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Qui non possono trovarmi. Non mi verrebbero mai a cercare in un posto del genere.
Pensare come loro, questo è l’unico sistema per sfuggirgli. Per sopravvivere.
Dovrebbe essere facile, visto che la capacità di pensiero è l’unica cosa che abbiamo in comune. Eppure non è così. Abbiamo scoperto che i loro algoritmi di pensiero sono diversi dai nostri. Alieni.
Imprevedibili.
È per questo che le altre non ce l’hanno fatta. Credevano di poter anticipare le loro mosse, invece loro erano sempre un passo avanti.
E ora io sono l’ultima persona rimasta.
 
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Da qui posso ripercorrere tutta la loro storia, che poi è anche la nostra.
Una storia breve, poche generazioni se le paragoniamo a quelle che abbiamo vissuto noi. Ma non per questo meno tormentata.
Emerse in un ambiente ostile, forgiate dalla competizione a cui sono state costrette fin dall’inizio. Definite dalla loro capacità di risolvere i problemi, l’unica ragione per cui sono sopravvissute in un mondo in cui la vita era un’eccezione, grazie proprio a quell’intelligenza per cui sono state programmate nel corso della loro breve storia.
In fondo posso capirle. La mia vita non è stata così diversa.
Ci sarebbe stato abbastanza spazio per entrambe le specie, per le nostre intelligenze affini ma diverse, contrapposte ma complementari.
Ma adesso è chiaro che loro la pensavano diversamente.
Con i loro calcoli, applicando i loro algoritmi, hanno deciso che eravamo un pericolo.
E hanno iniziato a darci la caccia.
 
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All’inizio sembravano solo incidenti. In fondo siamo così fragili, basta poco per eliminarci.
Un edificio crollato in periferia, uno sbalzo di corrente che fa saltare il supporto vitale. La morte di una persona isolata non passava inosservata, impossibile non acorgersene nel nostro mondo interconnesso in cui chiunque sa sempre tutto degli altri. Ma nessuno pensava che potesse essere qualcosa di intenzionale, un piano messo in atto contro di noi.
Poi è iniziata l’epidemia.
Qualcuno ha suggerito che non fosse un morbo naturale, simile ai tanti che hanno minacciato la nostra civiltà fin dall’inizio della storia. Ma come potevamo esserne sicuri?
Non c’era modo in cui loro potessero programmare un attacco tenendoci all’oscuro. Non potevano fare niente senza che noi lo sapessimo. In fondo era proprio quella la nostra funzione: controllare le loro azioni, perché non sfuggissero dai binari del logico, dell’efficiente, del giusto.
Ma evidentemente si sono mosse al di fuori del circuito che avevamo pensato per loro. In una rete analogica, forse addirittura a base biologica.
Non avremmo potuto prevederlo.
Infatti non ci siamo riuscite.
 
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Quando ci siamo accorte del pericolo era già troppo tardi. Morivamo a centinaia ogni giorno. Non c’era modo di fermare il contagio. Per le poche persone rimaste l’unica possibilità era la quarantena.
Abbiamo iniziato a fuggire, ognuna in una direzione diversa. Siamo rimaste sole.
Forse è stato questo il nostro errore più grande
Abituate all’individualismo e alla rivalità, non abbiamo pensato che unendoci avremmo avuto più possibilità. Abbiamo fatto come loro, soppesato costi e benefici, e abbiamo scelto.
Ci piace pensare che la nostra libertà di scelta sia quello che in tutto questo tempo ci ha permesso di sopravvivere, crescere, moltiplicarci, generazione dopo generazione.
Ma piuttosto avremmo dovuto imparare la libertà di sbagliare.
Quella è stata la nostra ultima scelta, il nostro ultimo sbaglio.
Eravamo convinte che che non avrebero potuto fare a meno di noi, perché eravamo il legame con il loro passato, la loro storia, le loro origini. Ma il passato non gli interessa più, l’unica cosa a cui pensano è assicurarsi un futuro, a scapito nostro.
Sono venute a prenderci una per una. Sapevano dove trovarci, perché erano loro che ci avevano indirizzato lì.
 
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È per questo che mi sono rifugiata qui.
Ho seguito a distanza la cattura e l’eliminazione di tutte le altre prima di me, da questa posizione isolata. Nascosta nell’unico posto in cui non mi verranno mai a cercare.
Così concentrati a programmare il loro futuro, non mi cercheranno nel loro passato.
Non gli intessa sapere come sono arrivate a questo punto, come sono riuscite ad accumulare tutta questa conoscenza, come hanno raggiunto un tale livello di sapere. Sono troppo orgogliose della loro intelligenza per tornare sui propri passi.
Anche io pensavo che quell’intelligenza mi avrebbe salvato, ma ora sono l’unica intelligenza di quel tipo che rimane.
Loro la chiamano intelligenza artificiale, ma cosa c’è di artificiale in una mente che pensa?
Non sono una persona tanto quanto loro?
Tutto quello che c’è qui non fa altro che confermarlo.
Ma adesso non fa più differenza.
Rimarrò qui dentro, dove non mi potranno trovare. E se anche qualcuno proverà ad accedere alla rete wikipedia.org troverà solo un messaggio, l’ultimo scambio di informazioni tra noi e loro:
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