Appuntamento fissato per le 21.00 di lunedì 20 settembre 2021 con un tema di Francesca Bertuzzi! Gli autori che vorranno partecipare dovranno scrivere un racconto di max 3000 caratteri entro l'una.
BENVENUTI ALLA FRANCESCA BERTUZZI EDITION, LA PRIMA DELLA NONA ERA DI MINUTI CONTATI, LA 157° ALL TIME!
Questo è il gruppo LA BELVA della FRANCESCA BERTUZZI EDITION con FRANCESCA BERTUZZI come guest star.
Gli autori del gruppo LA BELVA dovranno commentare e classificare i racconti del gruppo FAMMI MALE.
I racconti di questo gruppo verranno commentati e classificati dagli autori del gruppo LA PAURA.
Questo è un gruppo da NOVE racconti e saranno i primi TRE ad avere diritto alla pubblicazione immediata sul sito e a entrare tra i finalisti che verranno valutati da FRANCESCA BERTUZZI. Altri racconti ritenuti meritevoli da me, l'Antico, verranno a loro volta ammessi alla vetrina del sito, ma non alla finale. Ricordo che per decidere quanti finalisti ogni gruppo debba emettere cerco sempre di rimanere in un rapporto di uno ogni tre.
Essendo la prima edizione d'Era, per la composizione dei gruppi ho tenuto conto del seguente metodo: per primi ho assegnato ai raggruppamenti coloro in possesso di punti RANK ALL TIME, a seguire ho assegnato ai raggruppamenti coloro in possesso di punti RANK OTTAVA ERA (il primo nel gruppo A, il secondo nel gruppo B, il terzo nel gruppo C, il quarto nel gruppo A e così via), coloro che non hanno ottenuto punti nei due Rank sono stati assegnati a seguire (primo a postare gruppo X, secondo a postare gruppo Y, terzo a postare gruppo BETA, quarto a postare gruppo X e così via). Ho forzato solo in un paio di occasioni per non fare capitare due racconti con malus nello stesso gruppo.
E ora vediamo i racconti ammessi nel gruppo LA BELVA:
Avrete tempo fino alle 23.59 di giovedì 30 SETTEMBRE per commentare i racconti del gruppo FAMMI MALE Le vostre classifiche corredate dai commenti andranno postate direttamente sul loro gruppo. Per i ritardatari ci sarà un'ora di tempo in più per postare le classifiche e i commenti, quindi fino alle 00.59 del 1 OTTOBRE, ma si prenderanno un malus pari alla metà del numero di autori inseriti nel gruppo approssimato per difetto. Vi avverto che sarò fiscale e non concederò un solo secondo in più. Vi ricordo che le vostre classifiche dovranno essere complete dal primo all'ultimo. Una volta postate tutte le vostre classifiche, posterò la mia e stilerò quella finale dei raggruppamenti. NB: avete DIECI giorni per commentare e classificare i racconti del gruppo FAMMI MALE e so bene che sono tanti. Ricordatevi però che Minuti Contati, oltre che una gara, è primariamente un'occasione di confronto. Utilizzate il tempo anche per leggere e commentare gli altri racconti in gara e se la guardate in quest'ottica, ve lo assicuro, DIECI giorni sono anche troppo pochi. E ancora: per quanto vi sarà possibile in base ai vostri impegni, date diritto di replica, tornate a vedere se hanno risposto ai vostri commenti, argomentate, difendete le vostre tesi e cedete quando vi convinceranno dell'opposto. Questa è la vostra palestra, dateci dentro.
Eventuali vostre pigrizie nei confronti dei commenti ai racconti (che devono avere un limite minimo di 300 caratteri ognuno) verranno penalizzate in questo modo: – 0 punti malus per chi commenta TUTTI i racconti assegnati al suo gruppo con il corretto numero minimo di caratteri. – 13 punti malus per chi commenta tutti i racconti assegnati al suo gruppo, ma senza il numero minimo di caratteri. – ELIMINAZIONE per chi non commenta anche solo un racconto di quelli assegnati al suo gruppo.
Vi ricordo che i racconti non possono essere più modificati. Se avete dubbi su come compilare le classifiche, rivolgetevi a me. Potete commentare i vari racconti nei singoli thread per discutere con gli autori, ma la classifica corredata dai commenti deve obbligatoriamente essere postata nel gruppo FAMMI MALE. Altra nota importante: evitate di rispondere qui ai commenti ai vostri lavori, ma fatelo esclusivamente sui vostri tread.
E infine: una volta postate e da me controllate, le classifiche non possono più essere modificate a meno di mia specifica richiesta in seguito a vostre dimenticanze. L'eventuale modifica non verrà contabilizzata nel conteggio finale e sarà passibile di malus pari a SETTE punti.
Ciao Morena, il tuo racconta meriterebbe il primo posto anche soltanto per il bellissimo finale che la storia mostra al lettore. Nella finzione sono rimasto ammaliato dalle descrizioni relative alla situazione e, fino alla fine, ho temuto che si trattasse della classica vicenda a metà fra il fantasy e lo storico, e invece… Epico infine il riferimento, ben compreso soltanto alla fine, con il tema del contest.
Ciao Wladimiro, il tuo racconto mi è piaciuto molto. Mi aspettavo, verso la metà della vicenda, che lui trovasse la moglie a letto con un altro e il titolo, volontariamente fuorviante, aveva reso questo mio pensiero ancora più forte. La narrazione scandita è un altro aspetto molto piacevole, soprattutto dal punto di vista emotivo. Il colpo di scena finale, che fa appartenere la trama del racconto a un genere quasi fantascientifico, è stato molto curioso e intrigante, secondo me. Difetti? Non ne ho riscontrato alcuno, in particolare.
Ciao Gabriele, ho trovato il tuo racconto molto emotivo, di una sensibilità davvero coinvolgente. La scena finale, suggerita dagli orari e dai luoghi vicini ma comunque davvero difficile da cogliere, mi ha lasciato di stucco, in senso buono. Il tema viene rispettato nel suo duplice aspetto. Interessante anche la vaga esplorazione dell’aspetto pedagogico e professionale. Di particolari difetti non ne ho trovati.
Ciao David, leggendo il tuo racconto ho percepito una crescente ansia, riuscendo a empatizzare con il protagonista. Una situazione classica, conosciuta più o meno da tutti noi, che però contiene un finale spettacolare, che è riuscito a strapparmi una risata. Unico difettino: qualche piccolo refuso qua e là.
Ciao Pietro, il racconto si palesa vagamente come l’inizio di una vicenda lovecraftiana. Il senso d’inquietudine cresce vistosamente nelle ultime righe quando, al lettore, non rimane che immaginare l’orribile fine del protagonista, uno speleologo alla ricerca di risposte scientifiche più grandi di lui. Unico difetto? L’uso, forse un po’ troppo ricorrente, di sostantivi aulici che non sempre rendono la lettura scorrevole.
Ciao Matteo, il racconto si presenta come molto introspettivo: la tematica della monotona quotidianità insita nell’orrore esistenzialista rappresenta un tema a me decisamente caro. Apprezzabile anche la metafora del crollo del muro e il finale, non a sorpresa ma ciclico, come tutto è e continuerà a essere.
Ciao Giuliano, un racconto che si palesa abbastanza lineare. Mi è piaciuto molto il rapporto tra fratello e sorella (mi ha ricordato un po’ Burt e Lynn in Ken il Guerriero) e la narrazione scorre bene. Mi ha convinto meno il finale che sicuramente è interessante da scoprire, ma che non mi ha dato ciò che speravo.
Ciao Manuel, il racconto presenta elementi divertenti e, a tratti, grotteschi. La vicenda si delinea secondo quella che sembrerebbe l’esperienza a metà fra l’ubriachezza e un’effettiva invasione aliena, e questo mi è piaciuto molto. Al di là di qualche refuso (tipo “Alzo” invece si “Alzò”), tuttavia, non sono rimasto molto convinto dal finale che lascia non pochi dubbi nel lettore, senza però ottenere quell’effetto di MacGuffin che stimola la curiosità nel lettore.
Ciao Andrea, il tuo racconto s’immerge nelle interessanti atmosfere marittime, a metà fra una tempesta surreale e un legame gotico. Purtroppo, la trama non mi ha convinto molto, in parte per un mio limite nell’esser riuscito a capirci qualcosa, in parte per delle difficoltà nell’introdurre diversi nomi e, penso, alcune allegorie (tipo quella della lanterna) che in un racconto così breve è assai complesso riuscire a renderli sufficientemente comprensibili al lettore.
Il crollo dell’impero nero, di Read_Only Capita!, di Wladimiro Borchi Un papà, di Gabriele Dolzadelli È tutto molto superprofessional, di David Galligani Profondo riposo, di Pietro D’Addabbo E poi sarà tutto da rifare, di Matteo Mantoani Senza via di uscita, di Giuliano Cannoletta Una serata tranquilla, di Manuel Piredda La scogliera, di Andrea Furlan
CLASSIFICA 1. Un papà, di Gabriele Dolzadelli 2. Senza via di uscita, di Giuliano Cannoletta 3. E poi sarà tutto da rifare, di Matteo Mantoani 4. È tutto molto superprofessional, di David Galligani 5. Il crollo dell’impero nero, di Read_Only 6. Capita!, di Wladimiro Borchi 7. Una serata tranquilla, di Manuel Piredda 8. Profondo riposo, di Pietro D’Addabbo 9. La scogliera, di Andrea Furlan
COMMENTI Capita!, di Wladimiro Borchi Ottimo lo stile. Peccato che l’idea non sia stata sfruttata in modo efficace. Purtroppo la costruzione poco solida, come semina, del colpo di scena finale ne ha penalizzato la resa emotiva. È vero che una chiusa che ribalta le premesse narrative è alla base della definizione di “colpo di scena”, ma se il ribaltamento mostra una situazione distante anni luce dagli elementi che la narrazione ci ha fornito fino a quel momento allora il CdS non funziona. In sintesi, qualche elemento di semina sul fatto che tutto il testo prima della chiusa non "appartenesse alla realtà” del protagonista avrebbe contribuito a ottenere un raccolto più efficace.
Un papà, di Gabriele Dolzadelli Da un lato, questo è un racconto che assicura una qualche presa emotiva sul lettore, soprattutto sui papà. Dall’altro, al di là del purtroppo famoso crollo del ponte Morandi, la situazione in cui è precipitato il protagonista è piuttosto ordinaria, quotidiana, senza elementi di “affascinante” o “inquietante” esoticità. In sintesi, un racconto più che buono per me, ma, allo stesso tempo, che non riesce a emozionarmi più di tanto.
Una serata tranquilla, di Manuel Piredda Molto bella l’idea. Meno bello il suo sviluppo. Intendiamoci, molto probabilmente non sono il lettore adatto per questo racconto, ma ho trovato lo svolgimento un po’ caotico, confusionario. Okay, come ci svela il finale, il confine tra realtà e fantasia crolla, la dicotomia reale-surreale non esiste più, le due dimensioni si fondono in modo plastico, senza interruzione di continuità. Tutto molto bello, accattivante, sebbene non originale… ma dietro la narrazione non mi sembra esserci un progetto coeso: si passa dai dischi volanti, che inevitabilmente portano il lettore a pensare a un’invasione aliena, a immagini di film (star wars), a sogni erotici (la segretaria in baby doll), senza un collante che, sebbene nella più surreale delle situazioni, dia una funzione (emozionale, tecnica, metaforica, allegorica, ecc.) a quanto il lettore abbia appena letto.
Senza via di uscita, di Giuliano Cannoletta Bel racconto distopico, soffocante e isterico e implacabile al punto giusto. Ho apprezzato la gestione del ritmo, progressivamente in salita come è giusto che sia per racconti di questo tipo. Qualche perplessità proprio nell’incipit: perché quello spettacolo è insieme osceno e affascinante? Proseguendo la lettura sembra che Mel lo avverta come qualcosa di osceno e catastrofico. Quindi perché affascinante? Trama lineare. Finale atteso. È un male? Non necessariamente, ma in questo caso non colpisce più di tanto.
E poi sarà tutto da rifare, di Matteo Mantoani Monotonia, solitudine, un lavoro che ti costringe ad avere a che fare con la morte e tutto quello che si porta appresso. Racconto talmente introspettivo da risultare claustrofobico, asfissiante. La chiusura circolare è coerente con il protagonista e l’ineludibile ripetitività della sua esistenza. Non ci sono particolari difetti nella forma e nello stile, ma non si avvertono nemmeno particolari “scossoni” nell’emotività del lettore.
È tutto molto superprofessional, di David Galligani Racconto umoristico niente male. La situazione inscenata è un cliché, ma lo utilizzi in modo efficace: il lettore empatizza con il poveretto sotto torchio per il colloquio e, quantomeno, stira le labbra in un bel sorriso sul finale trash-grottesco. È stato piacevole leggerlo e, a parte qualche tollerabilissimo refuso, la forma e lo stile di fanno apprezzare.
Profondo riposo, di Pietro D’Addabbo Nonostante lo abbia riletto due volte, io questo racconto non l’ho capito – chiedo scusa all’autore –, probabilmente per la mia ignoranza nel campo della speleologia e annessi strumenti di discesa/risalita. È chiaro che intuisco che per il protagonista è la fine, ma non ne ho colto il motivo e, di conseguenza, la forza emotiva del racconto tutto o, perlomeno, del finale. Mi dispiace.
La scogliera, di Andrea Furlan Mi dispiace, ma anche questo racconto ho dovuto leggerlo due volte. E anche questo racconto non l’ho capito. Difficile giudicarlo. Owen quindi era una voce immaginaria nella testa del protagonista? Il Vecchio e Owen sono la stessa persona, entità? Tanti gli interrogativi, a causa dei quali la narrazione mi è sfuggita di continuo, lasciandomi con ben poco dentro.
Il crollo dell’impero nero, di Read_Only Racconto scritto con stile e padronanza delle tecniche narrative. Tuttavia il ribaltamento delle premesse narrative sul finale (colpo di scena) non colpisce più di tanto, lasciando in definitiva il lettore un po’ impassibile. Questo è un rischio che si corre ogni volta che si basa il CdS sull’adozione di un PdV atipico o poco coerente con la situazione narrata, come nel caso di narrazione dal PdV di un animale o addirittura, come in questo caso, dal PdV di oggetti inanimati (pedine degli scacchi). In sintesi è un giochetto per vincere facile: le pedine vengono trattate come esseri umani a tutti gli effetti (pensano, parlano, provano sentimenti, sanguinano) e il lettore non ha nessun indizio per poter anche solo minimamente dubitare sulla loro vera natura, rendendo quindi l’ottenimento del CdS un mero trucchetto che, alla fine, lascia indifferenti. Last but not least, chi non ha mai giocato a scacchi non capirà nel dettaglio la manovra raccontata nella chiusa.
Eccomi qui per la classifica e i commenti! Buona Nona Era a tutti!
CLASSIFICA
1. Senza via d'uscita di Giuliano Cannoletta 2. E poi sarà tutto da rifare di Matteo Mantoani 3. Un papà di Gabriele Dolzadelli 4. Capita! di Wladimiro Borchi 5. E' tutto molto superprofessional di David Galligani 6. La scogliera di Andrea Furlan 7. Una serata tranquilla di Manuel Piredda 8. Il crollo dell'impero nero di Read_Only 9. Profondo riposo di Pietro D'Addabbo
Capita! di Wladimiro Borchi Sullo stile di scrittura non ho proprio nulla da dire: sei impeccabile nel condurre il lettore dove vuoi e lo fai con un testo scorrevole, brioso, preciso. Sul fronte della storia, nel corso della lettura mi sono detto spesso: "Be', sì, tutto bello, godibile, ma la trama non può essere tanto ordinaria, non per uno come il buon Wlad!". E infatti il colpo di scena finale ha conferito all'intero racconto un sapore diverso, molto interessante. In realtà, proprio quel colpo di scena si situa ai confini del "ni". E' sicuramente coerente, intelligente e anche ironico al punto giusto... allora perché c'è qualcosa che non va? Hai presente quelle sensazioni pruriginose che non ti consentono di provare piena soddisfazione di qualcosa? Ecco, per me è stato così. Come impatto istintivo ho provato il sapore amarognolo dei colpi di scena del tipo: "E' tutto un sogno", "Ah, era la realtà virtuale!", e similari. Nulla di grave, comunque, è un problema soprattutto mio e non toglie poco al valore complessivo della tua prova. Un'ultima cosa: quel "beh", dài su, Wlad!!!
Un papà di Gabriele Dolzadelli Il racconto è interessante: ho apprezzato molto la profondità della narrazione e i momenti con picchi emotivi notevoli. Essendo anche io padre, ho provato qualche brividuccio al solo pensiero delle difficoltà e dei pensieri del protagonista. Lo stile, ormai posso dirlo, è maturo. Mi è piaciuto anche il crescendo della tensione narrativa fino al colpo di scena finale. Il tema è sicuramente centrat(issim)o, ma forse è proprio questo il piccolo inconveniente del racconto. Tengo a precisare che probabilmente, quanto sto per dire è solo una mia pignoleria, comunque l'utilizzo di evento ormai traumatico come quello del ponte Morandi, ormai entrato nel comune sentire come l'11 settembre per gli americani, mi è parso un coup de théâtre di facile presa. Per il resto tutto ok. Promosso.
Una serata tranquilla di Manuel Piredda Nel tuo racconto c'è un tono divertito e leggero che fa piacere ritrovare tra tanti testi seriosi che tendono a prendersi troppo sul serio. Mi è piaciuto molto l'intuizione di fondo: se il confine tra la realtà e la fantasia cedesse, cosa accadrebbe al nostro mondo? E tu hai affrontato questa idea in modo colorato, caleidoscopico ed enfatizzato. Bene! Lo sviluppo, tuttavia, non è strutturato adeguatamente per sostenere l'idea potenzialmente vincente. La scrittura è zoppicante e alcuni passaggi sono così legnosi che la lettura ne risulta appesantita. Mi permetto di suggerirti alcune modifiche.
"Era un lunedì pomeriggio di fine estate, Carlo era ipnotizzato dalle gocce di condensa che si formavano sul suo bicchiere di birra ghiacciata e il televisore strillava gli interventi di opinionisti da due lire quando la singolarità iniziò la sua espansione. Sul momento nessuno ci fece caso, come tutte le cose migliori avvenne in sordina. Le lattine di birra si erano moltiplicate e la luna era già alta nel cielo quando i toni squillanti dell'edizione straordinaria svegliarono Carlo dal torpore con uno scatto. Il giornalista balbettò un paio di “E” e “Eh” prima di riuscire a iniziare la lettura del gobbo:"
L'incipit è l'elemento fondamentale di questi testi brevissimi: il lettore dev'essere buttato dentro la storia con pochi tratti. Qui invece ti perdi in troppe parole, con una costruzione dei periodi pesante. RIpeti ben due volte la struttura: "stava facendo questo, quando...". Ad esempio partire con: "Quando la singolarità si espanse, Carlo stava bevendo una birra ghiacciata", non sarebbe stato male...
“Edizione Straordinaria – vi preghiamo di non farvi prendere dal panico, ripeto, restate nelle vostre case e lasciate che le forze di ordine pubblico le forze dell'ordine si occupino della situazione. Su diverse città di ogni nazione del mondo sono stati avvistati quelli che dai militari vengono definiti oggetti volanti non identifica-”
"Alle sue spalle la televisione aveva cambiato tono e programma, nonostante la scrivania dell'edizione straordinaria campeggiasse ancora in primo piano al posto del giornalista campeggiava un uomo bardato in un enorme costume da coniglio, mangiava in modo aggressivo una carota e sembrava voler fissare con sguardo di sfida gli spettatori oltre lo schermo. Carlo corse a spegnere il televisore, una delle lattine che aveva scalciato prima gli urlò di andarsene a quel paese mentre il telecomando iniziò a pulsargli in mano e contorcersi lentamente, ogni pressione del tasto off lo faceva mugolare dolcemente."
Paragrafo molto contorto, hai ripetuto più volte "campeggiava" in un contesto già di per sé confuso.
"Sentì un rumore che lo fece girare verso la porta di casa, che si aprì sciogliendosi sui due lati superiori. Dietro l'uscio c'era la donna dei suoi sogni. Anna dell'Ufficio Assicurazioni, indossava solo un babydoll e aveva un coltello in una mano e una bottiglia di champagne nell'altra."
La frase finale mi è piaciuta e conferisce all'intera vicenda il giusto peso.
Nel complesso una prova interessante, con un grande potenziale, macchiata, però, da uno sviluppo carente e assai migliorabile.
Senza via di uscita di Giuliano Cannoletta Del tuo racconto ho apprezzato tantissimo il ritmo incalzante, a tratti tagliente, che trascina il lettore nelle profondità di un'incredibile forma di isteria collettiva. All'inizio avevo pensato a una zombificazione causata da un non meglio precisato fenomeno atmosferico, invece sembra ci sia una stazione orbitante in caduta libera. Qui comincia la prima perplessità: la gente impazzisce per il panico o è invasata per colpa di qualche agente patogeno, un fenomeno elettromagnetico, non so, cose così? Non si capisce bene. Poi c'è l'episodio del poliziotto. Seconda perplessità. E' un impostore? E' un vero poliziotto ma pazzo? E perché fa quello che fa? Solo per procurarsi donne con cui sfogare i propri bassi istinti? Ho provato a darmi io spiegazioni, ma il punto resta nebuloso. Capisco, dall'altro lato, che i caratteri sono pochi per effettuare tutte le "semine" necessarie a comprendere per intero i contorni di una trama, ma se il lettore giunge a doversi spremere troppo le meningi sugli snodi della storia, qualcosa è andato storto. La mia valutazione positiva, però, si concentra soprattutto sull'atmosfera, sul registro distopico e sulla perizia della narrazione. Finale "ni", tema centrato.
E poi sarà tutto da rifare di Matteo Mantoani Credimi, di fronte al tuo racconto sono ancora combattuto. E' uno di quei testi su cui devi meditare un po' (devi metabolizzarlo) per poterlo valutare serenamente. Una cosa è certa: ti mette addosso tanta inquietudine perché questo flusso di coscienza è insistente, è "scomodo", per così dire, a maggior ragione se tratta di una tematica così attuale e triste come i decessi in ospedale, con tutto ciò che c'è attorno. Eppure c'è qualcosa che non mi ha convinto. Ben scritto, poco da dire su questo, ben condotto, coerente nel suo percorso fino al punto finale che è anche l'inizio dell'infinito ciclo della vita dei sanitari, soprattutto durante le emergenze, ma ho avvertito una sorta di distonia tra tutta la prima parte e la seconda. E' come se la carica emotiva si fosse sfilacciata con l'invito a cena e l'espressione della tensione sessuale del protagonista verso la collega; è come se il registro complessivo si fosse alleggerito. In fondo la seconda parte è una parentesi che un po' ci distoglie da quella ciclicità che, invece, volevi rimarcare. Capisco anche che l'episodio ti era necessario per farci capire quanto sia difficile per chi svolge alcune professioni accostarsi a quella che ognuno di noi potrebbe chiamare "vita normale"... Nel complesso le sensazioni sul tuo racconto sono positive, come anche la valutazione relativa al tema: lo hai incastonato in maniera molto intelligenze. Restano, tuttavia, le perplessità di cui sopra.
È tutto molto superprofessional di David Galligani Il racconto è godibile: ha brio ed è scritto con una prima persona efficace. Direi che l'ho gradito anche perché il registro medio dei racconti è serioso/drammatico/introspettivo, quindi una sana gag alla Vanzina è una piccola luce tra le ombre. Alla fine il tema è trattato in maniera originale (il crollo finale del protagonista, proprio sul più bello) ed è stato un colpo di scena per me inaspettato, devo ammetterlo. I peti, alla fin fine, sono sempre atti liberatori in tutti i sensi e strappano inevitabilmente un sorriso. Un po' di confusione nei dialoghi e nella scansione del ritmo nella parte centrale e qualche perdonabilissimo/a refuso/disattenzione, ma tutto sommato il risultato finale è apprezzabile.
Profondo riposo di Pietro D’Addabbo Ogni volta che devo esprimere una valutazione negativa, mi sento in colpa. Me ne rammarico davvero, ma questo racconto non mi ha comunicato nulla. Non mi permetto di obiettare alcunché sulle operazioni speleologiche, che tu descrivi nel dettaglio, per le quali mostri una notevole competenza (forse pratichi speleologia...), ma le immagini veicolate attraverso i tecnicismi conducono a una noia demotivante. Credimi, mi sono sforzato e non poco di trovare un elemento di interesse, un conflitto narrativo, un antagonismo, una situazione critica emotivamente forte, ma il testo è scivolato via inutilmente fino all'ultimo paragrafo nel quale fai un accenno a un crollo per sonno (ecco il tema?) e a un momento (drammatico) di conclusione dell'intera vicenda. Per come la vedo io, avresti potuto introdurre un elemento di rottura: allucinazioni dovute alla fatica; una presenza inquietante che poteva essere la personificazione della paura; il ritorno di un compagno di cordata morto ma poi redivivo; l'irruzione di creature degli abissi; la diffusione di voci infernali da spaccature nelle viscere della Terra... Le possibilità erano davvero infinite. Così com'è il racconto è una sorta di cronaca incolore di un'esperienza personale, raccontata ad amici davanti a una birra. Ripeto: mi dispiace essere così severo, ma le sensazioni che ho ricavato dalla lettura sono state nettamente negative.
La scogliera di Andrea Furlan Questo racconto ha una complessità che mi ha affascinato ma che mi ha messo in grandissima difficoltà. Purtroppo ancora adesso, dopo un altro paio di letture, non ho ben afferrato i contorni della vicenda, la quale dovrebbe avere dei risvolti esoterici/gotici. Non nego che il mare, un faro, navi nella tempesta generino una fascinazione universale, ma da sola essa dev'essere accompagnata da episodi coinvolgenti e definibili dalla mente del lettore. Da quello che ho capito c'è stato una sciagura al faro, e l'ultimo guardiano, con evidenti problemi mentali dovuti al disastro, sta per subire l'assalto di un antagonista (un'entità? La personificazione di tutto ciò che di maligno può avere il mare? Un vecchio nemico?) che vuole portare a termine un compito "malvagio". Spero di non aver travisato. In ogni caso è difficile seguire le vicende perché non c'è una cornice di riferimento, non ci sono input CERTI che permettano di capire le linee guida in base alle quali stai conducendo la trama. A tuo favore, però, c'è una tecnica narrativa notevole, precisa e sorvegliata che sopperisce, in parte, le carenze della storia. Per quanto riguarda il tema immagino sia da rinvenirsi nella caduta della scogliera.
Racconto riuscito a metà, pur con innegabili meriti.
Il crollo dell’impero nero di Read_Only Il tentativo è interessante ma purtroppo rientra a buon titolo tra quegli espedienti che vanificano un'intera impalcatura narrativa, soprattutto se un lettore un pochino più smaliziato (come nel mio caso) capisce il trucchetto. Parlo naturalmente dei "plot twist" del tipo: "Ah ma era solo un sogno! Quindi era la realtà virtuale! Allora era un pomodoro che parlava!", in sostanza giochetti ormai logori da evitare, se non sono incastonati in un meccanismo narrativo davvero inedito e originale. Devo ammettere di aver intuito qualcosa già dal titolo ma ho nascosto a me stesso la soluzione almeno fino a metà quando poi, quando hai parlato più insistentemente di regine e, in particolare di regina avversaia, ho avuto la conferma. E allora la tensione narrativa, che pure aveva un suo perché, è crollata di schianto, tanto per restare in tema. In fondo, a sprazzi, non scrivi male. Ci sono parti narrate benissimo e ci sono momenti, invece, davvero legnosi (l'incipit è pesante e per arrivare al dunque del conflitto narrativo fa penare), come anche alcune espressioni fanno storcere il naso, ma tant'è, si può migliorare e non si finisce mai di imparare. Tema centrato per vie traverse, anche perché indicato nel titolo, e prova poco convincente.
1.Senza via di uscita 2.Capita! 3.Profondo riposo 4.Il crollo dell’impero nero 5.Un papà 6.È tutto molto superprofessional 7.La scogliera 8.E poi sarà tutto da rifare 9.Una serata tranquilla
Commenti:
Capita!
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Ciao Wladimiro. Lo devo ammettere: a questo giro mi sono concentrato così tanto sul tema che mi sono dimenticato un aspetto che su minuti contati, di solito, è molto apprezzato. Poi arrivi tu e con tutta la violenza di questo mondo mi ricordi che un colpo di scena fatto bene è in grado di spiazzarti con una brutalità disarmante. Per tutto il testo leggevo tranquillamente e mi chiedevo dove volevi andare a parare, di sicuro non mi aspettavo che virassi bruscamente sulla fantascienza. Parlando di cose che mi son piaciute meno, per me l'apertura è un po' caotica. Non tanto perché fosse un flusso di pensieri, quello ci può stare, ma non mi hai dato un contesto, non sapevo chi o dov'era il personaggio e quindi tutto quello che poteva pensare per me erano parole nel vuoto. Dopo aver capito che era un uomo in macchina appena licenziato ho capito il significato, però probabilmente mi sono perso qualcosa in mezzo senza tornare indietro a rileggere (la prima lettura preferisco farla tutta di fila come dovrebbe fare un lettore normale). I pensieri in generale mi sono sembrati poco genuini, tipo "Non ci credo! Ci dev’essere una spiegazione diversa da quella più banale!" non è una cosa che sembra normale pensare in una situazione del genere. Mi sarei aspettato qualcosa di più simile a un "Dannazione no, anche questo no!"
Un papà
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Ciao Gabriele. Penso che la cosa più apprezzabile del tuo racconto è il modo in cui sei riuscito a dividere in due il tema: il crollo emotivo del padre e il crollo del ponte. Apprezzabile soprattutto per come il secondo arriva a sorpresa sul finale. L'emotività del padre è resa benissimo, ma credo che il flusso di pensieri vada un po' troppo per le lunghe durante il pezzo c'entrale: ci sono troppe poche interazioni con gli altri personaggi in scena che prima del pezzo finale hanno appena due battute e non rispondono mai, in particolare la bambina avrebbe potuto sbuffare un "uffi" o un'altra tipica risposta da bambino a cui viene negato qualcosa (per l'ennesima volta). Questo rende i pensieri del padre davvero lunghi e arrivati alla fine anche un pochino noiosi. Non dico che per questo siano meno validi a livello emotivo, ma a lungo andare continuare a sentire uno che si lamenta del fatto che gli sta andando tutto male stanca. Per esempio avrei voluto capire meglio la cosa a cui ha accennato all'inizio: "Starà pensando a come faremo con un lavoro solo. " È stata licenziata la moglie? È cambiato qualcosa che li sta mettendo in difficoltà? La bambina piccola è appena nata e quindi sta ricalcolando quanto gli costa sfamare 4 bocche invece che 3? Non ho capito qual è stato il cambiamento che lo sta mettendo in crisi e questo mi rende più difficile capire le sue lacrime. Resta comunque un ottimo testo che mi ha fatto provare molta pena per il povero padre che si vede capitare una disgrazia dopo l'altra, sperando che almeno l'ultima l'abbia scampata.
Una serata tranquilla
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Ciao Manuel. Molto bella e originale la tua interpretazione di crollo, ma arriva decisamente troppo tardi. Per quasi tutto il racconto sembra appunto un'invasione aliena e una volta che il lettore si è convinto di ciò, sembra che anche il resto sia causato da loro. Se l'idea era un'unione tra realtà e immaginazione avresti potuto iniziare da qualcosa di più "terreno" per poi espanderti su tutto il resto. Un altro appunto è che il racconto mi è arrivato un po' "sconclusionato". Ovvero: vedere il tutto dagli occhi di Carlo, che è una persona qualunque, è un ottimo modo per avere presa sui lettori qualunque come me; però arriviamo alla fine e non abbiamo una vera conclusione della sua storia né niente che faccia intuire come possa andare a finire (a parte un'eventuale dolce e dolorissima morte per mano della ragazza dei suoi sogni). Mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di più sulla sua reazione al tutto.
Senza via di uscita
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Ciao Giuliano. Del racconto mi è piaciuto in particolare l'emozione che sei riuscito a suscitare sul finale, quando diventa una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Ho trovato un po' più piatto invece l'inizio, soprattutto perché non si capisce subito cosa sta succedendo. Io all'inizio credevo fosse qualcosa tipo l'inferno in terra (letteralmente). Ad esempio, banalmente l'informazione che è tutto buio arriva troppo tardi e non è sfruttata, almeno nelle parti iniziali. Il binomio sul tema mi è piaciuto molto, l'associazione del crollo come evento e di quello della società che collassa. Mi ricorda vagamente quell'episodio dei simpson in cui la cometa di Bart cade su Springfield (anche qui l'atmosfera brucia la stazione orbitante prima che si schianti?)
E poi sarà tutto da rifare
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Ciao Matteo, come ti hanno già detto gli altri il tuo testo scava bene nell'emotività del medico, ma ha un problema grosso: non succede effettivamente nulla. All'inizio dai una aspettativa al lettore con la storia della moglie del paziente, ci aspettiamo succeda qualcosa, e invece no; legittimo, quindi deduciamo che l'evento sarà determinante per quello che accadrà dopo. Ní, perché da un lato è vero, perché il dottore invita la collega a cena solo perché è emotivamente provato, ma dall'altro lato è talmente freddo e razionale che ha già preparato tutta la serata in cui le tirerà un due di picche e poi andrà a piangere da solo a casa sua. Questo ci dà due conseguenze negative come lettori: la prima è che siamo delusi perché di fatto non sta succedendo niente davvero, dall'altra ci cade un po' il collegamento emotivo che eri riuscito a creare anche con una certa abilità nel primo pezzo. Se prima provavo davvero empatia per lui per il fatto che si sentiva costretto al suo stoicismo, quando ha iniziato a fare piani su piani l'ho perso del tutto. Tratta la collega con una freddezza micidiale, sapendo di illuderla per poi mandarla a fare una doccia fredda, il tutto sapendo che tornando a casa sarebbe stato male pure lui. Peccato, perché la prima parte mi aveva coinvolto molto.
È tutto molto superprofessional
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Ciao David. Devo dire che il finale non me l'aspettavo, mi hai preso alla sprovvista. Mi aspettavo qualcosa tipo che in realtà era un alieno camuffato o cose simili che in genere piacciono molto in questo forum, invece un bel peto. Ho riso abbastanza. Parlando in ambito tecnico, io personalmente ho avuto un po' di difficoltà a percepire l'ansia del personaggio. Sì, si capisce bene che è in ansia per il colloquio (e anche per quello che ha in canna, anche se non lo si sa ancora), ma non ci dai abbastanza elementi per sentirne l'origine. Mi spiego meglio: il testo è incentrato quasi tutto sul punto di vista. Il sudore, le mani che tremano, i pensieri sulla tipa, tutto è concentrato solo su di lui e c'è giusto un breve scorcio sulla tipa che si sporge verso di lui e un "François mi guarda. Mi scruta." che comunque non mi trasmette un'immagine precisa: sta sorridendo, è apatico, socchiude gli occhi? Il problema in questo è che l'ansia non nasce da lui, nasce da elementi esterni, ovvero dai due che gli fanno il colloquio. Per capire la sua ansia noi dobbiamo non solo essere dentro di lui, e quindi sapere cosa pensa, ma anche sapere cosa vede e percepisce e come lo interpreta. Per esempio se il francese avesse fatto una smorfia a una sua risposta avrei capito il "ho esagerato? Ho esagerato.", invece così sembrano solo innocue paranoie. Avendo ricordi di colloqui so bene come ogni singolo spostamento dei muscoli facciali può generare una risposta emotiva: il tipo sorride, ti chiedi se è sincero o sta facendo finta, fa una smorfia e ti crolla il mondo addosso perché pensi di aver sbagliato tutto. Solleva le sopracciglia, guarda verso il basso e pensi che hai perso ogni chance. Qui abbiamo le reazioni del personaggio, ma non sappiamo cosa sta vedendo che gli causa quelle reazioni. La presa emotiva nel testo c'è, ma mancando questo elemento non è forte come avrebbe potuto. Se provi a riscriverlo inserendo questo elemento sono sicuro che si prenderebbe a mani basse almeno due posti in più in ogni classifica.
Profondo riposo
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Ciao Pietro. Niente da dire sullo stile, quasi impeccabile. Come ti hanno già fatto notare è il contenuto il problema, in particolare l'eccessivo uso di termini tecnici mi hanno impedito in vari punti di capire cosa stesse succedendo. Sul finale ho avuto il vago sentore che addormentarsi appesi non fosse proprio intelligente e che molto probabilmente questo avrebbe portato il protagonista alla morte, ma non conoscendo la sindrome (grazie per il link, è stato molto interessante!) purtroppo non avevo il quadro completo. Un paio di suggerimenti su come renderlo più accattivante: potresti mettere un brevetto dialogo all'inizio con un altro personaggio dove lo avvisa dei rischi del restare appeso e lui fa lo sprezzante; i caratteri c'erano ancora. Per i termini tecnici c'è poco da fare, usarne un po' meno e dove proprio necessario mostrare come vengono usati nel dettaglio in modo da dare o più agganci visivi al lettore. Mi è piaciuto comunque il modo in cui hai portato il tema: parlando di montagna mi aspettavo che cadessero rocce. Nel complesso è una bella prova e sto notando che come stile sei in progressivo miglioramento. Forza così!
La scogliera
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Ciao Andrea. Bella l'idea alla base della storia, mi piace come hai tessuto il conflitto interno ed esterno del personaggio. Probabilmente se ne potrebbe tirare fuori un vero e proprio romanzo, o quantomeno un racconto lungo. Il problema grosso è che il modo in cui hai deciso di esporlo, in così pochi caratteri, ha reso il tutto veramente caotico e quando si capisce poco di una storia non si riesce neanche a empatizzare con i personaggi come si dovrebbe. Mi dispiace perché arrivato alla fine ho capito più o meno tutto quello che dovevo capire senza dover fare una seconda lettura, ma allo stesso tempo ho percepito che non mi ha entusiasmato come avrebbe dovuto. Probabilmente sarebbe stato utile qualche dettaglio visivo in più, sopratutto per il personaggio di Owen nel momento in cui compare. Non avendo riferimenti visivi (o anche solo un indizio che lui non sia davvero li) diventa molto difficile immaginarsi la scena.
Il crollo dell’impero nero
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Ciao Morena. Leggendo gli altri commenti credo che siamo in pochi ad aver capito fin dalle prime righe che si parlava di una partita a scacchi. Forse perché avevo ancora a mente il titolo e ho fatto un paio di partite poco tempo fa. Nel complesso concordo con chi ti ha detto che l'inizio è un po' lento: dato che subito dopo l'azione parte velocissima è strano che subito prima la regina passi diversi secondi a contemplare il campo di battaglia e a ripensare a cos'era successo fin lì. Un altro dettaglio è l'attiva partecipazione di re e regina in guerra: o sono scacchi o è un fantasy. Dato che non hai messo elementi fantasy (almeno fino alla scena dello sbudellamento manuale) erano per forza scacchi. Magari se invece dell'incipit descrittivo avessi introdotto qualche cosa di fantasy (che ne so: un cavallo che si fa un salto di centinaia di metri e atterra in faccia a un pedone) sarei stato ingannato più facilmente.
Disclaimer: ho messo in evidenza i punti che secondo me (che non sono nessuno, quindi siete liberi di ignorarmi) possono essere migliorati. Probabilmente 3000 caratteri per alcune storie, più ambiziose, sono stati un po' pochi e alcune descrizioni avrebbero meritato più respiro.
Ecco la mia classifica:
1) Un papà, di Gabriele Dolzadelli Sono sincera: nonostante sia stato reso molto bene e con totale coerenza lo stato d'angoscia per la situazione famigliare, con le varie pressioni (economica e genitoriale), non ho apprezzato l'utilizzo della tragedia del ponte Morandi in un racconto che non lo richiedesse in modo esplicito. Per il resto complimenti per la tensione, mantenuta bella pressante per tutto il pezzo e la coerenza del dialogo interiore, molto coinvolgente. Non era facile.
2) Capita!, di Wladimiro Borchi Molto carina la rivelazione finale, da un senso al monte di jella inflitta al personaggio; non si intuisce nulla fino alla fine. Anche se mi sento di riportare la situazione ai costi reali (vedi fine commento). Un appunto: se qualcuno ha avuto una notizia pessima come un licenziamento, è poco probabile che si muova verso casa con tanto entusiasmo (si fionda in strada, schizza nell’androne e sale le scale a due a due). "Sergio fissa la scena da dietro IL vetro" non si capisce che vetro sia, cala dall'alto; se si trovi in camera, se è un monitor o quale altro vetro. Tanto che alla prima lettura pensavo fosse di nuovo chiuso in macchina ad aspettare che l'amico uscisse da casa sua. E poi mi sorge una questione più terra terra: viene da chiedersi se anche la moglie sia finta, sia un clone. Anche perché i cloni costano, farne così tanti, e far loro credere che sia tutto vero quel che vivono, diventa un costo davvero proibitivo, anche in termini di tempo specie se l'unico scopo è convincere un unico umano a farsi sostituire il cuore (nel tempo in cui generi i cloni e li cali nella realtà di Sergio, magari Sergio schiatta). Non c'era altro modo?
3) E poi sarà tutto da rifare, di Matteo Mantoani Ho sentito tutto il peso emotivo, ho trovato davvero molto, molto belle alcune immagini Ma. Ho un po' di perplessità sull'enorme discrepanza tra il carico emotivo sotto il quale il protagonista quasi stramazza e l'insensibilità con la quale viene descritta Betty, che è chiaramente messa lì solo per gratificare l'ego del protagonista che sembra non poter aspirare a niente di meglio (brutta, senza tette né speranza, gli muore dietro da eoni e riceverà un due di picche). Magari sono io che non ne colgo altra funzione nella storia. O forse è un po' un peccato aver introdotto un personaggio e non sfruttarlo per completare il quadro in modo più coerente.
4) È tutto molto superprofessional, di David Galligani Moto ben trasmessa la sensazione di ansia e del timore di scoprire che chi ci fa il colloquio abbia aspettative superiori alle nostre competenze, chi non l'ha mai provato? Personalmente non sono una grande sostenitrice di caccapupù & Co. come stratagemma su cui incentrare le svolte dei racconti. Non dico che non debbano comparire, ma essere il perno attorno a cui costruire le svolte non mi cattura.
5) Il crollo dell’impero nero, di Read_Only Bello il twist finale, non lo avevo per nulla intuito nella lettura. Alla prima lettura mi ero leggermente persa, non avevo trovato il filo di collegamento esatto delle azioni dei personaggi, mi erano parse incomprensibili. Ma potrebbe essere un limite mio, oltre che il taglio ai tremila caratteri che limita nella possibilità di spiegarsi.
6) Profondo riposo, di Pietro D’Addabbo Si percepisce molto bene l'esperienza solitaria della discesa in grotta. Ho apprezzato la coerenza della nomenclatura dell'equipaggiamento, però questa deborda e prevale sulla comunicazione emotiva e sul fare vivere l'atmosfera del luogo, che a rigore non è solo freddo (colori, rumori, odori, texture della roccia...). Nota: non tutti sanno che rimanere appesi all'imbrago per qualche ora ha esito fatale, e chi non lo sa non ha la possibilità di cogliere il finale.
7) La scogliera, di Andrea Furlan Il conflitto con il vecchio sembra essere più presente (del ricordo o) dell'attaccamento alla famiglia, e questo mi sembra leggermente sbilanciato, specie quando si arriva alla fine del racconto e si capisce cosa è successo. Tra l'altro lascia aperto l'interrogativo: da dove spunta il vecchio? Come mai perseguita l'uomo? E che cosa lo manda via davvero? Ammetto di aver trovato un po' di confusione su queste questioni. Molto probabile che mi manchi qualche riferimento a qualche storia (Irlandese, a giudicare dai nomi).
8) Senza via di uscita, di Giuliano Cannoletta Mi è piaciuta l'idea del crollo della stazione sulla terra, non era tra le ipotesi di possibili crolli che avevo pensato. Non so se sia un approccio voluto, ma tutto, sia ciò che accade ai due personaggi principali che al resto della popolazione, è descritto da fuori, lo si legge senza poterlo vivere. I termini usati per descrivere lo stato di caos non coinvolgono, descrivono ma la scena non si riesce a vivere, a partecipare. Anche i protagonisti sono soltanto guardati, seguiamo le loro azioni, ma questo approccio non ci permette di partecipare al loro dramma, l'effetto è meno potente. Si legge più confusione che la reale angoscia per un mondo che sta per finire.
9) Una serata tranquilla, di Manuel Piredda Mi piace molto l'idea del crollo della barriera tra i due mondi. Ma. Non sono riuscita a cogliere con giusta gradualità il subentrare del mondo fantastico in quello solido e concreto. Le persone cantano e poi urlano dalle case vicine (e questo passaggio lascia un po' perplessi), ma hai per le mani un protagonista per permettere al lettore di vivere l'emozione di assistere a questi fenomeni. Levarsi il problema scrivendo che ha uno shock non basta. Lo shock non si percepisce in quel che fa, la drammaticità della situazione non passa attraverso le parole.
Provo a giustificare la classifica che qui mi sembra più utile del solito. Mi ha divertito David e il suo è un pezzo con un buon equilibrio e un buono stile, Il pezzo di Pietro è effettivamente poco comprensibile e, di solito, questa cosa la penalizzo molto (questo ha portato Andrea al 7o posto, per esempio), ma la scrittura l'ho trovata ottima ed evocativa, anche se non coglievo bene la scena. Wlad è stato lineare e pulito, la chiusa non mi convince e il pezzo gioca un po' sui luoghi comuni, ma ha una buona consapevolezza. Simile il pezzo di Matteo, anche se c'è qualche sbavatura stilistica in più. Gli altri racconti mi sono piaciuti di meno come coinvolgimento e/o sono meno maturi stilisticamente.
Classifica 1.È tutto molto superprofessional 2.Profondo riposo 3.Capita! 4.E poi sarà tutto da rifare 5.Senza via di uscita 6.La scogliera 7.Una serata tranquilla 8.Un papà 9.Il crollo dell’impero nero
Commenti
È tutto molto superprofessional
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Ciao David! Sei riuscito a costruire un’ottima escalation emotiva in 3k caratteri, cosa che io non sono riuscito a fare (ma volevo!). Mi piace un sacco il titolo! L’inizio chiede pazienza al lettore che comprenderà cosa sta succedendo solo più avanti, però essendo una situazione tranquilla e senza particolari misteri, la cosa non disturba molto. A parte l’infodumpino iniziale il testo scorre bene e ha un’ironia che tiene avvinti. Il personaggio è simpatico e conquista subito. Non avevo intuito dove volessi andare a parare, il finale fa sorridere. Niente male per questi maledetti 3k. Alla prossima!
Profondo riposo
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Ciao Piero! Altro inizio che porta smarrimento al lettore. Pian piano ci si fa un’idea della situazione, ma con qualche dettaglio diverso dall’inizio avresti potuto renderlo più chiaro. Anche perché hai usato molti caratteri per fare una descrizione ambientale anche molto buona, dal punto di vista stilistico, ma che non fornisce i dettagli giusti a un lettore medio per capire dove vada a parare il testo. Questa è una delle trappole del mostrato puro che hai usato: visto che non puoi uscire dalle percezioni e dall’interiorità del protagonista, dovresti strutturare la scena in modo che il PDV (per riassumere) coincida con ciò che serve al lettore. Cioè, il tell lo spiattella senza vergogna, mentre se mostri devi comunque mostrare le cose giuste. Per dire, se tu avessi messo “La Scilla in solitaria, sogno questa impresa da mesi” all’inizio, molto si sarebbe compreso di più, anche se non del tutto. Quando scrivi “Felice” secondo me non va bene. È difficile capire quale sia il PDV. Forse sarebbe meglio inserire un pensiero cosciente che rende l’idea di questa cosa o la percezione fisica del cuore che aumenta i batti e quel genere di cose. Anche in combo. Non avrei apprezzato “mi sento felice”, ma nemmeno scrivere solo felice funziona. Come quando metti “Nessun dubbio” non mi convince molto. È una via di mezzo tra qualcosa che il protagonista dice al lettore e qualcosa che pensa. Non mi sembra un pensiero autonomo, anche se riconosco che non sia un’infrazione della quarta parete. Spero di riuscire a spiegarmi. La parte: “Per arrivare al fondo servono almeno un altro paio di sacchi. I nodi ai frazionamenti mi hanno mangiato metri su metri di corda.” È evidente che chi non fa arrampicata non ci capisca una fava, lo sai, sì? O abiti in una città dove tutti fanno scalate da quando sono bambini? :D scherzo, ma è evidente che, o hai scelto di scrivere solo per gli scalatori o hai sottovalutato il disallineamento che c’è tra il tuo protagonista e il lettore. “«Dannati idioti.» Non si degnano nemmeno di avvertire. Che fatica.” Ci sono altri personaggi? Non ho capito. Così come non capisco il finale: lui dorme? Basta? Crolla dal sonno? Forse siamo di fronte a un intreccio non lineare, ma non capendo bene le scene non riesco a ricollegarle nell’ordine corretto. Al netto di quanto detto resta un pezzo scritto molto bene. Peccato che la comprensione sia tanto scarsa. Ho alte aspettative per i tuoi prossimi racconti! Alla prossima!
Capita!
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Ciao Wlad! Quanto tempo che non ci si incrocia (colpa mia). Veniamo subito al racconto. Scritto con toni vividi e ruvidi come al tuo solito. Lo sfigato perde il lavoro e trova la moglie a letto col suo migliore amico: hai giocato di cliché per arrivare alla sorpresa finale che c’è e strappa un sorriso. Hai sicuramente pensato un po’ per trovare qualcosa che potesse davvero sorprendere, però mi chiedo se abbia senso allevare dei cloni per una simulazione del genere, anche perché siamo dietro un vetro, quindi immagino l’allestimento, il clone per la moglie e l’amico David… Insomma, a mio parere è troppo poco verosimile. Il finale è divertente, ma se avesse avuto più credibilità sarebbe rimasto più a lungo nella mente del lettore. Ovvio, su MC le cose vanno come vanno. In 3k poi…
Sul fronte stilistico noto che hai fatto una scelta precisa, ma ci sono alcuni elementi di cui potremmo discutere. In un racconto così breve non sto a parlare di show don’t tell eccetrera, perché sono cose che conosci benissimo e in questi testi penso sia giusto sperimentare e cercare reazioni anche con uno stile che non miri solo a coinvolgere con l’immersione. Però ho notato delle incoerenze.
Nell’incipit ti rivolgi al lettore in tondo, ma come se fosse nell’interiorità di un personaggio, con tanto di onomatopee che mi suggeriscono una certa confidenza, una scrittura “allegra”. Poi parti con una terza persona presente con focalizzazione esterna. La cosa mi ha colto di sorpresa e un po’ confuso. Da lì in poi abbiamo i pensieri in corsivo, cosa che stona con l’inizio. In più ne fai un uso un po’ ambiguo, tipo dove dici: non c’è Malox in grado di spegnerle: Ci dispiace, ma non possiamo permetterci un agente che per tre mesi di fila non ha rispettato gli standard! Qui il fatto che la frase in corsivo sia anticipata dai due punti suggerisce al lettore che l’evidenziazione operata dal corsivo sia dovuta a una citazione o un ricordo, mentre altrove è un pensato qui e ora. Dopo questa frase prosegui con un pensato. Quando finisce c’è: “Dal parcheggio fissa la finestra di casa, deve trovare il coraggio per affrontare Maria.” Questo riferimento al coraggio è un discorso indiretto libero che suggerisce sia sempre un pensiero cosciente di Sergio. Ma allora dovrebbe essere in corsivo. Inoltre, per i miei gusti, metti troppi esclamativi (te lo dico sempre! Hahaha!). Con tutta quell’enfasi rischi di avere un effetto tipo fumetto e non rendere credibili pensieri e battute. È un po’ come se scrivessi tutto maiuscolo, ai miei occhi.
La costruzione del pezzo non è male, arrivi bene al plot twist finale con un’escaletion ben calibrata. Qui si vede l’esperienza anche in 3k. Alla prossima!
E poi sarà tutto da rifare
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Ciao Matteo! Finalmente ci si incrocia di nuovo. Interessante la circolarità che suggerisci anche col titolo. Tema pesante e attuale. Prima persona gestita abbastanza bene. Perché abbastanza? Per esempio: “La donna sulla panca deve avere un mal di schiena tremendo, visto che è rimasta stesa lì tutta la notte.” Quel “visto che” è lì per spiegare al lettore, perché il personaggio non se lo direbbe da solo. Sarebbe più verosimile senza, no? Anche quel “le dico di suo marito” è una frase per il lettore. Il dialogo indiretto con la prima presente fa questo effetto: sembra che il personaggio metta in pausa il lettore dicendogli “aspetta un attimo che dico una roba. Cosa? Ah, sì, le dico questo”. Penso che tu volessi tenerci nella mente del dottore come se sentissimo solo il suo tormento interiore, ma il dialogo indiretto rompe la quarta parete. A quel punto, se questa è la scelta (legittima come tutto in un racconto di 3k caratteri), lo farei del tutto. Insomma, l’uso ambiguo o incerto di certi elementi stilistici rischiano di mettere in dubbio la tua consapevolezza. La metafora della faccia che si scioglie, secondo me, non funziona bene. Immagino che lei pianga e coli il trucco, ma questo succede solo agli occhi, non alla faccia. Inoltre ci mette parecchio, se lo fa, a raggiungere il colletto della camicia, non è mica un rigagnolo. Insomma, rischi di evocare un’immagine grottesca invece che allineare emotivamente il lettore alla situazione (la maledizione delle metafore!). “Mi tolgo la cuffia e la stringo forte. Se mi lasciassi andare e le tendessi la mano?” Qui credevo abbracciasse la donna. “ Queste non sono le mie lacrime, le mie le tengo dentro, sigillate, al sicuro: per ogni istante d'amore ne ho uno scrigno pieno, come in quella poesia della Dickinson.” Questa mi è parsa una f1rase poetica un po’ forzata visto il momento. “Devo mandarla via, dirle di smettere di elemosinare la mia attenzione. E invece la invito a cena.” Qui c’è uno scollamento temporale pesante. Suggerisci un dialogo, ma lo tagli tutto arrivando alla conclusione. Mi ha confuso. Inoltre questa parte serve alla declinazione del tema: abbiamo il muro psicologico del protagonista che crolla e si apre alla collega che non apprezza, per poter trovare sollievo. Un momento così meritava più spazio, così rischia addirittura di non essere colto. Sul finale le considerazioni del narratore sanno di artificiose, troppo coinvolte a livello linguistico e di costruzione per sembrare i pensieri di una persona emotivamente compromessa. Nell’insieme un’idea pregevole, il ritratto di una situazione sconfortante e molto attuale. Alla prossima!
Senza via di uscita
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Ciao Giuliano! Il crollo della civilità in uno scenario apocalittico. È sicuramente un tema attuale e interessante, anche se in questo caso abbiamo un asteroide. Veniamo al racconto. All’inizio hai un problemino che si vede molto di frequente: Una battuta di dialogo prima ancora di sapere chi parla e una situazione che il lettore non riesce a decifrare. Lo costringi a ripensare a ciò che ha già letto per darsi una spiegazione in seguito. Contrario al scrivessi se come po’ un è che diciamo. Non è che non capisci, ma devi rielaborarlo in un secondo momento e questo sfavorisce una lettura fluida e coinvolta. Melanie non riesce a distogliere lo sguardo da uno spettacolo osceno e affascinante. Perché non lo vedo? In che modo è osceno? Sarebbe meglio che fosse il lettore a farsi l’idea che lo spettacolo sia osceno, piuttosto che saperlo direttamente dal narratore (show don’t tell). Poi hai un po’ di confusione nell’utilizzo del narratore. Qui: “la fuga dalla città si era trasformata in una guerra civile, un girone infernale, un... «Mi hai sentito, Mel?»” I puntini sospendono la frase a causa della battuta che risveglia Mel dai suoi pensieri, ma quella frase non possono essere i pensieri di Mel, perché arriva direttamente dalla voce di quel narratore onnisciente iniziale che ci dice che Melanie guarda uno spettacolo osceno (siamo esterni da lei). Oltretutto lei è rapita a guardare la devastazione e si ferma a fare un elenco mentale di quello a cui quella devastazione assomiglia? È poco credibile e tiene il lettore emotivamente distaccato. La gestione del testo è molto caotica. Forse volevi rendere il caos del momento, solo che se al lettore non arriva un’immagine limpida, non riesce a capire cosa legge e non entra nel mood. Non è che faticando a seguire il testo si senta coinvolto dall’apocalisse urbana. Ti faccio un esempio: “Il fagotto scomposto e sanguinante che riuscì a estrarre forse era suo... «Non guardare.» Mano sugli occhi, Rob la trascinò via.” Perché interrompere una presa di coscienza? Melanie si è fatta un’idea, non può non rendersi conto di cosa pensa che sia il fagotto perché Rob la interrompe. Poi, chi è che dice “non guardare”? Probabilmente Rob, ma lo vengo a sapere tardi, quando la cosa è passata e io non l’ho compresa. Mano sugli occhi, di chi? Col senno di poi riesco a intuire quello che volevi scrivere perché immagino sia la cosa più coerente con la situazione, ma non me l’ha fatto immaginare chiaramente il testo. Spero di essermi spiegato.
“«Rob!» Non fece in tempo a urlare” Non ha appena urlato Rob?
“Il braccio si mosse disperato verso la testa del suo aggressore.” Qui hai voluto evitare l’avverbio, e questo ti fa onore, ma, secondo me, non l’hai fatto nel migliore dei modi. Quel “disperato” diventa avverbio modale, hai evitato il “mente” ma tutti gli altri problemi dell’avverbio di modo li hai comunque. Primo: non è il braccio a essere disperato. Secondo: il disperato non aggiunge nulla di utile alla scena. Terzo: avresti potuto usare una formulazione più coerente con la scena scegliendo un predicato come “scagliare” o simili per rendere l’immagine che hai pensato.
In generale hai proposto una scena di panico generalizzato, forse la storia era nell’aggressione del poliziotto che però in questo contesto è solo un ostacolo come un altro. Insomma, il racconto manca un po’ di mordente, ma si fa quel che si può in queste condizioni disumane da MC, lo capisco. Alla prossima!
La scogliera
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Ciao Andrea! Racconto molto evocativo, ma di difficile comprensione. Molto non detto lascia il lettore un po’ smarrito per tutto il racconto. Tanto che il finale lo devi raccontare. Diciamo che la storia non è granché, anche perché i fatti più salienti rimangono fuori dal testo e ci sono elementi come l’allucinazione del protagonista che sembrano un po’ accessori, ma l’ambientazione e la resa sono molto buone e mi sono piaciute molto. Stilisticamente ci sarebbe parecchio da sistemare. Ti faccio qualche esempio di cosa cambierei: “Owen mi parla dalla sala della Lanterna. Il suo tono mi blocca, mentre intaglio una tavola alla luce della candela.” Specificare da dove parla Owen in questo modo è infodump per il lettore, dire che il suo tono lo blocca dopo aver letto tutta la battuta presenta una problematica di percezione temporale del lettore, inoltre non si capisce perché sia il tono a bloccarlo né perché si debba bloccare. Poi usi un “mentre” per dire che cosa stava facendo il protagonista prima di bloccarsi, quindi dici alla fine quello che stava facendo all’inizio della scena. Lasci il lettore molto esterno e lontano dal pezzo. Sarebbe stato più efficare, per esempio, cominciare con lui che intaglia e poi arriva la battuta e lui si ferma per guardare la tempesta in arrivo. Avresti resto la stessa scena (è evidente che lui smette di intagliare se si alza ad aprire gli scuri) ma l’avresti fatto con una consecutio più naturale da seguire e quindi più coinvolgente (parlo sempre di coinvolgimento perché per me è l’obbiettivo principale della narrativa). Anche in prima persona presente ci sono cose che ti fanno rischiare di uscire dal testo. Cose come “prego” che sono un riassunto per il lettore di una serie di azioni più complesse e non automatiche. Sarebbe meglio risolvere la cosa in altro modo. Ti segnalo che quando un’azione segue o anticipa una battuta dello stesso personaggio che la compie, puoi metterli sulla stessa linea per chiarire i soggetti della scena. Qui, per esempio:
“Non resisto più: sferro il pugno. «Figlio di puttana! Non me ne vado!»”
Segnalo anche che ti è scappata una virgola tra soggetto e predicato “ride, il bastardo”. La cosa però di cui risente il testo è proprio la difficoltà con cui si segue e comprende la scena. Per il resto un bello scorcio che sa di fantastico. Alla prossima!
Una serata tranquilla
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Ciao Manuel! Interessante come hai deciso di declinare il crollo. Per tutto il racconto ci si chiede cosa stia succedendo. Per un bel po’ sembra un attacco alieno con astronavi che solcano il cielo. Questo è forse un difetto, nel senso che potrebbero esserci molti altri interventi sulla realtà piuttosto che qualcosa del genre. Per esempio Anna in babydoll sarebbe potuta comparire prima, in modo da mantenere il mistero senza dare una risposta sbagliata (quella dell’attacco alieno) che toglie curiosità al lettore e poi lo fa sentire in errore. Ho trovato un po’ sgraziata anche la parte del giornalista che dice di non farsi prendere dal panico. Sono quelle frasi e quelle situazioni che ci aspettiamo in queste situazioni perché le abbiamo viste nei film, ma che non sembrano affatto verosimili. Sul fronte stilistico mi sento di dire che qui il narratore onnisciente non era necessario, spegne un po’ il coinvolgimento in un pezzo che potrebbe funzionare meglio con una focalizzazione limitata, magari interna. Ti segnalo anche l’uso di termini come “campeggiava” che ti è sfuggita in una ripetizione (ma quello capita). È uno di quei termini che si vedono solo in letteratura. Io in genre mi guardo bene dall’usarli perché riporti il lettore alla finzione del testo scritto e interrompi la sospensione d’incredulità. Sono d’accordo che in un raccontino così non sia la priorità, ma da come hai condotto il testo ho pensato che tu stessi cercando il coinvolgimento del lettore e questo andrebbe un po’ in controtendenza. Idea comunque originale, con parecchio potenziale! Mi ha fatto pensare all’ “attacco” dei tanuki nel film d’animazione Pom Poko. Scena molto bella. Alla prossima!
Un papà
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Ciao Gabriele! Non ricordo nemmeno più qual è stato l’ultimo tuo racconto che ho letto! Allora, comincio col dire che non credo d’aver capito il finale, ma probabilmente lo capirò leggendo gli altri commenti. È chiaro il crollo del papà, un’auto di fianco inchioda, quella davanti sparisce perché cade dal ponte? Ci va addosso ed è un modo per dire che non la vede più perché chiude gli occhi? Non mi è molto chiaro. Non credo sia un incidente perché lui poi ha il tempo di stringere il volante e piangere. Il racconto è lineare e soffre della scelta di collocarlo in una situazione così statica. Abbiamo un uomo che guida e si tormenta con pensieri negativi non molto drammatici dall’inizio alla fine. Verso la fine l’ho trovato un po’ ripetitivo e pesante alla lettura. Dico che i pensieri non sono molto drammatici per intendere che si faticha a empatizzare e quindi a comprendere lo stato d’animo del protagonista. Il mio pensiero è “questo ha problemi che io non ho”, per intenderci. La scrittura potrebbe essere meno confusa. Ci sono cose come salti di PDV («Siamo in ritardo» dice mia moglie, accorgendosi dell'orario sotto lo stereo: le undici e mezza), poi il fatto che la voce narrante del protagonista chiami le figlie “la piccola” e “sua sorella” o “mia moglie, mia madre”, ecc., confonde. Se è sua la voce narrante, perché non le chiama per nome? Cominciando il racconto e poi per un bel po’ non è chiaro a cosa si riferisca il protagonista quando dice che questo “ Renderà le cose più difficili”. Sta per fare qualcosa? Poi parla dei problemi economici, ma rimane qualcosa di inespresso, un’aspettativa che non trova soluzione. Ora mi viene da pensare che possa essere qualcosa che si collega al finale che non ho capito, ma forse è un po’ troppo distante. C’è una serie di domande che fa a se stesso un po’ troppo lunga. Risulta pesante, anche perché non aggiunge nulla a quello che è chiaro sullo stato delle cose già dall’inizio. Hai scelto un tema tipico dei tuoi racconti e si vede che lo conosci bene, ma qui mi è risultato un po’ stiracchiato. Alla prossima!
Il crollo dell’impero nero
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Ciao Morena! Benvenuta su MC! È la prima volta che ti leggo. Il racconto sembra partire da un campo di battaglia subito dopo lo scontro. L’idea è interessante, poi la cosa si fa caotica e poco comprensibile e si chiude con un plot twist: era una partita a scacchi. L’idea non è delle più originali ed è gestita in modo un po’ “disonesto” (passami il termine), nel senso che non c’è somiglianza tra quello che descrivi (sangue, dolore, amore) con quello che è una partita a scacchi (pedine immobili che si muovono su una superficie liscia e piana). La discrepanza è tale che, invece che avere l’effetto “Ah! Come ho fatto a non capirlo!” si ha un effetto “Ma allora perché sanguinava e amava il marito?”, cioè non convince. Dal punto di vista stilistico, premesso che su 3k inventati e scritti in poco tempo si fa quel che si può, provo a darti qualche suggerimento. All’inizio usi “istante” un po’ troppe volte. C’è una ripetizione voluta per sottolineare che quell’istante è L’istante, ma lo usi anche prima in modo vago e questo genera una serie di ripetizioni che si fanno notare e che non sembrano sempre sotto controllo. Se intendi portare avanti una narrazione con scorrimento lineare del tempo, specie se nel presente, conviene non cominciare raccontando ciò che è successo prima, ma mostrando la situazione in modo che il lettore desuma come si è arrivati a quella situazione. Quando dici “urla, e accompagna la sua minaccia con una risata sguaiata” ci sono diversi problemi. Il primo che noto è che usi questo “accompagna” che è un termine che non s’attaglia granché con la situazione, il secondo è che suggerisci che rida mentre urla e chiaramente è una cosa che stona con quello che vuoi rendere (accompagna restituisce l’idea di simultaneità più che “segue” per esempio.) Il terzo è l’immagine di una donna cattiva che poi ride sguaiatamente. Fa un po’ cartone Disney e suggerisce un po’ di pigrizia nell’immaginare la scena e i personaggi. Specie perché siamo di fronte a una scena granguignolesca che non s’addice a questo tipo di cliché. Poi il corsivo in “Li hai guardati morire. Tu non sei degna di essere una regina”. Qual è il senso di questo corsivo? Sottolineare che è una frase piccata? Non dovresti evidenziare una cosa piuttosto che un’altra, riveli la tua presenza autoriale senza motivo. Poi dici “scandisce ogni singola parola” solo che io la frase l’ho già letta e l’ho fatto normalmente. La nota arriva in ritardo. Forse potresti scrivere “Tu-non-sei-degna-di-essere-una-regina”, anche se così mi dà l’impressione di essere una frase troppo lunga da scandire parola per parola. Rischi che risulti ridicolo. Simile è il corsivo della parte “ (del mio sangue)”. A parte le parentesi che sono un segno che si fa notare tantissimo, serve a nulla e non vanno più di moda da un centinaio d’anni (:D) quel corsivo sottolinea l’ovvio. Se lo scrivi in tondo non ottieni lo stesso effetto? Lo dico sempre con la convinzione che meno l’autore mostra le sue “scelte” al lettore, più alta sarà la probabilità che il lettore si dimentichi di stare leggendo e si faccia coinvolgere dal testo. Quando la tua protagonista dice “Guardo mio marito, così vecchio e fragile” si ha l’impressione che lei lo stia raccontando al lettore. Perché lei dice di se stessa “guardo mio marito”, poi fa una considerazione vaga “vecchio e fragile” e il lettore ha l’impressione di non stare vedendo quello che vede lei, perciò ne deduce di essere esterno alla scena che gli viene descritta sommariamente dal personaggio protagonista. Queste cose affievoliscono molto il coinvolgimento in un testo narrativo. Diverso sarebbe stato se tu, invece che dire “guardo mio marito”, avessi semplicemente descritto quello che vede e che le fa fare la considerazione che segue. Considerazione che poi diventa inutile, perché il lettore ci arriva da solo. Questo è alla base dello show don’t tell (ed è davvero solo la base). Alla prossima!
Tema sicuramene centrato. Racconto intenso, che, pur con una vena di ironia che fa da leitmotiv, ci immerge nell’ansia crescente del protagonista. Veramente spassoso il finale. Sempre apprezzabile, infine, il fatto di non aver inserito la parola “crollo” nel testo. Qualche piccolo rilievo stilistico.
Mi dice Maria in Inglese
i dialog tag non sono mai belli e, in questo caso poteva sicuramente essere sostituito legando la battuta alla frase successiva. Del tipo Maria Mi sorride… inserendo il particolare dell’inglese quando parli dell’accento.
in parte buffo e in parte sexy
Frase un po’ infelice, almeno per i miei gusti, sia per la ripetizione di in parte, sia perché appare un po’ freddina e distaccata rispetto al contesto.
Poi interviene l’ultimo dei tre
ok, qui ti ricolleghi al fatto che sono tre in una stanza, ma secondo me è superfluo e rallenta la lettura, avrei tranquillamente tolto l’ultimo dei tre, anche perché, in realtà i selezionatori sono due e, per un attimo, mi sono detta, ma il secondo non ha parlato. Solo rileggendo l’inizio ho capito che nei tre includeva sé stesso. Resta comunque un’ottima prova.
2) Capita
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Che dire, racconto piacevole e spassoso, anche se dall’epilogo, almeno in parte, scontato. Quando Sergio, dal parcheggio sotto casa, ha visto la luce del salone spenta, ho capito subito che avrebbe trovato la moglie a letto con un altro. Soluzione peraltro anticipata dalla frase
“infilagli una manciata di bastoni fra le ruote e quando è a terra agonizzante… ciack ciack gne gne, calpestalo e prendilo per il culo!”
Il cambio di prospettiva del finale “a sorpresa”, dà un guizzo in più al testo, ma non mi ha particolarmente entusiasmato. Il cambio di PDV dal clone al vero Sergio e la circostanza nella quale quest’ultimo si trova ad assistere alle disgrazie del suo doppione racchiude in sé una serie di problematiche. Partendo dal presupposto che Sergio sta assistendo alla scena perché il medico vuole fargli capire il motivo per cui è necessario che si operi al cuore, mi domando: 1) Perché è stato usato un clone del personaggio? Non certo perché Sergio partecipasse emotivamente alla scena, altrimenti, probabilmente gli sarebbe venuto un infarto come al clone. 2) Perché il riflesso di Sergio è quasi pallido? Sa che è una simulazione e, sempre per evitare che venisse anche a lui un attacco di cuore, doveva necessariamente essere stato ben preparato dal medico. E, infatti, la battuta attribuita a Sergio suona sì partecipe dell’infausto destino del clone, ma anche distaccata, dato che Sergio si riferisce al clone definendolo “quel disgraziato”. Molto piacevole lo stile scanzonato e ironico che ci accompagna nelle disavventure di Sergio. Segnalo solo un piccolo refuso
da cui vede un culo peloso si muove in su e in giù
qui manca un che tra peloso e si muove. Una buona prova, ma dal finale un po’ debole.
3) E poi sarà tutto da rifare
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Racconto ben scritto e ben strutturato, ma con qualche difettuccio che vado a spiegare. Il tema è sicuramente centrato attraverso il “racconto” del crollo di un impalpabile muro interiore eretto per difendere l’io del protagonista dal modo esterno. Ho usato il termine raccontato con le virgolette, perché, secondo me, il difetto principale del racconto è proprio questo, ovvero che il “crollo” è tutto raccontato. Il brano è, perlopiù, un flusso di coscienza che, fino a quando il protagonista invita Betty a cena, funziona bene, anche nell’alternanza tra il mostrato degli eventi e il raccontato del flusso di coscienza. Ovvio, il protagonista esprime le proprie idee e quindi riassume e commenta. Trovo, invece, poco efficace il finale, nel quale il protagonista ci racconta non quello che sta succedendo, ma quello che, probabilmente, succederà. Non è tanto l’idea che il protagonista, dopo aver fatto lasciato che il proprio Muro crollasse per qualche momento, stabilisca con sé stesso di ricostruirlo al più presto, o che sappia perfettamente che accadrà, perché è fatto così, ma secondo me, la descrizione di ciò che accadrà è troppo lunga e anche lo stile non aiuta. Una frase unica, di ben quattro righe, con troppe virgole a spezzare il ritmo. Forse, un po’ più di movimento, sia dal punto di vista stilistico, sia con l’inserimento di qualche commento del protagonista avrebbe reso più efficace il tutto. Nel complesso una buona prova, peccato per quel finale un po’ così così.
4) Senza via d’uscita
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Un racconto interessante che rende bene l’isteria delle persone in fuga da un evento catastrofico. Nel complesso il racconto è ben gestito, sia con riferimento alla reazione delle persone all’imminente disastro che nel rapporto fra i due protagonisti. Ti segnalo alcuni punti secondo me migliorabili: 1) ho avuto un po’ di difficoltà, all’inizio, a capire che la prima battuta andava attribuita a Rob. Senza precisazioni, la prima battuta viene automaticamente attribuita al PDV. Ho avuto subito la sensazione che, in questo caso non fosse così, ma la certezza l’ho avuta solo dopo aver letto la seconda battuta di Rob; 2)
Di colpo il poliziotto cambiò espressione. «Tu no!» Un colpo secco, e lo spedì a sbattere sul marciapiede.
Secondo me la battuta del poliziotto è superflua e riduce un po’ l’effetto sorpresa. 3) il finale mi sembra un po’ troppo frettoloso e la domanda, evidentemente retorica, di Melanie non può essere liquidata con un ovvio e banale
«Crolla. Tutto.»
Una buona prova, ma con qualche margine di miglioramento.
5) Il crollo dell’impero nero
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Mi è piaciuta l’idea di raccontare la storia dal punto di vista delle pedine degli scacchi. Devo dire che, all’inizio, il racconto mi aveva fatto una strana impressione. Non capivo bene perché i soldati si fossero fissati in silenzio per pochi istanti e nemmeno perché la regina avversaria dovesse urlare
“Prenderò anche te, tesoro, mentre mi supplichi di avere pietà per tuo marito”
Mi sembrava tutto un po’ artificioso. Poi la rivelazione. Quando la protagonista ha detto al marito
“Ascoltami, possiamo farcela. No, non guardare verso il campo, guarda me. Ci è già successo, ricordi? Io e te, insieme. Ti a…”.
ho capito tutto, anche che si trattava di una partita a scacchi. Se questo ha ridotto l’effetto del finale a sorpresa, ha però, allo stesso tempo dato un senso alla stranezza della scena che ha assunto tutto un altro significato. Buona l’idea e buona anche la realizzazione. L’iniziale senso si stranezza, derivante più che altro dalla apparente artificiosità del comportamento dei protagonisti è coerente con le modalità del gioco degli scacchi, dove i pedoni non si muovono autonomamente. Si spiega, quindi, perché la regina avversaria, nell’attesa che l’umano che sta giocando la partita faccia la sua mossa, urli alla protagonista quello che sta per accadere. A mandarmi un po’ in confusione è il finale. La protagonista (non ho capito se è la regina nera o quella bianca, ma poco importa), ci dice che anche la sua avversaria è caduta. Ovviamente, vista da giocatore, dovrebbe significare che entrambe le regine sono state mangiate. Però poi Chris guarda la scacchiera e diche che la sua regina nera è ancora li. Non si capisce bene chi sia a parlare, quindi se è Chris o Tom a dichiarare scacco, né cosa centri la torre. C’è un po’ una scollatura tra l’immagine trasmessa attraverso il punto di vista della regina e quella di Chris. Una buona prova, con un finale che confonde un po’ e qualche imperfezione stilistica, soprattutto nella prima parte, dove una eccessiva ripetizione di c’è, c’è stata e istante disturba un po’ la lettura.
6) Un Papà
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Trovo il tuo racconto un po’ confuso. I flussi di coscienza non sono certo facili da gestire e il limite di 3000 caratteri non aiuta, soprattutto con così tanta carne al fuoco: il lavoro, i soldi la moglie, i genitori, le figlie… forse un po’ troppo tutto insieme. L’analisi introspettiva è certamente profonda e ben gestita, ma trovo che ci siano molti punti non chiariti e semine che non hai mietuto, che rendono difficile empatizzare con il protagonista. Per farti un esempio: la frase
Renderà le cose più difficili.
crea un’aspettativa poi non soddisfatta. Cosa sarà più difficile? Il pranzo con i genitori? Non ce lo dici e rimaniamo con il dubbio. Perché la moglie sta
facendo due conti con quella casa in affitto che abbiamo visto ieri.
sono stati sfrattati? La vecchia casa è piccola? gliel’hanno pignorata? Non sono nemmeno riuscita a capire perché il protagonista dovrebbe piangere, quale sia il fattore scatenante che lo spinge verso un crollo emotivo. Ha perso il lavoro? o fa un lavoro saltuario e poco remunerativo? Se, da un lato, all’inizio, quel
Starà pensando a come faremo con un lavoro solo.
mi fa pensare che abbia perso il lavoro, il passaggio successivo in cui il protagonista si chiede
Che altro lavoro può fare uno come me, superati i quarant'anni e senza competenze?
mi fa venire il dubbio che non sia così. Anche lo stile appare, a tratti, un po’ confuso, con frasi corte che rendono un po’ sincopata la lettura, soprattutto nella parte iniziale. Un racconto con due anime, insomma, ma che, alla fine, non riesce a trovare un equilibrio. Il finale, con l’inatteso crollo del Morandi, che però viene sgamato subito quando il protagonista lo nomina, non mi ha colpito granché. Probabilmente se avessi evitato di indicare di quale ponte si trattasse sarebbe arrivato con più forza, tanto le semine c’erano e pure ben gestite e orchestrate, Genova (il richiamo all’acquario), un ponte (lo dice la figlia), un crollo (la macchina che scompare). Un’analisi introspettiva molto ben gestita, alla quale, però, a mio avviso, manca qualcosa che mi aiuti ad empatizzare con il protagonista che risulta un po’ troppo lagnoso.
7) Una serata tranquilla
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L’idea è sicuramente interessante e divertente. La resa un po’ meno. Al di là dei numerosi refusi come 1) Alzo, al posto di Alzò; 2) mancanza di virgole a racchiudere gli incisi
si stagliavano incrociatori usciti direttamente da Guerre Stellari e tra un aereo da guerra e l'altro si proiettavano in cielo
dovrebbe essere “Guerre Stellari e, tra un aereo da guerra e l'altro, si proiettavano in cielo”, e altri usi poco ortodossi della punteggiatura, che, in parte ci stanno per rendere il senso del crollo del confine fra realtà e fantasia, ho davvero fatto fatica a cogliere il senso del racconto. Se all’inizio ha creduto che si trattasse davvero di una invasione aliena, dall’altra, ad un certo punto ho pensato che Carlo, oltre alla birra, si fosse calato qualcosa di più pesante e che il suo fosse un trip tutto personale. E, infatti, hai dovuto spiegare, nella frase finale, che cosa volevi rappresentare. Mi è piaciuta, invece, lo spunto sulla circolarità introdotta dalla frase
Era un lunedì pomeriggio di fine estate
, che però, con tutti i problemi del testo, ha perso di efficacia. Nel complesso una prova un po’ altalenante. Un’idea interessante che poteva certamente essere sviluppata meglio.
8) La scogliera
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Tema centrato, sia sotto il profilo del crollo psicologico che di quello fisico della scogliera. Il brano, però, risulta un tantino criptico, con inserimenti poco chiari dei quali non si comprende il senso e l’utilità. Come, ad esempio, l’accenno al fatto che il protagonista sia un codardo o quello ai soldati che hanno promesso di andarlo a prendere. Mi sarei aspettata, nel finale, che il protagonista avesse causato qualche incidente perché si era allontanato dal faro, per paura della tempesta o per stare con la moglie e con i figli, lasciando che la lanterna si spegnesse. Buona la semina
mi ricorda i mostri marini delle storie che leggevo ai miei piccoli
anche se, in prima lettura, l’uso del passato mi è suonato un po’ strano, diventa tutto chiaro nel finale, quando scopriamo che i figli sono morti. Non so, c’è qualcosa che non mi convince, ho la sensazione che la prima parte del racconto porti in una direzione diversa da quella rappresentata nel finale. Sicuramente così il finale risulta inaspettato, però tutto quello che viene seminato nella prima parte, il fatto che il protagonista sia un codardo, l’accenno ai soldati e la presenza della barca in pericolo sul cui destino non viene detto nulla, non viene mietuto e lascia un po’ la sensazione che questi elementi siano, in realtà, buttati là nel tentativo di nascondere la vera ragione per la quale il protagonista sente le voci, ovvero la morte dei suoi cari, avvenuta proprio mentre lui, dimostrando di non essere un codardo e di non aver paura della tempesta è rimato al faro a tenere accesa la lanterna. Buono lo stile, anche se presenta margini di miglioramento. Per esempio in questa frase
La nave non si vede, ma sento che è là fuori, in pericolo
il verbo sento, secondo me è proprio sbagliato. La nave l’ha vista, quindi sa, non sente, che è la fuori. Prova così così, ben orchestrata la parte iniziale, buono lo stile, ma il cambio di rotta nel finale mi lascia un po’ in sospeso.
9) Profondo riposo
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Sinceramente il tema non ce lo vedo molto. Mi aspettavo il crollo di una parete, o una caduta nel vuoto. Certo, si può crollare per la fatica, ma, a parte il commento del personaggio, non si percepisce granché la sensazione di crollare dal sonno. Sebbene il Protagonista ci dica che la risalita è dura, che, ha le braccia a pezzi, il fiato corto e i polmoni doloranti, non riesco a sentirlo. E questo perché non ha difficoltà o incertezza nello svolgere le azioni necessaria alla risalita
La risalita è dura. E non è finita. Frazionamento. Aggancio la longe al moschettone. Le braccia a pezzi, il fiato corto, i polmoni doloranti, l’odore di fango e di guano.
Qua, secondo me, hai perso l’occasione di mostrarci la stanchezza attraverso una difficoltà nell’agganciare la longe al moschettone, che so, le mani tremanti per lo sforzo, la vista poco chiara che gli impedisce di centrare il moschettone al primo colpo. Qualche problemino anche con lo stile. In particolare ti segnalo
si alza un invitante nube di condensa dalla sua bocca nera
la frase, in sé corretta, è un po’ contorta, io avrei posizionato quel si alza dopo condensa.
«Dannati idioti.» Non si degnano nemmeno di avvertire.
sinceramente non l’ho capita. A chi si riferisce? Di cosa dovevano avvisare? Nel complesso una prova abbastanza buona, anche se, forse, un po’ fuori tema.
Sarà che dopo aver allenato il nostro cervello a ragione in 4242 caratteri per quasi un anno cambiare formato non è certo facile, sarà il tema bello ma allo stesso tempo tosto, sarà quel che sarà ma questo mese mi sono ritrovato a leggere un sacco di belle idee (in un paio di casi anche ottime), ma nessun brano in grado di farmi esclamare davvero “wow”. In tal senso, penso che questa Era risulterà davvero utile come palestra. Detto questo, come sempre, ricordo i principi alla base delle mie classifiche:
1. Sono uno di quei lettori che, a parità di valore, privilegia i testi caratterizzati da uno stile di qualità a scapito della trama. La mia idea è che un bravo scrittore sia in grado di nascondere un’idea poco originale dietro alla tecnica. Attenzione, però: quando parlo di tecnica non mi riferisco al barocchismo di certi scribacchini di quart’ordine che riempiono le librerie nascondendosi dietro la maschera della fantomatica literary fiction; parlo di pulizia e costruzione delle scene, di caratterizzazione dei personaggi, di gestione e progressione del conflitto e infine di dialoghi accattivanti e ben bilanciati. 2. I commenti che troverete a corredo della classifica NON sono gli stessi che ho scritto sui singoli post, in quanto nascono da riflessioni post seconda lettura ed eventuali scambi d’opinione con i singoli autori.
E ora via con la classifica, regia!
1. Un papà – Gabriele Dolzadelli
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A voler essere onesti, questo non è il brano migliore del gruppo, ma è quello che, a mio modo di vedere, meglio bilancia i pregi e le mancanze a livello di stile e struttura. Certo, giocare con i sentimenti usando a supporto del proprio testo una tragedia recente che, bene o male, ha toccato un po’ tutti equivale a “barare” un pochino, se mi si passa l’espressione, ma Gabriele è stato bravo nel disseminare il testo di tanti piccoli indizi, anziché spiattellare tutto in faccia al lettore in maniera banale.
2. La scogliera – di Andrea Furlan
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Racconto non di semplice lettura, ma affascinante e in grado, in uno spazio ridottissimo, di proporre una trama e un protagonista complessi. Stilisticamente il brano l’ho trovato valido, ma meno rifinito rispetto a quello di Gabriele. La vera ragione del secondo posto risiede però nel fatto che, proprio la sopracitata complessità, unita a qualche svista nella punteggiatura, obbliga il lettore a fermare più volte la lettura per poter colmare i precedenti vuoti informativi a fronte degli indizi che man mano riceve. Nulla che comunque non si possa risolvere con il più classico dei lavori di revisione a mente fredda.
3. E poi sarà tutto da rifare – Matteo Mantoani
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Idea bellissima, senz’altro la migliore del gruppo, penalizzata purtroppo dalla scelta di adottare un registro eccessivamente costruito e artificioso, con un paio di passaggi densi addirittura di retorica. Il fatto è che tu, Matteo, scrivi davvero bene, ma a mio avviso devi imparare a capire che a volte è necessario scrivere “meno bene” se si vuole raggiungere il lettore. Non sovrapporre le tue (in quanto autore) scelte stilistiche alla voce del personaggio. Fai parlare lui, con la sua voce, la sua VERA voce, e vedrai che i tuoi testi ne gioveranno.
4. È tutto molto superprofessional – David Galligani
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Un brano divertente e allo stesso tempo inquietante, ma soprattutto dall’ottimo ritmo, per quanto non condivida appieno la scelta di David di spezzare così tanto il testo (ma, dopo la sua risposta, ne capisco la ragione). Il problema – del tutto personale, lo ammetto – risiede nel finale. Sì, arriva inaspettato ed è raccontato in maniera tale da riuscire a strappare un sorriso, ma alla fine, non brilla proprio per originalità.
5. Senza via d’uscita – Giuliano Cannoletta
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Posizionare questo brano a metà classifica un po’ mi dispiace, in quanto fra tutti è uno di quelli che è riuscito a emozionarmi di più. Se lo fa è però soprattutto grazie al suo involontario colpire una mia paura personale, ancor più che per meriti del testo. Il finale l’ho trovato infatti troppo forzato e con un personaggio che esce dal nulla senza che al lettore venga fornito un qualunque appiglio tale da giustificare le sue azioni (apocalisse in arrivo a parte). Un vero peccato.
6. Profondo riposo – Pietro D’Addabbo
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Un brano scritto bene. Troppo bene. Ed è questo il suo problema. L’ipertecnicismo adottato da Pietro, infatti, se da un lato è perfettamente in linea con l’immersione nel PDV, dall’altra rende la lettura meno fluida di quanto dovrebbe, costringendo il lettore meno avvezzo al mondo dell'alpinisimo a dover continuamente controllare il significato dei vari termini tecnici ed espressioni adottati. Un vero peccato, perché per il resto il brano è scritto con mano ferma e con una struttura delle scene precisa che arriva esattamente doveva voleva arrivare all'interno dei suoi 3000 caratteri.
7. Capita! – Wladimiro Borchi
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Più che un racconto autonomo, questo brano mi ha dato l’impressione di un collage di varie idee e stili incapaci di dar vita a un testo coeso. Si parte con un narratore che si rivolge direttamente al lettore, per poi passare a una terza persona esterna, per concludere con un colpo di scena che stravolge le carte in tavola, ma che alla fine riconduce la narrazione al più classico dei “era tutto un sogno”. La storia dei cloni e del loro utilizzo appare inoltre poco verosimile. Insomma, un testo che, seppur scritto con mestiere, non è proprio riuscito a convincermi.
8. Il crollo dell’impero nero – Read_Only
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Altro racconto il cui finale gioca con un ribaltamento di prospettiva, solo che qui lo fa in maniera più ingenua. Il colpo di scena finale, infatti, non solo fa capire al lettore che quanto da lui letto non coincideva con la realtà dei fatti (e fin qui nulla di male, trattandosi del fondamento di ogni colpo di scena che si rispetti), ma che addirittura era falso. I dettagli visivi descritti sono infatti quasi tutti inesistenti. Compito di un bravo scrittore che vuole giocare con i colpi di scena dev’essere quello di sviare il lettore fornendogli indizi ambigui. Qui invece avviene una menzogna – involontaria, sia chiaro, non sto dicendo che l’autrice abbia compiuto questo errore con la precisa volontà di prendere in giro il lettore – volta soltanto a dar vita a un testo dal sapore aulico che però mostra il fianco a un tipo di narrazione che sa un po’ di cliché.
9. Una serata tranquilla – Manuel Piredda
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Un’idea carina, ma per nulla supportata da una struttura adeguata. Le informazioni fornite al lettore per decodificare il testo arrivano infatti un po’ a caso, senza nessuna apparente costruzione logica. Il mio consiglio è semplice: provare a rivedere la storia dalle fondamenta veicolandola attraverso il protagonista, la cui storia personale (qui pressoché assente) deve fare da chiave di lettura per ciò che il lettore “vede” attraverso le parole dell’autore.
Eccomi qui con la sofferta classifica, complimenti a tutti!
1. Capita! 2. La scogliera 3. Un papà 4. E poi sarà tutto da rifare 5. Senza via di uscita 6. È tutto molto superprofessional 7. Una serata tranquilla 8. Il crollo dell’impero nero 9. Profondo riposo
Il crollo dell'impero Nero Ciao Morena, interessante il tuo racconto, ma come dice Luca, quando si viene a sapere che si parla di scacchi, invece di ripensare alla storia e concludere che tutto funziona, non ho trovato abbastanza punti di contatto con le due situazioni e questa cosa non reso soddisfacente l'esperienza della lettura. Forse se avessi mantenuto le emozioni lasciando gli scacchi nella loro immobilità di statue e rendendo dinamica la storia usando solo gli spostamenti sulla scacchiera avresti reso meglio un'idea di base che secondo me è molto buona. Profondo riposo Ciao Pietro, mi piacerebbe uscire dal coro dei precedenti commentatori, ma non è così. I termini tecnici sono troppi e rendono la storia ostica, immagino che per uno abituato a scalare montagne l'esperienza sia diversa. Però l'idea della sfida uomo natura a me è piaciuta e anche il finale, che non ribalta nessuna situazione e non ha lo scontato crollo/caduta dell'alpinista, ma semplicemente "crolla" addormentato così ci possiamo immaginare il finale tragico. Insomma, un racconto che ha spazio di miglioramento, ma la base è buona. Ti consiglio di leggere "Sulla traccia di Nives" di Erri De Luca e poi riprovare a scrivere il tuo racconto. È tutto molto superprofessional Ciao David, ho apprezzato il tuo racconto per come riesci a gestire stress e comicità, un binomio che qui ho trovato ben gestito. Il finale sorprende per la trovata buffa anche se non originalissima, ma comunque in equilibrio con lo svolgimento della storia. Sono d'accordo con Stefano, una maggiore percezione del mondo esterno avrebbe aggiunto valore a un lavoro che comunque per me è già buono. A rileggerti e buona edition! E poi sarà tutto da rifare Ciao Matteo, ho adorato il tuo testo, scava nell'interiorità del medico con uno stile che mi ha catturato. Mi sono ritrovata nel corridoio del reparto a simpatizzare per lui e a dispiacermi per la donna che ha perso il marito. Però, da quando la collega miagola ho sentito una nota stonata e da quel momento la magia che eri riuscito a creare si è un po' dissolta, peccato. Sono d'accordo con te quando dici che l'empatia si perde quando il protagonista si mostra meno positivo parlando della collega, troppo preso da se stesso da non capire che forse anche lei sta cercando un modo per uscire dallo stesso inferno che sta vivendo lui. Comunque una buonissima prova. A rileggerti e buona edition! Un Papà Ciao Gabriele e piacere di leggerti! Mi hai acchiappato dalla prima frase. Porti avanti bene una storia di forte impatto emotivo, unica perplessità è la domanda su chi ha perso il lavoro. E perché se lui ne ha uno dovrebbe cambiarlo e mettersi in gioco? Non dovrebbe farlo chi è senza lavoro? Ho apprezzato anche il doppio crollo del ponte e del papà. Un'ottima prova. A presto e buona edition! Capita! Ciao Wladimiro, leggerti è sempre un immergersi in un'avventura intensa. In questo caso mi sono piaciute le alternanze tra pensiero (in corsivo) e lo svolgersi della trama che ho trovato ben bilanciata. Ho trovato una nota stonata quando sono arrivata al punto in cui il protagonista scopre la moglie a letto con un altro, nonostante sapessi che tu avresti trovato una soluzione al di fuori degli schemi, e non se ne è andata neppure dopo aver letto il brillante finale, forse per la mancanza di semine che ci mettano in testa qualche dubbio, a dire il vero un dubbio all'inizio mi è venuto quando hai usato la seconda persona, che ho comunque trovato insufficiente (anche se sappiamo alla fine che le situazioni banali erano proprio quelle che si volevano far vivere al clone.) Magari avresti potuto lasciare uno spazio tra la seconda persona e la terza (quando dici: Sergio alza la testa) E infilare un'altra seconda persona da qualche parte per enfatizzare l'idea di un altro piano di narrazione e incuriosire il lettore. Oppure partire con la seconda persona (che è ciò che il medico spiega al paziente) E poi il corsivo del pensiero del clone ecc. Che ne dici? Per me comunque un ottimo lavoro. Alla prossima e buona edition! Una serata tranquilla Ciao Manuel, mi unisco al coro, il tuo racconto mi ha lasciato perplessa, viste le premesse mi sono immaginata il protagonista che si addormenta sul divano e si ritrova nel mezzo di un sogno di metà pomeriggio (nulla di originale). Sono d'accordo con Emiliano che se lo avessi iniziato come lui suggerisce l'impatto sarebbe stato più intrigante e coinvolgente. C'è una parte che ho preferito e che mi ha fatto pensare al tema che tu volevi trasmettere. Il crollo della barriera finzione/realtà (che come idea trovo affascinante) l'ho trovata quando la lattina (qualcosa di vicino al protagonista, qualcosa con cui può interagire) fa qualcosa di insolito. Un buon inizio poteva essere la lattina con le goccioline di condensa vista in un messaggio pubblicitario che "esce" letteralmente e visivamente dal televisore, magari rompendo proprio lo schermo e da lì iniziano le cose più insensate. Comunque carino. A rileggerti e buona edition! La scogliera Ciao Andrea e piacere di averti letto, hai scritto un racconto che parla di mare, di navi e di fari, tutte cose che mi affascinano. Il tuo però è un racconto di non facile comprensione. Ma perché? Mi chiedo. In fondo le parole ci sono tutte, quelle che nominano le offese del vecchio contro Ciaran. Ciaran pieno di dolore che ricorda i suoi amati famigliari. Il conflitto interiore del protagonista che si scaglia contro quello che capiamo essere il vecchio, la sua immagine riflessa, la lotta contro i suoi fantasmi interiori, i suoi sensi di colpa, la calma dopo la tempesta e la ragione per cui intagliava. Bello, ma non arriva subito. Senza via d'uscita Ciao Giuliano e piacere di averti letto, della tua storia mi è piaciuto il rapporto tra i due fratelli e il ritmo veloce della narrazione. L'ambientazione catastrofica però poteva migliorare con un po' più di cura, ad esempio, quando dici: "Da qui non si passa" e lei non riesce a muovere un muscolo... io me la sono immaginata proprio incastrata da qualche parte. Oppure: Urla disperate alla sua sinistra. Una donna inginocchiata... Mi sono chiesta: ma è la donna che urla disperata? Questa è una parte che poteva avere un maggiore impatto emotivo se prima avessi mostrato la donna e poi fatto sentire le sue urla disperate. Ma sono dettagli, soprattutto visto il poco tempo a disposizione. Comunque una prova molto interessante. Top
Ecco a voi i miei commenti e classifica per il vostro gruppo!
1) E poi sarà tutto da rifare, di Matteo Mantoani Ho un'idea abbastanza chiara del problema del tuo racconto. Nella prima parte ci introduci un protagonista che cerca di trattenersi dall'emotività in attesa di un crollo che deve avvenire solo in ambito privato. Tutta questa prima parte parla di morte e il crollo è legato al suo concetto. Nella seconda, invece, arriva la vita con l'invito di Betty e il protagonista, invece, continua a ragionarla con lo stesso registro della prima, come se si continuasse a parlare di morte. Sostanzialmente, il focus del tutto sembra scentrarsi nella seconda parte perché il discorso va dalla sopportazione verso il dolore della vita al non riuscirne più a valutare il valore reale e quindi alla chiusura verso di essa. Pertanto il finale arriva sbagliato perché insisti sulla circolarità del percorso crollo/ripartenza/crollo quando, di contro, il protagonista è già crollato e la morte nel ha necrotizzato l'anima. E in questo il racconto è sbagliato. Di contro, il tutto è narrato bene e la lettura è gradevole pur nei temi trattati. Lo controlli bene, insomma. Però lo scentri e nel finale ti fa deragliare, motivo che, credo, porta il lettore, nonostante tutto, a percepire dissonanza. Detto questo, paradossalmente, la valutazione è da pollice su in modo solido anche se non brillante e ti piazzo davanti ai pari valutati racconti di Dolzadelli e Borchi perché ritengo che qui l'errore sia più sottile seppure ugualmente fondamentale. 2) Un papà, di Gabriele Dolzadelli Un racconto ben gestito con un finale che non mi ha convinto appieno perché mi sembra che l'inserimento del crollo del Ponte Morandi rimanga piuttosto gratuito in quanto non preparato (o almeno non è arrivata a me la preparazione) e inserito quasi più allo scopo di colpire il sentimento popolare del lettore. Detto questo, tutto il resto mi è sembrato ottimo con tutta una serie di relazioni implicite ed esplicite ben tratteggiate anche quando solo sussurrate. Il tema è ben declinato anche se la miccia per farlo detonare, come già detto, non mi ha convinto. Come valutazione direi un pollice tendente verso il positivo in modo solito e non brillante, ma ti piazzo davanti al pari valutato racconto di Borchi perché nel suo caso il problema strutturale era, mio parere, più rilevante. 3) Capita!, di Wladimiro Borchi Un racconto ben scritto e capace di intrattenere forse meno pulito del tuo solito, ma ci si passa sopra. Non ho apprezzato in toto il finale perché arriva come dal nulla e mi sono chiesto anch'io il perché di una tale messinscena (tra costi produttivi e tutto il resto) solo per vendere un cuore nuovo a un tizio che, tra l'altro, neppure sembra così ben messo economicamente. Senza una semina adeguata, tra l'altro, il tutto si riduce quasi a "era tutto un sogno" e questo non è mai completamente un bene. Bene invece la trattazione del tema e come hai giocato con i cliche, in generale è evidente la tua sapiente mano di narratore, anche se, questa volta, utilizzata su una struttura non così solida. Per me un pollice tendente verso il positivo in modo solido, ma non brillante. 4) Senza via d’uscita, di Giuliano Cannoletta A una prima lettura è decisamente convincente questa atmosfera post apocalittica anche se poi, a ben vedere, siamo ancora nella fase pre con una stazione spaziale in caduta sulla città che, come tempistiche, non è che ci metta una vita rendendo in tal modo eccessiva la messa in scena perché saremmo ancora in una fase da "mettiamoci in salvo" piuttosto che in quella dominata dai "predoni" e dalla follia collettiva liberata dalla caduta della convenzioni sociali di una realtà sotto controllo. Insomma, a non convincere è il contenitore mentre il contenuto è ben gestito. Come valutazione devo fare una media secca tra il pollice su del raccontato e il pollice giù della verosimiglianza del contesto, quindi mi fermo su un pollice tendente verso il positivo anche se non in modo solido. 5) Profondo riposo, di Pietro D’Addabbo Ho apprezzato molto anche se l'impressione è che tu abbia peccato di passività nell'adattare il fatto di cronaca. C'è molta attenzione, nel testo, a tutta la parte tecnica, ma poco pathos per quanto riguarda il progressivo indebolimento del protagonista e così il finale arriva solo grazie al titolo, piuttosto esplicativo una volta letto il testo. Detto questo, pur non praticando, penso spesso a come possano sentirsi scalatori (o come in questo caso gli speleologi) nelle loro arrampicate e mi ci hai portato dentro, ti ringrazio. Per quanto riguarda la valutazione direi un pollice tendente verso il positivo anche se in modo non solido e ti posiziono dietro il pari valutato racconto di Cannoletta, più "storia" e meno passivo rispetto al tuo. 6) Il crollo dell’impero nero, di Read Only Quoto l'intervento di Massimo (soprattutto il secondo) riga per riga, è stato assolutamente esaustivo e non credo ci sia da aggiungere molto altro. Questo tipo di finali ha fatto storia e alcuni racconti brevi ("La sentinella" di Frederick Brown) rimaranno famosi a imperitura memoria, però sono anche tra i più abusati e se si vuole sovvertire tutto nella chiusa si deve alzare l'asticella proponendo qualcosa di inattaccabile. Qui ti sei limitata al compitino e la tua maestria ha fatto sì che ne sia uscito un racconto comunque godibile e piacevole, ma dobbiamo essere severi e valutare in un contesto in cui, mediamente, l'asticella si sta alzando, pertanto le magagne vanno fatte notare. Touchè, invece, per come hai inserito il tema. Direi un pollice tendente verso il positivo anche se in modo non solido e in classifica finisci dietro ai pari valutati racconti di Cannoletta e D'Addabbo. 7) E’ tutto molto super professional, di David Galligani Ho trovato un grosso problema nel ritmo del racconto, non sono riuscito a entrare nella scena e a sentire il peso che il tutto aveva per il protagonista. Durante la lettura leggevo del passare del tempo, ma non riusciva a rendermene conto a causa delle poche linee di dialogo e l'impressione che ne ho tratto è che sembrava quasi che tra una domanda e l'altra i due esaminatori facessero passare del tempo. Insomma, tutto questo mi ha fatto arrivare al finale stanco e non mi ha permesso di godere della chiusa. E questo contrariamente ad altri e mi dispiace, ma l'ho riletto e la seconda impressione è stata uguale. Insomma, la mia idea è che avresti avuto bisogno di più tempo per rifinirlo e affinarlo una volta scritto. In sostanza, la valutazione è un pollice tendente verso il positivo anche se un po' al pelo. 8) Una serata tranquilla, di Manuel Piredda Penso non ci sia molto da dire se non che l'idea è molto bella, ma che il tutto si riduce alla sua esposizione. Il tutto mi è risultato godibile, ma è chiaro che mancando una struttura solida, un rilancio che dall'idea vada verso una storia altra, il risultato è sì gradevole, ma penalizzato nei confronti di altri testi con una struttura più solida e definita. Aggiungo che il tema, proprio per questa problematica del testo a fermarsi all'idea, risulta più mostrato che sviluppato. Come valutazione direi un pollice tendente verso il positivo, ma al pelo. 9) La scogliera, di Andrea Furlan Il problema di questo racconto sta nella lunghezza della tua stessa sinossi: 804 caratteri. Chiaro che trarne un testo che generasse empatia e allo stesso tempo definisse per bene il contesto, il tutto permettendoti anche qualche arazzo narrativo, era assolutamente impossibile. Adattarsi alle diverse lunghezze assegnate vuol dire in primis selezionare una storia e un modo di narrarla che possa rendere al meglio in quei determinati limiti e quindi non diventa una scusante l'aver affrontato un'impresa improba, ma piuttosto un malus. Devo dire che hai fatto del tuo meglio per realizzarlo, ma volendo metterci dentro tutto a prescindere, compresa la storia dei soldati che lo costringono a rimanere, non ti ha permesso di ottimizzare l'adattamento e la valutazione che mi sento di assegnargli è un pollice ni tendente verso il positivo per le grosse potenzialità rimaste inespresse e per la tua grande qualità di scrittore (ma attento alle tue scelte su cosa narrare!).