
Un thriller mozzafiato e originale di Stefano Pastor. Racconto classificatosi al primo posto nella Special Three Steps Edition di Minuti Contati.
«112, Pronto Intervento, come posso esserle utile?»
«Aiuto! Aiutatemi, vi prego! Non voglio morire!».
Era una voce giovane, sicuramente maschile. Un ragazzo. L’operatrice, non più giovanissima, si adattò.
«Calmati, dimmi cosa sta succedendo».
«Non lo so. Mi ucciderà, sono certo che mi ucciderà».
«Chi?».
«Non lo so. Non so niente».
“Dimmi il tuo nome”.
«Non so neanche quello, non so chi sono».
«Dove ti trovi, almeno?».
«È un posto buio, non vedo niente».
«Il numero da cui chiami è il 338897855, lo confermi?».
«Non ne ho idea».
«È un cellulare. Cercheremo di rintracciarlo, tu non muoverti».
«Mi ucciderà! So che mi ucciderà. Non l’ho fermato, si sta già muovendo».
Pigiava i tasti velocissima, inoltrando la richiesta, e intanto continuava a parlare. «Ti sta bene se ti chiamo Martin? Io sono Paola».
«Sì, sì. Cosa devo fare, Paola?».
«Cosa ti ricordi?».
«Ero qui, lui mi stava picchiando. Mi ha fatto male, tanto male».
«Sei ferito?».
«Sento umido, bagnato. Sto perdendo sangue».
«Dove?».
«Alla testa. Non faceva che colpirmi, voleva uccidermi».
«Adesso dov’è?».
Scoppiò a piangere. «Non lo vedo, ma è ancora qui. Lo sento respirare».
«Il luogo dove ti trovi, non riesci a immaginare cosa possa essere?».
«C’è tanta polvere, la sento. Non ci sono finestre. Deve essere una cantina».
«Quanti anni hai?».
«Non lo so! Non so più niente. Ti prego, Paola, non lasciarmi morire».
«Chi è quell’uomo? È un uomo, vero?».
«Non l’avevo mai visto prima. Non lo so».
«Come sei arrivato lì?».
Singhiozzò. «Non so niente! Niente!».
«La polizia ti rintraccerà, stai tranquillo. Verranno presto».
«Non lasciarmi. Ti prego, non lasciarmi».
«Cosa è successo a quell’uomo?».
«Voleva farmi ancora del male. L’ho spinto ed è caduto. Credo che sia svenuto».
«Puoi provare a immobilizzarlo?».
«No! Non farmelo fare, ti prego!».
«Puoi uscire da lì?».
«Mi ha detto di non farlo. Se provo ad andarmene mi uccide!».
«Provaci lo stesso, tanto adesso non può muoversi».
Il ragazzo piangeva a dirotto, non ci sarebbe mai riuscito. Invece trovò il coraggio. «Tu non lasciarmi, però».
Ci fu un lungo silenzio, mentre la tensione cresceva. Si spostava a tentoni, producendo piccoli rumori. «Forse c’è una scala».
«Sali».
Sentì scricchiolare un gradino, poi un altro.
La voce del ragazzo divenne isterica. «Si sta alzando, lo sento! Si alza!».
«Sali! Sali! Corri!».
Lo fece. «Non voglio morire! Non lasciare che mi uccida!».
Altri gradini scricchiolarono, poi ci fu un grido. Rumori inequivocabili di una lotta in atto. Ancora grida del ragazzo.
Paola divenne isterica. «Quanto ci mettono a intervenire?».
Infine un fracasso infernale, da gelarle il sangue.
«Martin! Martin, mi senti? Come stai?».
La sua voce era roca, respirava a fatica. «È caduto. È caduto dalle scale. È stata colpa mia».
«Tu non hai nessuna colpa. Ora guarda se puoi uscire da lì».
Singhiozzò. «C’è una porta, è chiusa a chiave».
«Forse ha lui la chiave».
«No! No! No!».
«Devi. Vai a vedere!».
«No!».
Però lo fece, lo sentì scendere le scale. «Credo che sia morto. Il collo è spezzato».
«La chiave?».
«Non lo so. Ho paura a toccarlo».
«Fallo!».
Sentì i vestiti frusciare, mentre lo stava perquisendo.
«Non c’è. Non la trovo. Non c’è nessuna chiave».
«Non importa, la polizia arriverà a momenti. Stai tranquillo».
«Grazie, Paola. Senza di te sarei impazzito».
«Hai fatto bene a chiamarmi. Almeno questo numero te lo sei ricordato».
Un lungo silenzio. «No. Non ricordo più niente. Sono stati quei pugni, immagino, mi hanno rovinato».
«Come mi hai chiamata, allora?».
«Non lo so. Il cellulare era il suo, lo stava usando quando l’ho spinto. Non sapevo cosa fare, devo aver premuto un tasto a caso».
Che tasto, si chiese lei. Il numero delle emergenze, che era stato memorizzato, oppure…
«Aspetta un attimo, torno subito. Non preoccuparti, sono sempre qui».
Lo mise in pausa, senza attendere risposta. Poi si alzò in piedi.
«Qualcuno di voi ha ricevuto una chiamata dal 338897855 recentemente?».
C’erano più di cinquanta postazioni, in quel gran salone. Loculi, li chiamava lei.
Uno degli operatori più giovani, all’altro lato della sala, se ne ricordò.
«L’ho ricevuta io».
«Cosa voleva?».
«Un esagitato. L’ho trasferito ai carabinieri».
«Perché?».
«Diceva di aver beccato un ladro in casa, che cercava di derubarlo». Poi aggiunse: «Uno sbandato, ha detto. Un ragazzo, forse un drogato. Deve avergli dato una lezione, se ne vantava pure. Vaneggiava di legittima difesa. Diceva che a lui di certe limitazioni non gliene fregava niente».
«Ha parlato con i carabinieri, quindi».
«Non lo so, io gliel’ho solo passato».
«Puoi controllare?».
Lo fece. «La chiamata è durata solo quattro secondi, deve aver riattaccato».
Paola chiuse gli occhi, restò in silenzio a lungo, al punto che la sua vicina le chiese: «Va tutto bene?».
Tirò un lungo respiro e tornò da Martin. «Sono qui».
«Ho paura, sono terrorizzato».
«Lo so, ma adesso è tutto finito».
«La polizia verrà a salvarmi?».
Paola stava piangendo, non poteva farne a meno. «Arriveranno presto, rintracceranno il cellulare».
«Grazie, senza di te non ce l’avrei fatta, sarei morto di sicuro».
«Hai ricordato qualcosa?».
«No, proprio niente. Ma la polizia scoprirà chi sono? Se ho una famiglia? Mi riporteranno da loro?».
«Lo faranno sicuramente», disse. Continuare a mentire era troppo doloroso. «Mi dispiace».
«Tu che c’entri? Mi piacerebbe conoscerti, vedere come sei».
«Anche a me piacerebbe, Martin».
«Mi piace questo nome che mi hai dato. Lo voglio tenere. Almeno finché non scopriranno chi sono veramente».
Il suono delle sirene raggiunse persino la cantina, erano sempre più vicine.
Anche lui le riconobbe. «Stanno arrivando!».
«Sì, è quasi finita», disse lei.
«Grazie, grazie ancora per quello che hai fatto». E rivolto alla porta: «Sono qui! Aiuto, sono qui!».
La comunicazione s’interruppe.
Paola si abbandonò ai singhiozzi. Tutto intorno i telefoni squillavano.