
Giochi di potere in salsa ultraterrena in questo racconto di Massimo Tivoli, settimo classificato nella 115° Edizione di Minuti Contati con Ilaria Tuti come guest star.
In posizione da proiettile umano, affronto una curva a destra, poi subito a sinistra, sballotto un po’ ma non mi scompongo.
Quel foro deve essere l’uscita. Ci sono.
Merda! Mi alzo un po’ a fatica, le ginocchia scricchiolano. Con le mani tolgo dagli occhi il viscidume che mi ottenebra la vista. Ne tasto la consistenza facendo roteare il pollice contro l’indice e il medio. Me lo porto al naso.
Merda! Non è fango, è proprio merda.
Del resto, se essere qui non significasse trovarsi nella merda, non sarebbe qui.
L’uscita del tunnel dove poco fa mi sentivo come Nico Walther starà a cinque metri di altezza. Bel botto. Ma ormai non dovrebbe essere un problema.
Davanti a me sta una collina, in cima alla quale c’è la casa di fuoco. In alto, il cielo nero.
Boss è stato di parola. “Padrino, prendi questo tunnel e arriverai direttamente a casa del diavolo” mi ha detto.
Presto detto, presto fatto.
Ho passato tutta la vita a pararmi le chiappe, a tendere le orecchie per carpire ogni minimo rumore sospetto, ad allenare le pupille per sviluppare una vista da mosca. Ho accoppato tutti quelli che hanno cercato di accopparmi. Ma non avrei mai immaginato di trovarmi costretto ad affrontare Fiamma.
Sono di fronte la casa. Quello delle fiamme non è un crepitio, è un’orgia di rantoli e urla e bestemmie e maledizioni. Un rivolo caldo mi scorre lungo la gamba. “Non temere. Corri e tuffati dentro, qualsiasi cosa vedrai” si è raccomandato Boss. Sì, facile per lui. Che se ne sta beato tra i beati, al fresco oltre le nuvole.
Due fiammate si sollevano dal tetto, si contorcono roteando in aria. Guizzano verso di me. Con una capriola, schivo quella di sinistra che si dissolve come cenere. Quella di destra parte al contrattacco. Aspetto fino a quando il calore non mi lambisce la guancia e poi mi abbasso di scatto. È andata anche lei. Sento la pelle del viso sfrigolare e scoppiettare. È il momento. Faccio quello che ha detto Boss.
Sono dentro. Fiamma siede sul trono, un seggio di serpenti con la testa di uomini, di donne e di bambini. In continua evoluzione, in continuo movimento. Il miasma di zolfo e carogna bruciata punge le narici. Fiamma è un blob antropomorfo e scomposto di tizzoni ardenti, la lava scorre oltre lo strato carbonizzato più esterno. Vomita bombe e armi di tutti i tipi. Adesso ha vomitato due neonati, sembrano fratelli gemelli. I due formano un uroboro in cui iniziano a divorarsi l’uno con l’altro.
La testa gira e manca il fiato. «Boss, non ce la faccio» dico al microfono che ho fissato all’orecchio. «È troppo. Anche per uno come me.»
«Non dubitare». La voce di Boss tuona all’interno delle cuffie. «O annullo il patto.»
Fiamma si volta verso di me. Adesso le orbite sono vuote, due varchi oscuri verso tenebre ancora più profonde di queste. Mi sento perso e sedotto. Cresce la voglia di tuffarmi in quelle orbite.
«Ora!» La voce di Boss mi salva, risvegliandomi.
Rimuovo la linguetta della granata di acqua santa.
Bum!
Siedo sul trono. La casa è diventata una villa, con piscina, governante, giardiniere e, perché no, tante belle ragazze. Del resto, il patto era chiaro…
«Boss, all’inferno ci vado ma non da gregario.»
«E va bene. Ma il tuo bisiniss è il tuo bisiniss. La Terra e gli umani devono diventare di mia esclusiva proprietà.»