorto a una maggiore attenzione all’uso dei beat quando necessari.
«Glamour distillato,» rispose Rosso. «Non possiamo permetterci che parli di noi là fuori, ti pare?»
Qui specificare che è Rosso a rispondere è inutile, sono solo loro due. Ma se è da troppo che parlano in un botta e risposta, per evitare l’effetto di voci sospese nel vuoto con la lettrice che dopo alcuni scambi non sa più chi sta parlando, allora fagli fare qualcosa. Meglio se qualcosa di specifico a lui associato: es. Si gratta i tatuaggi.
«E ora?,» chiese, seccata.
«Ora,» rispose Silvana, «veniamo a prenderti».
Il “seccata” è per me controverso. Vero è che fa comodo rendere l’idea con una sola parola, ma sei tu che ci stai dicendo che è seccata. Ma ovviamente lei starà facendo qualcosa che faccia capire che è seccata.
E il “rispose Silvana” è necessario per far capire chi fa la battuta, ma non aggiunge nessun dettaglio concreto. Per esempio potresti dire le stesse cose così (naturalmente in modo più bello di questa mia rozza improvvisazione).
Sbuffò. “E ora?”
Silvana spense l’ultima scintilla di Glamour tra i polpastrelli. “Ora veniamo a prenderti.”
Mi è piaciuto il rapporto tra le due ragazze, con la vicina strega che, in un tenero tentativo di non esporsi, si mantiene in un equilibrio di affetto e manipolazione. Equilibrio che, comprensibilmente, alla fine la protagonista vuole spezzare, in un amor proprio ritrovato. Non so se era tua intenzione, ma io vi ho letto un messaggio che condivido: una delle basi per un amore profondo e solido è l’amore verso se stessi.
Se ho capito bene dietro la preparazione della tua storia c’è molta consapevolezza e lavoro regresso; eppure se volessi da me un consiglio, credo che la priorità sia nel rendere la protagonista più accattivante; se non vuoi toccare la sua personalità, potresti darle una qualche forma di talento che catturi la curiosità e l’approvazione di chi legge.
PS
Bello Rosso Malpighi, mi conferma quello che avevo intuito dalla descrizione di come cambia il paesaggio urbano man mano che la protagonista si allontana dal centro. Merito tuo naturalmente.
Mo brèv, ragazòl!
Anch'io ho avuto le perplessità maggiori nella protagonista. Dandomi l’idea di essere piuttosto svampita e poco reattiva, per me non è stata un’efficace chiave di lettura per comprendere gli eventi weird. Erano normali in quel mondo, oppure non erano comuni ma era lei a non darvi particolare peso? Ad esempio, quando le parlano del Glamour, lei sa cos’è? Leggendo poi i commenti credo che sia giusta la prima ipotesi.
Forse in questo hanno contribuito alcuni passaggi un po’ ermetici, come certi dialoghi asciutti e con riferimenti poco lineari mentre si sta cercando di capire come funziona l’elemento fantastico, che non sempre mi hanno permesso di cogliere al volo cosa intendesse, e mi hanno lasciato con un dubbio sottile di aver capito bene. Naturalmente non ti dico di scadere negli as you know Bob, però un po’ più di attenzione alla comprensione da parte di chi legge mi sento di consigliartela. Il “po’ “ sia chiaro non è un modo diplomatico per far passare una critica, intendo davvero: “solo leggermente di più di quanto è adesso.”
Credo che a livello stilistico ti abbiano già fatto le dovute osservazioni, anche se ammetto non mi sono soffermato molto. Ricordo che quel “fu allora che la fata mi punse” mi ha catapultato fuori dalla storia e avrai capito perché. Sarà anche per evitare le narrazioni a ritroso che la prima persona la preferisco al presente, è un gusto mio ma ti ho voluto fare un esempio del perché.
Per quanto riguarda le tue osservazioni sulla protagonista passiva, mi sento di darti il mio parere con l’obiettivo di metterti in guardia da quello che ritengo un errore: vedila così, né più né meno. Il fatto che la protagonista appaia passiva può essere giustificato, però rimane secondo me qualcosa che non rende un buon servizio alla storia. Estremizzo il concetto, è come se tu scrivessi una storia noiosa, giustificandoti col fatto che il difetto del protagonista è proprio quello di essere un inetto, che il tema della storia vuole trattare proprio della noia dell’esistenza… ok, è tutto giustificato, però non cambia che il tuo lettore medio si annoierà a leggere una storia noiosa.
Se ti ho dato l’impressione di avere toni paternalistici scusami, sto solo cercando di rendere quello che voglio dire più comprensibile possibile.
I titoli sopra le scene hanno un effetto analogo. Come artifizio metanarrativo li trovo suggestivi, però mi buttano fuori dalla storia quando lo stacco temporale è minimo. Per cui “La lucertola impossibile” non mi ha dato fastidio quanto i titoli durante le scene al centro.
Per quanto riguarda i mini riassunti, come durante il terzo grado… a me non piacciono. Però mi piacerebbe ancora meno assistere parola per parola al terzo grado, su questo non ci piove. Io personalmente preferisco evitare un riassunto e fare un mini-stacco di scena. Ma conosco anche chi la pensa diversamente e preferisce fare come fai tu, dicendo che preferisce un piccolo riassunto in tell piuttosto che frammentare eccessivamente la storia.
Nei dialoghi, complessivamente buoni, in ottica di continuo miglioramento ti esorto a una maggiore attenzione all’uso dei beat quando necessari.
«Glamour distillato,» rispose Rosso. «Non possiamo permetterci che parli di noi là fuori, ti pare?»
Qui specificare che è Rosso a rispondere è inutile, sono solo loro due. Ma se è da troppo che parlano in un botta e risposta, per evitare l’effetto di voci sospese nel vuoto con la lettrice che dopo alcuni scambi non sa più chi sta parlando, allora fagli fare qualcosa. Meglio se qualcosa di specifico a lui associato: es. Si gratta i tatuaggi.
«E ora?,» chiese, seccata.
«Ora,» rispose Silvana, «veniamo a prenderti».
Il “seccata” è per me controverso. Vero è che fa comodo rendere l’idea con una sola parola, ma sei tu che ci stai dicendo che è seccata. Ma ovviamente lei starà facendo qualcosa che faccia capire che è seccata.
E il “rispose Silvana” è necessario per far capire chi fa la battuta, ma non aggiunge nessun dettaglio concreto. Per esempio potresti dire le stesse cose così (naturalmente in modo più bello di questa mia rozza improvvisazione).
Sbuffò. “E ora?”
Silvana spense l’ultima scintilla di Glamour tra i polpastrelli. “Ora veniamo a prenderti.”
Mi è piaciuto il rapporto tra le due ragazze, con la vicina strega che, in un tenero tentativo di non esporsi, si mantiene in un equilibrio di affetto e manipolazione. Equilibrio che, comprensibilmente, alla fine la protagonista vuole spezzare, in un amor proprio ritrovato. Non so se era tua intenzione, ma io vi ho letto un messaggio che condivido: una delle basi per un amore profondo e solido è l’amore verso se stessi.
Se ho capito bene dietro la preparazione della tua storia c’è molta consapevolezza e lavoro regresso; eppure se volessi da me un consiglio, credo che la priorità sia nel rendere la protagonista più accattivante; se non vuoi toccare la sua personalità, potresti darle una qualche forma di talento che catturi la curiosità e l’approvazione di chi legge.
PS
Bello Rosso Malpighi, mi conferma quello che avevo intuito dalla descrizione di come cambia il paesaggio urbano man mano che la protagonista si allontana dal centro. Merito tuo naturalmente.
Mo brèv, ragazòl!
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Re: L'involontaria
Grazie mille del commento, che mi ha lusingato e dato indicazioni puntuali di miglioramento al tempo stesso.
Non ti rispondo punto per punto perché, a questo punto, ti "sfrutterò" direttamente in revisione, replicò giusto a un paio di cose.
Riguardo la protagonista: hai assolutamente ragione. Al di là di eventuali toni inavvertitamente difensivi, ogni impressione - specie se condivisa da più lettori - vale la pena di essere considerata. Che poi, per diletto o vanità, mi piaccia andare nei dietro le quinte e negli ingranaggi dei testi, è un altro discorso.
Non sarà facile dare una mano alla protagonista in revisione, visti i tempi stretti, ma ci proverò.
Riguardo le indicazioni formali: nulla da eccepire, preziosissime.
Riguardo l'ambientazione: sono felice del tuo commento, anche se è più un easter egg per chi conosce già la città che un merito del testo.
Il dietro le quinte qui è: mi sono sempre appoggiato troppo su luoghi e nomi riconoscibili per portare i lettori in una città, a scapito di descrizioni e dettagli. Quindi, quando possibile, ho cominciato a limitarmi e a impormi di non dare indicazioni esplicite se non è strettamente necessario: così, anche se l'ambiente esiste e anche se lo conosco, sono costretto a crearlo. O almeno, l'intento generale è quello.
Non ti rispondo punto per punto perché, a questo punto, ti "sfrutterò" direttamente in revisione, replicò giusto a un paio di cose.
Riguardo la protagonista: hai assolutamente ragione. Al di là di eventuali toni inavvertitamente difensivi, ogni impressione - specie se condivisa da più lettori - vale la pena di essere considerata. Che poi, per diletto o vanità, mi piaccia andare nei dietro le quinte e negli ingranaggi dei testi, è un altro discorso.
Non sarà facile dare una mano alla protagonista in revisione, visti i tempi stretti, ma ci proverò.
Riguardo le indicazioni formali: nulla da eccepire, preziosissime.
Riguardo l'ambientazione: sono felice del tuo commento, anche se è più un easter egg per chi conosce già la città che un merito del testo.
Il dietro le quinte qui è: mi sono sempre appoggiato troppo su luoghi e nomi riconoscibili per portare i lettori in una città, a scapito di descrizioni e dettagli. Quindi, quando possibile, ho cominciato a limitarmi e a impormi di non dare indicazioni esplicite se non è strettamente necessario: così, anche se l'ambiente esiste e anche se lo conosco, sono costretto a crearlo. O almeno, l'intento generale è quello.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.
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