Il mare dei sogni

Parole che mai più potranno vedere la luce, essere lette, vivere. Finalista nella Seconda Edizione della Quinta Era con Andrea Atzori nelle vesti di guest star, un racconto di Erika Adale.

 
«May-Day, May-Day, motore destro colpito, prepararsi all’atterraggio di emergenza.»
La forchetta planò verso la tovaglia, colpì la bottiglia dell’acqua con i rebbi e schizzò mille macchioline di sugo.
«Bum! Attivare gli estintori!»
La mano della nonna tolse ad Amir il bicchiere prima che lo rovesciasse sulla posata schiantata sul tavolo.
«Non si gioca a tavola. Guarda che disastro.»
«Ma io sono un pilota in battaglia» si lamentò il piccolo.
«Finisci quello che hai nel piatto, pilota.»
«Allora sono un guerriero che insegue il suo nemico nascosto nella giungla» rispose Amir e nascose un boccone di pollo sotto la verdura.
«Ha tanta fantasia, questo bambino, sempre preso dai sogni. E’ una grande dote. Andrà lontano, te lo dico io.» esclamò la nonna.
Il nonno scosse la testa e si avvicinò al nipote.
«Ascoltami bene, guerriero: i sogni sono belli, ma attento a cosa nascondono.»
«Cosa nascondono?» chiese il piccolo.
«A volte la tenebra» mormorò l’uomo con una smorfia. Poi sorrise e fece l’occhiolino. «E, a volte, la realtà.» Così dicendo, infilzò il pollo sulla punta del coltello e se lo portò alla bocca.
«Ma quella era la mia carne!» Piagnucolò il bambino.
«Pensavo fosse un nemico. L’ho fatto prigioniero» rise il nonno.
Amir riflettè un istante sulle parole ascoltate, poi guardò l’acqua che s’increspava nella bottiglia e immaginò di essere un marinaio in mezzo alla tempesta.
 
Era mezzanotte passata quando il mare si era svegliato, prima in schizzi e sbuffi, poi in cavalloni potenti che sollevavano il barcone, gettando i passeggeri stipati l’uno contro l’altro. Amir deglutì una boccata acida e pensò a quando, da bambino, sognava di affrontare i flutti dell’oceano. Riuscì a sorridere, fra i gemiti di chi era sconvolto dalla paura o dalla nausea.
Ripensò all’abbraccio di nonna, che gli aveva sussurrato nell’orecchio: «Continua a sognare, fallo per noi.»
Certo, non avrebbe smesso. Ormai era diventato il suo mestiere e la guerra non l’avrebbe fermato. Sarebbe arrivato in un paese libero, dove avrebbe scritto senza censura. L’avrebbero accolto con l’onore dovuto a chi racconta la sofferenza, avrebbe vinto premi e onorificenze. Avrebbe dedicato ogni onore ai nonni lontani, che gli avevano regalato i risparmi di una vita per pagare il prezzo della fuga da un paese in fiamme.
Un’onda più alta lo costrinse ad aggrapparsi al bordo. I passeggeri gridarono terrorizzati e il giovane sentì il barcone inclinarsi. Alzò lo sguardo e vide un muro di acqua che oscurava l’orizzonte e risaliva fino a coprire le stelle del cielo.
 
Amir si dibatteva nella stretta gelata dell’acqua, cercava di sollevare la testa oltre i flutti. Spinse via le braccia degli altri disperati, agitò le gambe e, per un attimo, pensò a quali parole avrebbe scelto per scrivere quell’esperienza. Poi, mentre il buio gelido gli invadeva gola e mente, vide i propri sogni scivolare fluttuando verso il fondo del mare.