Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Fuori è peggio
di Luca Fagiolo
Il manrovescio mi colpisce dritto sulla mascella e mi sbatte a terra. Lo schizzo di sangue macchia le assi del pavimento. Cerco di rimettermi in ginocchio, ma le mani legate dietro la schiena mi rendono goffo. Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete.
«Stupido negro! Non era abbastanza quello che ti davo?» Il padrone alza il bastone da passeggio e me lo schianta sulle braccia. Una, due, tre volte. Il crack improvviso mi strappa un sogghigno.
Impreca nel suo dialetto incomprensibile «Il mio bastone buono! Questa non te la faccio passare liscia, ingrato che non sei altro.»
Esce dalla stalla infuriato e sbatte la porta dietro di sé.
Con un cigolio quella si riapre di una spanna.
«Pa' che succede?» La voce di suo figlio, il più piccolo.
«Non ora, Isaia.»
Nell'aia il bimbo canticchia. Batte le mani, ride da solo.
Una palla di pezza rotola fino all'entrata e si ferma contro l'uscio socchiuso. L'ombra del bambino oscura il fascio di luce. I boccoli spuntano dalla porta, seguiti dagli occhietti, l'indice lercio appoggiato sulle labbra.
Quando mi vede balza indietro.
Con il piedino spinge la porta. Si intrufola nella fessura e appoggia la schiena al muro. Mi fissa incuriosito. Il sangue a terra non sembra spaventarlo, ma il colore della mia pelle sì.
«Ha ragione Pa', siete popio diversi da noi.»
Scuoto la testa. «Si sbaglia.» Muovere la bocca mi manda fitte di dolore fino alle tempie. «Siamo uguali.»
«Non è mica vero.» Stringe gli occhietti e arriccia il naso.
«Io ho due orecchie, Isaia. E tu?»
«Anche io!» Si punta il pollice al petto tutto soddisfatto e stacca le spalle dal muro.
«Un naso e una bocca. E anche due orecchie.»
«Ce le ho pure io!»
«Allora non siamo poi così diversi...»
Il bambino apre la bocca. «Hai preso troppo sole.» Spalanca le braccia. «Pecché Pa' ti ha legato. Sei stato cattivo?»
«Volevo solo andarmene.»
«Ma Pa' dice che fuori è peggio. Che i negri sono pericolosi e sono dappertutto.»
«Cerchiamo solo di sopravvivere.»
«Be', se vuoi andare là fuori pecché non ci vai?»
Quanta innocenza. «Vorrei fosse così semplice, piccolo, ma la vita di un negro non vale nulla. Tuo padre può fare di me quello che vuole.»
«Solo pecché sei più scuro di noi?»
«Isaia!» Il padrone spalanca la porta, la luce per un istante mi acceca. «Fuori di qui!»
Il bambino incassa la testa nelle spalle, ma non muove un passo.
«Pa', pecché lo hai picchiato?» Mi indica con il braccio teso.
«Meritava di essere punito.» Il padrone si rigira tra le mani un grosso randello, sputa a terra.
«Per cosa?»
«Per cosa? Perché è negro! Questo basta e avanza.»
Isaia sembra confuso. «E se io ero negro, facevi del male anche a me?» Una lacrima minaccia di bagnargli la guancia.
«Che sciocchezze! Tu non potevi nascere nero. Io e tua mamma siamo bianchi e così i nonni e i loro genitori prima di loro. Adesso piantala e vatti a lavare le mani. Tra poco si cena.»
Isaia batte i piedi, gli occhi piantati a terra. «Non è giusto...»
«Via!» Grida il padrone.
Il bambino singhiozza ed esce, tirandosi dietro la porta.
L'uomo sogghigna sotto la barba folta. Si batte il randello sul palmo, mi gira intorno. «Ti eri messo in testa di poter scappare? Dove pensavi di andare?»
«Sono vent'anni che lavoro per la vostra famiglia e non ho mai chiesto niente.» La voce mi trema.
«Ne lavorerai altrettanti, o almeno finché ti reggerai in piedi.»
«Volevo raggiungere mio figlio.»
«Una fuga bella e buona, dopo tutto quello che abbiamo fatto per te.» Il padrone alza il randello sopra la testa, la bocca tesa in una linea sottile.
La porta si spalanca e sbatte con un suono secco. Isaia ha il viso e i capelli ricoperti di fango. «Pa', lascialo in pace, se no devi picchiare anche me. Siamo neri uguali.»
Il randello cade a terra, le mani del padrone tremano. Squadra il figlio, poi pianta gli occhi nei miei. Qualcosa nel suo sguardo di marmo si incrina, un singhiozzo lo scuote. «Dio santo...»
Mi slega i polsi, appoggia una mano sulla mia spalla e con la testa indica oltre il muro, verso la libertà. Si inginocchia e il piccolo Isaia gli balza al collo.
Traballo fino alla porta, mi appoggio allo stipite. Il sole mi riscalda il viso dolorante. Grazie Isaia.
di Luca Fagiolo
Il manrovescio mi colpisce dritto sulla mascella e mi sbatte a terra. Lo schizzo di sangue macchia le assi del pavimento. Cerco di rimettermi in ginocchio, ma le mani legate dietro la schiena mi rendono goffo. Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete.
«Stupido negro! Non era abbastanza quello che ti davo?» Il padrone alza il bastone da passeggio e me lo schianta sulle braccia. Una, due, tre volte. Il crack improvviso mi strappa un sogghigno.
Impreca nel suo dialetto incomprensibile «Il mio bastone buono! Questa non te la faccio passare liscia, ingrato che non sei altro.»
Esce dalla stalla infuriato e sbatte la porta dietro di sé.
Con un cigolio quella si riapre di una spanna.
«Pa' che succede?» La voce di suo figlio, il più piccolo.
«Non ora, Isaia.»
Nell'aia il bimbo canticchia. Batte le mani, ride da solo.
Una palla di pezza rotola fino all'entrata e si ferma contro l'uscio socchiuso. L'ombra del bambino oscura il fascio di luce. I boccoli spuntano dalla porta, seguiti dagli occhietti, l'indice lercio appoggiato sulle labbra.
Quando mi vede balza indietro.
Con il piedino spinge la porta. Si intrufola nella fessura e appoggia la schiena al muro. Mi fissa incuriosito. Il sangue a terra non sembra spaventarlo, ma il colore della mia pelle sì.
«Ha ragione Pa', siete popio diversi da noi.»
Scuoto la testa. «Si sbaglia.» Muovere la bocca mi manda fitte di dolore fino alle tempie. «Siamo uguali.»
«Non è mica vero.» Stringe gli occhietti e arriccia il naso.
«Io ho due orecchie, Isaia. E tu?»
«Anche io!» Si punta il pollice al petto tutto soddisfatto e stacca le spalle dal muro.
«Un naso e una bocca. E anche due orecchie.»
«Ce le ho pure io!»
«Allora non siamo poi così diversi...»
Il bambino apre la bocca. «Hai preso troppo sole.» Spalanca le braccia. «Pecché Pa' ti ha legato. Sei stato cattivo?»
«Volevo solo andarmene.»
«Ma Pa' dice che fuori è peggio. Che i negri sono pericolosi e sono dappertutto.»
«Cerchiamo solo di sopravvivere.»
«Be', se vuoi andare là fuori pecché non ci vai?»
Quanta innocenza. «Vorrei fosse così semplice, piccolo, ma la vita di un negro non vale nulla. Tuo padre può fare di me quello che vuole.»
«Solo pecché sei più scuro di noi?»
«Isaia!» Il padrone spalanca la porta, la luce per un istante mi acceca. «Fuori di qui!»
Il bambino incassa la testa nelle spalle, ma non muove un passo.
«Pa', pecché lo hai picchiato?» Mi indica con il braccio teso.
«Meritava di essere punito.» Il padrone si rigira tra le mani un grosso randello, sputa a terra.
«Per cosa?»
«Per cosa? Perché è negro! Questo basta e avanza.»
Isaia sembra confuso. «E se io ero negro, facevi del male anche a me?» Una lacrima minaccia di bagnargli la guancia.
«Che sciocchezze! Tu non potevi nascere nero. Io e tua mamma siamo bianchi e così i nonni e i loro genitori prima di loro. Adesso piantala e vatti a lavare le mani. Tra poco si cena.»
Isaia batte i piedi, gli occhi piantati a terra. «Non è giusto...»
«Via!» Grida il padrone.
Il bambino singhiozza ed esce, tirandosi dietro la porta.
L'uomo sogghigna sotto la barba folta. Si batte il randello sul palmo, mi gira intorno. «Ti eri messo in testa di poter scappare? Dove pensavi di andare?»
«Sono vent'anni che lavoro per la vostra famiglia e non ho mai chiesto niente.» La voce mi trema.
«Ne lavorerai altrettanti, o almeno finché ti reggerai in piedi.»
«Volevo raggiungere mio figlio.»
«Una fuga bella e buona, dopo tutto quello che abbiamo fatto per te.» Il padrone alza il randello sopra la testa, la bocca tesa in una linea sottile.
La porta si spalanca e sbatte con un suono secco. Isaia ha il viso e i capelli ricoperti di fango. «Pa', lascialo in pace, se no devi picchiare anche me. Siamo neri uguali.»
Il randello cade a terra, le mani del padrone tremano. Squadra il figlio, poi pianta gli occhi nei miei. Qualcosa nel suo sguardo di marmo si incrina, un singhiozzo lo scuote. «Dio santo...»
Mi slega i polsi, appoggia una mano sulla mia spalla e con la testa indica oltre il muro, verso la libertà. Si inginocchia e il piccolo Isaia gli balza al collo.
Traballo fino alla porta, mi appoggio allo stipite. Il sole mi riscalda il viso dolorante. Grazie Isaia.
Ultima modifica di Fagiolo17 il martedì 20 aprile 2021, 0:30, modificato 4 volte in totale.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ecco il vincitore dell'ultima edizione: ciao Luca! Caratteri e tempo ok, divertiti in questa ORIANA RAMUNNO EDITION!
- Massimo Tivoli
- Messaggi: 396
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Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca. L’inizio non mi convince: credo sia difficile far crollare una persona a terra con un manrovescio. Se aggiungevi uno spintone sul petto, magari avrebbe fatto un altro effetto. Ma, tutto sommato, è un dettaglio minimo rispetto a tutto il resto del racconto, che si legge molto bene. Anche tu, come me, sei andato per l’interpretazione del tema con chiave razzista. E, mi sembra, che anche tu come me, a questo giro, hai tirato fuori un racconto con una debolezza nella resa del conflitto: succede tutto troppo liscio, la tensione non si crea.
L’idea è bella e il gesto di Isaia richiama di certo tenerezza, ma, forse, si poteva fare di più.
Mi dispiace commentarti in questo modo perchè, tutto sommato, è lo stesso errore che ho commesso io, e quindi mi sento un po' indegno... ma un conto è vedere il racconto con i propri occhi, un conto è vederlo con quelli di un altro.
Buona Edition!
L’idea è bella e il gesto di Isaia richiama di certo tenerezza, ma, forse, si poteva fare di più.
Mi dispiace commentarti in questo modo perchè, tutto sommato, è lo stesso errore che ho commesso io, e quindi mi sento un po' indegno... ma un conto è vedere il racconto con i propri occhi, un conto è vederlo con quelli di un altro.
Buona Edition!
- Emiliano Maramonte
- Messaggi: 1107
- Contatta:
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca! Sono molto contento di rileggerti. E ti rinnovo i complimenti per la vittoria alla scorsa Edition.
Parto dai due elementi molto positivi: 1) l'interpretazione del tema dalla prospettiva dello schiavismo e del razzismo; si tratta di questioni universali che hanno sempre un loro peso emotivo, in qualsiasi storia le si incorpori. 2) il tenero gesto di solidarietà da parte del bambino.
Altra nota positiva è la narrazione la quale, seppur con qualche incertezza qua e là, scorre abbastanza bene ed è precisa al punto giusto.
Purtroppo mi hanno lasciato molto perplessi alcuni aspetti, primo fra tutti il finale. Ma ci arriverò fra poco, anche perché bisogna fare un paio di precisazioni. Innanzitutto, mi sarebbe piaciuto inquadrare meglio l'età del figlio del padrone; secondo me è molto importante perché se è un bambino che parla con qualche difficoltà linguistica, non può avere più di 5/6/7 anni. I bambini, anche a quell'età, fanno domande esistenziali o pongono quesiti spiazzanti, ma nel caso del tuo racconto Isaia mostra troppo interesse e troppa curiosità verso il "negro", in altre parole, fa domande troppo "elevate" per gli standard della sua presumibile età. Lo dico anche perché, per quel poco che so di schiavismo in America (e non solo...), di solito le famiglie sviluppavano in toto l'odio razziale e i genitori facevano di tutto per trasmettere tale odio anche ai figli, quindi mi sarei aspettato un atteggiamento ostile anche da parte del figlio. Ecco, questo aspetto mi è risultato fuori contesto. Capisco che era necessario per giungere a un determinato risultato narrativo, ma se un'intera cultura è imbevuta di quell'atteggiamento intollerante, chiunque dovrebbe mostrarlo. Ovviamente questa non è una legge universale, però, ribadisco, mi è sembrato un elemento stridente.
Dicevo il finale. Stante la tenerezza del gesto di Isaia, mi è risultata incomprensibile la scelta del padrone di liberare lo schiavo. Un padrone così malvagio, che arriva a pestare selvaggiamente un uomo, lo apostrofa con disprezzo, lo tiene in schiavitù da 20 anni, lo irride, non mostra la minima scintilla umana, poi vede il figlio sporco di fango (ci sta il gesto, ma non la conseguenza) e in un minuscolo istante si ravvede totalmente e dona allo schiavo quella libertà che bramava da una vita! Mi pare davvero poco credibile. Mi permetto di ipotizzare uno sviluppo narrativo, senza pretesa di sminuire quello che hai scritto tu. Il padrone guarda il figlio, lo guarda incredulo, ci ride su, momento di sospensione, il negro ha il fiato sospeso perché spera in uno sviluppo a lui favorevole, ma il padrone torna nella sua bolla di malvagità, allontana il figlio e bastona ancora lo schiavo. Secondo me, sarebbe stato il trionfo della simbologia della malvagità umana, avresti rappresentato crudamente la cattiveria dell'uomo e posto davanti agli occhi del lettore la condanna contro queste tipologie di crudeltà.
Nel complesso ho ancora sensazioni contrastanti sul tuo testo, per cui, prendendo in prestito le valutazioni dell'Antico, per me un pollice su ma in maniera poco brillante.
In bocca al lupo!
Emiliano.
Parto dai due elementi molto positivi: 1) l'interpretazione del tema dalla prospettiva dello schiavismo e del razzismo; si tratta di questioni universali che hanno sempre un loro peso emotivo, in qualsiasi storia le si incorpori. 2) il tenero gesto di solidarietà da parte del bambino.
Altra nota positiva è la narrazione la quale, seppur con qualche incertezza qua e là, scorre abbastanza bene ed è precisa al punto giusto.
Purtroppo mi hanno lasciato molto perplessi alcuni aspetti, primo fra tutti il finale. Ma ci arriverò fra poco, anche perché bisogna fare un paio di precisazioni. Innanzitutto, mi sarebbe piaciuto inquadrare meglio l'età del figlio del padrone; secondo me è molto importante perché se è un bambino che parla con qualche difficoltà linguistica, non può avere più di 5/6/7 anni. I bambini, anche a quell'età, fanno domande esistenziali o pongono quesiti spiazzanti, ma nel caso del tuo racconto Isaia mostra troppo interesse e troppa curiosità verso il "negro", in altre parole, fa domande troppo "elevate" per gli standard della sua presumibile età. Lo dico anche perché, per quel poco che so di schiavismo in America (e non solo...), di solito le famiglie sviluppavano in toto l'odio razziale e i genitori facevano di tutto per trasmettere tale odio anche ai figli, quindi mi sarei aspettato un atteggiamento ostile anche da parte del figlio. Ecco, questo aspetto mi è risultato fuori contesto. Capisco che era necessario per giungere a un determinato risultato narrativo, ma se un'intera cultura è imbevuta di quell'atteggiamento intollerante, chiunque dovrebbe mostrarlo. Ovviamente questa non è una legge universale, però, ribadisco, mi è sembrato un elemento stridente.
Dicevo il finale. Stante la tenerezza del gesto di Isaia, mi è risultata incomprensibile la scelta del padrone di liberare lo schiavo. Un padrone così malvagio, che arriva a pestare selvaggiamente un uomo, lo apostrofa con disprezzo, lo tiene in schiavitù da 20 anni, lo irride, non mostra la minima scintilla umana, poi vede il figlio sporco di fango (ci sta il gesto, ma non la conseguenza) e in un minuscolo istante si ravvede totalmente e dona allo schiavo quella libertà che bramava da una vita! Mi pare davvero poco credibile. Mi permetto di ipotizzare uno sviluppo narrativo, senza pretesa di sminuire quello che hai scritto tu. Il padrone guarda il figlio, lo guarda incredulo, ci ride su, momento di sospensione, il negro ha il fiato sospeso perché spera in uno sviluppo a lui favorevole, ma il padrone torna nella sua bolla di malvagità, allontana il figlio e bastona ancora lo schiavo. Secondo me, sarebbe stato il trionfo della simbologia della malvagità umana, avresti rappresentato crudamente la cattiveria dell'uomo e posto davanti agli occhi del lettore la condanna contro queste tipologie di crudeltà.
Nel complesso ho ancora sensazioni contrastanti sul tuo testo, per cui, prendendo in prestito le valutazioni dell'Antico, per me un pollice su ma in maniera poco brillante.
In bocca al lupo!
Emiliano.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca,
usare l’argomento razzismo è un’idea molto calzante per il tema dato. Volendo non importava nemmeno inserire il muro che il protagonista deve saltare per la libertà.
Non mi è piaciuto l’inizio, l’ho dovuto rileggere due volte per capire a chi appartenesse il figlio e questo ha spezzato molto il flusso di lettura. Forse il figlio del padrone poteva entrare e basta, presentandolo proprio come il figlio del bianco e avrei capito subito. Poi mi sembra strano che il padrone si redìma così, in mezzo secondo. Era meglio se il figlio faceva scappare lo schiavo e poi si prendeva le mazzate al posto suo.
Comunque bravo!
Faccio un appunto su questa frase iniziale: “Cerco di rimettermi in ginocchio, ma le mani legate dietro la schiena mi rendono goffo. Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete.”
“Cerco di rimettermi in ginocchio”: non è molto evocativo, cosa fa di preciso il protagonista?
“mi rendono goffo”: non riesco a immaginare niente. Cosa lo rende goffo?
“Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete”: A cosa serve questa corda? Non viene spiegato per bene, il protagonista è legato?
Alla prossima!
usare l’argomento razzismo è un’idea molto calzante per il tema dato. Volendo non importava nemmeno inserire il muro che il protagonista deve saltare per la libertà.
Non mi è piaciuto l’inizio, l’ho dovuto rileggere due volte per capire a chi appartenesse il figlio e questo ha spezzato molto il flusso di lettura. Forse il figlio del padrone poteva entrare e basta, presentandolo proprio come il figlio del bianco e avrei capito subito. Poi mi sembra strano che il padrone si redìma così, in mezzo secondo. Era meglio se il figlio faceva scappare lo schiavo e poi si prendeva le mazzate al posto suo.
Comunque bravo!
Faccio un appunto su questa frase iniziale: “Cerco di rimettermi in ginocchio, ma le mani legate dietro la schiena mi rendono goffo. Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete.”
“Cerco di rimettermi in ginocchio”: non è molto evocativo, cosa fa di preciso il protagonista?
“mi rendono goffo”: non riesco a immaginare niente. Cosa lo rende goffo?
“Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete”: A cosa serve questa corda? Non viene spiegato per bene, il protagonista è legato?
Alla prossima!
- maurizio.ferrero
- Messaggi: 529
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca, piacere di leggerti.
Mi spiace dirti che secondo me con questo racconto hai un po' toppato. Provo a spiegarti che ne penso, fermo restando che rimane un mio parere personale.
Il mostrato è come al solito al top. Gestisci bene le informazioni sensoriali, eviti i verbi percettivi e gli avverbi, le tempistiche sono giuste. Su questo penso proprio di non avere più niente da dirti, ormai sei perfettamente in grado di utilizzare gli strumenti.
Il problema mi sorge con due elementi narrativi del racconto.
- Il bambino: il "pecché" mi dà l'idea che il bambino possa essere di età molto ridotta, diciamo dai tre ai cinque anni. Peccato che non mantiene questo suo modo sgangherato di parlare per tutto il dialogo (pronuncia altre parole con la R normalmente) e ha anche battute di dialogo troppo brillanti per un bambino così piccolo. Ma va bene, serviva ai fini della storia. Forse l'avrei fatto di qualche anno in più, ma è un problema che si può sistemare.
- Il finale: qui secondo me c'è il problema più grosso. Abbiamo assistito finora a un padrone che ha insultato e picchiato il suo schiavo senza mai mostrare un briciolo di compassione. Lo schiavo stesso dice di essere al suo servizio da vent'anni. Nel finale compare il bambino con la faccia sporca (gran bella idea) e suo padre ha un improvviso risveglio. Qual è il problema? Che è troppo repentino e troppo esagerato. Se si fosse limitato a smettere di picchiare lo schiavo il finale sarebbe stato al top. Il padre vede il figlio, si muove a compassione e mostra un briciolo di umanità. Invece, qui, lo libera. La sospensione dell'incredulità mi è crollata addosso. Un padrone che ha malmenato e sfruttato i suoi schiavi per oltre vent'anni passa dall'altro lato della barricata di punto in bianco.
Insomma, per me c'è qualcosa che non funziona.
Scusa se sono stato così duro, ma ho notato che molto spesso i tuoi lavori sono fantastici da un punto di vista tecnico, ma risultano sempre troppo o troppo poco d'impatto nelle reazioni dei personaggi, come se non riuscissi a trovare la giusta misura.
A presto!
Mi spiace dirti che secondo me con questo racconto hai un po' toppato. Provo a spiegarti che ne penso, fermo restando che rimane un mio parere personale.
Il mostrato è come al solito al top. Gestisci bene le informazioni sensoriali, eviti i verbi percettivi e gli avverbi, le tempistiche sono giuste. Su questo penso proprio di non avere più niente da dirti, ormai sei perfettamente in grado di utilizzare gli strumenti.
Il problema mi sorge con due elementi narrativi del racconto.
- Il bambino: il "pecché" mi dà l'idea che il bambino possa essere di età molto ridotta, diciamo dai tre ai cinque anni. Peccato che non mantiene questo suo modo sgangherato di parlare per tutto il dialogo (pronuncia altre parole con la R normalmente) e ha anche battute di dialogo troppo brillanti per un bambino così piccolo. Ma va bene, serviva ai fini della storia. Forse l'avrei fatto di qualche anno in più, ma è un problema che si può sistemare.
- Il finale: qui secondo me c'è il problema più grosso. Abbiamo assistito finora a un padrone che ha insultato e picchiato il suo schiavo senza mai mostrare un briciolo di compassione. Lo schiavo stesso dice di essere al suo servizio da vent'anni. Nel finale compare il bambino con la faccia sporca (gran bella idea) e suo padre ha un improvviso risveglio. Qual è il problema? Che è troppo repentino e troppo esagerato. Se si fosse limitato a smettere di picchiare lo schiavo il finale sarebbe stato al top. Il padre vede il figlio, si muove a compassione e mostra un briciolo di umanità. Invece, qui, lo libera. La sospensione dell'incredulità mi è crollata addosso. Un padrone che ha malmenato e sfruttato i suoi schiavi per oltre vent'anni passa dall'altro lato della barricata di punto in bianco.
Insomma, per me c'è qualcosa che non funziona.
Scusa se sono stato così duro, ma ho notato che molto spesso i tuoi lavori sono fantastici da un punto di vista tecnico, ma risultano sempre troppo o troppo poco d'impatto nelle reazioni dei personaggi, come se non riuscissi a trovare la giusta misura.
A presto!
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
maurizio.ferrero ha scritto:Ciao Luca, piacere di leggerti.
Mi spiace dirti che secondo me con questo racconto hai un po' toppato. Provo a spiegarti che ne penso, fermo restando che rimane un mio parere personale.
Il mostrato è come al solito al top. Gestisci bene le informazioni sensoriali, eviti i verbi percettivi e gli avverbi, le tempistiche sono giuste. Su questo penso proprio di non avere più niente da dirti, ormai sei perfettamente in grado di utilizzare gli strumenti.
Il problema mi sorge con due elementi narrativi del racconto.
- Il bambino: il "pecché" mi dà l'idea che il bambino possa essere di età molto ridotta, diciamo dai tre ai cinque anni. Peccato che non mantiene questo suo modo sgangherato di parlare per tutto il dialogo (pronuncia altre parole con la R normalmente) e ha anche battute di dialogo troppo brillanti per un bambino così piccolo. Ma va bene, serviva ai fini della storia. Forse l'avrei fatto di qualche anno in più, ma è un problema che si può sistemare.
- Il finale: qui secondo me c'è il problema più grosso. Abbiamo assistito finora a un padrone che ha insultato e picchiato il suo schiavo senza mai mostrare un briciolo di compassione. Lo schiavo stesso dice di essere al suo servizio da vent'anni. Nel finale compare il bambino con la faccia sporca (gran bella idea) e suo padre ha un improvviso risveglio. Qual è il problema? Che è troppo repentino e troppo esagerato. Se si fosse limitato a smettere di picchiare lo schiavo il finale sarebbe stato al top. Il padre vede il figlio, si muove a compassione e mostra un briciolo di umanità. Invece, qui, lo libera. La sospensione dell'incredulità mi è crollata addosso. Un padrone che ha malmenato e sfruttato i suoi schiavi per oltre vent'anni passa dall'altro lato della barricata di punto in bianco.
Insomma, per me c'è qualcosa che non funziona.
Scusa se sono stato così duro, ma ho notato che molto spesso i tuoi lavori sono fantastici da un punto di vista tecnico, ma risultano sempre troppo o troppo poco d'impatto nelle reazioni dei personaggi, come se non riuscissi a trovare la giusta misura.
A presto!
Ciao Maurizio e grazie del commento.
Ho spesso questo problema della rilevanza nel cambio di mentalità. Cerco sempre di mettere uno snodo in cui il protagonista evolve (un mini arco di trasformazione diciamo) ma i 4.000 caratteri mi uccidono e ogni volta è o troppo rapido o troppo netto.
Vero è che nella vita reale spesso sono piccolissimi dettagli che ci fanno cambiare totalmente idea su una cosa o una persona in un istante. ma nello scritto il lettore vuole il suo tempo per comprendere la scena.
Se scoprissi la mia morosa a letto con un altro probabilmente il passaggio da amore a odio sarebbe piuttosto repentino. Ma se succedesse in un racconto/romanzo dovrei scrivere almeno una decina di righe su quanto questo mi ferisca, su quanto mi senta in colpa perchè forse è a causa mia, fino ad arrabbiarmi a morte e iniziare a inveire.
Grazie ancora del commento stimolante, se i commenti sono fatti con dell'usta sono sempre ben accetti!
PS: Nota dialettale: in Emilia Romagna il termine 'usta' significa 'accortezza, buon senso'
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
JoMess ha scritto:Ciao Luca,
usare l’argomento razzismo è un’idea molto calzante per il tema dato. Volendo non importava nemmeno inserire il muro che il protagonista deve saltare per la libertà.
Non mi è piaciuto l’inizio, l’ho dovuto rileggere due volte per capire a chi appartenesse il figlio e questo ha spezzato molto il flusso di lettura. Forse il figlio del padrone poteva entrare e basta, presentandolo proprio come il figlio del bianco e avrei capito subito. Poi mi sembra strano che il padrone si redìma così, in mezzo secondo. Era meglio se il figlio faceva scappare lo schiavo e poi si prendeva le mazzate al posto suo.
Comunque bravo!
Faccio un appunto su questa frase iniziale: “Cerco di rimettermi in ginocchio, ma le mani legate dietro la schiena mi rendono goffo. Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete.”
“Cerco di rimettermi in ginocchio”: non è molto evocativo, cosa fa di preciso il protagonista?
“mi rendono goffo”: non riesco a immaginare niente. Cosa lo rende goffo?
“Tiro la corda, è fissata all'anello piantato nella parete”: A cosa serve questa corda? Non viene spiegato per bene, il protagonista è legato?
Alla prossima!
Grazie mille del commento.
mi dispiace che all'inizio non fosse chiaro di chi sia figlio Isai. Pensavo che questa battuta fosse sufficiente:
«Pa' che succede?» La voce di suo figlio, il più piccolo.
«Non ora, Isaia.»
Forse il fatto che abbia usato aia ha confuso. se avessi detto fuori dalla porto il bimbo canticchia sarebbe stato più chiaro che parliamo dello stesso Isaia che il pdv ci mostra come figlio del padrone.
Cercherò di sistemarlo nella seconda versione!
Sul cerco di rimettermi in ginocchio, hai ragione, non è molto evocativo, anche se un uomo con le mani legate dietro la schiena diventa goffo e per alzarsi in piedi si rotola, infila una gamba sotto l'altra e cerca di darsi la spinta per tirarsi su.
La corda invece tiene legate le sue mani all'anello alla parete, potevo essere più specifico, grazie di avermelo segnalato.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
megagenius ha scritto:Ciao Luca! Sono molto contento di rileggerti. E ti rinnovo i complimenti per la vittoria alla scorsa Edition.
Parto dai due elementi molto positivi: 1) l'interpretazione del tema dalla prospettiva dello schiavismo e del razzismo; si tratta di questioni universali che hanno sempre un loro peso emotivo, in qualsiasi storia le si incorpori. 2) il tenero gesto di solidarietà da parte del bambino.
Altra nota positiva è la narrazione la quale, seppur con qualche incertezza qua e là, scorre abbastanza bene ed è precisa al punto giusto.
Purtroppo mi hanno lasciato molto perplessi alcuni aspetti, primo fra tutti il finale. Ma ci arriverò fra poco, anche perché bisogna fare un paio di precisazioni. Innanzitutto, mi sarebbe piaciuto inquadrare meglio l'età del figlio del padrone; secondo me è molto importante perché se è un bambino che parla con qualche difficoltà linguistica, non può avere più di 5/6/7 anni. I bambini, anche a quell'età, fanno domande esistenziali o pongono quesiti spiazzanti, ma nel caso del tuo racconto Isaia mostra troppo interesse e troppa curiosità verso il "negro", in altre parole, fa domande troppo "elevate" per gli standard della sua presumibile età. Lo dico anche perché, per quel poco che so di schiavismo in America (e non solo...), di solito le famiglie sviluppavano in toto l'odio razziale e i genitori facevano di tutto per trasmettere tale odio anche ai figli, quindi mi sarei aspettato un atteggiamento ostile anche da parte del figlio. Ecco, questo aspetto mi è risultato fuori contesto. Capisco che era necessario per giungere a un determinato risultato narrativo, ma se un'intera cultura è imbevuta di quell'atteggiamento intollerante, chiunque dovrebbe mostrarlo. Ovviamente questa non è una legge universale, però, ribadisco, mi è sembrato un elemento stridente.
Dicevo il finale. Stante la tenerezza del gesto di Isaia, mi è risultata incomprensibile la scelta del padrone di liberare lo schiavo. Un padrone così malvagio, che arriva a pestare selvaggiamente un uomo, lo apostrofa con disprezzo, lo tiene in schiavitù da 20 anni, lo irride, non mostra la minima scintilla umana, poi vede il figlio sporco di fango (ci sta il gesto, ma non la conseguenza) e in un minuscolo istante si ravvede totalmente e dona allo schiavo quella libertà che bramava da una vita! Mi pare davvero poco credibile. Mi permetto di ipotizzare uno sviluppo narrativo, senza pretesa di sminuire quello che hai scritto tu. Il padrone guarda il figlio, lo guarda incredulo, ci ride su, momento di sospensione, il negro ha il fiato sospeso perché spera in uno sviluppo a lui favorevole, ma il padrone torna nella sua bolla di malvagità, allontana il figlio e bastona ancora lo schiavo. Secondo me, sarebbe stato il trionfo della simbologia della malvagità umana, avresti rappresentato crudamente la cattiveria dell'uomo e posto davanti agli occhi del lettore la condanna contro queste tipologie di crudeltà.
Nel complesso ho ancora sensazioni contrastanti sul tuo testo, per cui, prendendo in prestito le valutazioni dell'Antico, per me un pollice su ma in maniera poco brillante.
In bocca al lupo!
Emiliano.
Ciao Emiliano e grazie del commento.
il cambio di mentalità del padre è stato troppo rapido purtroppo. forse più che rapido troppo esagerato. è passato in effetti da un padrone violento col suo schiavo a troppo accondiscendente.
Dovevo gestirla con più leggerezza.
nella mia idea iniziale il bambino pugnalava alle spalle il padre prima che ricominciasse a picchiare il nero, con schizzi di sangue sul povero prigioniero. Mi sembrava troppo "nel mio stile pulp" e ho deciso di allentare un po' i toni e metterci il lieto fine.
Mi segno di smetterla di tentare coi lieto fine che non sono nelle mie corde!
Grazie ancora del commento e dell'analisi, anche nell'età del bambino. Si vede che non ho figli e sono il fratello più piccolo della famiglia. Faccio sempre confusione ad associare le età.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Massimo Tivoli ha scritto:Ciao Luca. L’inizio non mi convince: credo sia difficile far crollare una persona a terra con un manrovescio. Se aggiungevi uno spintone sul petto, magari avrebbe fatto un altro effetto. Ma, tutto sommato, è un dettaglio minimo rispetto a tutto il resto del racconto, che si legge molto bene. Anche tu, come me, sei andato per l’interpretazione del tema con chiave razzista. E, mi sembra, che anche tu come me, a questo giro, hai tirato fuori un racconto con una debolezza nella resa del conflitto: succede tutto troppo liscio, la tensione non si crea.
L’idea è bella e il gesto di Isaia richiama di certo tenerezza, ma, forse, si poteva fare di più.
Mi dispiace commentarti in questo modo perchè, tutto sommato, è lo stesso errore che ho commesso io, e quindi mi sento un po' indegno... ma un conto è vedere il racconto con i propri occhi, un conto è vederlo con quelli di un altro.
Buona Edition!
Ciao Massimo, cavolo mi dispiace aver ricevuto una murata così proprio da te.
Nella scena iniziale avevo ipotizzato che il nostro protagonista non fosse propriamente al massimo della sua forma. è legato e non ho specificato da quanto tempo. magari non mangia da un paio di giorni. o è stato sotto al sole per molte ore.
è però un mio errore. avrei dovuto dare qualche informazione in più per far capire la sua condizione fisica, ma speravo che cadere per uno sberlone fosse sufficiente per dimostrare che non era sicuramente un toro in forma smagliante.
Più che dire che va tutto troppo liscio, mi sa che va tutto troppo veloce! o forse il cambiamento nel padrone è troppo netto.
Ti ringrazio ancora per il tuo commento, con uno della tua esperienza fa sempre piacere confrontarsi.
A presto!
- Michael Dag
- Messaggi: 428
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ti sei bruciato nel finale. Mi è parso innaturale e "buonista" (odio questa parola, ma a volte torna utile, messa tra virgolette).
un riccone dell '800 che massacra i suoi schiavi a bastonate, si fa impietosire dalla scenetta del figlio? Avrei visto molto meglio se dava un ceffone a figlio sbraitando "sei contento adesso?".
peccato perché lo stile è molto buono.
purtroppo non ho appunti oggettivi da farti, solo, non ci siamo incontrati.
alla prossima
un riccone dell '800 che massacra i suoi schiavi a bastonate, si fa impietosire dalla scenetta del figlio? Avrei visto molto meglio se dava un ceffone a figlio sbraitando "sei contento adesso?".
peccato perché lo stile è molto buono.
purtroppo non ho appunti oggettivi da farti, solo, non ci siamo incontrati.
alla prossima
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca, sono lieto di commentarti.
Il tuo racconto è scritto molto bene ed è certamente un pezzo da manuale se ci riferiamo ai capisaldi della scrittura immersiva. Collochi al posto giusto i dettagli essenziali (non uno di più) per visualizzare la scena che vuoi descrivere al lettore, con il risultato che noi che leggiamo siamo lì nella stalla e sentiamo le pene e le fatiche del prigioniero. Ho trovato davvero poche sbavature in questo senso, non una sola ridondanza che svii dal punto di vista del protagonista (l’unico appunto forse sta nella frase “Il sangue a terra non sembra spaventarlo, ma il colore della mia pelle sì” dove non avrei inserito la seconda informazione in quanto già chiara al lettore come fonte di conflitto). Ben caratterizzato anche l’antagonista, l’uomo bianco, credibile nella sua spietata cattiveria. Molto riuscito anche il dialogo tra il prigioniero e il bambino che mi ha ricordato le claustrofobiche atmosfere di Io non ho paura di Ammanniti.
Il racconto però un problema ce l’ha, secondo me. E cioè l’aderenza con il tema è stiracchiata se non impalpabile. In questo senso prendo spunto da una delle ultime frasi: “con la testa indica oltre il muro, verso la libertà” che stona davvero rispetto al grande equilibrio tra contenuto e stile che hai dimostrato nel resto del testo. Si percepisce che è una frase inserita a forza, a mio avviso, proprio per far quadrare il tema. Paradossalmente se il muro tu avessi scelto di non inserirlo affatto (tra l’altro la stalla io me la immagino fatta di legno, quindi anche visivamente non visualizzo un muro presente all’interno della scena) secondo me la cosa avrebbe funzionato meglio. L’idea di un muro, quello delle diversità che sta alla base di questo racconto, lo avresti semplicemente evocato con un impatto emotivo sul lettore più significativo.
Parere mio, naturalmente.
A rileggerti.
Il tuo racconto è scritto molto bene ed è certamente un pezzo da manuale se ci riferiamo ai capisaldi della scrittura immersiva. Collochi al posto giusto i dettagli essenziali (non uno di più) per visualizzare la scena che vuoi descrivere al lettore, con il risultato che noi che leggiamo siamo lì nella stalla e sentiamo le pene e le fatiche del prigioniero. Ho trovato davvero poche sbavature in questo senso, non una sola ridondanza che svii dal punto di vista del protagonista (l’unico appunto forse sta nella frase “Il sangue a terra non sembra spaventarlo, ma il colore della mia pelle sì” dove non avrei inserito la seconda informazione in quanto già chiara al lettore come fonte di conflitto). Ben caratterizzato anche l’antagonista, l’uomo bianco, credibile nella sua spietata cattiveria. Molto riuscito anche il dialogo tra il prigioniero e il bambino che mi ha ricordato le claustrofobiche atmosfere di Io non ho paura di Ammanniti.
Il racconto però un problema ce l’ha, secondo me. E cioè l’aderenza con il tema è stiracchiata se non impalpabile. In questo senso prendo spunto da una delle ultime frasi: “con la testa indica oltre il muro, verso la libertà” che stona davvero rispetto al grande equilibrio tra contenuto e stile che hai dimostrato nel resto del testo. Si percepisce che è una frase inserita a forza, a mio avviso, proprio per far quadrare il tema. Paradossalmente se il muro tu avessi scelto di non inserirlo affatto (tra l’altro la stalla io me la immagino fatta di legno, quindi anche visivamente non visualizzo un muro presente all’interno della scena) secondo me la cosa avrebbe funzionato meglio. L’idea di un muro, quello delle diversità che sta alla base di questo racconto, lo avresti semplicemente evocato con un impatto emotivo sul lettore più significativo.
Parere mio, naturalmente.
A rileggerti.
- Gabriele Dolzadelli
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Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao Luca, piacere di trovarti.
Partiamo dallo stile. Sicuramente ottimo e frutto d'esperienza. Solo la parte iniziale mi è parsa troppo trasparente nelle tue intenzioni, nel senso che leggendola ho ben percepito come le frasi fossero messe lì più per descrivere l'ambiente che per altro, camuffandole in azioni un po' fini a sé stesse. Secondo me poteva essere gestita meglio la partenza.
Venendo al resto, penso che la debolezza del racconto sia su due fronti. Uno è quello dei dialoghi e l'altro è quello della conclusione.
In merito ai dialoghi, hanno molti elementi artificiosi.
Nello specifico:
- il piccolo non usa la R in alcune parole mentre in altre sì e questo disorienta. Ha un'ingenuità comprensibile, ma è incomprensibile come metta facilmente in dubbio le intenzioni del padre. Un bambino a quell'età pende tantissimo dalle labbra del genitore e se il padre mette in guardia contro un pericolo il piccolo tende a credergli, per quanto possa non capire. Quindi, in sostanza, quanti anni ha questo bambino?
- lo schiavo ha un linguaggio molto forbito per essere un nero di quel periodo. L'unica spiegazione è che nei suoi vent'anni di servizio sia stato istruito. Però, perché lo hanno fatto? Quali erano le sue mansioni? Inoltre il fatto che aveva servito da vent'anni la famiglia viene detto solo verso la fine e per tutto il racconto il lettore rimane con questa sensazione di disagio che rovina la sospensione dell'incredulità. Altra cosa, davvero i neri, all'epoca, avevano a cuore le questioni di uguaglianza? Mi spiego meglio. Oggi, con la nostra cultura e il nostro retaggio, comprendiamo l'importanza della parità dei diritti e che nessuna razza deve primeggiare su un'altra. Ma all'epoca, di fronte ai soprusi dei bianchi, il massimo che poteva scatenarsi era altrettanto odio razziale da parte dei neri. L'alternativa era adeguarsi e sottomettersi. Il discorso dello schiavo mi trasmette l'impressione di essere fuori contesto.
- il padrone è disegnato un po' troppo a macchietta. Non spiega il motivo delle fustigazioni. Non viene detto se lo fustiga da sempre o se è solo quell'occasione e il suo cambiamento è troppo radicale e repentino (e qui tocchiamo anche il punto due).
In conclusione, per quanto l'idea è molto buona e ben scritta, inciampa su questi passaggi che rendono la realizzazione un po' goffa. Peccato. Di certo il numero limitato dei caratteri non aiuta in questi casi. A rileggerci.
Partiamo dallo stile. Sicuramente ottimo e frutto d'esperienza. Solo la parte iniziale mi è parsa troppo trasparente nelle tue intenzioni, nel senso che leggendola ho ben percepito come le frasi fossero messe lì più per descrivere l'ambiente che per altro, camuffandole in azioni un po' fini a sé stesse. Secondo me poteva essere gestita meglio la partenza.
Venendo al resto, penso che la debolezza del racconto sia su due fronti. Uno è quello dei dialoghi e l'altro è quello della conclusione.
In merito ai dialoghi, hanno molti elementi artificiosi.
Nello specifico:
- il piccolo non usa la R in alcune parole mentre in altre sì e questo disorienta. Ha un'ingenuità comprensibile, ma è incomprensibile come metta facilmente in dubbio le intenzioni del padre. Un bambino a quell'età pende tantissimo dalle labbra del genitore e se il padre mette in guardia contro un pericolo il piccolo tende a credergli, per quanto possa non capire. Quindi, in sostanza, quanti anni ha questo bambino?
- lo schiavo ha un linguaggio molto forbito per essere un nero di quel periodo. L'unica spiegazione è che nei suoi vent'anni di servizio sia stato istruito. Però, perché lo hanno fatto? Quali erano le sue mansioni? Inoltre il fatto che aveva servito da vent'anni la famiglia viene detto solo verso la fine e per tutto il racconto il lettore rimane con questa sensazione di disagio che rovina la sospensione dell'incredulità. Altra cosa, davvero i neri, all'epoca, avevano a cuore le questioni di uguaglianza? Mi spiego meglio. Oggi, con la nostra cultura e il nostro retaggio, comprendiamo l'importanza della parità dei diritti e che nessuna razza deve primeggiare su un'altra. Ma all'epoca, di fronte ai soprusi dei bianchi, il massimo che poteva scatenarsi era altrettanto odio razziale da parte dei neri. L'alternativa era adeguarsi e sottomettersi. Il discorso dello schiavo mi trasmette l'impressione di essere fuori contesto.
- il padrone è disegnato un po' troppo a macchietta. Non spiega il motivo delle fustigazioni. Non viene detto se lo fustiga da sempre o se è solo quell'occasione e il suo cambiamento è troppo radicale e repentino (e qui tocchiamo anche il punto due).
In conclusione, per quanto l'idea è molto buona e ben scritta, inciampa su questi passaggi che rendono la realizzazione un po' goffa. Peccato. Di certo il numero limitato dei caratteri non aiuta in questi casi. A rileggerci.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Ciao, Luca. Ho letto il tuo racconto con interesse. Mi piaceva molto l'intenzione, l'idea del confronto. C'è un po' di rigidità nei dialoghi che risultano un po' artefatti, ma capisco che per rendere la cosa più naturale sarebbe servita una storia di ben più ampio respiro, quindi su questo non ho troppo da lamentarmi. Mi piace l'idea di fondo che si intravede, senza essere spiegata, di un dentro e un fuori. Confesso che la mia mente perversa è partita a immaginare distopici futuri con negrieri che si sono rintanati in rifugi sotterranei o al di là di barriere di qualche tipo. Che non si veda ma si intraveda mi piace, lascia libertà di immaginare. Non mi convince troppo il lieto fine, con il repentino e poco credibile (per me) cambio di rotta del terribile padrone. Ci ho ragionato un po' e forse la storia poteva prendere altre vie, certo meno rosee ma più intriganti. Dove ti piazzerò in classifica dipende molto dagli altri.
Re: Fuori è peggio (Luca Fagiolo)
Vero, il tuo racconto ha molto in comune con quello di Massimo Tivoli: grande tecnica per entrambi e grande problematica finale simile con un personaggio che cambia il proprio atteggiamento senza una costruzione coerente a motivarne la svolta. Condivido anche le critica riguardante le parlate del bambino (e ha ragione anche Maramonte nel sostenere che all'epoca istruivano all'odio già dalle fasce e qui non si percepisce, tanto più che sembra vedere un nero per la prima volta) e dello schiavo (troppo organizzato e forbito). Ti rispondo sui tuoi punti di svolta per quanto riguarda le motivazioni dei personaggi e la difficoltà nell'affrontarli (che in questo racconto hai avuto in modo più evidente che in altri): non credo che il problema stia nello spazio quanto proprio nel fatto che, a volte, non semini il personaggio fin dall'inizio riservandoti poi di farlo cambiare in modo radicale quando è necessario. Devi creare delle microcrepe fin dall'inizio, mostrare delle debolezze, dei punti in cui si possa insinuare il dubbio o nei quali sia possibile l'originarsi di un cambiamento proprio perché, magari a livello inconscio, lo stesso è già in atto. Detto questo, piccolo problemino meno rilevante sul dettaglio della porta che si riapre un poco dopo che il padrone è uscito: non mi sembra girare al meglio perché anch'io ho dovuto rileggere per capire da dove arrivasse Isaia e che non fosse stato lui ad aprirla (non si capisce neanche bene che sia il bambino che il padre siano in voce fuori campo). Tema presente e ben declinato. In ogni caso, il racconto si legge bene e ha anche un messaggio positivo, cosa mai da sottovalutare. Per me un pollice tendente verso l'alto in modo solido, ma non brillante.
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