
Mi impiccarono di mercoledì, vicino al molo.
Non di domenica, quando tutta la città esce dalla messa. E neanche di mattina, quando il porto è pieno di pescatori che vendono e massaie che comprano. No. Mi impiccarono alle 3 di pomeriggio, col sole caraibico che spaccava le pietre. La piazza era deserta. Più asini che persone. Sicuramente più mosche.
Il gendarme obeso, madido di sudore e senza fiato, lesse i capi d’accusa. Furtarelli, risse, offesa al pubblico pudore. Penso quello si riferisse alla moglie del governatore. Ma forse era solo che pisciavo dal pontile tutte le mattine e i pescatori si sentivano sminuiti. Quando glielo chiesi, il gendarme non volle rispondermi.
Tirò la leva, la botola si aprì, e “tac”. Con un colpo secco, si spezzò la corda. Che per una nullità come me, neanche la corda nuova mettevano.
Ovviamente, me ne scappai a gambe levate.
La seconda volta andò meglio. Mi impiccarono di domenica. Piazza gremita, subito dopo la funzione. Donne con i vestiti delle feste che agitavano il ventaglio, gli uomini che masticavano tabacco sotto i cappelli di paglia. Il governatore in persona (quello nuovo) lesse il verdetto con gli occhi iniettati di sangue: Timoty Andersen, detto “Il lungo”, condannato a morte per pirateria e sodomia (questa volta sono sicuro che parlasse di suo figlio, quel giovanotto non sapeva resistermi).
Questo sì, era il modo di andarsene. Con un nome conosciuto, davanti a tante persone. In abiti costosi e lo sguardo fiero. Avevo quasi voglia di farmi impiccare davvero.
Ma la ciurma ci teneva al Capitano e un attimo prima che si aprisse la botola: “tac”. Un colpo di fucile dritto al petto del governatore. La folla scappò inorridita e io pure, nella confusione generale.
Domani m’impiccano per la terza volta. Sono in prigione da 3 mesi, in attesa di essere giustiziato alla vigilia di Natale. Non sto più nella pelle. Solo i più grandi pirati sono impiccati il giorno della vigilia. Ne ho fatta di strada in questi anni. Terrore dei sette mari, corsaro senza pietà, spudorato donnaiolo: i riconoscimenti si sono moltiplicati come anche il valore della taglia sulla mia testa. Che bel modo di andarsene. Sono soddisfatto. Tra poco, ripiegherò queste pagine e le affiderò al carceriere. Quel caro ragazzo è stato un vero amore durante questi mesi. Non è in una buona posizione per farmi uscire, anche se vorrebbe. Ma di sicuro mi ha fatto entrare ripetutamente. In cambio, gli ho solo chiesto di affidare queste poche righe e il resto dell’autobiografia che ho scritto in questi mesi ad una persona fidata, per pubblicarla in Europa o nelle colonie. Che tutti conoscano la storia di Timoty “Il lungo” Andersen!
Spero che i diritti d’autore mi garantiscano una vecchiaia tranquilla. Perché domani mi impiccano, ma io di morire non ne ho ancora voglia. E allora, proprio quando la botola si starà per aprire: “tac”!