La piastrella magica
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La piastrella magica
La piastrella magica
Di Gaia Peruzzo
«Sancta Maria,» la benedizione di Don Alvise riempie la chiesa. «Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostrae. Amen.»
«Amen.»
Più che una messa, sembra un sacrificio. Stringo le labbra e il sapore cremoso del rossetto mi scivola sulla lingua. Non voglio unirmi ancora di più a questa pagliacciata. Qualcuno si fa anche il segno della croce.
Don Alvise asperge il ragazzo cinese che hanno legato sull'altare. Le fiammelle delle candele si riflettono sulla sua pelle, dandogli un colore aranciato, e sul cristallo della teca che contiene il corpo di santa Lucia nel reliquario dietro di lui. Fissa la cupola sul soffitto, immobile proprio come la santa martire. Chissà a cosa sta pensando, come ci sta giudicando.
«Me par che stemo perdendo tempo. El sol magna e ore» sussurra il vecchio Bepi, di fianco a me. Il suo alito puzza di alcool, come sempre, ma questa volta sono d'accordo con lui. «Daghe da bevare un bicier de vin.» Agita il suo bastone da passeggio verso Don Alvise che gli rifila un’occhiataccia. «Se non ghe vien mal de stomego, alora no xe una de quele bestie.»
«Bepi, sta bon!» Il signor Semenzato gli rifila una gomitata sul braccio. Anche il suo alito puzza di vino. «Sti cinesi. Hanno già portato un contagio, una volta.»
«Io l’ho visto. Ho visto che arriverà, nelle carte!» La signora Agata si appoggia col fondoschiena ai tasti dell’organo. Note stonate vibrano nella chiesa e lei fa un saltello. Apre le dita a ventaglio, come se potesse far comparire i suoi tarocchi come per magia. «Ci trasformerà tutti, prima dell'arrivo dello Zombibus della salvezza. Verde come la speranza, come una nuova terra promessa.»
Don Alvise scuote la testa pelata. Le sue labbra si schiudono a formare piano la parola “eretica.”
La gente borbotta. Siamo una decina di persone, ma nella chiesa si forma un brusio ronzante, come quello di uno sciame di api. Che fastidio! Dietro di me, il piccolo Matteo si nasconde tirando la gonna della sua mamma. Potevo rimanere con la Marisa, sopportare le storie che si inventa sul turista russo è meglio che stare qui, oppure con Davide. Lui mi aveva promesso che oggi…
«Non ha segni di morsi. Questo straniero è pulito.» Il signor Boscolo si liscia la divisa da farmacista. Non so quante volte lo abbia ripetuto, ma nessuno gli ha ancora dato retta.
«Agata ha ragione!» La voce della mamma di Matteo rimbomba per la chiesa. «Il Ponte della Libertà scoraggia gli zombi della terraferma, ma un giorno ne arriveranno altri, spinti dalla fame.»
«Dobbiamo stare attenti!»
«E allora cosa faremo?»
«El bocia el ga da tornar a casa sua!» Bepi sputacchia saliva sul legno della panca.
«Chi è che lo ha fatto passare?» L’agente Moro scansa la pancia della signora Trevisan e si ferma all'inizio della navata. «Chi era di guardia ai cancelli?» Ci scruta tutti. Nessuno parla, nessuno si muove. Soltanto la Trevisan si sta sventagliando con il libricino dei canti. «Chiaramente qualcuno che non è venuto alla messa!»
«Basta!» Don Alvise allarga le braccia. Le maniche della tunica bianca si aprono come ali. «Non posso continuare con tutto questo rumore. Il ragazzo deve esse-»
«No-non voglio portare guai.» La voce gli esce sottile, come lo squittio di un topo. Inclina il viso verso di noi. Non riesco a capire se le gocce che gli luccicano sul viso sono acquasanta oppure lacrime. Povero! Gli farà anche male la schiena, a stare così, legato come un salame.
Don Alvise sospira. Posa l’aspersorio nella sua ciotola di rame e abbassa lo sguardo su di lui. «Non mentire, nostro Signore ti guarda e ti ascolta.»
Il ragazzo stringe i pugni. «Lo giuro, non sono infetto.»
Vorrei dirgli che molto probabilmente gli zombi non temono l’acquasanta, ma poi inizierebbero a discutere di nuovo e mi partirebbe una bestemmia proprio lì dentro… E non è il caso!
L’agente Moro fa ticchettare le dita sulla sua pistola. «Lascia che lo interroghi, direi che è il mio turno adesso.»
ooo
Fuori è un forno. Persino i gradini di pietra sono tiepidi. L’aria tremola sollevandosi dal cemento di Campo San Geremia. Il bacaro di fronte alla chiesa è vuoto. Sotto le tendine parasole c'è la lavagnetta nera con gli stessi piatti del giorno da ormai da tre mesi. Sarde in saor, risi e bisi, e tiramisù. Ero seduta a uno di quei tavolini quando ho conosciuto Marco. Dovevamo laurearci insieme e adesso non lo faremo mai. Vorrei tanto sapere se sta bene, se la mia famiglia sta bene. Ma l’agente Moro e la sua banda non ci permettono né di uscire, né di avere contatti con l'esterno. Ci hanno sempre detto che siamo gli ultimi sopravvissuti, ma non è vero. Quel ragazzo con gli occhi a mandorla non è un contagiato… Mi sollevo dai gradini. Il metallo nell’ombrello che mi ripara dal sole sembra pesare il doppio. Stringo il manico con due mani. Il mio sudore ha reso il legno scivoloso.
E ho il culo bagnato come se me la fossi fatta addosso. Odio l’estate! Sono stanca di tutto questo caldo! Sono stanca delle loro bugie…
«Chi stai aspettando?»
Sussulto. Mi giro. Il ragazzo straniero è proprio davanti all’entrata della chiesa, si ripara gli occhi dalla luce con le mani.
«È meglio se vieni qui.» Mi avvicino e gli faccio scudo con l’ombrello. «Se non hai messo la crema solare, questo sole ti farà venire delle ustioni spaventose. E poi i piccioni sono pericolosi, sono zombi anche loro.»
«Grazie.» Mi fissa le labbra e schiude le sue. Soffia un sospiro frustrato. Forse mi si è sbavato il rossetto e non ha il coraggio di dirmelo? O forse è solo stanco?
L’agente Moro ci raggiunge con passi pesanti. Dal trasmettitore radio che ha sulla spalla proviene un ronzio. «Bene, bene.» Si gratta la barba folta, «Lo accompagneresti tu? C'è un taxi che lo aspetta davanti alla stazione.»
«Mi lasciate andare per davvero?» Il ragazzo si slancia verso il poliziotto e lo abbraccia. «Oh, grazie! Grazie!»
Sorrido. Nessuno di noi tocca Moro così, abbiamo tutti troppa paura di prenderci una pallottola.
«Giù le mani!» Moro lo scansa via, «Non avrai altre possibilità. Ora vai, prima che cambi idea. Vai con lei.»
Beh, almeno riuscirò a scambiarci due parole. «A-andiamo?» La voce mi esce incerta e il ragazzo annuisce serio. Forse non è contento di dovermi stare così vicino. O forse è solo stanco. «Come ti chiami?»
«Luca.»
«Non sembra un nome molto orientale.»
«Ti aspettavi un Takumi, o roba del genere?» Si sfrega le palpebre, «Sono veneto, anche se mia madre è giapponese. E tu? Come ti chiami?»
«Caterina. Ma puoi chiamarmi Cat.»
«Come… Gatto?»
«Come gatto.» Non vedo l’ora di togliermi dalla strada. Anche le vecchie mura delle case e dei negozi di souvenirs sembrano sudare per il caldo, ma prima devo chiederglielo. «Com’è…» Mi trema la voce, «Com’è lì fuori?»
«Un inferno. C’è più gente zombi che viva, ormai.»
No… Il cuore mi diventa pesante. È come se la sua risposta lo avesse riempito di sassolini appuntiti.
«Qui siete in tanti.»
«In realtà siamo solo cinquantatré anime.»
«Siete comunque di più che a Mestre.»
«Ah.» Chissà chi ha perso, a chi ha detto addio. Mi mordo l'interno della guancia, a disagio. Le lacrime mi sfocano la vista. Anche la mia famiglia è morta? O sono diventati dei mostri?
Si alza sulle punte e protende le nocche verso l'interno grigio dell'ombrello.
«Attento! Ora scotta!» Lo sollevo più in alto.
«Davvero? E perché è così strano?»
Deglutisco. Devo darmi un contegno, non voglio piangere di fronte a lui. «È in alluminio e acciaio. Ce li ha fatti un artigiano di Murano.»
«Non lavoravano il vetro lì?»
«Sì, ma questi non sono decorativi, servono a proteggerci anche dagli attacchi di piccioni e gabbiani, e poi…»
«Cate!»
Inclino un po’ l’ombrello e guardo verso l’alto. Chi mi cerca? La Marisa si affaccia dalla sua stanza d’hotel, qualche passo più avanti. Ha la testa piena di bigodini e sta bevendo uno spritz. Sporge un braccio per passarlo tra i quadrati della rete antiuccelli-zombie e fare “ciao”. «Ma ti ga trovà el moroso?»
«Noooo!» Ci nascondo sotto l’ombrello. La guance mi vanno a fuoco e sono sicura di star guardando Luca come se fosse diventato uno zombi. «Non risponderle. Altrimenti non finisce più.»
Cammino più veloce e lui mi segue.
Tin. Tin. Tin. Qualcosa ha colpito l’ombrello. Il sudore mi cola lungo le braccia. Che succede?
«Ostrega!» Impreca la Marisa, «Tosi! Correte! Mi son cascati i bagigi!»
«Oh no! Presto!» Afferro il braccio di Luca e lo tiro in avanti. Dobbiamo muoverci! L'ombrello mi scivola e lo lascio cadere a terra. Svoltiamo l’angolo. I garriti dei gabbiani riempiono la strada. Quanti sono? Sembrano tanti… Sporgo appena la faccia oltre il muro dell'hotel e Luca mi imita. Sei, no, otto gabbiani zombi stanno becchettando gli arachidi della Marisa, spanti sulla pietra come perline di una collana rotta. Uno di loro calpesta con la zampa scheletrica la ciotola che li ha contenuti, spaccandola del tutto. Un altro perde grossi vermi bianchi da rimasugli di carne sull’ala e viene attaccato da quello di fianco.
«Credevo mangiassero solo le persone.»
«A volte si credono ancora vivi.» Mi ritraggo. Un sapore acido mi sale in bocca e mi gira la testa. Chiudo gli occhi. Che fine del cavolo, morire per colpa di stupidi arachidi…
«Senti…» Luca mi posa le mani sulle spalle, bloccandomi contro il muro ruvido. «Ho bisogno di una guida.»
Sbatto le palpebre. Una guida?
«C'è questa specie di piastrella rossa, in questo sotoportego della Corte Nova. Mi hanno detto che tu sei una studentessa di storia dell'arte. La conosci?»
Perché mi sta schiacciando contro la parete? Perché ha questo sguardo implorante? Alzo gli occhi al cielo, controllando se stanno arrivando altri gabbiani. «Si dice sia stata fatta per scacciare la peste e che abbia protetto quella zona da delle bombe.»
«Sono venuto fin qui per calpestarla e vedere se finisce l’epidemia zombi.»
Ma è solo una storia. Un momento… È serio? «Non puoi. Non andiamo più in quella parte della città. E poi troverai vari cancelli a sbarrarti la strada.»
«Perché?» Mi fissa di nuovo la bocca, «Questo non me lo hanno detto.»
Tiro via il rossetto con il dorso della mano. Una striscia rosata mi colora la pelle. «Beh, ci sono gli zombi. Siamo al sicuro solo qui, in questa piccola parte del sestiere di Cannaregio, dove Venezia non si allaga con il brutto tempo.» Sospiro. «C’è stata una tempesta a metà Giugno. L’acqua alta ha lasciato dei pesci tra le calli. Pesci zombi, quindi, in pratica l’acqua non gli serve per vivere. Ti si attaccano addosso come sanguisughe. Tanti turisti, lavoratori, e studenti sono stati trasformati così… Persino le mie due coinquiline.»
«Oh, merda.»
«Già.» Non sento più i garriti dei gabbiani. Forse se ne sono andati via, forse posso recuperare l'ombrello. «Dobbi-»
«Ma io devo provarci lo stesso.» Stacca una mano dal muro e cerca qualcosa dietro la schiena. «Mi hanno detto che forse potevi farmi una mappa, per arrivarci.»
«Beh, sì posso. Però buona fortuna.»
Un piccolo sorriso gli incurva gli angoli della bocca. Qualcosa mi preme contro il fianco destro. «Penso che sia meglio se mi accompagni di persona.»
Abbasso lo sguardo. È una cazzo di pistola! Il cuore mi va in gola. «Che… Che stai facendo?» A chi l’ha rubata? È sua? Perché nessuno se n’è accorto?
Mi afferra un gomito e mi costringe a staccarmi dal muro. «Sbrighiamoci, come ha detto quel vecchio in chiesa, il tempo stringe.»
«Ma mi hai vista? Ho la velocità di una tartaruga. Davvero, mi mangerebbero subito, io… Io…»
«Cat! Ti stavo cercando!» Davide sbuca sulla strada principale come un’allucinazione, «Dov’eri finita?» Si ripara tenendo ben alto il suo ombrello metallico. Nell'altra mano regge un sacchetto della spesa… Gli urlerei di scappare se non fosse per la pistola che ora mi preme sulle costole. Mi mordo le labbra.
Lo sguardo di Davide si ferma sull’arma e la sua faccia sbianca.
«Un’esca in più potrebbe essere utile.» Luca mi spinge fuori dall'ombra della calle, «Verrai anche tu con noi.»
«Ti… Ti prego, fa come dice.»
Davide annuisce e ci nasconde sotto al suo ombrello.
ooo
Forse sarebbe meglio morire con un buco in pancia. Sì, forse dovrei farmi sparare. Ma perché io? Perché lo devo accompagnare in questa missione suicida? Perché Moro gli ha dato il permesso di farlo? Dev'esserci stato un errore. E ora ci è finito in mezzo anche Davide.
Il motore emette un borbottio e la barca accelera. Il riflesso del sole si spacca in una miriade di granelli dorati sull'acqua verdastra della laguna. Qui non ha più nemmeno il suo solito odore di sale e alghe, ma più da grigliata bruciata. Le onde che si formano ai lati dello scafo spaventano i pesci zombi che nuotano lontano, come piccoli petali rossi sospinti via dalla corrente.
Davide mi posa la testa sulla spalla. I suoi ricci mi solleticano il collo.
«Moriremo.» Non riesco nemmeno a chiedergli scusa, mi sento così in colpa…
«Spero di no. Quando l’epidemia sarà finita, voglio riaprire la mia fumetteria.»
Gli stringo la mano sudata. Le parole mi dondolano in bocca. «Davide…»
«Non dire nulla.»
Il taxi si avvicina all'attracco per le barche dietro il muro bianco dell’ospedale.
«Da qui andate a piedi.» Ci urla il sottoposto di Moro sovrastando il motore. Ormeggia e Luca è il primo a scavalcare la falchetta della barca.
Mi alzo dal sedile. Non vorrei scendere, ma l'agente mi fa cenno di sbrigarmi dal volante a prua. Il mosaico di chiese e palazzi sembra formare i denti di una bocca pronta a divorarci. Mi concentro sulla scritta “Pronto Soccorso.” Mi tremano le gambe, ma Davide mi aiuta a raggiungere la banchina.
Luca mi strattona per la spalla. «Dove si va?»
«Non trattarla male!»
«Comando io, te lo sei scordato?» Gli indica la pistola che tiene ferma nell’elastico dei jeans. Spero che si spari per sbaglio nelle parti intime. «Forza!»
Avanzo per le fondamenta Nove. Devo rimanere lucida, ci manca solo che svenga per un attacco di panico. Il taxi sfreccia sull'acqua accanto a noi, e si gira per tornare indietro. Oh mio Dio, ci stanno abbandonando… «Forse è per di qua.» Indico una calle stretta alla nostra destra che si perde tra gli alti palazzi di mattoni.
«Forse? Vedi di non farci sbagliare strada!»
Davide ci supera. «Vado avanti per primo.»
«No, aspetta!» Urto con la scarpa qualcosa schiacciato contro il muro. Spero non sia un pezzo di zombi… Abbasso lo sguardo. È un foglio appallottolato. Sembra recente. La carta non è sbiadita e nemmeno rovinata. Forse l’ha perso qualche agente di polizia quando sono venuti a prendere qui le scorte di medicinali.
«Sbrigati!» Luca agita la mano libera verso di me.
Raccolgo il foglio, lo infilo in tasca e li seguo.
«Fermi… Shhh!» Davide si porta l'indice al naso. Dove la calle si allarga ci sono degli zombi. La loro pelle somiglia ai piedi di santa Lucia, marroncina e bruciacchiata. Ci accucciamo dietro un chioschetto che vende ancora le maschere di carnevale tra riviste e giocattoli.
«Usiamo queste.» Ne afferro una con le piume rosa e la passo a Davide. «E camminiamo a scatti come loro. Magari ci lasciano passare.»
Luca scuote la testa, ma accetta l’altra maschera con le piume rosse. «È un'idea di merda, sentiranno il nostro odore.»
Davide si tappa le narici. «La loro puzza è più forte.»
Ha ragione. È carne andata a male, putrefatta, peggio dell'odore dei gabbiani.
«Hai un'idea migliore?» Indosso quella che ho rubato per me. Per ironia della sorte è quella bianca col naso lungo dei medici della peste. «Seguitemi.»
Procediamo oltre il chiosco, piano. I tre zombie girano le facce verso di noi. Basterà a confonderli? Uno di loro barcolla verso di me. No, no, no. Allunga la sua mano sudicia con tre dita. Apre la bocca, inclina la testa. Uno sparo mi fa piegare in avanti. Mi tappo le orecchie. La faccia dello zombie è aperta a metà. Il suo cervello ha imbrattato di nero e di rosso la vetrina di un negozio di intimo. Gli altri due emettono suoni simili a conati di vomito. Arrivano echi di risposte dalle calli adiacenti. È un richiamo?
«Via! Svelti!» Davide mi tira via da lì.
Non sono mai stata brava a correre, ma resisto. La calle termina in un canale. Una zombi si tira su da una gondola ormeggiata. Un pesce traslucido dimena la coda gonfia di sangue in un buco nel suo collo. Un momento… L’unico ciuffo di capelli biondi che le è rimasto in testa è tenuto fermo da una molletta a forma di coccinella.
«Sofia?»
Lei apre la bocca con i denti marci. Le sue orbite vuote schizzano lacrime di sangue.
Cosa? Mi ha riconosciuta?
«Via, via!» Davide mi riprende la mano e torniamo indietro. Salire per i ponti è come scalare una montagna. Il vento fa ondeggiare delle vecchie lenzuola appese ai fili tra le case, dimenticate lì da chissà quanto.
Manca poco. Ma stiamo attirando su di noi tutti gli zombie sparpagliati in giro. Superiamo ponte del Fontego ed entriamo in calle degli Zorzi. Non ho mai corso così tanto in vita mia. Mi sembra di avere un acquario nei polmoni e nelle scarpe. Fatico a respirare e vedo tutto annebbiato, ma manca poco. Pochissimo. Dietro di noi, Luca spara di nuovo. I colpi mi rimbombano nelle orecchie e nel petto.
Il sotoportego è proprio lì, alla fine della calle, con il suo arco bianco e inciso. Ci ripariamo nella sua ombra e riprendiamo fiato. I muscoli delle gambe mi bruciano così tanto che vorrei solo stendermi e non rialzarmi più. In bocca ho un sapore burroso e di sangue. In un altro momento mi sarebbero piaciuti il soffitto a cassettoni oro e blu e i capitelli di marmo. In un altro momento avrei ammirato meglio i quadri con quei personaggi sui toni dell’ocra e del marrone. Ma adesso mi sembra solo tutto così assurdo. Ucciderei per un bicchiere d'acqua.
Luca non perde tempo e calpesta la piastrella rossa. Ci batte sopra la scarpa. Una… Due… Tre volte… Ma non succede nulla. I rantoli degli zombi si fanno più vicini. «Mi hanno detto che era una buona idea.» Sbatte di nuovo il piede a terra, «Perché non funziona? Perché non spariscono?»
«Ma sei idiota? Certo che non funziona!» Davide lo spinge via. «È solo una leggenda. E tu sei solo un disperato di merda.» Si volta verso di me e si strappa via la maschera. «Cat, dove possiamo andare? Ci serve un nascondiglio.»
Già dove?
Luca si lascia scivolare a terra. Posa la pistola e si prende la testa tra le mani. «E dove? È un cazzo di labirinto e siamo accerchiati.» Con quella maschera dorata è ridicolo. Sembra che stia recitando una parte. Le piume rosse che la decorano attorno agli occhi e sulla fronte lo fanno somigliare a un uccellino spaventato.
«Io ci credevo.» Si strofina il naso, sporcandosi il dorso della mano di muco. «Ci credevo veramente!»
Oh, beh, poteva accorgersene prima di travolgerci con lui in questa cavolata. Venezia è piena di storie e superstizioni, ma nessuna vera magia.
Mi appoggio al muro e qualcosa di appuntito mi preme la coscia attraverso la tasca dei pantaloncini. Lo prendo. È il volantino appallottolato che ho trovato vicino all'ospedale. Mi sollevo la maschera. Il sudore l’ha incollata così bene che mi sembra di tirarmi via anche la pelle. Lo apro.
Un flixbus che se ne va in giro per l'Italia a raccogliere sopravvissuti. C'è un luogo davvero sicuro. Non posso crederci… Perché nessuno ci ha detto niente? Quella matta di Agata aveva ragione… Le lacrime mi scendono sulle guance.
«Dobbiamo andare!» Davide indica il gruppo di zombi che cammina verso di noi. Le braccia tese. Le bocche aperte. I corpi che schioccano come ossa rotte. Urtano le pareti della calle e si colpiscono a vicenda.
Non so se riesco di nuovo a correre. E poi per quanto tempo resisteremo? Anche se riuscissimo a tornare indietro, ci sono i cancelli a contenerci nella parte morta dell’isola.
«Merda!» Un piccione zombi sta attaccando Luca. Allarga le ali bucate e gli affonda il piccolo becco nel collo. Luca urla, si dimena, tenta di scrollarselo di dosso. «Aiuto! Aiutami!» prega Davide con il piccione che gli graffia le mani insanguinate.
Ma lui mi raggiunge e mi abbraccia. Mi avvolge. «Non guardare» sussurra.
Nascondo il viso nel suo petto. «Mi dispiace tanto.» Lo stringo più forte.
Forse gli altri, dopotutto, in qualche modo si salveranno.
Ma noi no. Noi non possiamo più scappare.
Di Gaia Peruzzo
«Sancta Maria,» la benedizione di Don Alvise riempie la chiesa. «Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostrae. Amen.»
«Amen.»
Più che una messa, sembra un sacrificio. Stringo le labbra e il sapore cremoso del rossetto mi scivola sulla lingua. Non voglio unirmi ancora di più a questa pagliacciata. Qualcuno si fa anche il segno della croce.
Don Alvise asperge il ragazzo cinese che hanno legato sull'altare. Le fiammelle delle candele si riflettono sulla sua pelle, dandogli un colore aranciato, e sul cristallo della teca che contiene il corpo di santa Lucia nel reliquario dietro di lui. Fissa la cupola sul soffitto, immobile proprio come la santa martire. Chissà a cosa sta pensando, come ci sta giudicando.
«Me par che stemo perdendo tempo. El sol magna e ore» sussurra il vecchio Bepi, di fianco a me. Il suo alito puzza di alcool, come sempre, ma questa volta sono d'accordo con lui. «Daghe da bevare un bicier de vin.» Agita il suo bastone da passeggio verso Don Alvise che gli rifila un’occhiataccia. «Se non ghe vien mal de stomego, alora no xe una de quele bestie.»
«Bepi, sta bon!» Il signor Semenzato gli rifila una gomitata sul braccio. Anche il suo alito puzza di vino. «Sti cinesi. Hanno già portato un contagio, una volta.»
«Io l’ho visto. Ho visto che arriverà, nelle carte!» La signora Agata si appoggia col fondoschiena ai tasti dell’organo. Note stonate vibrano nella chiesa e lei fa un saltello. Apre le dita a ventaglio, come se potesse far comparire i suoi tarocchi come per magia. «Ci trasformerà tutti, prima dell'arrivo dello Zombibus della salvezza. Verde come la speranza, come una nuova terra promessa.»
Don Alvise scuote la testa pelata. Le sue labbra si schiudono a formare piano la parola “eretica.”
La gente borbotta. Siamo una decina di persone, ma nella chiesa si forma un brusio ronzante, come quello di uno sciame di api. Che fastidio! Dietro di me, il piccolo Matteo si nasconde tirando la gonna della sua mamma. Potevo rimanere con la Marisa, sopportare le storie che si inventa sul turista russo è meglio che stare qui, oppure con Davide. Lui mi aveva promesso che oggi…
«Non ha segni di morsi. Questo straniero è pulito.» Il signor Boscolo si liscia la divisa da farmacista. Non so quante volte lo abbia ripetuto, ma nessuno gli ha ancora dato retta.
«Agata ha ragione!» La voce della mamma di Matteo rimbomba per la chiesa. «Il Ponte della Libertà scoraggia gli zombi della terraferma, ma un giorno ne arriveranno altri, spinti dalla fame.»
«Dobbiamo stare attenti!»
«E allora cosa faremo?»
«El bocia el ga da tornar a casa sua!» Bepi sputacchia saliva sul legno della panca.
«Chi è che lo ha fatto passare?» L’agente Moro scansa la pancia della signora Trevisan e si ferma all'inizio della navata. «Chi era di guardia ai cancelli?» Ci scruta tutti. Nessuno parla, nessuno si muove. Soltanto la Trevisan si sta sventagliando con il libricino dei canti. «Chiaramente qualcuno che non è venuto alla messa!»
«Basta!» Don Alvise allarga le braccia. Le maniche della tunica bianca si aprono come ali. «Non posso continuare con tutto questo rumore. Il ragazzo deve esse-»
«No-non voglio portare guai.» La voce gli esce sottile, come lo squittio di un topo. Inclina il viso verso di noi. Non riesco a capire se le gocce che gli luccicano sul viso sono acquasanta oppure lacrime. Povero! Gli farà anche male la schiena, a stare così, legato come un salame.
Don Alvise sospira. Posa l’aspersorio nella sua ciotola di rame e abbassa lo sguardo su di lui. «Non mentire, nostro Signore ti guarda e ti ascolta.»
Il ragazzo stringe i pugni. «Lo giuro, non sono infetto.»
Vorrei dirgli che molto probabilmente gli zombi non temono l’acquasanta, ma poi inizierebbero a discutere di nuovo e mi partirebbe una bestemmia proprio lì dentro… E non è il caso!
L’agente Moro fa ticchettare le dita sulla sua pistola. «Lascia che lo interroghi, direi che è il mio turno adesso.»
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Fuori è un forno. Persino i gradini di pietra sono tiepidi. L’aria tremola sollevandosi dal cemento di Campo San Geremia. Il bacaro di fronte alla chiesa è vuoto. Sotto le tendine parasole c'è la lavagnetta nera con gli stessi piatti del giorno da ormai da tre mesi. Sarde in saor, risi e bisi, e tiramisù. Ero seduta a uno di quei tavolini quando ho conosciuto Marco. Dovevamo laurearci insieme e adesso non lo faremo mai. Vorrei tanto sapere se sta bene, se la mia famiglia sta bene. Ma l’agente Moro e la sua banda non ci permettono né di uscire, né di avere contatti con l'esterno. Ci hanno sempre detto che siamo gli ultimi sopravvissuti, ma non è vero. Quel ragazzo con gli occhi a mandorla non è un contagiato… Mi sollevo dai gradini. Il metallo nell’ombrello che mi ripara dal sole sembra pesare il doppio. Stringo il manico con due mani. Il mio sudore ha reso il legno scivoloso.
E ho il culo bagnato come se me la fossi fatta addosso. Odio l’estate! Sono stanca di tutto questo caldo! Sono stanca delle loro bugie…
«Chi stai aspettando?»
Sussulto. Mi giro. Il ragazzo straniero è proprio davanti all’entrata della chiesa, si ripara gli occhi dalla luce con le mani.
«È meglio se vieni qui.» Mi avvicino e gli faccio scudo con l’ombrello. «Se non hai messo la crema solare, questo sole ti farà venire delle ustioni spaventose. E poi i piccioni sono pericolosi, sono zombi anche loro.»
«Grazie.» Mi fissa le labbra e schiude le sue. Soffia un sospiro frustrato. Forse mi si è sbavato il rossetto e non ha il coraggio di dirmelo? O forse è solo stanco?
L’agente Moro ci raggiunge con passi pesanti. Dal trasmettitore radio che ha sulla spalla proviene un ronzio. «Bene, bene.» Si gratta la barba folta, «Lo accompagneresti tu? C'è un taxi che lo aspetta davanti alla stazione.»
«Mi lasciate andare per davvero?» Il ragazzo si slancia verso il poliziotto e lo abbraccia. «Oh, grazie! Grazie!»
Sorrido. Nessuno di noi tocca Moro così, abbiamo tutti troppa paura di prenderci una pallottola.
«Giù le mani!» Moro lo scansa via, «Non avrai altre possibilità. Ora vai, prima che cambi idea. Vai con lei.»
Beh, almeno riuscirò a scambiarci due parole. «A-andiamo?» La voce mi esce incerta e il ragazzo annuisce serio. Forse non è contento di dovermi stare così vicino. O forse è solo stanco. «Come ti chiami?»
«Luca.»
«Non sembra un nome molto orientale.»
«Ti aspettavi un Takumi, o roba del genere?» Si sfrega le palpebre, «Sono veneto, anche se mia madre è giapponese. E tu? Come ti chiami?»
«Caterina. Ma puoi chiamarmi Cat.»
«Come… Gatto?»
«Come gatto.» Non vedo l’ora di togliermi dalla strada. Anche le vecchie mura delle case e dei negozi di souvenirs sembrano sudare per il caldo, ma prima devo chiederglielo. «Com’è…» Mi trema la voce, «Com’è lì fuori?»
«Un inferno. C’è più gente zombi che viva, ormai.»
No… Il cuore mi diventa pesante. È come se la sua risposta lo avesse riempito di sassolini appuntiti.
«Qui siete in tanti.»
«In realtà siamo solo cinquantatré anime.»
«Siete comunque di più che a Mestre.»
«Ah.» Chissà chi ha perso, a chi ha detto addio. Mi mordo l'interno della guancia, a disagio. Le lacrime mi sfocano la vista. Anche la mia famiglia è morta? O sono diventati dei mostri?
Si alza sulle punte e protende le nocche verso l'interno grigio dell'ombrello.
«Attento! Ora scotta!» Lo sollevo più in alto.
«Davvero? E perché è così strano?»
Deglutisco. Devo darmi un contegno, non voglio piangere di fronte a lui. «È in alluminio e acciaio. Ce li ha fatti un artigiano di Murano.»
«Non lavoravano il vetro lì?»
«Sì, ma questi non sono decorativi, servono a proteggerci anche dagli attacchi di piccioni e gabbiani, e poi…»
«Cate!»
Inclino un po’ l’ombrello e guardo verso l’alto. Chi mi cerca? La Marisa si affaccia dalla sua stanza d’hotel, qualche passo più avanti. Ha la testa piena di bigodini e sta bevendo uno spritz. Sporge un braccio per passarlo tra i quadrati della rete antiuccelli-zombie e fare “ciao”. «Ma ti ga trovà el moroso?»
«Noooo!» Ci nascondo sotto l’ombrello. La guance mi vanno a fuoco e sono sicura di star guardando Luca come se fosse diventato uno zombi. «Non risponderle. Altrimenti non finisce più.»
Cammino più veloce e lui mi segue.
Tin. Tin. Tin. Qualcosa ha colpito l’ombrello. Il sudore mi cola lungo le braccia. Che succede?
«Ostrega!» Impreca la Marisa, «Tosi! Correte! Mi son cascati i bagigi!»
«Oh no! Presto!» Afferro il braccio di Luca e lo tiro in avanti. Dobbiamo muoverci! L'ombrello mi scivola e lo lascio cadere a terra. Svoltiamo l’angolo. I garriti dei gabbiani riempiono la strada. Quanti sono? Sembrano tanti… Sporgo appena la faccia oltre il muro dell'hotel e Luca mi imita. Sei, no, otto gabbiani zombi stanno becchettando gli arachidi della Marisa, spanti sulla pietra come perline di una collana rotta. Uno di loro calpesta con la zampa scheletrica la ciotola che li ha contenuti, spaccandola del tutto. Un altro perde grossi vermi bianchi da rimasugli di carne sull’ala e viene attaccato da quello di fianco.
«Credevo mangiassero solo le persone.»
«A volte si credono ancora vivi.» Mi ritraggo. Un sapore acido mi sale in bocca e mi gira la testa. Chiudo gli occhi. Che fine del cavolo, morire per colpa di stupidi arachidi…
«Senti…» Luca mi posa le mani sulle spalle, bloccandomi contro il muro ruvido. «Ho bisogno di una guida.»
Sbatto le palpebre. Una guida?
«C'è questa specie di piastrella rossa, in questo sotoportego della Corte Nova. Mi hanno detto che tu sei una studentessa di storia dell'arte. La conosci?»
Perché mi sta schiacciando contro la parete? Perché ha questo sguardo implorante? Alzo gli occhi al cielo, controllando se stanno arrivando altri gabbiani. «Si dice sia stata fatta per scacciare la peste e che abbia protetto quella zona da delle bombe.»
«Sono venuto fin qui per calpestarla e vedere se finisce l’epidemia zombi.»
Ma è solo una storia. Un momento… È serio? «Non puoi. Non andiamo più in quella parte della città. E poi troverai vari cancelli a sbarrarti la strada.»
«Perché?» Mi fissa di nuovo la bocca, «Questo non me lo hanno detto.»
Tiro via il rossetto con il dorso della mano. Una striscia rosata mi colora la pelle. «Beh, ci sono gli zombi. Siamo al sicuro solo qui, in questa piccola parte del sestiere di Cannaregio, dove Venezia non si allaga con il brutto tempo.» Sospiro. «C’è stata una tempesta a metà Giugno. L’acqua alta ha lasciato dei pesci tra le calli. Pesci zombi, quindi, in pratica l’acqua non gli serve per vivere. Ti si attaccano addosso come sanguisughe. Tanti turisti, lavoratori, e studenti sono stati trasformati così… Persino le mie due coinquiline.»
«Oh, merda.»
«Già.» Non sento più i garriti dei gabbiani. Forse se ne sono andati via, forse posso recuperare l'ombrello. «Dobbi-»
«Ma io devo provarci lo stesso.» Stacca una mano dal muro e cerca qualcosa dietro la schiena. «Mi hanno detto che forse potevi farmi una mappa, per arrivarci.»
«Beh, sì posso. Però buona fortuna.»
Un piccolo sorriso gli incurva gli angoli della bocca. Qualcosa mi preme contro il fianco destro. «Penso che sia meglio se mi accompagni di persona.»
Abbasso lo sguardo. È una cazzo di pistola! Il cuore mi va in gola. «Che… Che stai facendo?» A chi l’ha rubata? È sua? Perché nessuno se n’è accorto?
Mi afferra un gomito e mi costringe a staccarmi dal muro. «Sbrighiamoci, come ha detto quel vecchio in chiesa, il tempo stringe.»
«Ma mi hai vista? Ho la velocità di una tartaruga. Davvero, mi mangerebbero subito, io… Io…»
«Cat! Ti stavo cercando!» Davide sbuca sulla strada principale come un’allucinazione, «Dov’eri finita?» Si ripara tenendo ben alto il suo ombrello metallico. Nell'altra mano regge un sacchetto della spesa… Gli urlerei di scappare se non fosse per la pistola che ora mi preme sulle costole. Mi mordo le labbra.
Lo sguardo di Davide si ferma sull’arma e la sua faccia sbianca.
«Un’esca in più potrebbe essere utile.» Luca mi spinge fuori dall'ombra della calle, «Verrai anche tu con noi.»
«Ti… Ti prego, fa come dice.»
Davide annuisce e ci nasconde sotto al suo ombrello.
ooo
Forse sarebbe meglio morire con un buco in pancia. Sì, forse dovrei farmi sparare. Ma perché io? Perché lo devo accompagnare in questa missione suicida? Perché Moro gli ha dato il permesso di farlo? Dev'esserci stato un errore. E ora ci è finito in mezzo anche Davide.
Il motore emette un borbottio e la barca accelera. Il riflesso del sole si spacca in una miriade di granelli dorati sull'acqua verdastra della laguna. Qui non ha più nemmeno il suo solito odore di sale e alghe, ma più da grigliata bruciata. Le onde che si formano ai lati dello scafo spaventano i pesci zombi che nuotano lontano, come piccoli petali rossi sospinti via dalla corrente.
Davide mi posa la testa sulla spalla. I suoi ricci mi solleticano il collo.
«Moriremo.» Non riesco nemmeno a chiedergli scusa, mi sento così in colpa…
«Spero di no. Quando l’epidemia sarà finita, voglio riaprire la mia fumetteria.»
Gli stringo la mano sudata. Le parole mi dondolano in bocca. «Davide…»
«Non dire nulla.»
Il taxi si avvicina all'attracco per le barche dietro il muro bianco dell’ospedale.
«Da qui andate a piedi.» Ci urla il sottoposto di Moro sovrastando il motore. Ormeggia e Luca è il primo a scavalcare la falchetta della barca.
Mi alzo dal sedile. Non vorrei scendere, ma l'agente mi fa cenno di sbrigarmi dal volante a prua. Il mosaico di chiese e palazzi sembra formare i denti di una bocca pronta a divorarci. Mi concentro sulla scritta “Pronto Soccorso.” Mi tremano le gambe, ma Davide mi aiuta a raggiungere la banchina.
Luca mi strattona per la spalla. «Dove si va?»
«Non trattarla male!»
«Comando io, te lo sei scordato?» Gli indica la pistola che tiene ferma nell’elastico dei jeans. Spero che si spari per sbaglio nelle parti intime. «Forza!»
Avanzo per le fondamenta Nove. Devo rimanere lucida, ci manca solo che svenga per un attacco di panico. Il taxi sfreccia sull'acqua accanto a noi, e si gira per tornare indietro. Oh mio Dio, ci stanno abbandonando… «Forse è per di qua.» Indico una calle stretta alla nostra destra che si perde tra gli alti palazzi di mattoni.
«Forse? Vedi di non farci sbagliare strada!»
Davide ci supera. «Vado avanti per primo.»
«No, aspetta!» Urto con la scarpa qualcosa schiacciato contro il muro. Spero non sia un pezzo di zombi… Abbasso lo sguardo. È un foglio appallottolato. Sembra recente. La carta non è sbiadita e nemmeno rovinata. Forse l’ha perso qualche agente di polizia quando sono venuti a prendere qui le scorte di medicinali.
«Sbrigati!» Luca agita la mano libera verso di me.
Raccolgo il foglio, lo infilo in tasca e li seguo.
«Fermi… Shhh!» Davide si porta l'indice al naso. Dove la calle si allarga ci sono degli zombi. La loro pelle somiglia ai piedi di santa Lucia, marroncina e bruciacchiata. Ci accucciamo dietro un chioschetto che vende ancora le maschere di carnevale tra riviste e giocattoli.
«Usiamo queste.» Ne afferro una con le piume rosa e la passo a Davide. «E camminiamo a scatti come loro. Magari ci lasciano passare.»
Luca scuote la testa, ma accetta l’altra maschera con le piume rosse. «È un'idea di merda, sentiranno il nostro odore.»
Davide si tappa le narici. «La loro puzza è più forte.»
Ha ragione. È carne andata a male, putrefatta, peggio dell'odore dei gabbiani.
«Hai un'idea migliore?» Indosso quella che ho rubato per me. Per ironia della sorte è quella bianca col naso lungo dei medici della peste. «Seguitemi.»
Procediamo oltre il chiosco, piano. I tre zombie girano le facce verso di noi. Basterà a confonderli? Uno di loro barcolla verso di me. No, no, no. Allunga la sua mano sudicia con tre dita. Apre la bocca, inclina la testa. Uno sparo mi fa piegare in avanti. Mi tappo le orecchie. La faccia dello zombie è aperta a metà. Il suo cervello ha imbrattato di nero e di rosso la vetrina di un negozio di intimo. Gli altri due emettono suoni simili a conati di vomito. Arrivano echi di risposte dalle calli adiacenti. È un richiamo?
«Via! Svelti!» Davide mi tira via da lì.
Non sono mai stata brava a correre, ma resisto. La calle termina in un canale. Una zombi si tira su da una gondola ormeggiata. Un pesce traslucido dimena la coda gonfia di sangue in un buco nel suo collo. Un momento… L’unico ciuffo di capelli biondi che le è rimasto in testa è tenuto fermo da una molletta a forma di coccinella.
«Sofia?»
Lei apre la bocca con i denti marci. Le sue orbite vuote schizzano lacrime di sangue.
Cosa? Mi ha riconosciuta?
«Via, via!» Davide mi riprende la mano e torniamo indietro. Salire per i ponti è come scalare una montagna. Il vento fa ondeggiare delle vecchie lenzuola appese ai fili tra le case, dimenticate lì da chissà quanto.
Manca poco. Ma stiamo attirando su di noi tutti gli zombie sparpagliati in giro. Superiamo ponte del Fontego ed entriamo in calle degli Zorzi. Non ho mai corso così tanto in vita mia. Mi sembra di avere un acquario nei polmoni e nelle scarpe. Fatico a respirare e vedo tutto annebbiato, ma manca poco. Pochissimo. Dietro di noi, Luca spara di nuovo. I colpi mi rimbombano nelle orecchie e nel petto.
Il sotoportego è proprio lì, alla fine della calle, con il suo arco bianco e inciso. Ci ripariamo nella sua ombra e riprendiamo fiato. I muscoli delle gambe mi bruciano così tanto che vorrei solo stendermi e non rialzarmi più. In bocca ho un sapore burroso e di sangue. In un altro momento mi sarebbero piaciuti il soffitto a cassettoni oro e blu e i capitelli di marmo. In un altro momento avrei ammirato meglio i quadri con quei personaggi sui toni dell’ocra e del marrone. Ma adesso mi sembra solo tutto così assurdo. Ucciderei per un bicchiere d'acqua.
Luca non perde tempo e calpesta la piastrella rossa. Ci batte sopra la scarpa. Una… Due… Tre volte… Ma non succede nulla. I rantoli degli zombi si fanno più vicini. «Mi hanno detto che era una buona idea.» Sbatte di nuovo il piede a terra, «Perché non funziona? Perché non spariscono?»
«Ma sei idiota? Certo che non funziona!» Davide lo spinge via. «È solo una leggenda. E tu sei solo un disperato di merda.» Si volta verso di me e si strappa via la maschera. «Cat, dove possiamo andare? Ci serve un nascondiglio.»
Già dove?
Luca si lascia scivolare a terra. Posa la pistola e si prende la testa tra le mani. «E dove? È un cazzo di labirinto e siamo accerchiati.» Con quella maschera dorata è ridicolo. Sembra che stia recitando una parte. Le piume rosse che la decorano attorno agli occhi e sulla fronte lo fanno somigliare a un uccellino spaventato.
«Io ci credevo.» Si strofina il naso, sporcandosi il dorso della mano di muco. «Ci credevo veramente!»
Oh, beh, poteva accorgersene prima di travolgerci con lui in questa cavolata. Venezia è piena di storie e superstizioni, ma nessuna vera magia.
Mi appoggio al muro e qualcosa di appuntito mi preme la coscia attraverso la tasca dei pantaloncini. Lo prendo. È il volantino appallottolato che ho trovato vicino all'ospedale. Mi sollevo la maschera. Il sudore l’ha incollata così bene che mi sembra di tirarmi via anche la pelle. Lo apro.
Un flixbus che se ne va in giro per l'Italia a raccogliere sopravvissuti. C'è un luogo davvero sicuro. Non posso crederci… Perché nessuno ci ha detto niente? Quella matta di Agata aveva ragione… Le lacrime mi scendono sulle guance.
«Dobbiamo andare!» Davide indica il gruppo di zombi che cammina verso di noi. Le braccia tese. Le bocche aperte. I corpi che schioccano come ossa rotte. Urtano le pareti della calle e si colpiscono a vicenda.
Non so se riesco di nuovo a correre. E poi per quanto tempo resisteremo? Anche se riuscissimo a tornare indietro, ci sono i cancelli a contenerci nella parte morta dell’isola.
«Merda!» Un piccione zombi sta attaccando Luca. Allarga le ali bucate e gli affonda il piccolo becco nel collo. Luca urla, si dimena, tenta di scrollarselo di dosso. «Aiuto! Aiutami!» prega Davide con il piccione che gli graffia le mani insanguinate.
Ma lui mi raggiunge e mi abbraccia. Mi avvolge. «Non guardare» sussurra.
Nascondo il viso nel suo petto. «Mi dispiace tanto.» Lo stringo più forte.
Forse gli altri, dopotutto, in qualche modo si salveranno.
Ma noi no. Noi non possiamo più scappare.
Ultima modifica di Gaia Peruzzo il domenica 2 febbraio 2025, 16:47, modificato 1 volta in totale.
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Re: La piastrella magica
Dovrei essere nei caratteri, ma spero di non aver scritto il racconto più lungo, che gli zombie mi fanno paura e non voglio che lo mangino!
I bonus a cui ambisco sono entrambi.
Personaggio famoso: Santa Lucia (se va bene, è presente nella forma di reliquia).
Animali zombi: gabbiani, pesci, e piccione.
I bonus a cui ambisco sono entrambi.
Personaggio famoso: Santa Lucia (se va bene, è presente nella forma di reliquia).
Animali zombi: gabbiani, pesci, e piccione.
Re: La piastrella magica
Ciao Gaia!
Mi è piaciuto come il racconto si apre in maniera parecchio forte sulla xenofobia, la diffidenza di gruppo, e il tema della superstizione - che torna poi alla fine. Nella scena in chiesa ci sono parecchi personaggi, tutti macchiettistici, ma presentati bene. Si muovono come su un palco teatrale ed è un bell'effetto. Mi sono piaciuti anche gli 'ombrelli rinforzati' come uno strumento contro gli zombie, quel passaggio sui gabbiani che si credono ancora vivi e quel particolare gabbiano pieno di vermi è molto ben descritto.
Divertente pure la trovata dei pesci che non hanno bisogno di acqua, anche se ho difficoltà a vederli come pericolosi. Magari sbaglio io. Ma comunque sarebbe molto straniante trovarseli attorno.
Penso che dal punto di vista di trama e personaggi si potesse fare un po' di più. Luca passa dall'essere "lo straniero" (che poi non è) pieno di gratitudine e un po' impacciato a improvvisato rapitore per seguire il mito della piastrella rossa. Credo che il cambiamento sia decisamente troppo veloce per essere giustificato. Anche la questione dello zombie bus è un po' marginale, in sordina; non basta aver trovato un volantino per credere che sia reale (oltretutto il volantino chi l'ha stampato? Come è stato distribuito?). Credo che dal rapimento in poi il racconto sia più debole e vada a perdere anche quell'elemento di tensione che la protagonsita aveva introdotto parlando dello 'stato di polizia' in cui si trova.
Bonus pieno sugli animali zombie. Sulla celebrità onestamente non so, il reliquario di Santa Lucia mi pare un po' tirato.
Alla prossima e buona fortuna.
Mi è piaciuto come il racconto si apre in maniera parecchio forte sulla xenofobia, la diffidenza di gruppo, e il tema della superstizione - che torna poi alla fine. Nella scena in chiesa ci sono parecchi personaggi, tutti macchiettistici, ma presentati bene. Si muovono come su un palco teatrale ed è un bell'effetto. Mi sono piaciuti anche gli 'ombrelli rinforzati' come uno strumento contro gli zombie, quel passaggio sui gabbiani che si credono ancora vivi e quel particolare gabbiano pieno di vermi è molto ben descritto.
Divertente pure la trovata dei pesci che non hanno bisogno di acqua, anche se ho difficoltà a vederli come pericolosi. Magari sbaglio io. Ma comunque sarebbe molto straniante trovarseli attorno.
Penso che dal punto di vista di trama e personaggi si potesse fare un po' di più. Luca passa dall'essere "lo straniero" (che poi non è) pieno di gratitudine e un po' impacciato a improvvisato rapitore per seguire il mito della piastrella rossa. Credo che il cambiamento sia decisamente troppo veloce per essere giustificato. Anche la questione dello zombie bus è un po' marginale, in sordina; non basta aver trovato un volantino per credere che sia reale (oltretutto il volantino chi l'ha stampato? Come è stato distribuito?). Credo che dal rapimento in poi il racconto sia più debole e vada a perdere anche quell'elemento di tensione che la protagonsita aveva introdotto parlando dello 'stato di polizia' in cui si trova.
Bonus pieno sugli animali zombie. Sulla celebrità onestamente non so, il reliquario di Santa Lucia mi pare un po' tirato.
Alla prossima e buona fortuna.
Vuoi leggere il primo* fantasy noir italiano? Un affare per orecchie a punta è disponibile!
Linktree - Goodreads
*viene fuori che ce ne sono altri, comunque il mio vale la pena giuro
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Re: La piastrella magica
Trama:
Il racconto può essere diviso in due grandi parti, la prima decisamente meglio riuscita della seconda. La prima parte nella chiesa, con la presentazione egregia di vari personaggi durante un rito / cerimonia / sacrificio fa un certo effetto. L'apertura nella chiesa in concomitanza di un sacrificio umano è molto ben condotta. I personaggi sono accattivanti e ci si aspetta che la trama si sviluppi un po' alla 'The village' o alla 'Dogville', tra la paura del 'fuori' e la diffidenza verso lo straniero.
La seconda parte del racconto purtroppo vede un calo della cura decisamente drastico. Le buone idee (tra le quali gli ombrelli di murano) presentate nella prima parte vengono abbandonate e i personaggi si muovono in maniera incoerente, sollevando ben più di un interrogatorio nel lettore. Le capacità di Luca come rapitore sono pari solo all'incompetenza dei due protagonisti di resistere al suo stesso rapimento. Luca cammina avanti a loro, con la pistola in tasca, anziché mandare avanti loro e puntare la pistola alla schiena. Perché i due non si ribellano? Cosa li trattiene? Altre cose prive di giustificazione sono: il depliant (perché lo raccoglie?) e le maschere (perché decidono di indossarle? Solo perché è carino - e lo è - immaginarli in maschera a venezia? Serve una motivazione ben più valida di questa o il racconto perde molto).
La tematica della piastrella magica è molto carina, ma ahimé condotta male. Luca racconta subito quale sia il suo scopo, ma i personaggi se ne stupiscono solo alla fine. Manca la creazione di aspettativa nel lettore: funzionerà? non funzionerà? Queste domande non sorgono nel lettore, che già si attende un fallimento su tutta la linea fin dal principio. Non c'è magia, non c'è speranza che la follia funzioni davvero, nemmeno per sbaglio (che so: pesta la piastrella e l'intero edificio crolla per il contraccolpo e si schianta sugli zombie).
Stile:
Il racconto è scritto molto bene, buona la gestione della punteggiatura e incalzante la scrittura dall'inizio alla fine. Un po' di titubanza, forse, nella parte del 'taxi' che sembra un poco confusionaria. Troppo brusco il finale, avrebbe meritato più spazio e maggiore enfasi lo scoramento finale dei protagonisti.
Aderenza alla traccia:
Ottima l'aderenza al tema per quanto concerne l'aspetto temporale e spaziale. Davvero scarsa l'aderenza alla tematica dello zombiebus. Il depliant appare come un deus ex machina che, però, non serve a nulla. Non appare neanche dal vero, né la protagonista ha modo di riportare il depliant nel suo quartiere, per dare un po' di speranza ai suoi concittadini.
Bonus degli animali raggiunto pienamente.
Non mi trovo nel considerare la reliquia della Santa come bonus del personaggio famoso. Fosse apparsa come epifania o manifestazione, sarebbe stato valido.
Altre osservazioni:
Forse 'fissa la volta'? Di che cupola si tratta altriment
per una che bestemmia e per il suo modo di parlare, credo possa permettersi un 'spero si spari nelle palle'
Poco chiaro: hanno preso un taxi? Non l'hanno guidato loro stessi? Quindi sono almeno in tre contro uno solo e non hanno cercato di soverchiarlo e prendergli la pistola? E ancora: come fa a minacciarli tenendo la pistola nei pantaloni? Basterebbe aggredirlo e fermargli le mani...
Perché? E ancora: lei resta indietro? E Luca, armato di pistola, va avanti?
Ancora: perché una maschera piumata dovrebbe occultare dei vivi a un gruppo di zombie? Riconoscono i visi? E, se sì, dovrebbe essere esplicitato meglio.
In generale, vengono citati personaggi che meriterebbero più spazio, ma che messi così all'improvviso vengono subito dimenticati e non riescono a lasciare quel sentimento di dispiacere che altrimenti avrebbero potuto suscitare nel lettore (vedi Sofia: chi è? Perché dovrebbe dispiacermi della sua morte? Non è mai stata citata prima!).
Il racconto può essere diviso in due grandi parti, la prima decisamente meglio riuscita della seconda. La prima parte nella chiesa, con la presentazione egregia di vari personaggi durante un rito / cerimonia / sacrificio fa un certo effetto. L'apertura nella chiesa in concomitanza di un sacrificio umano è molto ben condotta. I personaggi sono accattivanti e ci si aspetta che la trama si sviluppi un po' alla 'The village' o alla 'Dogville', tra la paura del 'fuori' e la diffidenza verso lo straniero.
La seconda parte del racconto purtroppo vede un calo della cura decisamente drastico. Le buone idee (tra le quali gli ombrelli di murano) presentate nella prima parte vengono abbandonate e i personaggi si muovono in maniera incoerente, sollevando ben più di un interrogatorio nel lettore. Le capacità di Luca come rapitore sono pari solo all'incompetenza dei due protagonisti di resistere al suo stesso rapimento. Luca cammina avanti a loro, con la pistola in tasca, anziché mandare avanti loro e puntare la pistola alla schiena. Perché i due non si ribellano? Cosa li trattiene? Altre cose prive di giustificazione sono: il depliant (perché lo raccoglie?) e le maschere (perché decidono di indossarle? Solo perché è carino - e lo è - immaginarli in maschera a venezia? Serve una motivazione ben più valida di questa o il racconto perde molto).
La tematica della piastrella magica è molto carina, ma ahimé condotta male. Luca racconta subito quale sia il suo scopo, ma i personaggi se ne stupiscono solo alla fine. Manca la creazione di aspettativa nel lettore: funzionerà? non funzionerà? Queste domande non sorgono nel lettore, che già si attende un fallimento su tutta la linea fin dal principio. Non c'è magia, non c'è speranza che la follia funzioni davvero, nemmeno per sbaglio (che so: pesta la piastrella e l'intero edificio crolla per il contraccolpo e si schianta sugli zombie).
Stile:
Il racconto è scritto molto bene, buona la gestione della punteggiatura e incalzante la scrittura dall'inizio alla fine. Un po' di titubanza, forse, nella parte del 'taxi' che sembra un poco confusionaria. Troppo brusco il finale, avrebbe meritato più spazio e maggiore enfasi lo scoramento finale dei protagonisti.
Aderenza alla traccia:
Ottima l'aderenza al tema per quanto concerne l'aspetto temporale e spaziale. Davvero scarsa l'aderenza alla tematica dello zombiebus. Il depliant appare come un deus ex machina che, però, non serve a nulla. Non appare neanche dal vero, né la protagonista ha modo di riportare il depliant nel suo quartiere, per dare un po' di speranza ai suoi concittadini.
Bonus degli animali raggiunto pienamente.
Non mi trovo nel considerare la reliquia della Santa come bonus del personaggio famoso. Fosse apparsa come epifania o manifestazione, sarebbe stato valido.
Altre osservazioni:
Fissa la cupola sul soffitto, immobile proprio come la santa martire.
Forse 'fissa la volta'? Di che cupola si tratta altriment
?Spero che si spari per sbaglio nelle parti intime.
per una che bestemmia e per il suo modo di parlare, credo possa permettersi un 'spero si spari nelle palle'
Il taxi sfreccia sull'acqua accanto a noi, e si gira per tornare indietro. Oh mio Dio, ci stanno abbandonando…
Poco chiaro: hanno preso un taxi? Non l'hanno guidato loro stessi? Quindi sono almeno in tre contro uno solo e non hanno cercato di soverchiarlo e prendergli la pistola? E ancora: come fa a minacciarli tenendo la pistola nei pantaloni? Basterebbe aggredirlo e fermargli le mani...
Raccolgo il foglio, lo infilo in tasca e li seguo.
Perché? E ancora: lei resta indietro? E Luca, armato di pistola, va avanti?
«Usiamo queste.» Ne afferro una con le piume rosa e la passo a Davide.
Ancora: perché una maschera piumata dovrebbe occultare dei vivi a un gruppo di zombie? Riconoscono i visi? E, se sì, dovrebbe essere esplicitato meglio.
In generale, vengono citati personaggi che meriterebbero più spazio, ma che messi così all'improvviso vengono subito dimenticati e non riescono a lasciare quel sentimento di dispiacere che altrimenti avrebbero potuto suscitare nel lettore (vedi Sofia: chi è? Perché dovrebbe dispiacermi della sua morte? Non è mai stata citata prima!).
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Re: La piastrella magica
Dirge ha scritto:Trama:
Il racconto può essere diviso in due grandi parti, la prima decisamente meglio riuscita della seconda. La prima parte nella chiesa, con la presentazione egregia di vari personaggi durante un rito / cerimonia / sacrificio fa un certo effetto. L'apertura nella chiesa in concomitanza di un sacrificio umano è molto ben condotta. I personaggi sono accattivanti e ci si aspetta che la trama si sviluppi un po' alla 'The village' o alla 'Dogville', tra la paura del 'fuori' e la diffidenza verso lo straniero.
La seconda parte del racconto purtroppo vede un calo della cura decisamente drastico. Le buone idee (tra le quali gli ombrelli di murano) presentate nella prima parte vengono abbandonate e i personaggi si muovono in maniera incoerente, sollevando ben più di un interrogatorio nel lettore. Le capacità di Luca come rapitore sono pari solo all'incompetenza dei due protagonisti di resistere al suo stesso rapimento. Luca cammina avanti a loro, con la pistola in tasca, anziché mandare avanti loro e puntare la pistola alla schiena. Perché i due non si ribellano? Cosa li trattiene? Altre cose prive di giustificazione sono: il depliant (perché lo raccoglie?) e le maschere (perché decidono di indossarle? Solo perché è carino - e lo è - immaginarli in maschera a venezia? Serve una motivazione ben più valida di questa o il racconto perde molto).
La tematica della piastrella magica è molto carina, ma ahimé condotta male. Luca racconta subito quale sia il suo scopo, ma i personaggi se ne stupiscono solo alla fine. Manca la creazione di aspettativa nel lettore: funzionerà? non funzionerà? Queste domande non sorgono nel lettore, che già si attende un fallimento su tutta la linea fin dal principio. Non c'è magia, non c'è speranza che la follia funzioni davvero, nemmeno per sbaglio (che so: pesta la piastrella e l'intero edificio crolla per il contraccolpo e si schianta sugli zombie).
Stile:
Il racconto è scritto molto bene, buona la gestione della punteggiatura e incalzante la scrittura dall'inizio alla fine. Un po' di titubanza, forse, nella parte del 'taxi' che sembra un poco confusionaria. Troppo brusco il finale, avrebbe meritato più spazio e maggiore enfasi lo scoramento finale dei protagonisti.
Aderenza alla traccia:
Ottima l'aderenza al tema per quanto concerne l'aspetto temporale e spaziale. Davvero scarsa l'aderenza alla tematica dello zombiebus. Il depliant appare come un deus ex machina che, però, non serve a nulla. Non appare neanche dal vero, né la protagonista ha modo di riportare il depliant nel suo quartiere, per dare un po' di speranza ai suoi concittadini.
Bonus degli animali raggiunto pienamente.
Non mi trovo nel considerare la reliquia della Santa come bonus del personaggio famoso. Fosse apparsa come epifania o manifestazione, sarebbe stato valido.
Altre osservazioni:Fissa la cupola sul soffitto, immobile proprio come la santa martire.
Forse 'fissa la volta'? Di che cupola si tratta altriment?Spero che si spari per sbaglio nelle parti intime.
per una che bestemmia e per il suo modo di parlare, credo possa permettersi un 'spero si spari nelle palle'Il taxi sfreccia sull'acqua accanto a noi, e si gira per tornare indietro. Oh mio Dio, ci stanno abbandonando…
Poco chiaro: hanno preso un taxi? Non l'hanno guidato loro stessi? Quindi sono almeno in tre contro uno solo e non hanno cercato di soverchiarlo e prendergli la pistola? E ancora: come fa a minacciarli tenendo la pistola nei pantaloni? Basterebbe aggredirlo e fermargli le mani...Raccolgo il foglio, lo infilo in tasca e li seguo.
Perché? E ancora: lei resta indietro? E Luca, armato di pistola, va avanti?«Usiamo queste.» Ne afferro una con le piume rosa e la passo a Davide.
Ancora: perché una maschera piumata dovrebbe occultare dei vivi a un gruppo di zombie? Riconoscono i visi? E, se sì, dovrebbe essere esplicitato meglio.
In generale, vengono citati personaggi che meriterebbero più spazio, ma che messi così all'improvviso vengono subito dimenticati e non riescono a lasciare quel sentimento di dispiacere che altrimenti avrebbero potuto suscitare nel lettore (vedi Sofia: chi è? Perché dovrebbe dispiacermi della sua morte? Non è mai stata citata prima!).
Ciao Dirge. Intanto rispondo a te e provo a risolvere qualche dubbio. Luca non l'ho pensato come un rapitore, infatti come giustamente hai notato non è abile come tale. È solo un ragazzo che vuole far finire l'epidemia zombi, e che ha sentito parlare della leggenda della piastrella rossa di Venezia.
Aggredisce Caterina dopo che hanno parlato perché capisce che nessuno lo accompagnerà nella parte di Venezia con gli zombi e la situazione è più grave di quanto gli hanno detto quando lo hanno interrogato, e di quanto immaginava. Quindi pensa appunto di utilizzare l'unica pistola che gli hanno fornito per la sua "stupida" missione.
Sul taxi (a Venezia i taxi sono delle barche) sono in quattro, c'è anche il guidatore che è un agente di polizia. Sia Davide che Caterina li rispettano perché appunto sono loro a comandare la parte di sopravvissuti rimasta a Venezia. Quindi comunque, secondo me, sarebbe stato inutile tentare di ribellarsi. Anche perché appunto Moro ha acconsentito alla missione quando ha interrogato Luca (parte che succede tra il primo pezzo e il secondo, off scena, perché il pdv cioè Caterina non è presente). Infatti quando escono dalla chiesa dice a Luca di non fargli cambiare idea, ma non in senso che lo sta lasciando andare, ma nel senso che gli ha acconsentito di andare nella parte pericolosa della città. Pensavo che il fatto che non fosse un rapitore vero si percepisse.
Ah e il guidatore del taxi è presente e compie delle azioni nella parte del taxi, anche se comprendo che magari è veloce come passaggio. Ammetto che avrei voluto altri caratteri, o più tempo. Però c'è scritto che è a prua sul volante!
Le maschere, oltre che a rappresentare un po' più Venezia, le mettono perché essendo una cosa che gli zombi avevano sotto occhio, magari in qualche modo poteva destabilizzarli e non farli attaccare subito. Caterina pensa che siano un po' stupidi. Ma non ha funzionato.
Per quanto riguarda lo zombiebus avevo capito che poteva comparire anche come entità citata. Però ho visto che anche Maponi me lo ha segnalato sopra e ora non vorrei aver letto male io la traccia...
Sofia è una delle coinquiline di Caterina. Ne parla a Luca quando camminano sotto l'ombrello anche se non dice il suo nome e solo che sono state trasformate.
Ammetto che in così poco spazio forse ho esagerato un po' con i personaggi. Però mi sono divertita a scriverlo.
Spero di aver risposto a tutti i dubbi. Se manca qualcosa, in caso, fammi sapere. Specie se ancora non ha senso. Perché per me lo ha ahah ma sta cosa è scontata.
Grazie infinite per le segnalazioni che migliorano il testo, sicuramente le userò sia per riflettere sia per migliorare alcuni passaggi. Soprattutto quello sulle palle a cui effettivamente non avevo pensato.
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Re: La piastrella magica
M.M ha scritto:Ciao Gaia!
Mi è piaciuto come il racconto si apre in maniera parecchio forte sulla xenofobia, la diffidenza di gruppo, e il tema della superstizione - che torna poi alla fine. Nella scena in chiesa ci sono parecchi personaggi, tutti macchiettistici, ma presentati bene. Si muovono come su un palco teatrale ed è un bell'effetto. Mi sono piaciuti anche gli 'ombrelli rinforzati' come uno strumento contro gli zombie, quel passaggio sui gabbiani che si credono ancora vivi e quel particolare gabbiano pieno di vermi è molto ben descritto.
Divertente pure la trovata dei pesci che non hanno bisogno di acqua, anche se ho difficoltà a vederli come pericolosi. Magari sbaglio io. Ma comunque sarebbe molto straniante trovarseli attorno.
Penso che dal punto di vista di trama e personaggi si potesse fare un po' di più. Luca passa dall'essere "lo straniero" (che poi non è) pieno di gratitudine e un po' impacciato a improvvisato rapitore per seguire il mito della piastrella rossa. Credo che il cambiamento sia decisamente troppo veloce per essere giustificato. Anche la questione dello zombie bus è un po' marginale, in sordina; non basta aver trovato un volantino per credere che sia reale (oltretutto il volantino chi l'ha stampato? Come è stato distribuito?). Credo che dal rapimento in poi il racconto sia più debole e vada a perdere anche quell'elemento di tensione che la protagonsita aveva introdotto parlando dello 'stato di polizia' in cui si trova.
Bonus pieno sugli animali zombie. Sulla celebrità onestamente non so, il reliquario di Santa Lucia mi pare un po' tirato.
Alla prossima e buona fortuna.
Grazie di cuore per le osservazioni. Cavolo, già è stato ultra complicato mettere un personaggio famoso e italiano, e pensavo che appunto avere il corpo nella teca della Santa, bastasse. Anche perché insomma è vero che è lì... Però vabbè. Mi straniava troppo mettere qualcuno alle finestre dell'hotel o altro, anche perché comunque sarebbe stato un passaggio con due righe come quello per la santa Lucia.
Forse sì potrei rinforzare "lo stato di polizia". Solo che non so che tagliare per rimanere comunque nei caratteri. Ma ci rifletterò su.
Il fatto è che Luca non è un rapitore, solo che quando Caterina gli rivela davvero com'è la situazione nella parte zombie dell'isola, allora ha paura e non vuole più andare da solo. Lui appunto, nella mia testa, cercava solo un modo per far finire l'epidemia zombi. Specifico: quando parla con Moro e gli dice "mi lasciate andare davvero?" (più o meno, ora non ricordo che ho scritto di preciso e da cellulare non mi fa tornare a guardare il testo) è riferito alla piastrella rossa e non al fatto che lo sta lasciando libero.
Per il volantino pensavo che comunque potesse essere stato stampato da magari gente fuori da Venezia che sapeva dello zombiebus... O dall'organizzazione stessa dello zombiebus. E che appunto qualcuno potesse averlo appallattolato e gettato lì, magari in un momento di foga, o da qualcuno che è stato attaccato e poi il vento lo ha spinto nella calle... Non so. Forse sarebbe meglio dire scritto a mano? Magari stampare può essere troppo complicato? Magari qualcuno dalle isole o dal lido aveva attraccato lì o cercava qualche medicina all'ospedale. Ma ora brancolo ed effettivamente non so se ha senso oppure no. Forse dovrei cambiare tutto mettendo che sanno effettivamente che arriva, ma è tipo in ritardo. Boh.
Scusa per il poema. Pensavo comunque che potesse rimanere marginale come questione.
Comunque grazie per le osservazioni!
Re: La piastrella magica
Anche perché appunto Moro ha acconsentito alla missione quando ha interrogato Luca (parte che succede tra il primo pezzo e il secondo, off scena, perché il pdv cioè Caterina non è presente). Infatti quando escono dalla chiesa dice a Luca di non fargli cambiare idea, ma non in senso che lo sta lasciando andare, ma nel senso che gli ha acconsentito di andare nella parte pericolosa della città.
Questa parte me la sono totalmente persa. Non avevo capito io che era già avvenuto l'interrogatorio. Questo giustifica molte cose, ma resto ancora in dubbio sulle motivazioni dei personaggi (compreso Moro).
Riguardo a Sofia: secondo me sarebbe stato meglio citarla per nome anche prima e darle più spazio. Così purtroppo perde di impatto.
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Re: La piastrella magica
Dirge ha scritto:Anche perché appunto Moro ha acconsentito alla missione quando ha interrogato Luca (parte che succede tra il primo pezzo e il secondo, off scena, perché il pdv cioè Caterina non è presente). Infatti quando escono dalla chiesa dice a Luca di non fargli cambiare idea, ma non in senso che lo sta lasciando andare, ma nel senso che gli ha acconsentito di andare nella parte pericolosa della città.
Questa parte me la sono totalmente persa. Non avevo capito io che era già avvenuto l'interrogatorio. Questo giustifica molte cose, ma resto ancora in dubbio sulle motivazioni dei personaggi (compreso Moro).
Riguardo a Sofia: secondo me sarebbe stato meglio citarla per nome anche prima e darle più spazio. Così purtroppo perde di impatto.
Quando Luca parla con Caterina sa già cose su di lei. Chi poteva avergliele dette se non Moro? Dato che non si conoscono. (Pensavo appunto da questo e da altri dettagli che si capisse che lo aveva interrogato, mentre appunto Caterina aspettava fuori). Nella mia idea/testa lo lascia andare perché magari la storia della piastrella poteva funzionare, anche perché è una situazione disperata, quindi lo lascia tentare. Al limite lo avrebbero mangiato gli zombi. Non ha idea che si sarebbe portato dietro anche Davide o Caterina. Infatti Luca quando parla con lei dice solo "mi hanno detto che potevi farmi una mappa". Perché è appunto Moro, magari vedendo che Caterina era rimasta ad aspettare fuori dalla chiesa, a dirgli che poteva fargli una mappa, che conosce la città e che è una studentessa di storia dell'arte. È poi sempre lui a fonrigli la pistola, per avere un minimo di difesa, e a omettere tanti dettagli su come sia la situazione, proprio per non spaventarlo troppo. Dettagli che poi gli dice Caterina.
E poi comunque c'è una specie di regime di controllo di Moro e i suoi pochi adepti. Loro hanno le barche, loro possono spostarsi fuori, loro decidono cosa deve sapere oppure no la comunità. Questo era il senso che volevo dare alla storia.
In ogni caso grazie ancora di tutto! Probabilmente appena riesco migliorerò il testo del racconto anche se non dovessi passare, quindi ogni osservazione è comunque super utile.
Re: La piastrella magica
Ciao Gaia e piacere di averti letto.
Parto subito con le cose positive: lo stile. Il racconto è sempre scorrevole dall’inizio alla fine e si legge senza inciampi o rallentamenti. Il pdv è ben gestito anche se ci sono un paio di cose che mi hanno fatto storcere il naso (tipo la strisciata sulla guancia di rossetto che lei stessa non può vedere o il fatto che dica parti intime dopo aver detto cazzo e merda, ma sono piccoli dettagli che non hanno rovinato la lettura).
La storia mi è piaciuto, avrei solo cercato un modo per rendere più esplicito il fatto che Moro avesse acconsentito alla missione di Luca. Anche solo un averlo armato per maggiore sicurezza (anche se avrebbe avuto poco senso visto che poco prima volevano quasi sacrificarlo). Però è strano che due minuti prima fosse legato e dopo abbia una pistola e addirittura si possa permettere di minacciare Caterina.
Ho apprezzato molto la caratterizzazione dei vari personaggi nella prima scena anche se trovo ce ne fossero troppi. Soprattutto perché poi in scena rimangono solo Cat e Luca e per qualche altra riga Moro.
Sarebbe stato perfetto per un racconto più lungo. Sempre a proposito di lunghezza ho notato che in un paio di punti sei dovuta andare un pochino più di corsa nella narrazione e immagino sia stato per questioni di caratteri.
20.000 battute sembrano sempre tantissimi quando inizi a scrivere, ma poi si rivelano un numero davvero esiguo se cominci a farti prendere dalla trama e dalla storia.
Forse non avrei svelato all’inizio la motivazione della mattonella rossa. Perché in una situazione di questo tipo, con zombie e rischi per la vita e solo 53 persone da proteggere, io fossi stato in Moro col clacson che autorizzo un mezzo sconosciuto per una missione suicida di questo tipo.
Vero che probabilmente lui si sarebbe dovuto far dare solo una mappa da Cat e non rapirla, ma le cose volgono al peggio troppo in fretta.
Mi sono piaciuti un sacco gli animali zombie che hai messo, sia i piccioni che i gabbiani e anche come li hai rappresentati e l’idea dell’ombrello che serve anche per difendersi. Un tocco di classe.
Parlando di bonus per me anche la santa è un personaggio famoso quindi ci sta.
La parte delle maschere mi è piaciuta, è una cosa caratteristica di Venezia, avresti potuto integrarla meglio se i 3 zombie fossero mascherati e allora per provare a fregarli si mascherassero anche loro. Magari usando anche un classico trucco alla the walking dead, cioè cospargendosi di interiora e sangue ecc ecc…
così sì che sarebbe sembrato un bel travestimento credibile.
Insomma per me è un bel racconto che pecca un pochino di fretta nella seconda parte ma che è comunque scritto molto molto bene.
Non mi sbilancio sulla classifica, devo ancora leggere gli altri.
In bocca al lupo-zombie per la sfida.
Parto subito con le cose positive: lo stile. Il racconto è sempre scorrevole dall’inizio alla fine e si legge senza inciampi o rallentamenti. Il pdv è ben gestito anche se ci sono un paio di cose che mi hanno fatto storcere il naso (tipo la strisciata sulla guancia di rossetto che lei stessa non può vedere o il fatto che dica parti intime dopo aver detto cazzo e merda, ma sono piccoli dettagli che non hanno rovinato la lettura).
La storia mi è piaciuto, avrei solo cercato un modo per rendere più esplicito il fatto che Moro avesse acconsentito alla missione di Luca. Anche solo un averlo armato per maggiore sicurezza (anche se avrebbe avuto poco senso visto che poco prima volevano quasi sacrificarlo). Però è strano che due minuti prima fosse legato e dopo abbia una pistola e addirittura si possa permettere di minacciare Caterina.
Ho apprezzato molto la caratterizzazione dei vari personaggi nella prima scena anche se trovo ce ne fossero troppi. Soprattutto perché poi in scena rimangono solo Cat e Luca e per qualche altra riga Moro.
Sarebbe stato perfetto per un racconto più lungo. Sempre a proposito di lunghezza ho notato che in un paio di punti sei dovuta andare un pochino più di corsa nella narrazione e immagino sia stato per questioni di caratteri.
20.000 battute sembrano sempre tantissimi quando inizi a scrivere, ma poi si rivelano un numero davvero esiguo se cominci a farti prendere dalla trama e dalla storia.
Forse non avrei svelato all’inizio la motivazione della mattonella rossa. Perché in una situazione di questo tipo, con zombie e rischi per la vita e solo 53 persone da proteggere, io fossi stato in Moro col clacson che autorizzo un mezzo sconosciuto per una missione suicida di questo tipo.
Vero che probabilmente lui si sarebbe dovuto far dare solo una mappa da Cat e non rapirla, ma le cose volgono al peggio troppo in fretta.
Mi sono piaciuti un sacco gli animali zombie che hai messo, sia i piccioni che i gabbiani e anche come li hai rappresentati e l’idea dell’ombrello che serve anche per difendersi. Un tocco di classe.
Parlando di bonus per me anche la santa è un personaggio famoso quindi ci sta.
La parte delle maschere mi è piaciuta, è una cosa caratteristica di Venezia, avresti potuto integrarla meglio se i 3 zombie fossero mascherati e allora per provare a fregarli si mascherassero anche loro. Magari usando anche un classico trucco alla the walking dead, cioè cospargendosi di interiora e sangue ecc ecc…
così sì che sarebbe sembrato un bel travestimento credibile.
Insomma per me è un bel racconto che pecca un pochino di fretta nella seconda parte ma che è comunque scritto molto molto bene.
Non mi sbilancio sulla classifica, devo ancora leggere gli altri.
In bocca al lupo-zombie per la sfida.
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Re: La piastrella magica
Ciao Luca! Vediamo se mi fa risponderti, perché per sbaglio mi ha pubblicato doppia la classifica e poi dopo, che premo invia, esce sempre errore. Spero che il sito torni operativo presto.
Per quanto riguarda la strisciata di trucco, era sul dorso della mano, ma forse l'ho scritto in modo fraintendibile. Unico appunto che ti faccio, per il resto, scrivo poco che non voglio si blocchi tutto e riscrivere da capo, ecco sto divagando... Per il resto mi sono già messa all'opera per sistemare il testo. Hai ragione sui personaggi sono davvero troppi!
Grazie mille per i consigli! Terrò conto di un po' tutto quello che mi avete detto!
Per quanto riguarda la strisciata di trucco, era sul dorso della mano, ma forse l'ho scritto in modo fraintendibile. Unico appunto che ti faccio, per il resto, scrivo poco che non voglio si blocchi tutto e riscrivere da capo, ecco sto divagando... Per il resto mi sono già messa all'opera per sistemare il testo. Hai ragione sui personaggi sono davvero troppi!
Grazie mille per i consigli! Terrò conto di un po' tutto quello che mi avete detto!
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