Karki

Cogli l’occasione, sfruttala e vai a puttane: storie di ordinaria decadenza nelle periferie italiane e non solo. Un racconto di Filippo Santaniello.

 
Il molosso schiuma e ha la testa larga come la ruota del furgoncino Vito con cui siamo arrivati a Ivrea, ma Karki non ha paura, negli occhi c’ha scritto MORTE, e non gliene frega un cazzo di lanciarsi contro quel mostro perché chiunque era il suo padrone prima che lo trovassi io deve avergli fatto qualcosa di malvagio per trasformarlo in una macchina assassina. Almeno così speriamo io e Giulio mentre la gente urla e ficca i soldi nella scatola di cartone che un tizio col berretto della Juve passa agli scommettitori.
Do una pacca sul culo secco di Karki che si gira di scatto e per poco non mi mozza la mano.
«Testa di cazzo!»
«Non deconcentrarlo» dice Giulio. Il suo fiato caldo puzza di Sambuca.
Giulio sapeva dei combattimenti. Karki invece l’ho trovato io. Sembra un Fox Terrier incrociato a una nutria. È piccolo e brutto come un pipistrello e l’ho chiamato Karki come il cantante dei Dismember perché sbavano allo stesso modo. Tornavo a casa lungo il Po squagliando il fumo nella mano quando sotto il ponte della Bocciofila vedo due puntini brillare nella notte. Penso ai catarinfrangenti di una bici, ma i puntini non si muovono, allora mi avvicino e vedo i denti scoperti di un cane che pare gli abbiano fatto l’elettroshock. Orecchie dritte, coda all’insù, zampe secche. Il guinzaglio s’era attorcigliato alla ruota di un Piaggio rovesciato. A chi è scappato non lo sapremo mai. Ho chiuso la canna e l’ho fumata pensando a quello che m’aveva detto Giulio riguardo le scommesse a Ivrea.
Ho preso il cellulare e l’ho chiamato.
È arrivato in un quarto d’ora. Non gli ho dovuto spiegare niente. Appena ha visto il cane era tutto chiaro, però ieri a Ivrea non c’era nulla, così abbiamo aspettato stanotte, il che ha facilitato il trasporto di Karki sul Vito. Abbiamo tritato il sonnifero nelle polpette e s’è fatto un sonnellino fin sotto il getto ghiacciato di una fontanella dove l’abbiamo fatto ripigliare. Appena ha aperto gli occhi per poco non ci stacca le palle. Fortuna che gli avevamo messo la museruola che gli abbiamo tolto quando ci siamo trovati di fronte ‘sto molosso grosso come un caprone.
“Tocca a te Karki, vai e uccidi!”
Lo libero quando il padrone del molosso sgancia il moschettone dal collare.
Karki parte a razzo, poi si ferma e gira intorno all’avversario. Entrambi ringhiano e si appiattiscono contro l’asfalto finché Karki non schizza come quel mostro-sanguisuga del film di Cronenberg e si attacca al collo del molosso e resta appeso peggio d’un chupacabra. Il molosso scuote la testa ma Karki non molla.
Tecnica dello sfinimento.
“Bravo Karki!”
Più che un combattimento tra cani sembra una gara di toro meccanico.
Quando il molosso crolla, cala il silenzio. La gente ci guarda come se avessimo truffato. Nessuno aveva scommesso un cazzo sul nostro Karki. Il tizio col berretto della Juve ci consegna i soldi.
Il peggio è staccare Karki dal molosso e rimettergli la museruola, ma è sfinito per un nuovo attacco.
Sul Vito io e Giulio buttiamo fuori l’adrenalina gridando come pazzi. Nel cassone Karki prende parte ai festeggiamenti abbaiando isterico.
Contiamo i soldi. Duemila euro.
Metto in moto e prima di prendere l’autostrada dico a Giulio che ho voglia di festeggiare con una troia.
Lui ghigna. «Mi pare un’ottima idea!»
Cazzo se lo è!

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