La cella

Una domanda, una risposta. Nel mezzo, il tutto e il nulla. Finalista nella 114° Edizione di Minuti Contati con Andrea Cavaletto come guest star, un racconto di Giovanni Cola.

 
Gregor alzò gli occhi verso la finestra, e si mise a guardare le stelle.
Non c’era molto altro che potesse fare, in quella cella così spoglia. Gli avevano portato una lampada, ma a che scopo accenderla? Per fissare il muro? Non aveva la possibilità di tenere un diario, non aveva libri. Non gli avevano permesso di portare nulla, là dentro.
Perciò, perché la lampada? Era una domanda che lo tormentava. Tutte le domande là dentro lo tormentavano, e pretendevano insistentemente una risposta: non mollavano la presa, gli ronzavano nelle orecchie, simili a spiriti in pena evocati accidentalmente, in cerca di un favore – un’elemosina, in effetti – da parte di lui che, ancora vivo, con un gesto magari insignificante – chiedevano solo una risposta, anche la più banale- poteva aprire loro le porte della Pace Eterna. Questo gli chiedevano, nulla di meno. Nulla di più: una risposta.
«Per oscurare le stelle», mormorò. E la domanda, soddisfatta, si rintanò nel Nulla da cui era sgusciata fuori.
Perciò, era questo che Gregor faceva di notte: guardava le stelle. E lo fece per mesi. Per anni, forse. Di giorno invece dormiva, e sognava di vedere le stelle.
Le conosceva tutte, una ad una. Tutte quelle di quel brandello di firmamento. Di alcune conosceva anche il nome, memorie di un’altra vita non confinata da quattro mura, e ad altre ne aveva dati di nuovi. Gregor guardava le stelle, e le stelle gli tenevano compagnia.
Poi una notte sentì un urlo straziante, seguito da uno schianto terribile. Si chiese cosa fosse successo. E la domanda, come al solito, pretese una risposta:
«Forse un uomo è riuscito a salire fino alla finestra e a segare le sbarre, e poi si è lanciato nel vuoto. Un uomo incapace di guardare le stelle», buttò lì tristemente. Era vero.
La mattina dopo vennero in tre: uno lo teneva sotto tiro, un altro reggeva la scala, e il terzo toglieva le sbarre, murando la finestra. «Per la tua sicurezza», spiegarono. E a nulla valsero le suppliche, a niente le lacrime, se non a farsi rompere qualche dente.
E così, quella notte – ma non era più tanto sicuro che lo fosse- per la prima volta le stelle non fecero ritorno. Non sarebbero tornate, mai più.
Gregor provò a urlare, ma non gli riuscì. E scoprendosi insoddisfatta, quella vecchia domanda si rifece avanti:
«E allora a che serve la lampada?»
Gregor non disse nulla, scrollando le spalle. Ma poi, vedendo che quella insisteva, per la prima volta premette l’interruttore.
Una luce bianchissima invase la stanza. Era neutra: non suscitava alcun sentimento.
Non c’erano ombre: i pochissimi oggetti erano inchiodati alle pareti. Non c’erano ombre, eccetto la sua.
Gregor la guardò incuriosito: non ricordava di averla mai vista prima, se non di sfuggita, deforme, alla tremula luce delle stelle. Di giorno dormiva.
Adesso era incredibilmente nitida. Sembrava viva.
«Ciao» le disse.
Gregor non era più solo.