Come mille esplosioni

La maledizione di un rapporto senza futuro in un racconto di Alberto Della Rossa.

 
Batto. Una, due, tre volte. Gli unici rumori in casa, oltre al singhiozzare dietro la portadel bagno. Probabilmente è quanto di meglio mi possa aspettare da questa giornata. Vorrei dire terribile giornata, anche se l’unica parola che mi viene in mente è ordinaria.
Smettila, ti prego, esci da lì. Per favore.
Non so nemmeno se l’ho detto o l’ho pensato, questi litigi mi svuotano e mi lasciano senza voce. Dovrei essere arrabbiato, forse. Mi perdo per un istante nei miei pensieri e rimango immobile, col pugno alzato, mentre il cervello insegue una considerazione cavillosa.
A momenti nemmeno mi accorgo che la serratura scatta e la porta si apre. Me la trovo davanti, dannatamente bella nonostante il rimmel colato attorno agli occhi e sulle guance..
Provo a sorridere. Ho la sensazione che il volto sia di cuoio. Voglio soltanto chiudere questo litigio, l’ennesimo della giornata.
«Facciamo pace?» chiedo.
Alza il mento, verso il mio. Forse un bacio, si dice l’angolo ancora privo di malizia del mio cervello.
Poi il gesto di disprezzo. Lo sputo.
Chiudo gli occhi, mentre mi appello a qualsiasi forza abbia dentro per non esplodere. Riesco a schivare l’onda di rabbia incontrollata, ne contengo la spuma nera calibrando al millimetro il gesto di pulirmi il volto con la mano. Si allontana alle mie spalle, mentre entro nel bagno e giro la chiave.
Guardo la porta, unico divisorio tra lei e me, fatta eccezione per l’incomunicabilità che imperversa tra noi.
Mi bruciano gli occhi. Le prime volte mi è capitato di piangere, adesso mi coglie una stanchezza intollerabile, sostituto della rabbia che a volte mi sembra insostenibile. Sento ancora la saliva sulla guancia; apro il rubinetto e mi lavo il viso. Poi mi guardo allo specchio e dimentico i polsi sotto l’acqua corrente.
Mi trovo a guardare stupito un veterano. Lo sguardo leggermente assente, le pupille dilatate. Ho visto un documentario, tempo fa. Trauma da scoppio, e Dio sa in quante esplosioni rimango coinvolto ogni giorno. Solo di oggi siamo a quattro, ma il volto che lo specchio riflette mi parla di settimane, mesi, anni.
Scuoto la testa, un gesto sospeso tra lo sconforto e l’incredula assurdità di ciò che mi sto costringendo a vivere, quando il mio sguardo si posa sul tubetto di mascara appoggiato sul bordo del lavandino. Lo stesso mascara che cola e le tramuta lo sguardo in uno strale accusatorio, testimonianza sbavata dell’ennesimo litigio.
Nell’armadietto trovo un ago, nelle tasche l’accendino. Scaldo la punta fino a farla divenire incandescente e la immergo nel mascara. Osservo la goccia nera come fosse veleno che stilla dalla coda di uno scorpione e affondo l’ago nella carne, poco sotto il gomito, sull’interno dell’avambraccio. La goccia di sangue che esce dalla minuscola ferita si mescola al pigmento. Mi sciacquo, e ciò che rimane è un singolo punto che mi guarda come una pupilla scura.
Seduto sul water guardo il mio nuovo compagno di viaggio, testimone del quarto litigio della giornata. Metto in tasca il mascara, avvolgo l’ago nella carta igienica e lo ripongo nel portafogli.
Sono certo che quel punto nero sotto pelle non resterà solo.

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