
Un bar che definire “fatto per gli Dei” è poco. Terzo classificato nella Prima Edizione della Quinta Era con Walter Lazzarin nelle vesti di guest star, un racconto di Francesco Nucera.
Leo aprì gli occhi. Attorno a lui c’era solo nebbia e l’insegna luminosa di un bar.
Cercò di capire come fosse finito lì, ma l’ultima cosa che ricordava era la sua bicicletta, la statale e lo zaino sulle spalle.
Avanzò, la pelle accapponata e le ossa umide, ed entrò nel locale. Una luce bianca lo accecò.
«Ragazzo, tu sei quello nuovo?» chiese una voce gentile.
Leo si strofinò gli occhi. Un uomo, che doveva pesare più di duecento chili, fluttuava davanti a lui con indosso un paio di slip. La massa flaccida lambiva le pareti e gli impediva di vedere oltre.
«Mah…» balbettò, timoroso.
L’uomo si sporse in avanti e sbirciò il foglietto che, solo in quel momento, Leo si accorse di aver in mano.
«Come immaginavo» disse il ciccione.
Confuso, Leo guardò il pezzo di carta su cui c’era scritto: “Quello nuovo”.
«Seguimi! Cosa sai fare di particolare?»
«Nulla» rispose, incerto. Alzò lo sguardo e strabuzzando gli occhi. Ora che non c’era più il ciccione vicino a lui, il locale gli si era aperto attorno. Un tizio dalla pelle verde era al tavolo con uno con la testa da sciacallo, due donne attaccate per le spalle flirtavano con una coppia di minotauri e una ragazza blu, con una decina di braccia e una corona in testa, cercava di farsi spazio tra la ressa con dei vassoi in mano.
«Ragazzo,» lo richiamò all’ordine il ciccione «finché non sapremo cosa sai fare sarai l’assistente pizzaiolo.»
Leo si voltò e incrociò lo sguardo di un demone rosso con le corna ricurve che aveva la pala tonda in mano e un grembiule cinto in vita. «Che me ne dovrei fare?» chiese questi.
«Insegnargli il mestiere» rispose secco il ciccione.
Il demone sbuffò e si rivolse a Leo: «Non stare a guardarmi, dai una pulita al piano di lavoro.»
Il ragazzo corse dietro il banco e cercò un canovaccio. Non trovandolo spostò la farina, sparpagliata sul tavolo, con la mano nuda. La polvere bianca si addensò, formò una sfera e iniziò a roteare sul suo palmo.
«Più rapido del previsto» si compiacque il ciccione.
«Cosa?» chiese Leo.
«Il tuo potere.»
«Il mio potere, cosa?»
«Allunga la mano verso quell’angolo» gli intimò il ciccione, indicando un punto lontano.
Leo stese il braccio e aprì il palmo: polvere, briciole e cocci di vetro si misero a volteggiare.
«Ora vai lì e getta tutto. Però attento a non cadere fuori.»
Il ragazzo avanzò verso la porta che gli era stata indicata e l’aprì. Un vuoto allo stomaco lo bloccò. Fuori non c’era la strada, ma solo stelle e il sole a portata di mano.
«Ora brucia tutto.»
Con un gesto della mano, Leo spazzò fuori la spazzatura che si volatilizzò.
«Ge’, come si chiamano quelli nuovi?»
Il ragazzo si voltò. Il ciccione stava parlando con il barista; un capellone che versava vino da una brocca piena d’acqua. «Quali?» gli rispose questi.
«Dai, quelli con il paradiso pieno di birra.»
«Pastafariani! Ma che c’entra con loro?»
«Nulla, ma neanche il tuo gioco con l’acqua c’entra qualcosa. Iniziamo così, poi, al massimo, lo ricicliamo per gli scalzisti; tanto prima o poi tutti fondano una religione.»