Al diavolo Amélie

Una base sicura, ma pur sempre una prigione. Secondo classificato nella 115° Edizione di Minuti Contati con Ilaria Tuti come guest star, un racconto di Mario Pacchiarotti.

 
Zhang Liang se ne stava accucciato tra i cuscini nell’angolo estremo del suo locale, il Fée Lapin. Una posizione riservata ma da cui si dominava tutto l’ambiente. Lì era protetto, al sicuro. Non ne usciva mai. Notò Alban entrare e ne seguì da subito il movimento. Venne diretto da lui, aveva lo guardo sornione di un gatto.
«Liang» salutò, e fece un inchino.
«Alban, cos’hai per me?»
Il ragazzo sorrise e si accomodò su di un cuscino. Con un gesto da giocoliere tirò fuori un piccolo contenitore traslucido e lo poggiò con delicatezza di fronte a sé. Liang strinse ancor di più la fessura degli occhi esaminando il biochip.
«Che cosa fa?»
Alban scrollò le spalle.
«Non ne ho idea, ma è qualcosa di nuovo, di speciale.»
Liang capì che era iniziata la trattativa e sollevò perplesso un sopracciglio.
«Magari non serve a niente.»
Il ragazzo non perse entusiasmo. Liang schioccò le dita, un uomo sbucò dal buio e gli porse un biotester. Lui estrasse l’interfaccia e la collegò al contenitore. Sul piccolo schermo comparve una serie di dati.
«Coraggio folle» commentò il ragazzo.
Liang annuì. «Questo è il nome, ma il folder informativo è vuoto, completamente.»
«È un biochip epidermico» osservò Alban.
«Certo, si può provare, ma scoprire cosa fa potrebbe essere costoso, difficile. E magari non vale la pena. Magari è un tatuaggio.»
Sul viso di Alban passò un’ombra. Subito svanì.
«Diecimila Renbirr, sono sicuro di trovare qualcun altro disposto a darmeli prima di sera.»
Liang lo ignorò e continuò a scorrere i dati del biotester. Erano pochi, ma bastavano per capire che il biochip era speciale, o almeno diverso. Non si capiva la provenienza né lo scopo, di certo ora arrivava dal complesso di smaltimento biotrash. Tutta la roba speciale a Gibedam veniva da lì. E a volte ci si trovava anche qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, almeno in teoria. Poteva capitare un’arma, una nuova droga, qualsiasi cosa.
«Te ne do seimila.»
Il ragazzo scosse la testa. «Diecimila.»
«Seimila e una scopata con Amélie.»
Gli occhi del ragazzo brillarono. «Una serata» rilanciò.
«Va bene, una serata.»
Quando il ragazzo fu andato, Liang fece un cenno, una donna gli si avvicinò.
«Mei, prendi un cliente del bordello, uno che ci deve soldi, disposto a tutto. Bisogna provare questo.»
La donna annuì, prese il contenitore e sparì.
 
La luce del sole sferzò gli occhi dell’uomo, che grugnì. Mei aspettò che si svegliasse del tutto.
Liang ci mise un po’, ma infine si tirò a sedere sul letto, scrutò la donna per qualche istante, ricordò.
«Dunque? Ho speso bene i miei soldi?»
Mei increspò le labbra.
«Direi di sì, ma c’è un problema.»
«Che vuol dire?»
«L’uomo era innamorato di Amélie.»
Liang sbuffò. «Tutti lo sono.»
«Si è dichiarato, l’ha portata via.»
L’uomo si alzò di scatto dal letto.
«Gli farò tagliare le palle, idiota, che pensa di fare, solo un folle…» si fermò, come fulminato da un pensiero. «Andatelo a prendere, trovatelo, bloccate l’areoporto, riportatemi Amélie.»
Mei annuì e si avviò verso l’uscita.
Liang si guardò intorno, lo sguardo accarezzò il suo buco sicuro, morbido e profumato. Era comunque un buco, una prigione. L’intuizione che lo aveva scosso poco prima divenne cosciente. Cacciò un urlo sovrumano. «Meiiiii.»
La donna si riaffacciò trafelata.
«Fai presto, Mei. Portami quel cazzo di chip, e al diavolo Amélie.»
Si prese la testa tra le mani.
«Voglio uscire di qui.»