Fredo, fumo e tanta miseria
- Andrea Lauro
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Fredo, fumo e tanta miseria
Arrivo davanti alla casola. Sbatto gli scarpon sul muretto e spaco la fanga che si stacca. El fumo vien su dal camino, dala finestra un chiarore. Ha mai messo la corrente eletrica, quel testa di zucca. E che faccio, busso? Anche se so che la tengono semper aperta? L’è troppo che non mi vedono, non me par giusto.
Busso. «Mama! Son mì.»
La me apre. «Bepi!» El soriso le scava le rughe indurite dal fredo. Questa montagna maledeta. «El mio Bepi.»
Si pensa che a star a valle uno c’ha semper le parole giuste da dire: che stai cola gente, e impari a star al mondo. E invece no, canchero, manco una me ne viene, e c’ho come un ballotto nella gola.
La me prende per il bracio e me tira dentro. «Vien, vien, che fa fredo.»
La candela sul tavolo, nel camino el fuoco che scoreggia. Ghé quel’odor de fumo e fieno che il mi mancava, che ‘l s’aggrappa alla camicia e ai capei e no te lassa più. Che vita che i ga fatto, i miei veci.
Stringo i pugni, senò facio un macello. «Mama. Lui dov’è? Come sta?»
Lei prende un fascio de legnetti e se li spacca sul ginocchio. «L’è di là.» Li butta nel camino. «Fa’ piano, che l’è stanco ormai. El Signur verrà a far visita appena no ga altri impegni.»
Passo nell’ombra di questi muri tirati su storti, nella camera vacilla un lumino. Chiudo la porta. El mi padre l’è lì, chiuso nel lenzuolo che sembra già nel sudario del Cristo.
Strizza gli occhi. «Bepi?» Si tira su. «Ta sei proprio tu?»
L’è un vecio semper orgoglioso. «Sì, papà. Son me.»
«Ta sei venuto a vedere le mie miserie?»
Le miserie che te sei voluto tu. «Ha tu ciamato il dotore? Cos’ha deto?»
«No, il dotore no. L’è tropo tardi.»
Corna di vacca, che rabbia mi vien. «A le solite, papà. Semper a pensare che qui su si sta ben, e che gli altri son tutti foresti.»
Ride, ma gli vien un rantolo da cane stanco. «Eh! Ta sei venito a far la paternale al tuo vecio che muore?»
«Ta son venito a dire che la vita che avete fato no l’è mica giusta. Avete scampato come bestie.»
«Ta sei la mia bestia più cara.»
«Io me son industriato, papà. So sceso a valle, me son maritat.»
«Bravo, fiolo.»
«E tu qui a crepar de fredo, colle vacche. Mato!» Son tutto un brucior. «E quel ch’è peggio, c’hai tenuto la mama.»
«La mama qui la sta ben.»
«Bugiardo!» Mando giù ‘sta razza de ballotto, che l’è ora de dir le cose come stanno. «Quando ta sei morto, la mama vien con me.»
Prende un respiro, come se sta per andare al Creator. «Bepi, io t’ho fato uomo. Ta si stato bravo.»
«Sta’ zito, papà. Perché non sei venito a valle con me?»
«Venir a valle con te? Signur! Non t’hai imparat la cosa più semplice.»
«Imparar da te?»
«Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va. Anche se le vuoi ben, che lo fai per lei.»
Maledeto orgoglioso. La mia mama si meritava di più.
El tossisce, ma sorride. «Sì. Anche quando la te fa arrabbià. A una persona vecia non le puoi mica insegnar. L’è così, Bepi.»
«Mato! Ta sei mato!» Mollo un pugno al cassetton. «Spero che ta si morto in freta, canchero maledeto. Così la mama vien con me.»
El sta zito, ora.
Scappo nella cucina, che mi prende uno schioppone. C’ho le man che pulsa, le trema perfino.
La mama sta al fuoco, col ferro la gira le braci. «Che sucede? Che c’hai deto al papà?»
Ricaccio le lagrime da dove le vien. L’è ora de prendere el toro per i corni. «Mama, non la volevo una vita così per te.»
«Io son semper stata ben.»
«No l’è vero! Smetti de protegerlo. T’ha tenuto qui su per tutti questi anni!» Su questa montagna maledeta. «Vien a valle, vivi con me e la mia moglier.»
La se raddrizza, el ferro in man. «No, Bepi. Sulla montagna son semper stata ben.»
«Non sai quel che dici.»
«Ma sì, fiolo. È a te che piace la valle. Ta sei proprio come el papà.»
«El… el papà?»
Con la testa dice de sì. «El papà. Che volea venir con te. Ma io ghel’ho deto, non se ne parla più. O te lasso da solo. La montagna, è la montagna.»
Udìo. La testa me pesa, me appoggio al tavolo e la candela la va avanti e indietro.
«Papà!» Corro en camera da letto.
El mi vecio pianse, el se strinse ala federa del cuscino. El pianse a piano, che no disturba nesuno, neanche la mama.
«Papà!»
El se volta e ‘l me guarda. Tira su col naso.
Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va.
El rantola un poco. Tira la bocca a rider. «L’è così, Bepi.»
Busso. «Mama! Son mì.»
La me apre. «Bepi!» El soriso le scava le rughe indurite dal fredo. Questa montagna maledeta. «El mio Bepi.»
Si pensa che a star a valle uno c’ha semper le parole giuste da dire: che stai cola gente, e impari a star al mondo. E invece no, canchero, manco una me ne viene, e c’ho come un ballotto nella gola.
La me prende per il bracio e me tira dentro. «Vien, vien, che fa fredo.»
La candela sul tavolo, nel camino el fuoco che scoreggia. Ghé quel’odor de fumo e fieno che il mi mancava, che ‘l s’aggrappa alla camicia e ai capei e no te lassa più. Che vita che i ga fatto, i miei veci.
Stringo i pugni, senò facio un macello. «Mama. Lui dov’è? Come sta?»
Lei prende un fascio de legnetti e se li spacca sul ginocchio. «L’è di là.» Li butta nel camino. «Fa’ piano, che l’è stanco ormai. El Signur verrà a far visita appena no ga altri impegni.»
Passo nell’ombra di questi muri tirati su storti, nella camera vacilla un lumino. Chiudo la porta. El mi padre l’è lì, chiuso nel lenzuolo che sembra già nel sudario del Cristo.
Strizza gli occhi. «Bepi?» Si tira su. «Ta sei proprio tu?»
L’è un vecio semper orgoglioso. «Sì, papà. Son me.»
«Ta sei venuto a vedere le mie miserie?»
Le miserie che te sei voluto tu. «Ha tu ciamato il dotore? Cos’ha deto?»
«No, il dotore no. L’è tropo tardi.»
Corna di vacca, che rabbia mi vien. «A le solite, papà. Semper a pensare che qui su si sta ben, e che gli altri son tutti foresti.»
Ride, ma gli vien un rantolo da cane stanco. «Eh! Ta sei venito a far la paternale al tuo vecio che muore?»
«Ta son venito a dire che la vita che avete fato no l’è mica giusta. Avete scampato come bestie.»
«Ta sei la mia bestia più cara.»
«Io me son industriato, papà. So sceso a valle, me son maritat.»
«Bravo, fiolo.»
«E tu qui a crepar de fredo, colle vacche. Mato!» Son tutto un brucior. «E quel ch’è peggio, c’hai tenuto la mama.»
«La mama qui la sta ben.»
«Bugiardo!» Mando giù ‘sta razza de ballotto, che l’è ora de dir le cose come stanno. «Quando ta sei morto, la mama vien con me.»
Prende un respiro, come se sta per andare al Creator. «Bepi, io t’ho fato uomo. Ta si stato bravo.»
«Sta’ zito, papà. Perché non sei venito a valle con me?»
«Venir a valle con te? Signur! Non t’hai imparat la cosa più semplice.»
«Imparar da te?»
«Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va. Anche se le vuoi ben, che lo fai per lei.»
Maledeto orgoglioso. La mia mama si meritava di più.
El tossisce, ma sorride. «Sì. Anche quando la te fa arrabbià. A una persona vecia non le puoi mica insegnar. L’è così, Bepi.»
«Mato! Ta sei mato!» Mollo un pugno al cassetton. «Spero che ta si morto in freta, canchero maledeto. Così la mama vien con me.»
El sta zito, ora.
Scappo nella cucina, che mi prende uno schioppone. C’ho le man che pulsa, le trema perfino.
La mama sta al fuoco, col ferro la gira le braci. «Che sucede? Che c’hai deto al papà?»
Ricaccio le lagrime da dove le vien. L’è ora de prendere el toro per i corni. «Mama, non la volevo una vita così per te.»
«Io son semper stata ben.»
«No l’è vero! Smetti de protegerlo. T’ha tenuto qui su per tutti questi anni!» Su questa montagna maledeta. «Vien a valle, vivi con me e la mia moglier.»
La se raddrizza, el ferro in man. «No, Bepi. Sulla montagna son semper stata ben.»
«Non sai quel che dici.»
«Ma sì, fiolo. È a te che piace la valle. Ta sei proprio come el papà.»
«El… el papà?»
Con la testa dice de sì. «El papà. Che volea venir con te. Ma io ghel’ho deto, non se ne parla più. O te lasso da solo. La montagna, è la montagna.»
Udìo. La testa me pesa, me appoggio al tavolo e la candela la va avanti e indietro.
«Papà!» Corro en camera da letto.
El mi vecio pianse, el se strinse ala federa del cuscino. El pianse a piano, che no disturba nesuno, neanche la mama.
«Papà!»
El se volta e ‘l me guarda. Tira su col naso.
Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va.
El rantola un poco. Tira la bocca a rider. «L’è così, Bepi.»
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea! Parametri rispettati, pronto per una nuova, roboante, edizione? Divertiti in questa SARA SIMONI EDITION!
- Signor_Darcy
- Messaggi: 270
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Preciso che è il mio primo commento “tecnico”, e che ho quindi ancora bisogno di calibrare un po’ le cose.
Detto questo, tanto per cominciare ho adorato la forma del racconto. Purtroppo non parlo il mio dialetto, ma lo capisco abbastanza e sono convinto che sia una delle cose che più trasmettono il senso di appartenenza a un territorio e, inevitabilmente, riportano al senso di radici di cui al tema di questa prova. L’italiano dialettale che hai scelto credo sia perfetto per il tenore del racconto.
Ancora, alcuni quadri da te descritti – “le rughe indurite”, la vita “che i ga fatto” i genitori, il fuoco che scoreggia – non possono che ricordarmi i racconti di mia nonna, che è nata e cresciuta nel bellunese, in quell’Italia contadina che era il cuore di questo Paese e che non è mai stata davvero capita.
(Quell’”ha tu” a inizio frase, sembra davvero di sentire lei.)
Formalmente mi piace molto, trovo molto pertinenti gli stacchi tra i dialoghi, rendono bene l’umore, i sentimenti, lo strazio del protagonista.
Se devo trovare qualche difetto forse cercherei nell’uso della punteggiatura in alcuni punti: in “…una vecia persona e dirle, si va” avrei usato i due punti, o gli apici; in “…qui si sta ben, e che gli altri…” la virgola forse è di troppo; idem con patate in “la montagna, è la montagna”, anche pensando a come può venir pronunciato.
Onestamente ho poco altro da dire; se non che – forse per quanto detto, per gli elementi di una vita che vivrei volentieri su per la montagna “maledeta” – sono arrivato alla fine quasi commosso (il pianto a bassa voce è tanto vero quando poetico); e credo sia la cosa più importante del racconto.
Bravissimo.
Detto questo, tanto per cominciare ho adorato la forma del racconto. Purtroppo non parlo il mio dialetto, ma lo capisco abbastanza e sono convinto che sia una delle cose che più trasmettono il senso di appartenenza a un territorio e, inevitabilmente, riportano al senso di radici di cui al tema di questa prova. L’italiano dialettale che hai scelto credo sia perfetto per il tenore del racconto.
Ancora, alcuni quadri da te descritti – “le rughe indurite”, la vita “che i ga fatto” i genitori, il fuoco che scoreggia – non possono che ricordarmi i racconti di mia nonna, che è nata e cresciuta nel bellunese, in quell’Italia contadina che era il cuore di questo Paese e che non è mai stata davvero capita.
(Quell’”ha tu” a inizio frase, sembra davvero di sentire lei.)
Formalmente mi piace molto, trovo molto pertinenti gli stacchi tra i dialoghi, rendono bene l’umore, i sentimenti, lo strazio del protagonista.
Se devo trovare qualche difetto forse cercherei nell’uso della punteggiatura in alcuni punti: in “…una vecia persona e dirle, si va” avrei usato i due punti, o gli apici; in “…qui si sta ben, e che gli altri…” la virgola forse è di troppo; idem con patate in “la montagna, è la montagna”, anche pensando a come può venir pronunciato.
Onestamente ho poco altro da dire; se non che – forse per quanto detto, per gli elementi di una vita che vivrei volentieri su per la montagna “maledeta” – sono arrivato alla fine quasi commosso (il pianto a bassa voce è tanto vero quando poetico); e credo sia la cosa più importante del racconto.
Bravissimo.
- Massimo Tivoli
- Messaggi: 396
- Contatta:
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea,
considerato il tema e la storia che metti in scena, ho apprezzato la scelta di avvalerti del dialetto, che già da solo porta dentro l’atmosfera della storia oltre che rafforzare il concetto di “radici” come legame con le proprie origini. Tuttavia, per il modo totalizzante con cui te ne sei voluto servire, rappresenta anche una scelta rischiosa. Se da un lato è vero che chi non ha problemi a leggere in modo fluente quel dialetto apprezza ancora di più la storia, dall’altro chi, come me, si deve concentrare nella traduzione delle forme dialettali, finisce con il non poter godere a pieno della lettura. Per carità, la mia è una considerazione quasi esclusivamente soggettiva, ma che suggerisce anche delle implicazioni tecniche/stilistiche: avrei mantenuto senz’altro la tua bella idea di tirare in ballo il dialetto, ma con più senso della misura, non applicandolo a tutto, piuttosto a delle parti. Per es., parole più caratteristiche nei dialoghi o nella voce narrante, lasciando quelle più comuni, gli articoli, le preposizioni, all’italiano. Magari mi sbaglio, ma credo che avresti ottenuto lo stesso effetto, guadagnando in una lettura più immediata e, forse, più universalmente apprezzabile. Tralasciando questo aspetto di pura forma, resta una storia lineare ma efficace, in cui il lettore si sorprende della rivelazione della madre tanto quanto il personaggio. Io non ho percepito commozione, e non so quanto fosse un tuo intento quello di scatenare la lacrimuccia nel lettore. Anzi, non credo che fosse questo l’intento. Piuttosto, empatizzando con il protagonista, a me è rimasto il rammarico per aver addossato al padre la colpa di una scelta di vita che invece era stata imposta dalla madre. In ogni caso, mi ha emozionato. E, per questo, ti faccio i miei complimenti.
considerato il tema e la storia che metti in scena, ho apprezzato la scelta di avvalerti del dialetto, che già da solo porta dentro l’atmosfera della storia oltre che rafforzare il concetto di “radici” come legame con le proprie origini. Tuttavia, per il modo totalizzante con cui te ne sei voluto servire, rappresenta anche una scelta rischiosa. Se da un lato è vero che chi non ha problemi a leggere in modo fluente quel dialetto apprezza ancora di più la storia, dall’altro chi, come me, si deve concentrare nella traduzione delle forme dialettali, finisce con il non poter godere a pieno della lettura. Per carità, la mia è una considerazione quasi esclusivamente soggettiva, ma che suggerisce anche delle implicazioni tecniche/stilistiche: avrei mantenuto senz’altro la tua bella idea di tirare in ballo il dialetto, ma con più senso della misura, non applicandolo a tutto, piuttosto a delle parti. Per es., parole più caratteristiche nei dialoghi o nella voce narrante, lasciando quelle più comuni, gli articoli, le preposizioni, all’italiano. Magari mi sbaglio, ma credo che avresti ottenuto lo stesso effetto, guadagnando in una lettura più immediata e, forse, più universalmente apprezzabile. Tralasciando questo aspetto di pura forma, resta una storia lineare ma efficace, in cui il lettore si sorprende della rivelazione della madre tanto quanto il personaggio. Io non ho percepito commozione, e non so quanto fosse un tuo intento quello di scatenare la lacrimuccia nel lettore. Anzi, non credo che fosse questo l’intento. Piuttosto, empatizzando con il protagonista, a me è rimasto il rammarico per aver addossato al padre la colpa di una scelta di vita che invece era stata imposta dalla madre. In ogni caso, mi ha emozionato. E, per questo, ti faccio i miei complimenti.
Ultima modifica di Massimo Tivoli il martedì 16 marzo 2021, 18:09, modificato 1 volta in totale.
- wladimiro.borchi
- Messaggi: 396
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Andrea, complimenti.
Non parlo il dialetto ma l'ho capito e letto con estremo piacere.
Ho provato a farlo a voce alta e leggermente roca, immaginandomi il fuoco a scoppiettare nel camino.
È stata un'esperienza molto profonda e immersiva che, senza la musica delle espressioni gergali e dialettali, non mi avresti fatto raggiungere.
Non ho letto nulla degli altri, per cui è facile per me dire che, al momento, sei sul mio podio.
Resta il fatto che questa volta mi hai convinto davvero tanto.
Nulla da segnalare.
A rileggerci presto
W
Non parlo il dialetto ma l'ho capito e letto con estremo piacere.
Ho provato a farlo a voce alta e leggermente roca, immaginandomi il fuoco a scoppiettare nel camino.
È stata un'esperienza molto profonda e immersiva che, senza la musica delle espressioni gergali e dialettali, non mi avresti fatto raggiungere.
Non ho letto nulla degli altri, per cui è facile per me dire che, al momento, sei sul mio podio.
Resta il fatto che questa volta mi hai convinto davvero tanto.
Nulla da segnalare.
A rileggerci presto
W
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Signor_Darcy ha scritto:Preciso che è il mio primo commento “tecnico”, e che ho quindi ancora bisogno di calibrare un po’ le cose.► Mostra testo
grazie mille per il commento, onorato di essere il primo racconto che hai giudicato!
benvenuto nell'Arena, spero ti divertirai
andrea
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Massimo Tivoli ha scritto:Ciao Andrea,
considerato il tema e la storia che metti in scena, ho apprezzato la scelta di avvalerti del dialetto, che già da solo porta dentro l’atmosfera della storia oltre che rafforzare il concetto di “radici” come legame con le proprie origini. Tuttavia, per il modo totalizzante con cui te ne sei voluto servire, rappresenta anche una scelta rischiosa. Se da un lato è vero che chi non ha problemi a leggere in modo fluente quel dialetto apprezza ancora di più la storia, dall’altro chi, come me, si deve concentrare nella traduzione delle forme dialettali, finisce con il non poter godere a pieno della lettura.Tralasciando questo aspetto di pura forma, resta una storia lineare ma efficace, in cui il lettore si sorprende della rivelazione della madre tanto quanto il personaggio. Io non ho percepito commozione, e non so quanto fosse un tuo intento quello di scatenare la lacrimuccia nel lettore. Anzi, non credo che fosse questo l’intento. Piuttosto, simpatizzando con il protagonista, a me è rimasto il rammarico per aver addossato al padre la colpa di una scelta di vita che invece era stata imposta dalla madre. In ogni caso, mi ha emozionato. E, per questo, ti faccio i miei complimenti.► Mostra testo
ciao Massimo, grazie davvero, son contento che ti sia emozionato. per rispondere alla tua questione: durante la stesura sono stato in dubbio se operare una scelta differente, e magari tenere alcuni pezzi in italiano. ma più progettavo la scena e più venivo attirato nel lato oscuro...
buona Sara Simoni edition!
andrea
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
wladimiro.borchi ha scritto:Andrea, complimenti.
Non parlo il dialetto ma l'ho capito e letto con estremo piacere.
Ho provato a farlo a voce alta e leggermente roca, immaginandomi il fuoco a scoppiettare nel camino.
È stata un'esperienza molto profonda e immersiva che, senza la musica delle espressioni gergali e dialettali, non mi avresti fatto raggiungere.
Non ho letto nulla degli altri, per cui è facile per me dire che, al momento, sei sul mio podio.
Resta il fatto che questa volta mi hai convinto davvero tanto.
Nulla da segnalare.
A rileggerci presto
W
ciao Wlad! ah, devo dire che ci speravo, che qualcuno provasse a leggerlo anche ad alta voce. mi fa molto piacere che l'esperimento sia venuto. e lieto di essere -per ora- sul tuo podio da un unico partecipante!
a prestissimo
andrea
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ho letto il tuo racconto per prima cosa stamattina, mamma mia che meraviglia, mi è rimasto nel cuore.
P.S. Secondo me non precisissimo nel dialetto, ma è una dettaglio insignificante rispetto a quanto è bella la storia.
P.S. Secondo me non precisissimo nel dialetto, ma è una dettaglio insignificante rispetto a quanto è bella la storia.
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Gennibo ha scritto:Ho letto il tuo racconto per prima cosa stamattina, mamma mia che meraviglia, mi è rimasto nel cuore.
P.S. Secondo me non precisissimo nel dialetto, ma è una dettaglio insignificante rispetto a quanto è bella la storia.
grazie mille Isabella!
ah ah, in realtà è un dialetto inventato. o meglio: ho fatto un miscuglio tra diversi dialetti, pescando tra Lombardia, Veneto e Trentino. ecco perché ti sembra quello-ma-non-proprio-quello!
a presto
andrea
- Lilith_luna
- Messaggi: 23
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ok. Ricaccio indietro la lacrimuccia e cerco di scrivere qualcosa.
Non ero partita bene.
Mi son trovata proprio scomoda ad entrare in questo angolo di montagna, con un dialetto che non capisco né so che cadenza abbia. Eppure, pensa un po', mi è venuta naturale arrivata a metà (sicuramente inventata, ma non più d'intralcio alla lettura, che prima per comodità mi leggevo in italiano afferrando i concetti). Che strana magia che è l'italiano. Una delle mie preferite.
E quindi, dopo un fastidioso zoppicare iniziale, sono stata travolta da questo dialetto e ora penso che non poteva essere scritto in altro modo se non così. Hai fatto un'ottima scelta, hai fatto indossare il giusto abito al tuo racconto.
Ho apprezzato molto anche il fatto che tu le radici non le abbia neanche nominate, ma che fossero ovunque, lì. Nella casola, nella montagna maledeta.
Non mi aspettavo neanche di essere colpita dalla tenerezza verso il padre, fino a pensare "ti prego fa che non sia morto nel tempo che torna indietro o ribalto il pc e lo vado a prendere a casa!" xD
Ecco, io raramente vengo toccata. Le mie emozioni stan ben chiuse in un barattolo mentre scrivo, ma mentre leggo quelle bastarde riescono a fuggire come lucciole, e qualcuna me la perdo per strada.
Ti faccio i miei complimenti per essere riuscito a farmi questo effetto, e pure a farmi piacere un racconto in dialetto.
Non ero partita bene.
Mi son trovata proprio scomoda ad entrare in questo angolo di montagna, con un dialetto che non capisco né so che cadenza abbia. Eppure, pensa un po', mi è venuta naturale arrivata a metà (sicuramente inventata, ma non più d'intralcio alla lettura, che prima per comodità mi leggevo in italiano afferrando i concetti). Che strana magia che è l'italiano. Una delle mie preferite.
E quindi, dopo un fastidioso zoppicare iniziale, sono stata travolta da questo dialetto e ora penso che non poteva essere scritto in altro modo se non così. Hai fatto un'ottima scelta, hai fatto indossare il giusto abito al tuo racconto.
Ho apprezzato molto anche il fatto che tu le radici non le abbia neanche nominate, ma che fossero ovunque, lì. Nella casola, nella montagna maledeta.
Non mi aspettavo neanche di essere colpita dalla tenerezza verso il padre, fino a pensare "ti prego fa che non sia morto nel tempo che torna indietro o ribalto il pc e lo vado a prendere a casa!" xD
Ecco, io raramente vengo toccata. Le mie emozioni stan ben chiuse in un barattolo mentre scrivo, ma mentre leggo quelle bastarde riescono a fuggire come lucciole, e qualcuna me la perdo per strada.
Ti faccio i miei complimenti per essere riuscito a farmi questo effetto, e pure a farmi piacere un racconto in dialetto.
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- Messaggi: 2913
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
FREDO, FUMO E TANTA MISERIA di Andrea Lauro Tema rispettato. Ho capito il dialetto veneto. Punti di forza: hai usato molto bene la tecnica di Mauro Corona, nel mostrare il contrasto fra Bepi, il quale ha fatto la sua piccola fortuna a valle, si è sposato, lavora e vorrebbe portare via la madre dalla dura vita di montagna. Fatta di lavoro agricolo ingrato, e di mansioni di tagliaboschi. Il padre è malato, in modo grave, ed è la madre che manda avanti la casa. C’è molta fatica, nella sua esistenza, ma la montagna le appartiene, se ne sente radicata, così come al marito. Da ammirare la loro generosità nel lasciare andare il figlio e nel continuare ad attenderlo.
Punti deboli: nessuno. Però, se dovessi riprenderlo in mano per proporlo a qualche casa editrice, consiglierei l’uso delle note a piè di pagina.
Punti deboli: nessuno. Però, se dovessi riprenderlo in mano per proporlo a qualche casa editrice, consiglierei l’uso delle note a piè di pagina.
- Davide Di Tullio
- Messaggi: 298
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Andrea Lauro ha scritto:Arrivo davanti alla casola. Sbatto gli scarpon sul muretto e spaco la fanga che si stacca. El fumo vien su dal camino, dala finestra un chiarore. Ha mai messo la corrente eletrica, quel testa di zucca. E che faccio, busso? Anche se so che la tengono semper aperta? L’è troppo che non mi vedono, non me par giusto.
Busso. «Mama! Son mì.»
La me apre. «Bepi!» El soriso le scava le rughe indurite dal fredo. Questa montagna maledeta. «El mio Bepi.»
Si pensa che a star a valle uno c’ha semper le parole giuste da dire: che stai cola gente, e impari a star al mondo. E invece no, canchero, manco una me ne viene, e c’ho come un ballotto nella gola.
La me prende per il bracio e me tira dentro. «Vien, vien, che fa fredo.»
La candela sul tavolo, nel camino el fuoco che scoreggia. Ghé quel’odor de fumo e fieno che il mi mancava, che ‘l s’aggrappa alla camicia e ai capei e no te lassa più. Che vita che i ga fatto, i miei veci.
Stringo i pugni, senò facio un macello. «Mama. Lui dov’è? Come sta?»
Lei prende un fascio de legnetti e se li spacca sul ginocchio. «L’è di là.» Li butta nel camino. «Fa’ piano, che l’è stanco ormai. El Signur verrà a far visita appena no ga altri impegni.»
Passo nell’ombra di questi muri tirati su storti, nella camera vacilla un lumino. Chiudo la porta. El mi padre l’è lì, chiuso nel lenzuolo che sembra già nel sudario del Cristo.
Strizza gli occhi. «Bepi?» Si tira su. «Ta sei proprio tu?»
L’è un vecio semper orgoglioso. «Sì, papà. Son me.»
«Ta sei venuto a vedere le mie miserie?»
Le miserie che te sei voluto tu. «Ha tu ciamato il dotore? Cos’ha deto?»
«No, il dotore no. L’è tropo tardi.»
Corna di vacca, che rabbia mi vien. «A le solite, papà. Semper a pensare che qui su si sta ben, e che gli altri son tutti foresti.»
Ride, ma gli vien un rantolo da cane stanco. «Eh! Ta sei venito a far la paternale al tuo vecio che muore?»
«Ta son venito a dire che la vita che avete fato no l’è mica giusta. Avete scampato come bestie.»
«Ta sei la mia bestia più cara.»
«Io me son industriato, papà. So sceso a valle, me son maritat.»
«Bravo, fiolo.»
«E tu qui a crepar de fredo, colle vacche. Mato!» Son tutto un brucior. «E quel ch’è peggio, c’hai tenuto la mama.»
«La mama qui la sta ben.»
«Bugiardo!» Mando giù ‘sta razza de ballotto, che l’è ora de dir le cose come stanno. «Quando ta sei morto, la mama vien con me.»
Prende un respiro, come se sta per andare al Creator. «Bepi, io t’ho fato uomo. Ta si stato bravo.»
«Sta’ zito, papà. Perché non sei venito a valle con me?»
«Venir a valle con te? Signur! Non t’hai imparat la cosa più semplice.»
«Imparar da te?»
«Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va. Anche se le vuoi ben, che lo fai per lei.»
Maledeto orgoglioso. La mia mama si meritava di più.
El tossisce, ma sorride. «Sì. Anche quando la te fa arrabbià. A una persona vecia non le puoi mica insegnar. L’è così, Bepi.»
«Mato! Ta sei mato!» Mollo un pugno al cassetton. «Spero che ta si morto in freta, canchero maledeto. Così la mama vien con me.»
El sta zito, ora.
Scappo nella cucina, che mi prende uno schioppone. C’ho le man che pulsa, le trema perfino.
La mama sta al fuoco, col ferro la gira le braci. «Che sucede? Che c’hai deto al papà?»
Ricaccio le lagrime da dove le vien. L’è ora de prendere el toro per i corni. «Mama, non la volevo una vita così per te.»
«Io son semper stata ben.»
«No l’è vero! Smetti de protegerlo. T’ha tenuto qui su per tutti questi anni!» Su questa montagna maledeta. «Vien a valle, vivi con me e la mia moglier.»
La se raddrizza, el ferro in man. «No, Bepi. Sulla montagna son semper stata ben.»
«Non sai quel che dici.»
«Ma sì, fiolo. È a te che piace la valle. Ta sei proprio come el papà.»
«El… el papà?»
Con la testa dice de sì. «El papà. Che volea venir con te. Ma io ghel’ho deto, non se ne parla più. O te lasso da solo. La montagna, è la montagna.»
Udìo. La testa me pesa, me appoggio al tavolo e la candela la va avanti e indietro.
«Papà!» Corro en camera da letto.
El mi vecio pianse, el se strinse ala federa del cuscino. El pianse a piano, che no disturba nesuno, neanche la mama.
«Papà!»
El se volta e ‘l me guarda. Tira su col naso.
Tu non la puoi prendere una vecia persona e dirle, si va.
El rantola un poco. Tira la bocca a rider. «L’è così, Bepi.»
Caro Lauretto, avrei voluto che il tuo racconto fosse una chiavica, una ciofeca, un aborto, ma putroppo mi ritrovo ad ingoiare il rospo, ancora una volta, e ad ammettere che hai fatto b... hai fatto b... hai fatto bene! l' ho detto, cribbio. Mi è costato molto sudore e sacrificio, ma lo devo riconoscere. Cazzo, cazzo, cazzo! Bella l'idea di buttarci dentro l' inflessione dialettale. Con questa semplice idea sei riuscito in un attimo a caratterizzare i personaggi, che come per magia rivedo nella mia testa con delle facce e delle voci. Vecchio imbroglione! E poi, la conduzione della prosa, pulita, equilibrata. Quel tocco delicato, che dà al racconto un aurea romantica, che per chi ti conosce sarebbe come spalmare nutella sulle cozze, ma che riesci a rendere bene, tu che sei bravo a fare il "sensibile". Devo ammetterlo: bel racconto. Questa notte piangerò con la testa sotto il cuscino e ti maledirò.
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Lilith_luna ha scritto:Ok. Ricaccio indietro la lacrimuccia e cerco di scrivere qualcosa.
Non ero partita bene.
Mi son trovata proprio scomoda ad entrare in questo angolo di montagna, con un dialetto che non capisco né so che cadenza abbia. Eppure, pensa un po', mi è venuta naturale arrivata a metà (sicuramente inventata, ma non più d'intralcio alla lettura, che prima per comodità mi leggevo in italiano afferrando i concetti). Che strana magia che è l'italiano. Una delle mie preferite.
E quindi, dopo un fastidioso zoppicare iniziale, sono stata travolta da questo dialetto e ora penso che non poteva essere scritto in altro modo se non così. Hai fatto un'ottima scelta, hai fatto indossare il giusto abito al tuo racconto.
Ho apprezzato molto anche il fatto che tu le radici non le abbia neanche nominate, ma che fossero ovunque, lì. Nella casola, nella montagna maledeta.
Non mi aspettavo neanche di essere colpita dalla tenerezza verso il padre, fino a pensare "ti prego fa che non sia morto nel tempo che torna indietro o ribalto il pc e lo vado a prendere a casa!" xD
Ecco, io raramente vengo toccata. Le mie emozioni stan ben chiuse in un barattolo mentre scrivo, ma mentre leggo quelle bastarde riescono a fuggire come lucciole, e qualcuna me la perdo per strada.
Ti faccio i miei complimenti per essere riuscito a farmi questo effetto, e pure a farmi piacere un racconto in dialetto.
ciao e benvenuta nell'Arena!
che dire: mi ha fatto molto piacere il tuo commento, soprattutto capendo che la tua prima impressione non era stata delle migliori. Son felice che il racconto ti sia arrivato, mi ha fatto molto ridere il momento "ti prego fa' che il padre non sia morto" XD
a presto e grazie!
andrea
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Davide Di Tullio ha scritto:Caro Lauretto, avrei voluto che il tuo racconto fosse una chiavica, una ciofeca, un aborto, ma putroppo mi ritrovo ad ingoiare il rospo, ancora una volta, e ad ammettere che hai fatto b... hai fatto b... hai fatto bene! l' ho detto, cribbio. Mi è costato molto sudore e sacrificio, ma lo devo riconoscere. Cazzo, cazzo, cazzo! Bella l'idea di buttarci dentro l' inflessione dialettale. Con questa semplice idea sei riuscito in un attimo a caratterizzare i personaggi, che come per magia rivedo nella mia testa con delle facce e delle voci. Vecchio imbroglione! E poi, la conduzione della prosa, pulita, equilibrata. Quel tocco delicato, che dà al racconto un aurea romantica, che per chi ti conosce sarebbe come spalmare nutella sulle cozze, ma che riesci a rendere bene, tu che sei bravo a fare il "sensibile". Devo ammetterlo: bel racconto. Questa notte piangerò con la testa sotto il cuscino e ti maledirò.
ahah, maledeto di un ditulio.
grazie caro, manda foto fatta col flash di te che piangi PLZ
andrea
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
alexandra.fischer ha scritto: Tema rispettato. Ho capito il dialetto veneto. Punti di forza: hai usato molto bene la tecnica di Mauro Corona, nel mostrare il contrasto fra Bepi, il quale ha fatto la sua piccola fortuna a valle, si è sposato, lavora e vorrebbe portare via la madre dalla dura vita di montagna. Fatta di lavoro agricolo ingrato, e di mansioni di tagliaboschi. Il padre è malato, in modo grave, ed è la madre che manda avanti la casa. C’è molta fatica, nella sua esistenza, ma la montagna le appartiene, se ne sente radicata, così come al marito. Da ammirare la loro generosità nel lasciare andare il figlio e nel continuare ad attenderlo.
Punti deboli: nessuno. Però, se dovessi riprenderlo in mano per proporlo a qualche casa editrice, consiglierei l’uso delle note a piè di pagina.
grazie Alexandra!
ottimo che il testo sia risultato comprensibile!
a presto e buona edition
andrea
- lucaspalletti
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea, ho letto con gran piacere il tuo racconto.
Preciso che sono alla mia prima edizione (sempre mettere le mani avanti eh eh), pertanto il mio giudizio sarà magari un pelo inesperto, ma sicuramente sincero e sentito.
Che dire... Sono rimasto molto colpito dal brano, in senso positivo. Non da subito, però.
Inizialmente devo ammettere di aver fatto non poca fatica a "decifrare" un dialetto molto lontano dal mio, col quale ho ben poca dimestichezza. La scelta di utilizzarlo mi era parsa come minimo azzardata, se non addirittura fuori luogo. Eppure, addentrandomi più a fondo nella narrazione (condotta abilmente) mi sono sentito sempre più parte di quell'intima realtà regionale, sempre più coinvolto e parte della famiglia. Quella serie di lettere poco leggibili e le emozioni che veicolavano hanno scavato in me a poco a poco, senza che me ne rendessi conto. Hanno messo radici. Fino a quando, sul toccante finale, il dialetto scorreva facile sotto i miei occhi ed "il vecio" era ormai anche il mio vecio. Tanto da farmi temere seriamente che sarebbe morto prima della riconciliazione finale.
Ho riletto il brano una seconda volta. Ribaltata ormai la mia impressione iniziale, non sono riuscito a figurarmi il racconto scritto con un differente registro linguistico. Doveva essere scritto in dialetto. l'è così, Bepi.
Complimenti.
Preciso che sono alla mia prima edizione (sempre mettere le mani avanti eh eh), pertanto il mio giudizio sarà magari un pelo inesperto, ma sicuramente sincero e sentito.
Che dire... Sono rimasto molto colpito dal brano, in senso positivo. Non da subito, però.
Inizialmente devo ammettere di aver fatto non poca fatica a "decifrare" un dialetto molto lontano dal mio, col quale ho ben poca dimestichezza. La scelta di utilizzarlo mi era parsa come minimo azzardata, se non addirittura fuori luogo. Eppure, addentrandomi più a fondo nella narrazione (condotta abilmente) mi sono sentito sempre più parte di quell'intima realtà regionale, sempre più coinvolto e parte della famiglia. Quella serie di lettere poco leggibili e le emozioni che veicolavano hanno scavato in me a poco a poco, senza che me ne rendessi conto. Hanno messo radici. Fino a quando, sul toccante finale, il dialetto scorreva facile sotto i miei occhi ed "il vecio" era ormai anche il mio vecio. Tanto da farmi temere seriamente che sarebbe morto prima della riconciliazione finale.
Ho riletto il brano una seconda volta. Ribaltata ormai la mia impressione iniziale, non sono riuscito a figurarmi il racconto scritto con un differente registro linguistico. Doveva essere scritto in dialetto. l'è così, Bepi.
Complimenti.
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
grazie mille Luca, il tuo commento è molto sentito e per me è importante sapere che il racconto ti è arrivato.
ti auguro una buona edition e benvenuto nell'Arena!
andrea
ti auguro una buona edition e benvenuto nell'Arena!
andrea
- filippo.mammoli
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea,
Leggerti è sempre un piacere.
Inizio col dire che il dialetto, che tu hai usato in modo lieve, non credo che si possa non capire anche una sola la parola, dà una caratterizzazione molto rurale e particolare, nel senso che ti fa concentrare su una realtà piccola e isolata dal mondo. È proprio qui che sta la sua forza. Parlandoci e mostrandoci i pensieri e lo stile di vita di una montagna che va scomparendo, hai parlato dei sentimenti che sono immutati da millenni. La scrittura è pulita ed efficace, ho davvero poco altro da aggiungere. Un quadretto verista che rimanda a ricordi antichi e dal sapore buono, come lo scoppiettare della legna sul fuoco.
Leggerti è sempre un piacere.
Inizio col dire che il dialetto, che tu hai usato in modo lieve, non credo che si possa non capire anche una sola la parola, dà una caratterizzazione molto rurale e particolare, nel senso che ti fa concentrare su una realtà piccola e isolata dal mondo. È proprio qui che sta la sua forza. Parlandoci e mostrandoci i pensieri e lo stile di vita di una montagna che va scomparendo, hai parlato dei sentimenti che sono immutati da millenni. La scrittura è pulita ed efficace, ho davvero poco altro da aggiungere. Un quadretto verista che rimanda a ricordi antichi e dal sapore buono, come lo scoppiettare della legna sul fuoco.
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
filippo.mammoli ha scritto:Ciao Andrea,
Leggerti è sempre un piacere.
Inizio col dire che il dialetto, che tu hai usato in modo lieve, non credo che si possa non capire anche una sola la parola, dà una caratterizzazione molto rurale e particolare, nel senso che ti fa concentrare su una realtà piccola e isolata dal mondo. È proprio qui che sta la sua forza. Parlandoci e mostrandoci i pensieri e lo stile di vita di una montagna che va scomparendo, hai parlato dei sentimenti che sono immutati da millenni. La scrittura è pulita ed efficace, ho davvero poco altro da aggiungere. Un quadretto verista che rimanda a ricordi antichi e dal sapore buono, come lo scoppiettare della legna sul fuoco.
Filippo grazie davvero, son contento che l'esperimento sia riuscito
a presto
andrea
- Stefano.Moretto
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Lauro, come sempre è un piacere leggere i tuoi racconti.
devo dire che all'inizio ho avuto un po' di difficoltà per il dialetto arlecchino, soprattutto perché alla prima frase non avevo ancora capito che era un dialetto: forse una frase più facile da identificare come dialettale avrebbe aiutato nell'introduzione, soprattutto per gente come me ignorante con la G maiuscola che non parla dialetti (il toscano è un accento, non un dialetto! Deh!)
L'idea comunque di un dialetto per questo tema particolare è molto intelligente, niente più di un dialetto ti porta a pensare all'appartenenza in senso territoriale.
L'intero testo è molto bello e si percepisce il sentimento del figlio che avrebbe desiderato una vita diversa per i genitori, non ho molte critiche da farti se non quello che ti ho già detto a inizio commento. Negli ultimi mesi ho letto tutti i tuoi racconti e ho visto un'evoluzione costante nel tuo modo di presentare e gestire i personaggi, penso che qui tu abbia fatto uno dei tuoi lavori migliori in questo senso.
devo dire che all'inizio ho avuto un po' di difficoltà per il dialetto arlecchino, soprattutto perché alla prima frase non avevo ancora capito che era un dialetto: forse una frase più facile da identificare come dialettale avrebbe aiutato nell'introduzione, soprattutto per gente come me ignorante con la G maiuscola che non parla dialetti (il toscano è un accento, non un dialetto! Deh!)
L'idea comunque di un dialetto per questo tema particolare è molto intelligente, niente più di un dialetto ti porta a pensare all'appartenenza in senso territoriale.
L'intero testo è molto bello e si percepisce il sentimento del figlio che avrebbe desiderato una vita diversa per i genitori, non ho molte critiche da farti se non quello che ti ho già detto a inizio commento. Negli ultimi mesi ho letto tutti i tuoi racconti e ho visto un'evoluzione costante nel tuo modo di presentare e gestire i personaggi, penso che qui tu abbia fatto uno dei tuoi lavori migliori in questo senso.
- Emiliano Maramonte
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea. Benvenuto su Minuti Contati! Non ricordo se è la prima volta che ci incrociamo nell'infernale Arena, comunque molto lieto di averti letto.
Be', come esordio non c'è male. A Minuti Contati si sperimenta e tu l'hai fatto. Non mi pare di aver mai letto, durante la mia avventura in questo contest, un testo interamente scritto in vernacolo. E' stata un'idea molto coraggiosa. E nonostante l'idioma (ibridato) non sia nel suo complesso immediatamente comprensibile, tuttavia la vicenda arriva dove deve arrivare. E colpisce, nella sua apparente semplicità. Io c'ho visto una rappresentazione teatrale dal sapore verista. Il tutto condotto con penna (arruffata?) vigile e pulita, direi anche precisa.
Quindi il tuo pezzo è vincente sotto quasi tutti i profili.
Aspetto di leggere altri tuoi lavori nelle prossime Edition. Hai ampi margini di miglioramento.
In bocca al lupo!
Emiliano.
Be', come esordio non c'è male. A Minuti Contati si sperimenta e tu l'hai fatto. Non mi pare di aver mai letto, durante la mia avventura in questo contest, un testo interamente scritto in vernacolo. E' stata un'idea molto coraggiosa. E nonostante l'idioma (ibridato) non sia nel suo complesso immediatamente comprensibile, tuttavia la vicenda arriva dove deve arrivare. E colpisce, nella sua apparente semplicità. Io c'ho visto una rappresentazione teatrale dal sapore verista. Il tutto condotto con penna (arruffata?) vigile e pulita, direi anche precisa.
Quindi il tuo pezzo è vincente sotto quasi tutti i profili.
Aspetto di leggere altri tuoi lavori nelle prossime Edition. Hai ampi margini di miglioramento.
In bocca al lupo!
Emiliano.
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
megagenius ha scritto:Ciao Andrea. Benvenuto su Minuti Contati! Non ricordo se è la prima volta che ci incrociamo nell'infernale Arena, comunque molto lieto di averti letto.
Be', come esordio non c'è male. A Minuti Contati si sperimenta e tu l'hai fatto. Non mi pare di aver mai letto, durante la mia avventura in questo contest, un testo interamente scritto in vernacolo. E' stata un'idea molto coraggiosa. E nonostante l'idioma (ibridato) non sia nel suo complesso immediatamente comprensibile, tuttavia la vicenda arriva dove deve arrivare. E colpisce, nella sua apparente semplicità. Io c'ho visto una rappresentazione teatrale dal sapore verista. Il tutto condotto con penna (arruffata?) vigile e pulita, direi anche precisa.
Quindi il tuo pezzo è vincente sotto quasi tutti i profili.
Aspetto di leggere altri tuoi lavori nelle prossime Edition. Hai ampi margini di miglioramento.
In bocca al lupo!
Emiliano.
AHAHAHHAHAHAHAHHAHAA canaglia!
grazie mille, caro....
andrea
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Stefano.Moretto ha scritto:Ciao Lauro, come sempre è un piacere leggere i tuoi racconti.
devo dire che all'inizio ho avuto un po' di difficoltà per il dialetto arlecchino, soprattutto perché alla prima frase non avevo ancora capito che era un dialetto: forse una frase più facile da identificare come dialettale avrebbe aiutato nell'introduzione, soprattutto per gente come me ignorante con la G maiuscola che non parla dialetti (il toscano è un accento, non un dialetto! Deh!)
L'idea comunque di un dialetto per questo tema particolare è molto intelligente, niente più di un dialetto ti porta a pensare all'appartenenza in senso territoriale.
L'intero testo è molto bello e si percepisce il sentimento del figlio che avrebbe desiderato una vita diversa per i genitori, non ho molte critiche da farti se non quello che ti ho già detto a inizio commento. Negli ultimi mesi ho letto tutti i tuoi racconti e ho visto un'evoluzione costante nel tuo modo di presentare e gestire i personaggi, penso che qui tu abbia fatto uno dei tuoi lavori migliori in questo senso.
ciao Stefano, mi sembra proprio un bel suggerimento. grazie infinite, anche per il discorso crescita: standoci dentro, ho bisogno di continui feedback per sapere se sto andando nella direzione giusta oppure no, quindi grazie doppiamente!
andrea
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea,
anch'io, come altri, non ti devo commentare, ma ho sentito comunque la necessità di farti conoscere la mia opinione non richiesta.
Nel mio caso è andata così:
Fredo, fumo e tanta miseria - Toh, un refuso nel titolo, che strano. Vediamo un po' che roba è.
Arrivo davanti alla casola. Sbatto gli scarpon sul muretto. - Un altro refuso? Che cazzo si è fumato Lauro?
e spaco la fanga che si stacca - Eh?!
El fumo vien su dal camino - Aaahhhnnn!!!!
Poi, nella mia testa, è successo questo:
Io sono su MC da poco, ma questo penso che sia l'unico racconto che mi ha emozionato veramente. L'immagine di Di Tullio che piange sotto il cuscino non mi pare così irrealistica. Dopo averlo letto, sapendo che eri nel mio gruppo, mi sono chiesto che cosa ci stavo a fare ancora qui.
Da madrelingua, il dialetto è stato per me croce e delizia di questo racconto.
Da un lato me lo ha fatto sentire molto "mio", sebbene le montagne le veda col binocolo. E per questo mi ha suscitato emozioni forti. Sembrava di essere lì, ho sentito il calore e lo scoppiettio del caminetto e l'odore di fumo.
Di contro, il fatto di dover necessariamente alleggerire il dialetto, lo ha reso a tratti artificiale. Un lettore "normale" probabilmente non lo nota, però a me in certi punti suonava finto, e non perché era un missiotto di vari dialetti, ma proprio per l'interferenza dell'italiano.
Un appunto sulla prima frase, che secondo me doveva buttarci subito nell'atmosfera: "Rivo davanti alla casola. Sbatto i scarpon sul muretto e spaco la fanga che si staca." Rimane comprensibile e ci fa capire subito il mood generale.
Comunque bravo bravo bravo.
anch'io, come altri, non ti devo commentare, ma ho sentito comunque la necessità di farti conoscere la mia opinione non richiesta.
Nel mio caso è andata così:
Fredo, fumo e tanta miseria - Toh, un refuso nel titolo, che strano. Vediamo un po' che roba è.
Arrivo davanti alla casola. Sbatto gli scarpon sul muretto. - Un altro refuso? Che cazzo si è fumato Lauro?
e spaco la fanga che si stacca - Eh?!
El fumo vien su dal camino - Aaahhhnnn!!!!
Poi, nella mia testa, è successo questo:
Io sono su MC da poco, ma questo penso che sia l'unico racconto che mi ha emozionato veramente. L'immagine di Di Tullio che piange sotto il cuscino non mi pare così irrealistica. Dopo averlo letto, sapendo che eri nel mio gruppo, mi sono chiesto che cosa ci stavo a fare ancora qui.
Da madrelingua, il dialetto è stato per me croce e delizia di questo racconto.
Da un lato me lo ha fatto sentire molto "mio", sebbene le montagne le veda col binocolo. E per questo mi ha suscitato emozioni forti. Sembrava di essere lì, ho sentito il calore e lo scoppiettio del caminetto e l'odore di fumo.
Di contro, il fatto di dover necessariamente alleggerire il dialetto, lo ha reso a tratti artificiale. Un lettore "normale" probabilmente non lo nota, però a me in certi punti suonava finto, e non perché era un missiotto di vari dialetti, ma proprio per l'interferenza dell'italiano.
Un appunto sulla prima frase, che secondo me doveva buttarci subito nell'atmosfera: "Rivo davanti alla casola. Sbatto i scarpon sul muretto e spaco la fanga che si staca." Rimane comprensibile e ci fa capire subito il mood generale.
Comunque bravo bravo bravo.
- Andrea Lauro
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Alessio ha scritto:Poi, nella mia testa, è successo questo:
Io sono su MC da poco, ma questo penso che sia l'unico racconto che mi ha emozionato veramente. L'immagine di Di Tullio che piange sotto il cuscino non mi pare così irrealistica. Dopo averlo letto, sapendo che eri nel mio gruppo, mi sono chiesto che cosa ci stavo a fare ancora qui.
Da madrelingua, il dialetto è stato per me croce e delizia di questo racconto.
Da un lato me lo ha fatto sentire molto "mio", sebbene le montagne le veda col binocolo. E per questo mi ha suscitato emozioni forti. Sembrava di essere lì, ho sentito il calore e lo scoppiettio del caminetto e l'odore di fumo.
Di contro, il fatto di dover necessariamente alleggerire il dialetto, lo ha reso a tratti artificiale. Un lettore "normale" probabilmente non lo nota, però a me in certi punti suonava finto, e non perché era un missiotto di vari dialetti, ma proprio per l'interferenza dell'italiano.
Un appunto sulla prima frase, che secondo me doveva buttarci subito nell'atmosfera: "Rivo davanti alla casola. Sbatto i scarpon sul muretto e spaco la fanga che si staca." Rimane comprensibile e ci fa capire subito il mood generale.
Comunque bravo bravo bravo.
ahaha Alessio, m'hai fatto spaccare! specialmente con la scena del criceto.
ottimo il consiglio per la prima frase, grazie davvero. e grazie d'essere passato apposta!
a presto
andrea
- MatteoMantoani
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Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Andrea Lauro ha scritto:Gennibo ha scritto:Ho letto il tuo racconto per prima cosa stamattina, mamma mia che meraviglia, mi è rimasto nel cuore.
P.S. Secondo me non precisissimo nel dialetto, ma è una dettaglio insignificante rispetto a quanto è bella la storia.
grazie mille Isabella!
ah ah, in realtà è un dialetto inventato. o meglio: ho fatto un miscuglio tra diversi dialetti, pescando tra Lombardia, Veneto e Trentino. ecco perché ti sembra quello-ma-non-proprio-quello!
a presto
andrea
Cioè: dialetti di Veneto, Trentino, Lombardia... e furlan niente?
Scherzi a parte, per me un gran bel pezzo. Se non fosse stato scritto con questo "pastiche" linguistico, per me, avrebbe perso molto colore. Bella la trama, bella la stesura. Ti auguro di andare su tra i primi posti in finale.
Mandi!
- Andrea Lauro
- Messaggi: 596
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
MatteoMantoani ha scritto:Cioè: dialetti di Veneto, Trentino, Lombardia... e furlan niente?
Scherzi a parte, per me un gran bel pezzo. Se non fosse stato scritto con questo "pastiche" linguistico, per me, avrebbe perso molto colore. Bella la trama, bella la stesura. Ti auguro di andare su tra i primi posti in finale.
Mandi!
...e sì che per un po' ho frequentato gente triestina e giuliana! ma oltre al fatto che il caffé espresso lo chiamano "nero", ho imparato davvero poco :D
grazie e buona edition!
andrea
- MatteoMantoani
- Messaggi: 1039
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Andrea Lauro ha scritto:MatteoMantoani ha scritto:Cioè: dialetti di Veneto, Trentino, Lombardia... e furlan niente?
Scherzi a parte, per me un gran bel pezzo. Se non fosse stato scritto con questo "pastiche" linguistico, per me, avrebbe perso molto colore. Bella la trama, bella la stesura. Ti auguro di andare su tra i primi posti in finale.
Mandi!
...e sì che per un po' ho frequentato gente triestina e giuliana! ma oltre al fatto che il caffé espresso lo chiamano "nero", ho imparato davvero poco :D
grazie e buona edition!
andrea
Oddio! XD mai confondere friulani coi triestini ;)
Mi sa che devi allargare il tuo repertorio :)
Buona Edition anche a te Andrea
- giulio.palmieri
- Messaggi: 221
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ciao Andrea, piacere di leggerti. Mado', che bel racconto. Il dialetto dello stile, che risulta poi asciutto ed essenziale, rende unica la vicenda, che altrimenti, credo, sarebbe stata banale. Anch'io l'ho letto tutto d'un fiato e non ho veramente molto da aggiungere. Belli i dettagli, la psicologia dei personaggi resa tramite le espressioni del parlato, e anche il rovesciamento sul finale: tutto calibrato perfettamente, sino alla frase di chiusura. Complimenti e alla prossima.
Re: Fredo, fumo e tanta miseria
Ottimo racconto, estremamente efficace e decisamente coerente in tutte le sue parti. Coraggiosa la scelta del dialetto farlocco, riesce a dargli un colore tutto suo oltre che ad ammantarlo di verità. Delicata la scena messa su con questo avvicinamento con sorpresa tra figlio e genitori. Molto ben studiato e messo in scena, insomma. Tema perfettamente inserito senza bisogno di richiamarlo direttamente, come dovrebbe essere sempre. Per me un pollice su.
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