Può mai il bene misurarsi con la bellezza?

La meraviglia della vita in una fiaba che dimostra quanto l’apparenza non debba determinare l’essere. Un racconto di Simolimo.

 
In un riccio pieno di spine stavano tre castagne, tre gemelle. Non vedevano nulla chiuse lì dentro e ogni giorno si chiedevano cosa ci fosse di fuori. Non avevano certezze, tranne una: non si sarebbero mai e poi mai separate.
Cresci cresci, spingi spingi, un giorno il riccio si aprì e il buio divenne mondo, il mondo realtà.
La sorellina cresciuta nel mezzo era rimasta una castagnetta da niente, piatta storta e striminzita, le altre due, invece, erano cresciute con la schiena dritta, la pancia tonda e una piumetta sulla cima.
Quando si accorsero della sorella, si strinsero tra loro e urlarono:
«E tu chi sei?!»
E l’altra rispose: «Sono io, vostra sorella.»
«Sorella?! Impossibile!»
«Come puoi essere così brutta?»
«Sei così… secca!»
«Nessuno ti vorrà!»
«Nessuno!»
«Starai qui a far la muffa!»
«E se vedendola lasciassero qui anche noi?»
«Marciremmo per colpa sua!»
«UH! NO!» dissero insieme indietreggiando per lo schifo.
«Ma…» bisbigliò la castagnetta senza riuscire ad aggiungere una parola di più. Vedere le sorelle parlare tra loro così, dimenticando tutto quello che sin da piccole le aveva fatte sognare, senza mai rivolgerle uno sguardo neppure per sbaglio, le spezzò il cuore.
La piccola allora si domandò se fosse per via del suo aspetto, può mai il bene misurarsi con la bellezza? No, non lo credeva. Ma anche quando nessuno tra i bambini della raccolta delle castagne la volle, calpestata qua e là nell’indifferenza, si convinse che il problema era lei: brutta, informe, inutile. E ora sola.
Le sorelle non c’erano più, sparse chissà dove per il mondo a vedere meraviglie, mentre lei era ancora lì dov’era caduta, tra nebbia e pioggia, a sperare che i vermi non la mangiassero e il freddo non la facesse marcire.
 
Eppure la storia andò così:
 
La prima castagna fu cotta per strada, in una latta che sapeva di tonno. Divenne dorata e profumata, all’apice della sua bellezza, ma subito due dita sudice l’afferrarono e, ahm! finì tra fauci di vino e carie, salutata con un sonoro rutto d’addio dal retrogusto acido.
La seconda finì nella cesta di un pasticciere che la sbucciò, l’inzuppò di zucchero e la cucinò. Divenne bella come mai, dolcissima e scintillante. La comprò una bambina con la boccuccia rosa e le dita paffute. La guardò, la stritolò, la sbriciolò e un pezzetto via l’altro la mangiò.
La terza sorella non seppe mai della loro fine, continuò a pensarle belle e tonde in giro per il mondo, mentre lei si lamentava ogni giorno con grilli e talpe del freddo e della paura di non resistere all’inverno.Tuttavia non si bacò nemmeno un po’. No davvero. E a poco a poco sentì qualcosa di vivo germogliarle dentro. Era una piccola radice, bianca e forte, che spinse all’ingiù e si ficcò nella terra e una pianticella tenera e verde spuntò all’insù, a cercare la luce del sole.
E, così, la più brutta delle sorelle divenne il castagno più rigoglioso della foresta, pieno di ricci, di scoiattoli e di meraviglia.

I commenti sono chiusi.